CAPITOLO
SECONDO
Guardami,
perché potrebbe non importarmi affatto.
Fallo
o muori,
non
mi obbligherai mai;
perché
il mondo non avrà mai il mio cuore.
Puoi
tentare, ma non mi spezzerai mai.
-My
Chemical Romance-
Stavano
sistemando il bar per l’apertura, i movimenti ormai
sincronizzati in anni di lavoro assieme. Nemmeno si parlavano, Michele
dava per scontato che Fabio sarebbe stato lì quando lui si sarebbe
girato per porgergli il vassoio con le Brioche, e viceversa. Era bello
starli a guardare, l’intesa che avevano parlava di quotidianità e di un
rapporto così profondo da non necessitare per forza di essere riempito
di parole. Da parte di Michele perlomeno, perché Fabio sembrava morire
se non riempiva ogni spazio di tempo di mille mila parole al secondo.
Quando
un sorridente Fabio gli piazzò davanti la sua colazione, Brioche
al cioccolato caldissima e altro caffè, si esibì in un inchino
scherzoso, rivolgendogli un sorriso divertito. Sebastiano rispose con
una riverenza e si chiese perché non uscisse con loro più spesso, era
divertente. All’inizio non lo faceva perché semplicemente non aveva
nessuna voglia di mettere il naso fuori casa, poi quando aveva
cominciato a stare meglio gli era sembrato naturale lasciare a suo
fratello i suoi spazi, i suoi amici, non stargli sempre appiccicato
insomma.
Se
lo meritava, lui aveva giurato a se stesso di proteggerlo, sempre e
comunque, ed era riuscito nel suo intento piuttosto bene finché
qualcosa non si era inceppato e allora il meccanismo aveva smesso di
girare.
Michele
non se lo meritava, non meritava di tenergli la testa mentre
vomitava quando tornava ubriaco alle cinque di mattina.
Non
meritava di passare ore steso nel letto, con Sebastiano schiacciato
contro di lui che respirava velocemente, cercando di soffocare nel
collo di suo fratello tutto il fottuto terrore che gli si rovesciava
addosso non appena apriva gli occhi la mattina.
Non
meritava di tornare a casa e non trovarlo e girare tutte le stanze,
con la paura di trovarlo appeso al lampadario a divorargli lo stomaco;
per poi tirarlo fuori dall’angolo impolverato dove si era rintanato e
abbracciarlo forte, sospirando il suo sollievo in singhiozzi esausti,
perché nemmeno lui ce la faceva più e non sapeva cosa fare per salvare
Sebastiano.
Per
questo ora gli lasciava i suoi spazi e la sua vita, senza
invaderli, perché lui c’era stato e non c’era scritto da nessuna parte
che così dovesse essere. Stava male anche lui, dopotutto, non era una
prerogativa di Sebastiano, ma non l’aveva mai lasciato rotolare nel suo
vomito o soffocare dalla paura. Michele si meritava tutto il meglio che
la vita potesse dargli ed era contento che finalmente avesse trovato
po’ di tranquillità.
Era
così immerso nei suoi pensieri che quando tornò a dare attenzione
agli altri, Michele e Fabio stavano parlando. Michele controllava che
le Brioche non si bruciassero, Fabio era svaccato sul bancone e mancava
poco che si accendesse una sigaretta.
-Ma
quindi Gin ancora non si è liberata da quello?- stava chiedendo
Fabio a suo fratello. Si mise ad ascoltare, interessato. Gli piaceva
farsi un idea degli amici di suo fratello, della sua vita, in questo
modo. Ovviamente li conosceva tutti, più o meno, però gli piaceva
ascoltare Fabio e Michele mentre ne parlavano.
Michele
scosse la testa: - No, anzi, più passa il tempo più è
ossessionato da lei… non sa più che fare- e nessuno dei due si perse
l’espressione corrucciata di Michele. Per riflesso si corrucciarono
anche Sebastiano e Fabio.
-Eh…
ma che gli sguinzagli dietro i fratelli, Cristo sono due colossi!
Due minuti con loro e gli passa la voglia di rompere le palle- commentò
Fabio.
-Ginevra
dite?- chiese Sebastiano, conosceva quella ragazza, era
carina, simpatica e molto dolce e suo fratello sembrava avere una
specie di predilezione per lei. Questo la inseriva automaticamente fra
le persone sopportabili e da tenere in considerazione.
Fabio
annuì, lanciando un occhiata al pacchetto di sigarette che
Sebastiano aveva abbandonato sul bancone.
-Sì,
sembra che il suo ex ancora la tormenti, sai le scrive sms
minatori, del tipo ‘o torni con me o con nessuno’, roba così, da malati
mentali, insomma. Poi la segue, non la lascia stare un attimo e lei
comincia ad esserne spaventata-
Sebastiano
annuì, allontanando il pacchetto dalle mani di Fabio. Si
guadagnò un occhiataccia da quest’ultimo, che si appellò a Michele,
ovviamente non ottenne la clemenza sperata.
-Se
vuoi fumare vai fuori- esclamò infatti, secco. La faccenda di Gin
lo turbava, era evidente. Lanciò un occhiata a Fabio e vide che lo
stava già fissando. Non ebbero bisogno di parlarsi.
-Io
vado Michi. Grazie per la colazione, passo quando finisco- salutò
suo fratello e poi rivolse un cenno a Fabio.
-Dai
che ti offro una sigaretta-
Fabio
annuì e con un saltò scese dal balcone per poi aggirarlo e
seguirlo fuori.
Quello
che turbava Michele turbava loro, era doveroso trovare una
soluzione.
Era
strano, forse, il modo in cui Fabio e Sebastiano erano affezionati
a Michele, come se fosse una principessina da proteggere e da salvare
da un mostro cattivo, cosa che Michele non sopportava. Ma il loro
rapporto funzionava alla perfezione in questo modo, così nessuno dei
tre si sognava di lamentarsene. Se non Michele, appunto.
Si
accese la sigaretta e ne porse una a Fabio, che se la mise fra le
labbra in silenzio.
-Allora…
sembra che la faccenda si faccia seria- cominciò Sebastiano.
-Dio
Seba, non ne hai idea… mi rompe i coglioni a ogni ora del giorno
con questa qui, con il suo ex che non molla e menate varie… non so più
che dirgli- sbottò Fabio, era sinceramente preoccupato per suo
fratello, e si vedeva. La considerazione che aveva di lui salì in modo
esponenziale.
-Ne
ho idea credimi… solo che con me non si mostra così preoccupato-
borbottò di rimando. E sapeva anche perché. Non voleva metterlo in
ansia, non voleva che Sebastiano si preoccupasse per lui, era come se
non volesse turbare Sebastiano con i suoi problemi, non volesse essere
un peso in un certo senso.
Fabio
rimase in silenzio, non voleva entrare nel merito del rapporto
che avevano quei due, era una cosa così complicata e bella da dargli
l’impressione che solo mettendo un piede in malo modo avrebbe distrutto
tutto, tipo l’effetto elefante-cristalleria.
Sebastiano
si riscosse, lanciando un occhiata a Fabio. Si perse per un
attimo a osservargli il piercing ad anello che aveva sul labbro, era un
punto luce che era impossibile ignorare, catalizzava l’attenzione sulle
labbra morbide e piene e accendeva pensieri assolutamente inadatti al
luogo, l’ora e soprattutto alla persona.
-Senti
facciamo che stasera vengo con voi così mi rendo conto della
situazione. Vedrai che un modo per toglierglielo di torno lo troviamo-
Vide
Fabio sorridere, come se fosse incredibilmente felice all’idea che
uscisse con loro, poi sbiancò e deglutì, si rese conto che lo stava
fissando intensamente, ma era divertente osservare le sue reazioni, non
si annoiava mai con lui. Era davvero strano a ogni modo.
Anche
il modo impacciato in cui annuì e lo salutò, scappando poi dentro
il locale, non era molto normale. Rimase a fissare il punto in cui era
sparito, scrollò le spalle e si diresse in ufficio.
Michele
sbuffò, rumorosamente, curando di farsi sentire da suo
fratello, che però era totalmente perso nel suo mondo e non diede
nessun segno di averlo sentito.
Aveva le cuffie piantate nelle orecchie, un blocco da disegno in mano e
stava disegnando qualcosa con attenzione e assoluta concentrazione.
In sostanza, lo ignorava.
E lui odiava essere ignorato da suo fratello, perché, pur coi suoi
tredici anni, capiva che Sebastiano era diverso dalla maggior parte
delle altre persone.
Viveva in un mondo che nella sua testa era sterminato e impossibile da
spiegare o raccontare, ma Michele non aveva bisogno che Sebastiano
glielo raccontasse. Michele lo capiva benissimo, anche se forse ora che
Sebastiano aveva sedici anni e lui solo tredici era più difficile
penetrare nella sua testa.
-La mamma ha detto che forse, se domani è bello, mi lascia andare in
piscina- tentò una comunicazione, ma era fin troppo chiaro che la
musica nelle orecchie del fratello gli impediva qualunque interazione
con il mondo reale.
Sbuffò ancora, rassegnandosi a sedersi sul letto accanto a lui e
tentando di sbirciare quello che stava disegnando. A quello suo
fratello si riscosse, togliendosi le cuffie e rivolgendogli uno sguardo
seccato.
-Si può sapere che hai Michele? Non sei capace di stare fermo un
attimo?- il fratellino gli rivolse un sorriso innocente, adocchiando
l’album e cercando di capire quello che c’era disegnato.
-Seeeeeseeee! Mi accompagni in piscina domani? La mamma ha
detto che se ci sei anche tu forse mi lascia andare!- chiese,
accompagnando il tutto dalla migliore delle sue espressioni da
cucciolo.
Suo fratello strinse le labbra e Michele cominciò a sperare, pregandolo
intensamente con lo sguardo perché la risposta fosse positiva.
Non era cambiata molto, la loro madre, da quando erano piccoli.
Impediva comunque a Michele di uscire, come fosse un moccioso di otto
anni, mentre Sebastiano aveva più libertà ma neanche molta. E in ogni
caso sembrava non interessargli molto, stava quasi sempre chiuso in
casa a disegnare o progettare fumetti; sembrava non gli interessasse
uscire o farsi degli amici. Quella era una cosa che Michele non capiva
fino in fondo, però capiva che i disegni di suo fratello erano
bellissimi, e solo lui aveva il permesso di guardarli e di partecipare
alla stesura dei suoi fumetti.
Inutile dire che ne era orgoglioso fino alla nausea.
-Michi, sai che la piscina non mi piace- Michele non disse nulla, si
limitò a spalancare ulteriormente gli occhi, guardandolo da sotto le
ciglia. Era lo sguardo a cui suo fratello non riusciva a resistere.
Sapeva perché a suo fratello la piscina non piaceva. Perché era un po’
grasso, aveva la pelle pallidissima che non si abbronzava mai, complice
anche il fatto che non l’aveva mai esposta al sole, e la fama del
ragazzo strano e un po’ matto, per cui non aveva un buon rapporto con
nessuno dei suoi compagni di classe.
Sospettava che lo prendessero in giro, però non ne aveva mai avuto la
conferma, suo fratello non si era mai esposto così tanto con lui.
Si sentiva un po’ in colpa a chiederglielo, a dire il vero, perché
sapeva che gli sarebbe costato davvero tanto accontentarlo, però lui
non era come Sebastiano. Lui non aveva un mondo che gli bastava come
sostituito della vita vera; a lui piaceva avere amici, piaceva uscire e
divertirsi e ogni tanto invidiava ferocemente Sebastiano. Era capace di
perdersi con nient’altro che una matita, mentre lui a volte pensava che
sarebbe impazzito chiuso in casa se non fosse stato per suo fratello.
Anche per questo lo adorava. Perché nonostante sbuffasse e ostentasse
il suo fastidio ogni volta che il fratellino si avvicinava, alla fine
faceva sempre di tutto per non fargli pesare quella situazione,
l’ossessione della loro madre e la solitudine.
Anche quella volta, infatti, capitolò:
-Ok- rispose alla fine, con un evidente disagio. Michele sorrise,
abbracciandolo forte e nascondendo il viso nel suo petto, strusciandolo
leggermente per assestarsi nel suo abbraccio e respirare l’odore di suo
fratello. Sapeva sempre di tempera e carboncino, era un odore che ormai
ricollegava istintivamente a lui e al suo fantastico mondo.
E comunque adorava il fatto che ci fosse così tanto da abbracciare,
perché gli dava l’impressione di essere protetto e al sicuro, gli dava
l’impressione che Sebastiano sarebbe anche morto per proteggerlo e
tenerlo al sicuro. Era inevitabile per lui considerarlo il suo eroe,
alla stregua dei principi di cui gli raccontava Sebastiano da piccolo,
o dei supereroi un po’ sgangherati di cui pullulavano i suoi fumetti
adesso.
Non gliel’aveva mai detto perché sapeva che non ce n’era bisogno, lo
sentiva dal modo in cui le braccia di Sebastiano si chiudevano su di
lui, stringendolo, e dal sorriso intenerito che sapeva essere sulle sue
labbra adesso.
Sapevano perfettamente di essere la persona più importante per l’altro.
Quando
i due fratelli entrarono nel locale, per un attimo Fabio
trattenne il fiato. Sebastiano era uscito davvero poche volte col
gruppo, quindi vedere il ragazzo con una camicia nera sbottonata e un
paio di jeans
attillati, lo rese per un attimo incapace di formulare
qualunque altro pensiero. Aveva acconciato i capelli nel solito modo
folle, ma se di norma erano un groviglio inestricabile perché
semplicemente Sebastiano non se li pettinava, ora erano così a causa
del gel che gli dava una forma abbastanza definita. Cristo, aveva
persino contornato gli occhi con l’eye-liner! E questo gli conferiva
una profondità assurda. Per non parlare della paura che incutevano
quando ti guardava con quello sguardo folle che lui tanto adorava
sfoggiare.
Non
appena i due fratelli si sedettero nei divanetti accanto a loro,
Fabio sfoggiò un sorriso enorme e salutò:
-Seba!
Ma che sorpresa, non mi sarei proprio aspettato di vederti qui!
Il tuo antro oscuro si sta sbiadendo e devi ridipingerlo?-
Michele
alzò gli occhi al cielo e Sebastiano ghignò:
-
No, è che se non ci sono io tutto va a puttane, quindi vi ho concesso
l’onore della mia illustre presenza per rinfrancare i vostri spiriti-
rispose, altrettanto sagacemente. Gli altri scoppiarono a ridere e
salutarono i ragazzi, sorpresi ma contenti di vedere anche Sebastiano.
Stava simpatico a tutti, per quanto strano fosse. Era l’unico che
teneva testa a Fabio, per dire.
Roberto
scosse la testa riccioluta per scacciare una ciocca da davanti
agli occhi, e allungò una mano ad afferrare la sua birra. Sebastiano e
Fabio si guardavano in modo strano, c’era sicuramente aria di
complotto. Michele sembrava pensarla allo stesso modo, continuava a
lanciare sguardi sospetti prima al suo amico, poi al fratello,
aggrottando le sopracciglia. Poi arrivò Ginevra e tutto il resto si
offuscò, per Michele. Lunghi capelli castani, vestitino aderente ma non
troppo corto, gambe da infarto, visino delicato e dall’espressione
dolce, occhioni castani da cerbiatta. Le era bastato sbattere le ciglia
per avere Michele ai suoi piedi.
Per
lui era troppo dolce, per Fabio troppo donna,
per quel demente di Marco troppo raffinata.
Per
Sebastiano sicuramente troppo normale.
Per
Michele era decisamente perfetta.
Ovviamente
tutti si erano accorti della cotta colossale di Michele,
tranne Ginevra. Da manuale proprio. Era pure fidanzata, all’epoca,
quindi l’amico si era messo il cuore in pace. Ora che aveva lasciato
quel coglione pompato le speranze si erano riaccese, l’unico
inconveniente era che il suddetto coglione pompato continuava a rompere
i coglioni e non voleva proprio saperne di lasciare libera quella
povera ragazza.
Roberto
sospirò, Fabio aveva abbracciato la ragazza in modo
esageratamente caloroso, facendole spazio fra lei e Sebastiano.
Quest’ultimo le aveva rivolto uno dei suoi sorrisi inquietanti, quelli
che li guardavi e ti chiedevi quanto ti rimaneva da vivere; sorrisi
tutti denti e labbra tirate, accompagnati da uno sguardo allucinato e
fisso. Dio santo, volevano aiutare Michele o terrorizzare quella
ragazza?
Fortunatamente
Ginevra era di tempra abbastanza robusta, altrimenti non
sarebbe mai uscita con loro, unica donna in un gruppo di soli maschi
tra l’altro.
Non
si lasciò spaventare da Fabio, accettando il posto a sedere con un
sorriso divertito; Sebastiano riuscì a spaventarla, ma poco eh, giusto
il minimo sindacale.
Michele
guardava tutti e due come se volesse ucciderli seduta stante.
Avevano
qualcosa in mente, questo era chiaro, l’unica cosa da capire
era come avrebbero potuto salvarsi dalla catastrofe adesso.
-Rob!
Rob senti…- Fabio attirò la sua attenzione e lui gli concesse un
occhiata interrogativa.
-Non
è il caso di trovare una ragazza a Michele? Ho per caso intravisto
le sue mani… cazzo ci sono i calli sopra!- Marco scoppiò a ridere, da
demente qual’era, Michele assunse il colore di un pomodoro maturo e
Ginevra si irrigidì un po’.
Beh
lo scopo era stato raggiunto.
Cominciava
a capire dove volevano andare a parare i due pazzi, e si
preoccupò ulteriormente. Se c’erano due persone che dovevano tenersi
alla larga da questioni amorose e simili, erano proprio loro due. Fabio
cambiava ragazzo ogni settimana, senza mai darsi pace, Sebastiano… beh
in tutta onestà non sapeva se esisteva una ragazza in grado di reggere
tutte le sue crisi, la sua follia e la paura che incuteva in certi
momenti. Tranne suo fratello, cioè. Che poi in realtà ne ricordava una…
erano stati assieme davvero a lungo, poi era successo un mezzo casino e
si erano lasciati. Non sapeva molto di quel periodo perché all’epoca
anche Michele si era eclissato senza spiegazioni, Fabio ancora non li
conosceva quindi non credeva ne sapesse niente. Non erano tipi che si
sbottonavano, i fratelli.
Quando
si riscosse dalle sue riflessioni la conversazione era
proseguita, ma non doveva essersi perso nulla visto il livello di
demenza che aveva acquisito.
Sebastiano
poi si divertiva come un matto a lanciare sorrisi da lasciar
terrorizzati chiunque, tanto che la povera cameriera doveva essersi
presa un infarto. Percepì solo una battuta assolutamente sporca da
parte di Fabio e poi Sebastiano che rideva e gli chiedeva di tornargli
la sigaretta di prima, invitandolo fuori a fumare.
Si
lanciarono uno sguardo complice ed uscirono dal locale. A Roberto
vennero i brividi: non presagiva nulla di buono, quell’occhiata.
E
a quanto pareva solo lui se n’era accorto, Marco era perso nel suo
mondo di unicorni dorati e nuvole zuccherine, Michele era perso dietro
Ginevra, che praticamente era la stessa cosa.
Non
appena i due folli uscirono, tutti tirarono un sospiro di sollievo,
Ginevra si voltò verso di lui con un sorriso e chiese, sempre gentile:
-Come
va il lavoro Rob? So che hai trovato da poco…-
Il
ragazzo annuì e accarezzandosi distrattamente la barba rispose:
-Sì,
ora lavoro alla Fiat, sai la concessionaria lungo viale Tricesimo…-
Lei
annuì, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio:
-Sì,
ho presente… meccanico vero?-
Il
ragazzo annuì e lanciò un occhiata a Michele, da quando quei due
erano usciti si era rilassato notevolmente, posando la mano sul
divanetto e consentendo a Ginevra di prenderla e osservarla,
inquisitoria.
-Non
dar retta a Fabio, non ci sono calli qui- commentò poi, ridendo
sommessa. Il ragazzo divenne di mille colori però lasciò la mano
dov’era. Finché la ragazza si incupì e si irrigidì d’un tratto.
-Enrico?-
chiese Michele, quando Ginevra annuì, tesa, Michele indurì lo
sguardo e si voltò. Eccolo lì, capelli biondi, viso piacevole e
viscido, occhi castani e viscidi, bocca sottile e viscida, sul corpo
non si soffermò, non voleva morire dallo schifo.
Era
oggettivamente un bel ragazzo, e sembrava sapesse essere anche
intelligente e divertente, almeno fino a che Ginevra non lo aveva
lasciato.
Poi
si era trasformato e adesso seguiva Ginevra ovunque, tormentandola.
Non
fece in tempo a dire nulla, comunque, che i due folli rientrarono,
in una nuvola di fumo che fece storcere il naso a Michele.
Si
sedettero nuovamente ai loro posti, ossia ai lati di Ginevra, e le
lanciarono uno sguardo decisamente strano.
Poi
Fabio parlò.
-Gin,
voglio che tu sappia che questa cosa per me è importante. Non lo
farei per nessun’altra che per te, ritieniti fortunata e onorata. E se
io penserò a Cristiano Ronaldo in tanga, nel frattempo, farò in modo
che tu non te ne accorga.-
La
povera ragazza si era persa al doversi ritenere fortunata, lo
guardava confusa, senza capire dove volesse andare a parare. Lo capì
quando Fabio lanciò un occhiata a Sebastiano, che si guardò attorno
brevemente e annuì.
E
poi Fabio la baciò.
Roberto
sputò la birra, sconvolto. Cristo Santo, quello era un bacio
vero, con tanto di mani strette alla vita, lingua, occhi chiusi e
trasporto!
Fabio
voleva morire ucciso da Enrico e Michele! Era quello il piano dei
due coglioni? Era demente e folle!
Lo
testimoniò il fatto che Michele sbiancò, si alzò di scatto dal
tavolo ed uscì dal locale, seguito immediatamente da Sebastiano.
Roberto
scosse la testa.
Il
disastro si era preannunciato, infine.
Ginevra
guardò Fabio, immobile, shockata dall’ultima cosa che poteva
aspettarsi da Fabio, notoriamente gay, non da tutti ovviamente, ma da
loro sicuramente.
Per
reazione disse l’ultima cosa che Roberto si aspettava.
-Il
piercing alla lingua è quasi piacevole, ma quello al labbro dà
decisamente fastidio-
Fabio
scoppiò a ridere, abbracciandola.
-Dio,
se non fossi gay potresti essere la donna della mia vita!-
Poi
divenne serio e si scostò, guardandola negli occhi.
-Sai
perché l’ho fatto vero?-
Lei
si morse le labbra e annuì, certo che lo sapeva, pensò Roberto, era
intelligente lei, non come i due idioti che avevano architettato questa
cosa assurda.
-Sì,
ma… Fabio non so cosa mai potrebbe cambiare… ho paura che
otterremo l’effetto opposto sai. Enrico è terribilmente geloso, non lo
fermerà pensare che io ora abbia un altro.-
Fabio
scosse le spalle, lanciando un occhiata alla porta, si vedeva che
era preoccupato per Michele, si mordeva il labbro e continuava a
tormentarsi le mani. Quanto trasparente era quel ragazzo? Era assurdo
che nessuno si fosse accorto della cotta colossale che aveva per
Sebastiano.
-Se
non altro ora puoi minacciarlo di sguinzagliarli contro il ragazzo,
oltre che i fratelli. Magari più siamo prima molla.-
Lei
sorrise debolmente, il piano era logico e semplice, tuttavia
decisamente troppo semplice.
E
Roberto sospettava che avrebbe avuto conseguenze catastrofiche.
“Come
sta Michi? Mi vuole ancora uccidere?”
Fabio
spedì l’sms mentre percorreva velocemente la strada che l’avrebbe
portato a casa. Il pub era relativamente vicino ed aveva preferito
muoversi a piedi, piuttosto che prendere l’auto e non sapere poi dove
parcheggiarla, magari. Così avrebbe potuto bere quanto voleva, tra
l’altro.
Il
cellulare si illuminò e lui si affrettò a leggere la risposta:
“Non
preoccuparti, non potrei mai permettere che il tuo bel
faccino venga deturpato. Ti difenderò a costo della vita”
Sospirò.
Era
ancora incazzato, eccome.
Non
avrebbe davvero voluto farlo davanti a Michele, ma l’occasione era
perfetta, anche Sebastiano lo pensava, e lui voleva davvero aiutarli.
Magari non si era fermato eccessivamente a riflettere agli effetti
negativi, ecco, ma era convinto che dopo questa Enrico si sarebbe per
forza dovuto rassegnare. E poi Michele lo sapeva che lui era gay,
cazzo! Non aveva mai toccato una donna, prima di Ginevra, e non aveva
intenzione di dar seguito alla cosa, in nessun modo proprio.
Michele
era una persona razionale, ci sarebbe arrivato prima o poi,
quando l’arrabbiatura sarebbe scemata.
Digitò
veloce la risposta.
“Oh
mio eroe!”
Fu
in quel momento che sentì dei passi risuonare dietro di lui.
Non
ci fece caso, inizialmente, si limitò ad accelerare il passo.
Quando
una mano lo bloccò, sbattendolo malamente contro il muro, non
poté fare a meno di lanciare un urlo, spaventato.
L’ultima
cosa che riuscì a pensare lucidamente prima di cominciare a
lottare con loro, fu che Enrico era un fottuto codardo.
L’aveva
attaccato con l’altri due amici.
I
bastardi erano in tre.
Erano
le due di notte quando il telefono di Michele squillò. Il ragazzo
afferrò il cellulare, aprendo mezzo occhio e cercando di leggere il
mittente della chiamata. Impossibile appena sveglio, per di più senza
occhiali. Ebbe la tentazione di lasciarlo suonare, ma aveva un brutto
ricordo delle telefonate a ore impossibili della notte, quindi non poté
fare davvero a meno di premere il tasto verde e mugugnare un:
-Sehhh-
seccato.
Quello
che sentì dall’altra parte lo lasciò interdetto. Sentiva
qualcuno respirare a fatica, imprecare a mezza voce e cercare di dire
qualcosa.
-Ma
chi cazzo… Fabio?- chiese, titubante, la voce sembrava la sua ma
era… strana, quasi distorta.
-Fabio,
che è successo?- stava quasi urlando ma l’amico non parlava, si
sentivano solo respiri spezzati e lui si stava spaventando a morte.
-Mi
vieni a prendere?- riuscì finalmente a sputare fuori, a fatica.
-Sono
dietro casa mia, porta anche Seba…- si interruppe, come se
cercasse la forza per continuare a far uscire la voce. Poi sussurrò:
-Da
solo non ce la fai, non credo di riuscire a camminare -
Non
aspettò di sentire altro, chiuse la chiamata con un
veloce:
-Arrivo-
e si gettò giù dal letto, infilando una maglietta sopra i
pantaloncini del pigiama, inforcò gli occhiali e si precipitò giù dalle
scale, quasi scardinando la porta del seminterrato.
Si
diresse velocemente al letto, scuotendo suo fratello con forza, fino
a che non lo vide aprire gli occhi e biascicare un:
-Ma
che cazzo vuoi?- con la voce impastata dal sonno.
-Muoviti,
vieni con me, vestiti- disse solo, prendendogli una maglietta
e un paio di pantaloni dall’armadio.
Ma
perché suo fratello doveva dormire nudo? Avrebbero solo perso tempo,
cazzo.
Si
voltò quando non sentì nessun movimento provenire dal letto, e vide
che suo fratello si era messo a sedere e lo guardava, ancora confuso e
con l’espressione persa. Gli avrebbe quasi fatto tenerezza, se non
fosse stato per la telefonata di Fabio.
-Cazzo,
vuoi muoverti? Metti questi- ordinò, gettandogli addosso i
vestiti.
-Ma
che succede?- chiese Sebastiano, a bassa voce. Aveva paura di
Michele quando era in queste condizioni, aveva paura perché l’aveva
visto così solo quando lui stava male e Michele era così esasperato e
stanco e spaventato da non sapere dove sbattere la testa.
-Fabio-
rispose solo, e fu sufficiente.
Respirava
ancora a fatica, gli occhi chiusi e le mani premute sul
torace, dove faceva più male. Ci erano andati giù pesanti e poteva dire
di essere ancora vivo solo perché si era difeso, e bene. Non era certo
uno sprovveduto ma contro tre avversari c’era stata poca storia.
Strinse
gli occhi, quello destro si stava già gonfiando e sentiva una
rabbia sorda montargli nel petto.
Bastardi,
fottuti bastardi figli di puttana.
Nemmeno
gli avevano dato il tempo di capire cosa stava succedendo,
l’aveva picchiato a turno, mentre Enrico, furioso, sproloquiava su
Ginevra e sul fatto che doveva lasciarla stare. L’avevano lasciato lì,
svenuto, e solo dopo molto lui aveva racimolato abbastanza forza da
prendere il cellulare e chiamare Michele.
Non
voleva entrare in casa sua, non voleva svegliare i suoi, non voleva
che si preoccupassero. Sentì le lacrime pungergli da dietro le palpebre
chiuse, lacrime di rabbia e di frustrazione, perché faceva male, tutto
il corpo faceva male, e non era giusto.
Poi
una macchina si fermò, sgommando, e sentì dei passi veloci
raggiungerlo.
Storse
la bocca in una smorfia e prima che riuscissero a dire qualsiasi
cosa, sussurrò:
-Ve
la siete presi comoda… potevo morire dissanguato nel frattempo.-
-Cazzo,
Fabio, cazzo cazzo!- la voce agitata di Michele lo convinse ad
aprire gli occhi, a fatica, vide l’espressione terrorizzata di Michele
e quella sconvolta di Sebastiano.
Lasciò
andare un sospiro di sollievo. Erano arrivati, c’erano Michele e
Sebastiano adesso, tutto sarebbe andato bene.
Michele
si inginocchiò davanti a lui, cercando di mantenere la calma,
gli scostò delicatamente i capelli da davanti al viso e sussurrò:
-Tranquillo
adesso, ci sono io. Va tutto bene- scivolò con la mano
lungo la guancia, raccogliendo le lacrime che si erano arenate lì e
sorrise, dolce.
-Ora
ci penso io. Non preoccuparti di nulla-
Lo
guardò, grato, il panico e la rabbia che aveva nel petto scemarono e
gli afferrò una mano, gli occhi enormi nel viso pallido, dove rivoli di
sangue scendevano dal naso e i primi lividi si stavano già formando.
-Devi
avere il naso rotto, per questo respiri così male, ora andiamo in
ospedale e sistemiamo tutto, ok?- aspettò di vederlo annuire, poi si
voltò verso Sebastiano e non ebbe bisogno di dirgli nulla, fu subito al
suo fianco, cingendo Fabio con un braccio e aiutandolo ad alzarsi,
lentamente. Ogni movimento era un agonia, fitte di dolore lancinante
che partivano dal torace e si propagavano dappertutto, ma era il naso a
fare un male dannato, più di tutto il resto.
-Ancora
un passo… ci sei quasi- la voce gentile di Michele non lo
lasciava, e per un attimo riuscì a pensare che non avrebbe scommesso
nemmeno un centesimo sulla calma e la padronanza di sé che stava
dimostrando Michele. Come se avesse già fronteggiato decine di
emergenze simili.
Tuttavia
non ebbe il tempo di soffermarvisi, Michele guardò Sebastiano
e dovette vedere qualcosa che non gli piacque perché storse la bocca e
gli fece segnò di sistemarsi nel sedile posteriore, assieme a Fabio.
Tutto
il resto del viaggio fu dolore che lo faceva gemere e lamentarsi
ogni volta che la macchina prendeva una buca, o faceva una curva.
Sebastiano
lo stringeva a sé, delicatamente, non aveva ancora detto una
parola e lo sentiva tremare, più forte di lui stesso.
A
ogni gemito lo stringeva più forte, facendogli trattenere a fatica un
ulteriore gemito per non peggiorare le cose. Era stata una serata di
merda, ma almeno l’abbraccio di Sebastiano era caldo e morbido, sentiva
il suo cuore battere all’impazzata e pensò che avrebbe potuto
perdercisi, dentro quel suono. Avrebbe solo voluto che non lo lasciasse
mai.