CAPITOLO SECONDO

Guardami, perché potrebbe non importarmi affatto.
Fallo o muori,
non mi obbligherai mai;
perché il mondo non avrà mai il mio cuore.
Puoi tentare, ma non mi spezzerai mai.
-My Chemical Romance-


Stavano sistemando il bar per l’apertura, i movimenti ormai sincronizzati in anni di lavoro assieme. Nemmeno si parlavano, Michele dava per scontato che Fabio sarebbe stato lì quando lui si sarebbe girato per porgergli il vassoio con le Brioche, e viceversa. Era bello starli a guardare, l’intesa che avevano parlava di quotidianità e di un rapporto così profondo da non necessitare per forza di essere riempito di parole. Da parte di Michele perlomeno, perché Fabio sembrava morire se non riempiva ogni spazio di tempo di mille mila parole al secondo.
Quando un sorridente Fabio gli piazzò davanti la sua colazione, Brioche al cioccolato caldissima e altro caffè, si esibì in un inchino scherzoso, rivolgendogli un sorriso divertito. Sebastiano rispose con una riverenza e si chiese perché non uscisse con loro più spesso, era divertente. All’inizio non lo faceva perché semplicemente non aveva nessuna voglia di mettere il naso fuori casa, poi quando aveva cominciato a stare meglio gli era sembrato naturale lasciare a suo fratello i suoi spazi, i suoi amici, non stargli sempre appiccicato insomma.
Se lo meritava, lui aveva giurato a se stesso di proteggerlo, sempre e comunque, ed era riuscito nel suo intento piuttosto bene finché qualcosa non si era inceppato e allora il meccanismo aveva smesso di girare.
Michele non se lo meritava, non meritava di tenergli la testa mentre vomitava quando tornava ubriaco alle cinque di mattina.
Non meritava di passare ore steso nel letto, con Sebastiano schiacciato contro di lui che respirava velocemente, cercando di soffocare nel collo di suo fratello tutto il fottuto terrore che gli si rovesciava addosso non appena apriva gli occhi la mattina.
Non meritava di tornare a casa e non trovarlo e girare tutte le stanze, con la paura di trovarlo appeso al lampadario a divorargli lo stomaco; per poi tirarlo fuori dall’angolo impolverato dove si era rintanato e abbracciarlo forte, sospirando il suo sollievo in singhiozzi esausti, perché nemmeno lui ce la faceva più e non sapeva cosa fare per salvare Sebastiano.
Per questo ora gli lasciava i suoi spazi e la sua vita, senza invaderli, perché lui c’era stato e non c’era scritto da nessuna parte che così dovesse essere. Stava male anche lui, dopotutto, non era una prerogativa di Sebastiano, ma non l’aveva mai lasciato rotolare nel suo vomito o soffocare dalla paura. Michele si meritava tutto il meglio che la vita potesse dargli ed era contento che finalmente avesse trovato po’ di tranquillità.
Era così immerso nei suoi pensieri che quando tornò a dare attenzione agli altri, Michele e Fabio stavano parlando. Michele controllava che le Brioche non si bruciassero, Fabio era svaccato sul bancone e mancava poco che si accendesse una sigaretta.
-Ma quindi Gin ancora non si è liberata da quello?- stava chiedendo Fabio a suo fratello. Si mise ad ascoltare, interessato. Gli piaceva farsi un idea degli amici di suo fratello, della sua vita, in questo modo. Ovviamente li conosceva tutti, più o meno, però gli piaceva ascoltare Fabio e Michele mentre ne parlavano.
Michele scosse la testa: - No, anzi, più passa il tempo più è ossessionato da lei… non sa più che fare- e nessuno dei due si perse l’espressione corrucciata di Michele. Per riflesso si corrucciarono anche Sebastiano e Fabio.
-Eh… ma che gli sguinzagli dietro i fratelli, Cristo sono due colossi! Due minuti con loro e gli passa la voglia di rompere le palle- commentò Fabio.
-Ginevra dite?- chiese Sebastiano, conosceva quella ragazza, era carina, simpatica e molto dolce e suo fratello sembrava avere una specie di predilezione per lei. Questo la inseriva automaticamente fra le persone sopportabili e da tenere in considerazione.
Fabio annuì, lanciando un occhiata al pacchetto di sigarette che Sebastiano aveva abbandonato sul bancone.
-Sì, sembra che il suo ex ancora la tormenti, sai le scrive sms minatori, del tipo ‘o torni con me o con nessuno’, roba così, da malati mentali, insomma. Poi la segue, non la lascia stare un attimo e lei comincia ad esserne spaventata-
Sebastiano annuì, allontanando il pacchetto dalle mani di Fabio. Si guadagnò un occhiataccia da quest’ultimo, che si appellò a Michele, ovviamente non ottenne la clemenza sperata.
-Se vuoi fumare vai fuori- esclamò infatti, secco. La faccenda di Gin lo turbava, era evidente. Lanciò un occhiata a Fabio e vide che lo stava già fissando. Non ebbero bisogno di parlarsi.
-Io vado Michi. Grazie per la colazione, passo quando finisco- salutò suo fratello e poi rivolse un cenno a Fabio.
-Dai che ti offro una sigaretta-
Fabio annuì e con un saltò scese dal balcone per poi aggirarlo e seguirlo fuori.
Quello che turbava Michele turbava loro, era doveroso trovare una soluzione.
Era strano, forse, il modo in cui Fabio e Sebastiano erano affezionati a Michele, come se fosse una principessina da proteggere e da salvare da un mostro cattivo, cosa che Michele non sopportava. Ma il loro rapporto funzionava alla perfezione in questo modo, così nessuno dei tre si sognava di lamentarsene. Se non Michele, appunto.
Si accese la sigaretta e ne porse una a Fabio, che se la mise fra le labbra in silenzio.
-Allora… sembra che la faccenda si faccia seria- cominciò Sebastiano.
-Dio Seba, non ne hai idea… mi rompe i coglioni a ogni ora del giorno con questa qui, con il suo ex che non molla e menate varie… non so più che dirgli- sbottò Fabio, era sinceramente preoccupato per suo fratello, e si vedeva. La considerazione che aveva di lui salì in modo esponenziale.
-Ne ho idea credimi… solo che con me non si mostra così preoccupato- borbottò di rimando. E sapeva anche perché. Non voleva metterlo in ansia, non voleva che Sebastiano si preoccupasse per lui, era come se non volesse turbare Sebastiano con i suoi problemi, non volesse essere un peso in un certo senso.
Fabio rimase in silenzio, non voleva entrare nel merito del rapporto che avevano quei due, era una cosa così complicata e bella da dargli l’impressione che solo mettendo un piede in malo modo avrebbe distrutto tutto, tipo l’effetto elefante-cristalleria.
Sebastiano si riscosse, lanciando un occhiata a Fabio. Si perse per un attimo a osservargli il piercing ad anello che aveva sul labbro, era un punto luce che era impossibile ignorare, catalizzava l’attenzione sulle labbra morbide e piene e accendeva pensieri assolutamente inadatti al luogo, l’ora e soprattutto alla persona.
-Senti facciamo che stasera vengo con voi così mi rendo conto della situazione. Vedrai che un modo per toglierglielo di torno lo troviamo-
Vide Fabio sorridere, come se fosse incredibilmente felice all’idea che uscisse con loro, poi sbiancò e deglutì, si rese conto che lo stava fissando intensamente, ma era divertente osservare le sue reazioni, non si annoiava mai con lui. Era davvero strano a ogni modo.
Anche il modo impacciato in cui annuì e lo salutò, scappando poi dentro il locale, non era molto normale. Rimase a fissare il punto in cui era sparito, scrollò le spalle e si diresse in ufficio.

Michele sbuffò, rumorosamente, curando di farsi sentire da suo fratello, che però era totalmente perso nel suo mondo e non diede nessun segno di averlo sentito.
Aveva le cuffie piantate nelle orecchie, un blocco da disegno in mano e stava disegnando qualcosa con attenzione e assoluta concentrazione.
In sostanza, lo ignorava.
E lui odiava essere ignorato da suo fratello, perché, pur coi suoi tredici anni, capiva che Sebastiano era diverso dalla maggior parte delle altre persone.
Viveva in un mondo che nella sua testa era sterminato e impossibile da spiegare o raccontare, ma Michele non aveva bisogno che Sebastiano glielo raccontasse. Michele lo capiva benissimo, anche se forse ora che Sebastiano aveva sedici anni e lui solo tredici era più difficile penetrare nella sua testa.
-La mamma ha detto che forse, se domani è bello, mi lascia andare in piscina- tentò una comunicazione, ma era fin troppo chiaro che la musica nelle orecchie del fratello gli impediva qualunque interazione con il mondo reale.
Sbuffò ancora, rassegnandosi a sedersi sul letto accanto a lui e tentando di sbirciare quello che stava disegnando. A quello suo fratello si riscosse, togliendosi le cuffie e rivolgendogli uno sguardo seccato.
-Si può sapere che hai Michele? Non sei capace di stare fermo un attimo?- il fratellino gli rivolse un sorriso innocente, adocchiando l’album e cercando di capire quello che c’era disegnato.
-Seeeeeseeee! Mi accompagni in piscina domani? La mamma ha detto  che se ci sei anche tu forse mi lascia andare!- chiese, accompagnando il tutto dalla migliore delle sue espressioni da cucciolo.
Suo fratello strinse le labbra e Michele cominciò a sperare, pregandolo intensamente con lo sguardo perché la risposta fosse positiva.
Non era cambiata molto, la loro madre, da quando erano piccoli. Impediva comunque a Michele di uscire, come fosse un moccioso di otto anni, mentre Sebastiano aveva più libertà ma neanche molta. E in ogni caso sembrava non interessargli molto, stava quasi sempre chiuso in casa a disegnare o progettare fumetti; sembrava non gli interessasse uscire o farsi degli amici. Quella era una cosa che Michele non capiva fino in fondo, però capiva che i disegni di suo fratello erano bellissimi, e solo lui aveva il permesso di guardarli e di partecipare alla stesura dei suoi fumetti.
Inutile dire che ne era orgoglioso fino alla nausea.
-Michi, sai che la piscina non mi piace- Michele non disse nulla, si limitò a spalancare ulteriormente gli occhi, guardandolo da sotto le ciglia. Era lo sguardo a cui suo fratello non riusciva a resistere.
Sapeva perché a suo fratello la piscina non piaceva. Perché era un po’ grasso, aveva la pelle pallidissima che non si abbronzava mai, complice anche il fatto che non l’aveva mai esposta al sole, e la fama del ragazzo strano e un po’ matto, per cui non aveva un buon rapporto con nessuno dei suoi compagni di classe.
Sospettava che lo prendessero in giro, però non ne aveva mai avuto la conferma, suo fratello non si era mai esposto così tanto con lui.
Si sentiva un po’ in colpa a chiederglielo, a dire il vero, perché sapeva che gli sarebbe costato davvero tanto accontentarlo, però lui non era come Sebastiano. Lui non aveva un mondo che gli bastava come sostituito della vita vera; a lui piaceva avere amici, piaceva uscire e divertirsi e ogni tanto invidiava ferocemente Sebastiano. Era capace di perdersi con nient’altro che una matita, mentre lui a volte pensava che sarebbe impazzito chiuso in casa se non fosse stato per suo fratello.
Anche per questo lo adorava. Perché nonostante sbuffasse e ostentasse il suo fastidio ogni volta che il fratellino si avvicinava, alla fine faceva sempre di tutto per non fargli pesare quella situazione, l’ossessione della loro madre e la solitudine.
Anche quella volta, infatti, capitolò:
-Ok- rispose alla fine, con un evidente disagio. Michele sorrise, abbracciandolo forte e nascondendo il viso nel suo petto, strusciandolo leggermente per assestarsi nel suo abbraccio e respirare l’odore di suo fratello. Sapeva sempre di tempera e carboncino, era un odore che ormai ricollegava istintivamente a lui e al suo fantastico mondo.
E comunque adorava il fatto che ci fosse così tanto da abbracciare, perché gli dava l’impressione di essere protetto e al sicuro, gli dava l’impressione che Sebastiano sarebbe anche morto per proteggerlo e tenerlo al sicuro. Era inevitabile per lui considerarlo il suo eroe, alla stregua dei principi di cui gli raccontava Sebastiano da piccolo, o dei supereroi un po’ sgangherati di cui pullulavano i suoi fumetti adesso.
Non gliel’aveva mai detto perché sapeva che non ce n’era bisogno, lo sentiva dal modo in cui le braccia di Sebastiano si chiudevano su di lui, stringendolo, e dal sorriso intenerito che sapeva essere sulle sue labbra adesso.
Sapevano perfettamente di essere la persona più importante per l’altro.


Quando i due fratelli entrarono nel locale, per un attimo Fabio trattenne il fiato. Sebastiano era uscito davvero poche volte col gruppo, quindi vedere il ragazzo con una camicia nera sbottonata e un paio di jeans attillati, lo rese per un attimo incapace di formulare qualunque altro pensiero. Aveva acconciato i capelli nel solito modo folle, ma se di norma erano un groviglio inestricabile perché semplicemente Sebastiano non se li pettinava, ora erano così a causa del gel che gli dava una forma abbastanza definita. Cristo, aveva persino contornato gli occhi con l’eye-liner! E questo gli conferiva una profondità assurda. Per non parlare della paura che incutevano quando ti guardava con quello sguardo folle che lui tanto adorava sfoggiare.
Non appena i due fratelli si sedettero nei divanetti accanto a loro, Fabio sfoggiò un sorriso enorme e salutò:
-Seba! Ma che sorpresa, non mi sarei proprio aspettato di vederti qui! Il tuo antro oscuro si sta sbiadendo e devi ridipingerlo?-
Michele alzò gli occhi al cielo e Sebastiano ghignò:
- No, è che se non ci sono io tutto va a puttane, quindi vi ho concesso l’onore della mia illustre presenza per rinfrancare i vostri spiriti- rispose, altrettanto sagacemente. Gli altri scoppiarono a ridere e salutarono i ragazzi, sorpresi ma contenti di vedere anche Sebastiano. Stava simpatico a tutti, per quanto strano fosse. Era l’unico che teneva testa a Fabio, per dire.
Roberto scosse la testa riccioluta per scacciare una ciocca da davanti agli occhi, e allungò una mano ad afferrare la sua birra. Sebastiano e Fabio si guardavano in modo strano, c’era sicuramente aria di complotto. Michele sembrava pensarla allo stesso modo, continuava a lanciare sguardi sospetti prima al suo amico, poi al fratello, aggrottando le sopracciglia. Poi arrivò Ginevra e tutto il resto si offuscò, per Michele. Lunghi capelli castani, vestitino aderente ma non troppo corto, gambe da infarto, visino delicato e dall’espressione dolce, occhioni castani da cerbiatta. Le era bastato sbattere le ciglia per avere Michele ai suoi piedi.
Per lui era troppo dolce, per Fabio troppo donna, per quel demente di Marco troppo raffinata.
Per Sebastiano sicuramente troppo normale.
Per Michele era decisamente perfetta.
Ovviamente tutti si erano accorti della cotta colossale di Michele, tranne Ginevra. Da manuale proprio. Era pure fidanzata, all’epoca, quindi l’amico si era messo il cuore in pace. Ora che aveva lasciato quel coglione pompato le speranze si erano riaccese, l’unico inconveniente era che il suddetto coglione pompato continuava a rompere i coglioni e non voleva proprio saperne di lasciare libera quella povera ragazza.
Roberto sospirò, Fabio aveva abbracciato la ragazza in modo esageratamente caloroso, facendole spazio fra lei e Sebastiano. Quest’ultimo le aveva rivolto uno dei suoi sorrisi inquietanti, quelli che li guardavi e ti chiedevi quanto ti rimaneva da vivere; sorrisi tutti denti e labbra tirate, accompagnati da uno sguardo allucinato e fisso. Dio santo, volevano aiutare Michele o terrorizzare quella ragazza?
Fortunatamente Ginevra era di tempra abbastanza robusta, altrimenti non sarebbe mai uscita con loro, unica donna in un gruppo di soli maschi tra l’altro.
Non si lasciò spaventare da Fabio, accettando il posto a sedere con un sorriso divertito; Sebastiano riuscì a spaventarla, ma poco eh, giusto il minimo sindacale.
Michele guardava tutti e due come se volesse ucciderli seduta stante.
Avevano qualcosa in mente, questo era chiaro, l’unica cosa da capire era come avrebbero potuto salvarsi dalla catastrofe adesso.
-Rob! Rob senti…- Fabio attirò la sua attenzione e lui gli concesse un occhiata interrogativa.
-Non è il caso di trovare una ragazza a Michele? Ho per caso intravisto le sue mani… cazzo ci sono i calli sopra!- Marco scoppiò a ridere, da demente qual’era, Michele assunse il colore di un pomodoro maturo e Ginevra si irrigidì un po’.
Beh lo scopo era stato raggiunto.
Cominciava a capire dove volevano andare a parare i due pazzi, e si preoccupò ulteriormente. Se c’erano due persone che dovevano tenersi alla larga da questioni amorose e simili, erano proprio loro due. Fabio cambiava ragazzo ogni settimana, senza mai darsi pace, Sebastiano… beh in tutta onestà non sapeva se esisteva una ragazza in grado di reggere tutte le sue crisi, la sua follia e la paura che incuteva in certi momenti. Tranne suo fratello, cioè. Che poi in realtà ne ricordava una… erano stati assieme davvero a lungo, poi era successo un mezzo casino e si erano lasciati. Non sapeva molto di quel periodo perché all’epoca anche Michele si era eclissato senza spiegazioni, Fabio ancora non li conosceva quindi non credeva ne sapesse niente. Non erano tipi che si sbottonavano, i fratelli.
Quando si riscosse dalle sue riflessioni la conversazione era proseguita, ma non doveva essersi perso nulla visto il livello di demenza che aveva acquisito.
Sebastiano poi si divertiva come un matto a lanciare sorrisi da lasciar terrorizzati chiunque, tanto che la povera cameriera doveva essersi presa un infarto. Percepì solo una battuta assolutamente sporca da parte di Fabio e poi Sebastiano che rideva e gli chiedeva di tornargli la sigaretta di prima, invitandolo fuori a fumare.
Si lanciarono uno sguardo complice ed uscirono dal locale. A Roberto vennero i brividi: non presagiva nulla di buono, quell’occhiata.
E a quanto pareva solo lui se n’era accorto, Marco era perso nel suo mondo di unicorni dorati e nuvole zuccherine, Michele era perso dietro Ginevra, che praticamente era la stessa cosa.
Non appena i due folli uscirono, tutti tirarono un sospiro di sollievo, Ginevra si voltò verso di lui con un sorriso e chiese, sempre gentile:
-Come va il lavoro Rob? So che hai trovato da poco…-
Il ragazzo annuì e accarezzandosi distrattamente la barba rispose:
-Sì, ora lavoro alla Fiat, sai la concessionaria lungo viale Tricesimo…-
Lei annuì, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio:
-Sì, ho presente… meccanico vero?-
Il ragazzo annuì e lanciò un occhiata a Michele, da quando quei due erano usciti si era rilassato notevolmente, posando la mano sul divanetto e consentendo a Ginevra di prenderla e osservarla, inquisitoria.
-Non dar retta a Fabio, non ci sono calli qui- commentò poi, ridendo sommessa. Il ragazzo divenne di mille colori però lasciò la mano dov’era. Finché la ragazza si incupì e si irrigidì d’un tratto.
-Enrico?- chiese Michele, quando Ginevra annuì, tesa, Michele indurì lo sguardo e si voltò. Eccolo lì, capelli biondi, viso piacevole e viscido, occhi castani e viscidi, bocca sottile e viscida, sul corpo non si soffermò, non voleva morire dallo schifo.
Era oggettivamente un bel ragazzo, e sembrava sapesse essere anche intelligente e divertente, almeno fino a che Ginevra non lo aveva lasciato.
Poi si era trasformato e adesso seguiva Ginevra ovunque, tormentandola.
Non fece in tempo a dire nulla, comunque, che i due folli rientrarono, in una nuvola di fumo che fece storcere il naso a Michele.
Si sedettero nuovamente ai loro posti, ossia ai lati di Ginevra, e le lanciarono uno sguardo decisamente strano.
Poi Fabio parlò.
-Gin, voglio che tu sappia che questa cosa per me è importante. Non lo farei per nessun’altra che per te, ritieniti fortunata e onorata. E se io penserò a Cristiano Ronaldo in tanga, nel frattempo, farò in modo che tu non te ne accorga.-
La povera ragazza si era persa al doversi ritenere fortunata, lo guardava confusa, senza capire dove volesse andare a parare. Lo capì quando Fabio lanciò un occhiata a Sebastiano, che si guardò attorno brevemente e annuì.
E poi Fabio la baciò.
Roberto sputò la birra, sconvolto. Cristo Santo, quello era un bacio vero, con tanto di mani strette alla vita, lingua, occhi chiusi e trasporto!
Fabio voleva morire ucciso da Enrico e Michele! Era quello il piano dei due coglioni? Era demente e folle!
Lo testimoniò il fatto che Michele sbiancò, si alzò di scatto dal tavolo ed uscì dal locale, seguito immediatamente da Sebastiano.
Roberto scosse la testa.
Il disastro si era preannunciato, infine.
Ginevra guardò Fabio, immobile, shockata dall’ultima cosa che poteva aspettarsi da Fabio, notoriamente gay, non da tutti ovviamente, ma da loro sicuramente.
Per reazione disse l’ultima cosa che Roberto si aspettava.
-Il piercing alla lingua è quasi piacevole, ma quello al labbro dà decisamente fastidio-
Fabio scoppiò a ridere, abbracciandola.
-Dio, se non fossi gay potresti essere la donna della mia vita!-
Poi divenne serio e si scostò, guardandola negli occhi.
-Sai perché l’ho fatto vero?-
Lei si morse le labbra e annuì, certo che lo sapeva, pensò Roberto, era intelligente lei, non come i due idioti che avevano architettato questa cosa assurda.
-Sì, ma… Fabio non so cosa mai potrebbe cambiare… ho paura che otterremo l’effetto opposto sai. Enrico è terribilmente geloso, non lo fermerà pensare che io ora abbia un altro.-
Fabio scosse le spalle, lanciando un occhiata alla porta, si vedeva che era preoccupato per Michele, si mordeva il labbro e continuava a tormentarsi le mani. Quanto trasparente era quel ragazzo? Era assurdo che nessuno si fosse accorto della cotta colossale che aveva per Sebastiano.
-Se non altro ora puoi minacciarlo di sguinzagliarli contro il ragazzo, oltre che i fratelli. Magari più siamo prima molla.-
Lei sorrise debolmente, il piano era logico e semplice, tuttavia decisamente troppo semplice.
E Roberto sospettava che avrebbe avuto conseguenze catastrofiche.
 
“Come sta Michi? Mi vuole ancora uccidere?”
Fabio spedì l’sms mentre percorreva velocemente la strada che l’avrebbe portato a casa. Il pub era relativamente vicino ed aveva preferito muoversi a piedi, piuttosto che prendere l’auto e non sapere poi dove parcheggiarla, magari. Così avrebbe potuto bere quanto voleva, tra l’altro.
Il cellulare si illuminò e lui si affrettò a leggere la risposta:
“Non preoccuparti, non potrei mai permettere che il tuo bel faccino venga deturpato. Ti difenderò a costo della vita”
Sospirò.
Era ancora incazzato, eccome.
Non avrebbe davvero voluto farlo davanti a Michele, ma l’occasione era perfetta, anche Sebastiano lo pensava, e lui voleva davvero aiutarli. Magari non si era fermato eccessivamente a riflettere agli effetti negativi, ecco, ma era convinto che dopo questa Enrico si sarebbe per forza dovuto rassegnare. E poi Michele lo sapeva che lui era gay, cazzo! Non aveva mai toccato una donna, prima di Ginevra, e non aveva intenzione di dar seguito alla cosa, in nessun modo proprio.
Michele era una persona razionale, ci sarebbe arrivato prima o poi, quando l’arrabbiatura sarebbe scemata.
Digitò veloce la risposta.
“Oh mio eroe!”
Fu in quel momento che sentì dei passi risuonare dietro di lui.
Non ci fece caso, inizialmente, si limitò ad accelerare il passo.
Quando una mano lo bloccò, sbattendolo malamente contro il muro, non poté fare a meno di lanciare un urlo, spaventato.
L’ultima cosa che riuscì a pensare lucidamente prima di cominciare a lottare con loro, fu che Enrico era un fottuto codardo.
L’aveva attaccato con l’altri due amici.
I bastardi erano in tre.

Erano le due di notte quando il telefono di Michele squillò. Il ragazzo afferrò il cellulare, aprendo mezzo occhio e cercando di leggere il mittente della chiamata. Impossibile appena sveglio, per di più senza occhiali. Ebbe la tentazione di lasciarlo suonare, ma aveva un brutto ricordo delle telefonate a ore impossibili della notte, quindi non poté fare davvero a meno di premere il tasto verde e mugugnare un:
-Sehhh- seccato.
Quello che sentì dall’altra parte lo lasciò interdetto. Sentiva qualcuno respirare a fatica, imprecare a mezza voce e cercare di dire qualcosa.
-Ma chi cazzo… Fabio?- chiese, titubante, la voce sembrava la sua ma era… strana, quasi distorta.
-Fabio, che è successo?- stava quasi urlando ma l’amico non parlava, si sentivano solo respiri spezzati e lui si stava spaventando a morte.
-Mi vieni a prendere?- riuscì finalmente a sputare fuori, a fatica.
-Sono dietro casa mia, porta anche Seba…- si interruppe, come se cercasse la forza per continuare a far uscire la voce. Poi sussurrò:
-Da solo non ce la fai, non credo di riuscire a camminare -
 Non aspettò di sentire altro, chiuse la chiamata con un veloce:
-Arrivo- e si gettò giù dal letto, infilando una maglietta sopra i pantaloncini del pigiama, inforcò gli occhiali e si precipitò giù dalle scale, quasi scardinando la porta del seminterrato.
Si diresse velocemente al letto, scuotendo suo fratello con forza, fino a che non lo vide aprire gli occhi e biascicare un:
-Ma che cazzo vuoi?- con la voce impastata dal sonno.
-Muoviti, vieni con me, vestiti- disse solo, prendendogli una maglietta e un paio di pantaloni dall’armadio.
Ma perché suo fratello doveva dormire nudo? Avrebbero solo perso tempo, cazzo.
Si voltò quando non sentì nessun movimento provenire dal letto, e vide che suo fratello si era messo a sedere e lo guardava, ancora confuso e con l’espressione persa. Gli avrebbe quasi fatto tenerezza, se non fosse stato per la telefonata di Fabio.
-Cazzo, vuoi muoverti? Metti questi- ordinò, gettandogli addosso i vestiti.
-Ma che succede?- chiese Sebastiano, a bassa voce. Aveva paura di Michele quando era in queste condizioni, aveva paura perché l’aveva visto così solo quando lui stava male e Michele era così esasperato e stanco e spaventato da non sapere dove sbattere la testa.
-Fabio- rispose solo, e fu sufficiente.

Respirava ancora a fatica, gli occhi chiusi e le mani premute sul torace, dove faceva più male. Ci erano andati giù pesanti e poteva dire di essere ancora vivo solo perché si era difeso, e bene. Non era certo uno sprovveduto ma contro tre avversari c’era stata poca storia.
Strinse gli occhi, quello destro si stava già gonfiando e sentiva una rabbia sorda montargli nel petto.
Bastardi, fottuti bastardi figli di puttana.
Nemmeno gli avevano dato il tempo di capire cosa stava succedendo, l’aveva picchiato a turno, mentre Enrico, furioso, sproloquiava su Ginevra e sul fatto che doveva lasciarla stare. L’avevano lasciato lì, svenuto, e solo dopo molto lui aveva racimolato abbastanza forza da prendere il cellulare e chiamare Michele.
Non voleva entrare in casa sua, non voleva svegliare i suoi, non voleva che si preoccupassero. Sentì le lacrime pungergli da dietro le palpebre chiuse, lacrime di rabbia e di frustrazione, perché faceva male, tutto il corpo faceva male, e non era giusto.
Poi una macchina si fermò, sgommando, e sentì dei passi veloci raggiungerlo.
Storse la bocca in una smorfia e prima che riuscissero a dire qualsiasi cosa, sussurrò:
-Ve la siete presi comoda… potevo morire dissanguato nel frattempo.-
-Cazzo, Fabio, cazzo cazzo!- la voce agitata di Michele lo convinse ad aprire gli occhi, a fatica, vide l’espressione terrorizzata di Michele e quella sconvolta di Sebastiano.
Lasciò andare un sospiro di sollievo. Erano arrivati, c’erano Michele e Sebastiano adesso, tutto sarebbe andato bene.
Michele si inginocchiò davanti a lui, cercando di mantenere la calma, gli scostò delicatamente i capelli da davanti al viso e sussurrò:
-Tranquillo adesso, ci sono io. Va tutto bene- scivolò con la mano lungo la guancia, raccogliendo le lacrime che si erano arenate lì e sorrise, dolce.
-Ora ci penso io. Non preoccuparti di nulla-
Lo guardò, grato, il panico e la rabbia che aveva nel petto scemarono e gli afferrò una mano, gli occhi enormi nel viso pallido, dove rivoli di sangue scendevano dal naso e i primi lividi si stavano già formando.
-Devi avere il naso rotto, per questo respiri così male, ora andiamo in ospedale e sistemiamo tutto, ok?- aspettò di vederlo annuire, poi si voltò verso Sebastiano e non ebbe bisogno di dirgli nulla, fu subito al suo fianco, cingendo Fabio con un braccio e aiutandolo ad alzarsi, lentamente. Ogni movimento era un agonia, fitte di dolore lancinante che partivano dal torace e si propagavano dappertutto, ma era il naso a fare un male dannato, più di tutto il resto.
-Ancora un passo… ci sei quasi- la voce gentile di Michele non lo lasciava, e per un attimo riuscì a pensare che non avrebbe scommesso nemmeno un centesimo sulla calma e la padronanza di sé che stava dimostrando Michele. Come se avesse già fronteggiato decine di emergenze simili.
Tuttavia non ebbe il tempo di soffermarvisi, Michele guardò Sebastiano e dovette vedere qualcosa che non gli piacque perché storse la bocca e gli fece segnò di sistemarsi nel sedile posteriore, assieme a Fabio.
Tutto il resto del viaggio fu dolore che lo faceva gemere e lamentarsi ogni volta che la macchina prendeva una buca, o faceva una curva.
Sebastiano lo stringeva a sé, delicatamente, non aveva ancora detto una parola e lo sentiva tremare, più forte di lui stesso.
A ogni gemito lo stringeva più forte, facendogli trattenere a fatica un ulteriore gemito per non peggiorare le cose. Era stata una serata di merda, ma almeno l’abbraccio di Sebastiano era caldo e morbido, sentiva il suo cuore battere all’impazzata e pensò che avrebbe potuto perdercisi, dentro quel suono. Avrebbe solo voluto che non lo lasciasse mai.