CAPITOLO
QUARTO
Tieni
il tuo cuore in questa oscurità;
la
luce ti farà risplendere
o
ti farà cadere lasciandoti bloccato?
O
tu sarai il solo a rimanere in piedi?
-My
Chemical Romance-
Ginevra
era seduta sul divano, composta, rigida quasi, torcendosi le mani
nervosamente. Ogni tanto lanciava un occhiata a Fabio, per poi
abbassare subito lo sguardo e sospirare.
L’avevano
chiamata quella sera stessa, non appena Michele era tornato a casa dal
bar. Ne avevano già parlato assieme a pranzo, concludendo che la cosa
migliore era coinvolgere la ragazza e decidere con lei quale strada
percorrere.
Il
pomeriggio poi era passato lentamente, almeno per Fabio.
Michele
era tornato al bar, Sebastiano si era chiuso nel suo studio a lavorare
al nuovo fumetto di cui era il disegnatore e Fabio aveva guardato la
televisione fino ad annoiarsi a morte. Tuttavia andare a chiedere
compagnia a Sebastiano non sembrava davvero un opzione considerabile.
E
ora la ragazza stava lì, con i suoi occhioni castani e dolci puntati su
Fabio.
-Dio
Santo, dovrò farmi una foto e spacciarla in giro, almeno così la
smetterete tutti di fissarmi in questo modo.-
Il
tono non voleva essere davvero così acido, tuttavia dopo un pomeriggio
di noia mortale non riusciva ad essere accomodante e spiritoso come
sempre.
-Fabio.-
Michele disse solo questo, ma fu sufficiente.
-Mhh,
scusa Gin, non volevo. Ma vorrei evitare tutto il teatrino dell’ ‘è
colpa mia oddio scusa’, visto che l’ho già superato con questo qui,
prima.- tentò di scusarsi Fabio, indicando Sebastiano che stava seduto
sul divano, rannicchiato a guardare tutti gli altri come se quella
fosse una questione che non lo riguardava affatto.
Ginevra
sbuffò, sistemandosi i capelli lunghi dietro la schiena, con uno scatto
nervoso.
-Non
era mia intenzione iniziarlo Fabio. Non ho interesse nell’assumermi
colpe che non mi competono. Né che competono a voi, visto che la
responsabilità di tutto questo è solo di Enrico-
Fabio
si rilassò, Michele sorrise a Ginevra e Sebastiano la guardò, quasi
stupito. Lui la conosceva davvero poco, ma a quanto sembrava era una
persona che sapeva come prendere in mano la situazione e dire la cosa
giusta al momento giusto.
-Quindi
suppongo che la questione per cui mi avete chiamata sia il
provvedimento che intendete prendere- disse poi la ragazza, stringendo
il bicchiere di Coca Cola che le avevano offerto e bevendone un sorso.
Fabio
annuì, cercando di bere anche lui un sorso di birra senza sfiorare il
labbro spaccato.
Gli
piaceva Ginevra, era in gamba e non si perdeva dietro falsi moralismi,
aveva affrontato la questione di Enrico con molta praticità: all’inizio
l’aveva compreso, dedicandogli tempo e attenzione per cercare di fargli
capire le sue ragioni, che era finita davvero e che doveva rendersene
conto. Poi si era allontanata progressivamente per mettere distanza e
consentire ad Enrico di togliersela dalla testa. Quando tutto questo
non aveva funzionato, allora era diventata fredda e scostante,
tagliando di netto i ponti con lui e non facendosi spaventare dalle sue
minacce.
Tuttavia
ora Enrico aveva decisamente passato il segno.
Neppure
lei aveva previsto una reazione del genere, Fabio lo sapeva.
-Spero
che vorrai denunciarlo Fabio-
Disse
quindi la ragazza, stupendo tutti.
-Ha
esagerato e deve capirlo, deve capire che non è un gioco, che non può
andare in giro a picchiare la gente, che ha seri problemi di origine
psicotica e che ci siamo tutti stufati delle sue cazzate.-
Espose,
seria e fredda, glaciale quasi. Era arrabbiata, ma arrabbiata in un
modo che nessuno dei tre ragazzi aveva mai visto, e nessuno avrebbe
scommesso un centesimo che la sua rabbia si potesse esprimere in questo
modo gelido.
-Gin,
io voglio denunciarlo quanto te, ma ho paura che poi lui possa rifarsi
su di te, capisci?-
Rispose
Fabio, era questa l’unica cosa che l’aveva trattenuto fin dall’inizio,
finché picchiavano lui si sarebbe difeso, ma lei? Non avrebbe
sopportato l’idea di metterla in pericolo.
A
quel punto Michele si inserì, rivolgendosi a Fabio:
-Non
credo che tu abbia molta scelta. Di certo non vuoi che la passino
liscia no?-
E
quando Fabio si voltò di scatto verso di lui, non fu davvero perché
voleva rispondergli male, quanto perché quella notte era stata
devastante, quella mattina l’aveva confuso e il pomeriggio l’aveva
passato a rigirarsi i pensieri nella testa senza fare nulla, cosa a cui
lui non era assolutamente abituato.
Per
questo usò un tono insofferente e arrogante quando disse:
-Tu
non centri Lesizza, non dire cazzate e lasciami parlare con lei-
La
reazione di Michele stupì tutti, tranne Sebastiano.
Di
solito si sarebbe limitato ad alzare gli occhi al cielo e lanciargli
una sberla leggera dietro la nuca, riprendendolo.
Stavolta
si alzò in piedi, il viso paonazzo e le labbra serrate, non lo picchiò
perché, davvero, non era il caso ridotto com’era.
Ma
fu chiaro a tutti che l’avrebbe fatto più che volentieri.
-Non
azzardarti a fare lo splendido adesso!Tu sei l’essere più idiota e
coglione che io conosca, non solo baci Gin, Gin
cazzo!
Lo sai quanto ci tengo a lei! Ma pure la metti potenzialmente in
pericolo! Ma si può sapere cosa stavi pensando quando l’hai fatto? Ai
Miny pony che viaggiano nel tuo cervello al posto dei neuroni?Non hai
pensato che forse Enrico non l’avrebbe presa bene? Non hai pensato che
avresti potuto ritrovarti con una cazzo di bottiglia di vetro
conficcata nel braccio, le costole un colabrodo e il viso peggio degli
zombie nel ‘ritorno dei morti viventi’? No
tu non hai proprio pensato!-
Non
diede a nessuno il tempo di replicare, uscì dalla stanza sbattendo la
porta, lasciando dietro di sé un silenzio surreale.
Quando
Sebastiano e Fabio, contemporaneamente, diedero segno di volerlo
seguire, Ginevra li bloccò con un cenno della mano, in modo così
autoritario da ridurli all’immobilità.
-Vado
io- disse solo, e nessuno si azzardò a contraddirla.
Lo
raggiunse che Michele stava dando calci al muro della cucina,
imprecando. Non perdeva mai il controllo in questo modo, lui era quello
razionale e calmo che sapeva sempre cosa fare e come affrontare le
situazioni, ma c’era di nuovo che si era stufato di questo stato di
cose, e non ce la faceva più.
Smise
quando sentì il tocco leggero di Ginevra posarsi sulla sua spalla.
-Michi-
disse solo, ma bastò per calmarlo.
-Scusa,
non volevo urlare in quel modo- borbottò il ragazzo, senza voltarsi.
Dopo quello che aveva detto non era sicuro di riuscire a guardarla in
faccia.
Per
un momento non disse nulla, limitandosi a stringere la presa sulla
spalla, poi l’altra mano salì a circondargli il viso, il piccolo palmo
non riusciva a contenere tutta la guancia, ma ebbe il potere di far
voltare finalmente il ragazzo.
Quello
che vide gli fece trattenere il fiato. Il viso della ragazza si era
sciolto in un sorriso dolce, non avrebbe mai sperato di vedersi
rivolgere un sorriso del genere, né di vedere il viso di Ginevra
avvicinarsi sempre di più, fino a sfiorare il naso con il suo, e
fermarsi lì.
-E’
vero che ci tieni a me?- sussurrò, a un millimetro dalle sue labbra.
E
anche se in quel momento le connessioni neurali di Michele gli stavano
mandando cartoline dalle Maldive, riuscì a sussurrare un:
-Sì-
strozzato, prima di avvicinarsi definitivamente alle sue labbra e
accarezzarle dolcemente con le proprie.
L’attimo
dopo l’aveva stretta tra le braccia, una mano saldamente appoggiata
sulla sua nuca, incastrata fra i capelli, a tenerla ferma anche se non
ce n’era nessun bisogno.
Non
sarebbe mai voluta scappare per nessun motivo, Ginevra, soprattutto ora
che Michele la baciava come se esistesse solo lei in tutto il mondo.
Nell’altra
stanza, intanto, Fabio stava stringendo a pugno le mani, così forte da
farsi male, ma non importava. Non aveva mai visto Michele ridotto così
e sapeva che aveva tirato troppo la corda, che le cose che gli aveva
urlato contro erano tutte vere e che lui era una testa di cazzo
colossale. I punti tiravano ma lui non ci fece caso. Si meritava di
stare così, era lo scotto per la sua immensa stupidità, ecco.
Solo
quando la mano di Sebastiano si infilò nella sua, ad aprirgli le dita e
intrecciarle lieve con le proprie, Fabio si riscosse dai suoi pensieri
e lo guardò, stupito.
Non
lo aveva sentito avvicinarsi,era stato seduto dall’altra parte della
stanza e l’aveva ignorato tutto il tempo, e adesso invece di difendere
suo fratello gli prendeva la mano e non accennava a lasciarla.
-Me
lo sono meritato- bisbigliò Fabio, senza accennare a lasciare la mano
perché insomma.
Se a Sebastiano non dava fastidio lasciarla là, chi era lui per
toglierla?
Sebastiano
sorrise, lieve, e fu uno di quei sorrisi che Fabio adorava, tutti
fossette e accompagnati da uno sguardo quasi tenero.
-No
invece. O almeno non solo tu. Ma Michele è stanco ed è fatto così.
Pretende sempre di farsi carico di tutto e di tutti e quando poi non ce
la fa se la prende con se stesso per non essere riuscito a proteggere
le persone che ama.-
Fabio
aprì la bocca, stupito, ma non ebbe modo di parlare perché Sebastiano
gli posò due dita sulle labbra e continuò:
-Non
è davvero arrabbiato con te, anche se probabilmente pensa davvero le
cose che ti ha detto. È principalmente arrabbiato con se stesso, non
sopporta l’idea di non esserci stato quando avevi bisogno di lui, non
sopporta l’idea di averti lasciato da solo mentre cadevi nel tuo
personale inferno e lui ti guardava impotente, incapace di capire cosa
fare per tirartene fuori. Così alla fine ha fatto qualcosa ma non è
stato sufficiente e tu ora sei così chiuso e stupido ed egoista, da non
capire che anche lui soffre quanto soffri tu e che non è giusto
rovesciargli tutte quelle responsabilità sulle spalle. E adesso non sai
bene cosa fare perché lui è spezzato quanto te, ma tu hai lui che ti
rimette assieme, mentre lui chi ha?-
Solo
il silenzio accolse questo lungo monologo, a Fabio era stato chiaro fin
dalle prime parole che Sebastiano non si stava rivolgendo a lui. Non
stava parlando di lui e Michele ma di sé stesso. E non aveva mai avuto
idea che il rapporto fra loro potesse nascondere tutto questo.
Non
aveva mai avuto idea che tutti e due nascondessero questa sofferenza e
questa capacità di capire l’altro talmente in profondità da farsi male.
Michele
voleva proteggere Sebastiano almeno tanto quanto voleva farlo
Sebastiano con Michele. Solo che capirlo provocava solo sofferenza in
entrambi ed era una cosa strana e contorta, forse, ma anche
terribilmente bella.
Perché
era vero quello che aveva detto Sebastiano quella mattina.
Tutti
avrebbero dovuto avere qualcuno che si preoccupasse per loro in questo
modo, tutti avrebbero dovuto avere qualcuno da considerare speciale e
che li considerava speciali a sua volta.
Ma
era anche terribilmente triste perché non capivano che facendo così si
facevano solo del male a vicenda, non capivano che esisteva un momento
in cui una persona doveva farcela da solo, e ferirsi, farsi male,
morirne anche.
Ma
c’erano cose che andavano affrontate e gli altri potevano solamente
raccogliere i pezzi dopo, ma non affrontarle al posto tuo.
-Shhh-
sussurrò Fabio, posando a sua volta due dita sulle labbra di
Sebastiano. Quelle dell’altro erano ancora sulle proprie, così che ora,
a vederli da fuori, risultavano vagamente comici, ma a loro non
importava davvero.
Era
l’unico momento che Sebastiano gli aveva concesso per vedere dentro di
lui in profondità, l’unico momento in cui aveva abbassato la guardia e
si era mostrato e lui ne era onorato, sì.
-Ho
capito. Davvero. Non ce l’ho con lui, né con nessuno. Va tutto bene-
mormorò, non sapeva cos’altro dire e non gli sembrava il caso di
aggiungere parole inutili che avrebbero potuto solo fare del male.
L’espressione
di Sebastiano si contorse, come se fosse stato colpito da qualcosa di
pesante e doloroso; gli occhi si spalancarono, stupiti, e la bocca si
socchiuse, sotto le dita di Fabio. Forse si stava rendendo conto di
quello che aveva detto solo in quel momento.
Accennò
a parlare, ma Fabio premette le dita sulle labbra e strinse la mano
ancora intrecciata alla sua, mentre scuoteva il capo e sussurrava:
-Non
dire nulla. Non ce n’è bisogno-
E
poi vedendo l’espressione di Sebastiano ricomporsi, a fatica, vedendo i
suoi occhi farsi lucidi e la mano stringere la sua spasmodicamente, non
poté fare a meno di dire:
-Vieni
qui-
Per
poi stringerlo forte, e sospirare quando le mani di Sebastiano
artigliarono la sua maglietta e la testa si posò sull’incavo del suo
collo, appallottolandosi tutto nel suo abbraccio, come volesse
scomparirvi dentro.
-Grazie-
Disse
solo Sebastiano, mentre Fabio gli accarezzava i capelli e la schiena,
reprimendo l’impulso di alzargli il viso e baciargli via
quell’espressione persa e confusa. Si stava perdendo per Sebastiano
sempre di più, e non era sicuramente una cosa positiva.
Tuttavia
non riusciva davvero a pentirsene.
Era
strano per Michele guardare Sebastiano interagire con sua madre. Non
che lui la odiasse davvero, però non riusciva a guardarla senza provare
quel risentimento che piano piano l’avvelenava. Era sua madre, non
avrebbe dovuto sentirsi in quel modo, non voleva sentirsi in quel modo,
però non poteva farne a meno.
Sebastiano
invece preparava il caffè, lo versava in tre tazze e lo portava a
tavola, si sedeva accanto a loro e poi, con una naturalezza
disturbante, le prendeva la mano, accarezzandola teneramente.
Era
disturbante anche guardare il modo in cui sua madre osservava suo
fratello, con un affetto che sconfinava nell’adorazione.
Erano
così dannatamente simili da non avere bisogno di parole per capirsi.
Lui
aveva dovuto faticare per entrare nel mondo di Sebastiano, per capirlo,
per riuscire a muovercisi bene. Sua madre sembrava essere sempre a un
livello superiore al suo, sembrava che quel mondo l’avesse creato lei e
vi si muoveva con una sicurezza che aveva imparato ad odiare. Un
sentimento che reprimeva a fatica, stringendolo in un angolo di sé e
negando fino allo sfinimento che esistesse, ma in momenti come questo,
mentre sentiva sua madre e Sebastiano parlare dell’università e dei
progetti futuri del fratello, non riusciva a sopprimerlo con la solita
efficienza.
Era
ingiusto e lo sapeva, dopotutto era stata sua madre a insegnare a
Sebastiano a disegnare, anche solo per questo motivo il fratello le
sarebbe stato per sempre grato.
Non
sapeva dire, in tutta onestà, se era più geloso di lei o di lui.
Di
entrambi probabilmente.
Osservava
tutta l’attenzione che suo fratello aveva per lei e si sentiva un po’
morire.
Aveva
un modo speciale di guardarla: ogni volta che lei si incupiva lui lo
intuiva infallibilmente, allora le accarezzava il viso, le sorrideva,
le diceva qualcosa di stupido e di tenero, e lei tornava a sorridere,
luminosa.
Con
lui non era mai stata così.
Quando
era triste non bastava una sua parola per farla sorridere. Strinse i
pugni, sotto il tavolo, abbassando un po’ la testa a fissarsi le
scarpe. Sapeva che le cose andavano in questo modo, ormai conosceva il
modo che avevano quei due di estraniarsi dal mondo per entrare nel
loro, non avrebbe dovuto ferirlo come invece faceva.
Non
era sua abitudine esibirsi in scene di cattivo gusto, era sempre molto
controllato e razionale, ma quando aveva a che fare con loro due
sembrava che la razionalità andasse in vacanza alle Maldive.
Per
questo si alzò di scatto dal tavolo, finendo in fretta il suo caffè e
dirigendosi verso la sua camera, borbottando un:
-Devo
finire i compiti- che sapeva di scusa lontano un miglio.
Non
riusciva a sradicare dalla testa la sensazione, precisa e orribile, di
essere escluso.
Si
era rintanato in camera sua, infilandosi le cuffie e aprendo davvero un
libro a caso, quando qualcuno gli tolse le cuffie dalle orecchie. Non
ebbe certo bisogno di girarsi a guardare per capire chi era stato.
Rivolse
un’occhiata rabbiosa a Sebastiano e tornò a concentrarsi sul libro.
Era
una scenata da bambino, non da diciottenne, ma in quel momento non gli
interessava molto.
-Che
vuoi?- chiese, sgarbato.
Sebastiano
sospirò, sedendosi accanto a lui e piantandogli addosso i suoi occhi
verdi, di quel verde screziato d’oro che incantava chiunque.
Che
incantava lui.
Non
disse nulla. Non che ce ne fosse bisogno.
Sotto
quello sguardo Michele si sgonfiò improvvisamente, sentendosi stupido e
infantile. Erano suo fratello e sua madre, era assurdo essere geloso
del loro rapporto.
-Non
dire niente- disse, distogliendo lo sguardo a disagio.
-Lo
so che è da idioti, ma non riesco a farci niente-concluse, afferrando
una matita e cominciando a scarabocchiare i bordi del libro.
-Sai
perché è da idioti?- replicò suo fratello, togliendogli la matita dalla
mano e stringendogliela, usando la stessa tenerezza che aveva usato
prima con sua madre. Forse era proprio questo a disturbarlo, rifletté
distrattamente Michele, forse lui voleva essere l’unico a cui
Sebastiano riservava quella dolcezza, quell’attenzione.
Scosse
il capo.
-Perché
siete le persone più importanti della mia vita e non riuscirei a
immaginarmi senza di voi. Perché con lei c’è un affinità incredibile,
ma sei tu che riesci sempre a trovarmi, quando mi perdo nei miei
pensieri emo. Senza di lei sarei forse perso, ma senza di te non sarei
niente.-
la
dolcezza con cui lo disse arrivò dritto al cuore di Michele, strappando
qualche arteria per fare prima. Come faceva Sebastiano a dire quelle
cose con tutta quella semplicità? Cose che lui non riusciva nemmeno a
dire a sé stesso, cose che avrebbero imbarazzato qualunque essere
umano.
-Vorrei
davvero essere in grado di volerle il bene che le vuoi tu- sussurrò,
era sua madre dannazione, certo che avrebbe voluto. Invece si ritrovava
a osservarla con un distacco sempre maggiore, la sola idea che lei
capisse qualcosa di Sebastiano che a lui non era concesso, lo faceva
impazzire. Si sentiva vagamente orribile, per questo.
-Ma
tu gliene vuoi, solo che lo fai in modo diverso da come lo faccio io.
Non amiamo tutti allo stesso modo Michi, e solo perché ti sembra di
odiarla, a volte, non vuol dire che in realtà tu la odi davvero.-
E
ora arrivava addirittura a salvarlo da tutto il male che stava
arrivando a pensare di sé stesso.
-Vorrei
capire cosa vedi tu in lei che io non riesco a vedere-sussurrò Michele,
guardando intensamente Sebastiano negli occhi. Era una cosa che si era
sempre chiesto. Al di là dell’amore per l’arte che avevano in comune,
al di là del mondo che riuscivano a condividere, perché Sebastiano la
adorava così tanto, nonostante tutto quello che aveva fatto loro?
-Cosa
vedo in lei?- ripeté a bassa voce il fratello, abbassando per un attimo
la testa e poi rialzandola per guardarlo con un intensità quasi
dolorosa. Era una donna che si era annullata nell’amore per il marito e
quando questi era morto era morta anche lei. L’amore ossessivo e malato
che provava per i figli, per Sebastiano in particolare, era solo un
pallido riflesso della scintilla vitale che l’aveva posseduta prima.
-Me
stesso- rispose infine Sebastiano.
Solo
un anno dopo avrebbe capito cosa intendeva suo fratello con quelle
parole.
-Mi
sto annoiando!- proruppe Fabio, stravaccato sul divano dello studio di
Sebastiano. Quest’ultimo alzò gli occhi al cielo, cercando di
ignorarlo. Stava lavorando, stava intensamente provando a lavorare con
tutto sé stesso, ma non era un compito facile con Fabio steso a pochi
metri da lui che parlava ogni due secondi, non accettando il fatto che
lui aveva bisogno di silenzio e concentrazione per lavorare.
-Io
no- rispose Sebastiano, tracciando una linea a china e imprecando a
mezza voce. Era colpa di Fabio che stava steso mezzo nudo sul suo
divano, in quella posa assolutamente indecente.
Come
poteva pretendere di riuscire a lavorare, poi? Afferrò la lametta e
cominciò a raschiare, ma non sarebbe mai riuscito a rimediare a quel
disastro.
Era
già il terzo foglio che rovinava.
-Cazzo,
Fabio, si può sapere perché hai deciso che non puoi lasciarmi lavorare
in pace ma devi assolutamente invadere la mia sacrosanta privacy?-
Esclamò
voltandosi verso il ragazzo, e non era stata decisamente una buona
idea, perché oh! Fabio ora si stava accarezzando lo stomaco, facendo
scorrere le dita su e giù lungo la pelle leggermente abbronzata, e
Santo Cielo, quanto avrebbe voluto sostituire quelle dita con la sua
lingua.
Ma
poi doveva ancora capirlo quando si era trasformato in un essere
grondante desiderio e demenza alla sola vista di Fabio.
Che
era bisessuale l’aveva sempre saputo, anche se l’unico che era a
conoscenza della storia disastrosa che aveva avuto con un coetaneo ai
tempi del liceo, era Michele. Che gli piacesse Fabio l’aveva sempre
sospettato, ma era riuscito sempre a lasciare quel desiderio in un
angolino di sé, senza farci molto caso.
Il
fatto che si vedessero poco aiutava.
Probabilmente
per questo motivo ora che l’aveva in giro per casa notte e giorno non
riusciva più a trattenere i pensieri.
-Suona
strano sentir parlare di Privacy uno che ha la camera dipinta di nero e
dorme nudo- replicò Fabio, asciugandosi il sudore che cominciava a
scendere dalla fronte.
-Appunto
perché dormo nudo ho bisogno della mia privacy-
Commentò
Sebastiano, voltandosi definitivamente verso di lui, arrendendosi
all’evidenza che il ragazzo non aveva nessuna intenzione di lasciarlo
stare.
-Cosa
vuoi fare Fabio?- chiese, sapendo già che si sarebbe pentito di quella
domanda. E non perché suonava equivoca perfino nella sua testa.
-Un
bagno!- rispose Fabio entusiasta, con la solita allegria che sfoggiava
quando finalmente aveva l’attenzione di chi desiderava.
Gli
faceva un effetto strano pensare che questa volta l’attenzione che
voleva era la sua.
-Ma
l’hai fatto ieri!- esclamò, con una sfumatura di puro panico nella
voce.
E
di solito ti aiuta Michele, cazzo, per motivi che sia io che te
sappiamo alla perfezione.
Soggiunse mentalmente.
Ma
a quanto pareva, questa volta Fabio aveva deciso di mandare all’aria il
delicato equilibrio che reggeva la loro convivenza forzata e
momentanea, visto che rispose:
-Eh,
ma fa caldo! Se tu vuoi puzzare come un caprone e non ti lavi ogni
giorno non è colpa mia!- berciò Fabio, imbronciando le labbra in un
modo così delizioso che Sebastiano afferrò i braccioli della sedia con
forza, per impedirsi di levare via quel broncio mordendoglielo.
-Non
puoi aspettare Michele?- chiese, tentando un’ultima difesa.
Fabio
inarcò un sopracciglio, guardandolo con uno stupore che sarebbe suonato
falso perfino a un bambino di cinque anni.
-Ma
hai problemi ad aiutarmi per caso? Ti turbo?- e la sfacciataggine con
cui glielo chiese gli fece venire voglia di picchiarlo ulteriormente.
Poi
Fabio si chiedeva perché faceva quest’effetto alla gente.
Andava
in giro a provocare impunemente!
Da
lì gli venne l’illuminazione. Fabio lo stava provocando, cazzo! Lo
stronzo doveva aver capito qualcosa e ora stava evidentemente testando
quello che la sua testolina bacata aveva intuito.
Strinse
i denti, sorridendogli a sua volta, altrettanto falso.
-No
ma che dici. Perché mai dovresti turbarmi in qualche modo? Su dai,
andiamo, che tanto ormai per oggi ho capito come gira-
Fabio
non saltellò in piedi per il semplice fatto che, anche se era ormai
passata una settimana, le costole facevano sempre un male dannato.
Almeno
l’occhio era tornato normale, il labbro era guarito e il naso si stava
riprendendo.
Per
sfortuna di Sebastiano però, i punti ancora non li avevano tolti.
Fu
mentre riempiva la vasca con acqua prevalentemente fredda, che
Sebastiano realizzò davvero la portata di quello che si era impegnato a
fare tanto a cuor leggero.
Fabio
si stava togliendo i pantaloni, con notevoli smorfie di dolore per via
del doversi piegare così tanto; per un attimo ebbe il terrore che si
sarebbe tolto anche i boxer, ma per il momento fu fortunato. Certo che
effettivamente non poteva farsi il bagno con quei dannati boxer
addosso.
Porca
puttana, sarebbe stato un pomeriggio maledettamente lungo.