CAPITOLO OTTAVO

Ho visto solo per come io sapevo,
che c’era luce anche nelle notti più cattive.
È tutto scritto, ed è qui dentro,
e viene tutto via con me.
Tu che cosa vedi? 
C’è ancora un orizzonte lì con te?
Vivere è un atto di fede, mica un complimento.
Questo è il mio atto di fede, questo è il tuo momento.
-Ligabue-


Alcuni giorni dopo Fabio entrò in cucina inaspettatamente presto, seguito da un Sebastiano decisamente scarmigliato, molto più del solito.
Michele li fissò un attimo, prima di stringere la moka da tre che aveva preparato e posarla sul fuoco.
-Ma voi due come mai siete già in piedi?- chiese, incuriosito. Di solito quando si svegliava lui gli altri dormivano ancora. Aveva la casa tutta per sé e non poteva dire che gli dispiacesse. Gli piaceva la confusione che facevano Sebastiano e Fabio, specie quando erano assieme, ma un po’ di pace ogni tanto era molto apprezzata.
-Fa caldo- disse Fabio; scrollò le spalle e si diresse a passo spedito verso Michele, accoccolandosi contro il suo petto.
Era stato un gesto così automatico che Michele era convinto non si fosse nemmeno reso conto di quello che faceva. 
Aggrottò le sopracciglia, era strano che Fabio cercasse il contatto fisico, non era il tipo da carezze o coccole lui. Era più la persona che ti sorprendeva da dietro per farti uno sgambetto o tirarti un pugno scherzoso. 
Le uniche volte che lo faceva era quando…
-Ma sei uscito ieri sera?- chiese guardingo, mentre faceva scorrere le mani lungo la schiena del ragazzo.
Fabio scosse la testa:
-No, perché?-
La faccenda era sempre più strana, così come la presenza di quei due in cucina alle otto del mattino.
-Perché queste sono le coccole post-sesso che pretendi sempre da me quando ti fai una sveltina in discoteca con qualcuno.- 
Sentì Sebastiano tossire come fosse in punto di morte, Fabio rimase in silenzio per molti minuti e Michele non poteva certo immaginare che stava rivolgendo bestemmie sempre più colorite contro se stesso.
-Ho fatto un sogno porno- rispose Fabio, dando sfoggio una volta in più della sua incredibile faccia tosta. Nel frattempo Sebastiano era impallidito a livelli quasi assurdi, visto quanto era già pallido di suo. 
-No ma fammi capire…- intervenne Sebastiano, la voce uscì un po’ strozzata ma chiara.
-Tu dopo il sesso ti vai a strusciare su mio fratello?- e stavolta gli occhi a palla non erano per spaventare qualcuno, ma per esprimere tutto il suo stupore.
Fabio e Michele risposero in contemporanea, dimostrando una sincronia invidiabile e un vibrante sdegno:
-Non si struscia!-
-Non mi struscio!-
Sebastiano li guardò un attimo, fissamente, per poi scuotere la testa e versare il caffè nelle tazze. Agguantò la sua tazza Paperina e se la coccolò per bene, mentre per un attimo tutto il resto del mondo scomparve. Compresi Michele e Fabio con le loro coccole post-sesso. E comunque considerando che il sesso l’aveva fatto con lui, e avevano finito nemmeno venti minuti fa, tutto ciò era molto bizzarro. 
Per non dire inquietante. 
-Ma da quanto andrebbe avanti questa tradizione?- chiese poi, quando fu più che evidente che Fabio non intendeva staccarsi e suo fratello si stava perdendo ad accarezzarlo. In effetti erano rari i momenti in cui Fabio era così abbandonato e malleabile; Michele poi adorava distribuire coccole in giro, quindi non si stupiva che afferrasse al volo queste occasioni. Guardandolo per bene si poteva quasi dubitare che lui fosse l’unico completamente etero in quella stanza. 
Michele ridacchiò, con una mano stava tenendo la tazza di Paperino,  l’altra giocava con le ciocche castane di Fabio.
-Beh una volta eravamo in discoteca, era piuttosto tardi… le quattro?- chiese a Fabio, che si limitò ad annuire. Certo che poi perché proprio da Michele? Lui era più che disponibile ad elargire coccole post-sesso, rifletté Sebastiano, non senza una punta di stizza. 
-Fabio era sparito da qualche parte, io ero sul divanetto e stavo parlando con una tipa che non conoscevo nemmeno; quando mi vedo arrivare questo qui, con la faccia tutta contenta che si catapulta accanto a me e mi si spalma addosso. La tipa è rimasta interdetta un attimo, poi evidentemente deve aver pensato che volessimo fare tipo una cosa a tre e sembrava anche piuttosto esaltata dall’idea-
Fabio a quel punto si sentì in dovere di fare una precisazione:
-Per la cronaca è lui che non ha voluto. Io ero più che disponibile.-
Michele lo guardò storcendo la bocca:
-Ma certo! A saltare addosso a me eri disponibile! Quando mai andresti con una donna tu?- esclamò, ma l’irritazione che aveva voluto infondere nella frase si perse nella risata che gli tremava in gola. 
Fabio alzò la testa a guardarlo, sfoggiando l’espressione più angelica del mondo. Michele non si fece incantare e proseguì:
-In ogni caso la cosa mi puzzava, così gli ho chiesto dove fosse stato e lui mi ha risposto con l’aria più candida del mondo “A fare sesso”-
Sebastiano intanto li fissava con un’espressione imperscrutabile, a un passo dal mandarli tutte e due a ‘fanculo o ridere di cuore.
Non sapeva da che parte l’ago della bilancia pendesse di più.
-Ti risparmio gli insulti che gli ho lanciato… che poi non ho capito perché vieni proprio da me… insomma fatti coccolare da quelli che scopi no?- 
Concluse Michele, mentre Fabio si staccava e diceva la cosa più sbagliata che potesse dire in tutte le vite passate e future.
-Perché quelli che scopo non sanno coccolare, tu sei molto meglio- 
Tagliò corto, senza rendersi conto del cataclisma che aveva appena generato.
Michele però, sempre attento a suo fratello, se ne accorse eccome:
-Sese che hai?- 
Fu a quel punto che Fabio si rese conto che tutta quella storia, non tanto la parte delle scopate occasionali, ma sicuramente la parte dove affermava di volersi fare suo fratello o quella dove assicurava l’incapacità di fare coccole delle persone che scopava, doveva averlo se non altro irritato. 
Era un tipo emotivo, Sebastiano, lo sapeva. Ma saperlo ovviamente non lo aveva prevenuto dal disastro che aveva provocato solamente aprendo bocca.
Bene, una cazzo di farfalla deve aver appena sbattuto le ali in Asia, pensò Fabio, non senza un pizzico di terrore. 
-Niente, ho solo sonno. Torno a dormire- rispose il ragazzo, dando dimostrazione palese che qualcosa, in effetti, aveva. 
Un incazzatura grande quanto una casa.
Fabio si maledì mentre Michele salutava e usciva per andare al lavoro, non senza prima aver rivolto un’occhiata perplessa alla porta dietro cui era appena scomparso il fratello.
Fabio sapeva quanto era permaloso ed emotivo Sebastiano, sapeva che se la prendeva per le cose più assurde che nemmeno una donna mestruata, sapeva che se la sarebbe presa per questo. 
Mai che sapesse tenere la bocca chiusa. 
Certo che la colpa era in parte anche di Sebastiano però… se avesse detto tutto a Michele, quest’ultimo certamente non avrebbe rivelato tutta la storia nella sua crudezza, omettendo molte parti… Michele sapeva essere discreto e attento, a differenza sua. 
Con questi pensieri cupi in mente si chiese se era il caso di seguirlo o di lasciarlo sbollire. Se fosse stato un ragazzo qualunque era certo che lasciarlo sbollire e poi offrirgli una birra sarebbe stata l’idea migliore. Siccome si parlava di Sebastiano però, non si sentiva di dare per buona quest’ipotesi. 
Il cellulare vibrò, dando l’avviso di un messaggio in entrata.
“Qualunque cosa tu gli abbia fatto: seguilo immediatamente, altrimenti non ti parlerà per secoli” 
Sorrise, Michele era sempre il suo salvatore. 
Scese nel seminterrato con un leggero timore. Già il fatto che si fosse rifugiato lì invece che nello studio era un pessimo inizio. 
E poi a Fabio quel seminterrato inquietava sempre. Un seminterrato tutto nero con scritte rosse che ricalcavano le scie di sangue chi non avrebbe inquietato? Soprattutto se poi dentro ci trovavi un Sebastiano in assetto di guerra che ti sbatteva addosso tutta la sua emo-vampiraggine.  
-Se non esci subito finisce male.-
Ecco, un inizio davvero disastroso.
Soprattutto perché Sebastiano aveva incrociato le braccia serrandosele davanti al petto, in una posa da toccami e ti ammazzo. 
Fabio deglutì, non era certo di uscire indenne dopo tutta l’aura malvagia che gli stava gettando addosso Sebastiano. 
Avrebbe dovuto farsi esorcizzare dopo, ne era quasi certo.
-Potrei almeno tentare di chiarire?-
Sebastiano gli rivolse un ghigno che fece desiderare a Fabio l’espatrio immediato. Solo che poi era certo che Sebastiano avrebbe chiesto l’estradizione per poterlo ammazzare. 
-Non c’è molto da chiarire mi pare- esclamò con voce che cercava disperatamente di rimanere gelida ma scivolava sempre di più 
sull’isterico. 
-Sai che non ho mai nemmeno pensato di volermi fare Michele… o almeno, insomma, forse all’inizio, ma è stato un pensiero così passeggero che nemmeno ha pagato il pedaggio. Giuro. E non volevo certo insinuare che tu sei una scopata occasionale come quelle che facevo in discoteca! Tantomeno che non sai coccolare. Insomma tu sei il maestro delle coccole, davvero, prima di te io nemmeno sapevo che dopo il sesso si poteva restare vicini anche senza far niente, insomma lo reputavo una perdita di tempo, mentre adesso non farei altro che stare vicino a te senza far niente. Non che non ti farei mai niente… insomma ti scoperei dalla mattina alla sera senza nemmeno darti il tempo di respirare e… sto peggiorando la situazione vero?- chiese Fabio, perdendo via via la passione che aveva messo all’inizio del discorso, per terminare con un tono sconsolato.
Il viso di Sebastiano era davvero da interpretare. 
Le labbra erano serrate e un sopracciglio scattava in alto a intervalli regolari, quasi volesse chiedere asilo politico ai capelli. 
-Si- rispose il ragazzo, riducendo gli occhi due sottili fessure che avrebbero tanto voluto trapassare Fabio. 
Tipo la spada laser di Luke Skywalker. 
-E se ti prendo e ti sbatto sul letto la situazione migliorerebbe?- chiese Fabio, atteggiando la bocca in un broncio inconsapevole. 
-Forse se stessi zitto la pianteresti di rovinarti con le tue mani- 
Scandì Sebastiano con voce sepolcrale.
-Lo so ma quando sono nervoso parlo. E già il fatto che io sia nervoso dovrebbe darti un idea di quanto la cosa che abbiamo mi condizioni. 
E di quanto ci tenga a te. Non sono mai stato nervoso per nessuno io. Ma adesso tremo vedi?- continuò a parlare a mitraglietta, alzando una mano davanti al viso di Sebastiano e mostrandogliela. In effetti si muoveva in scatti inconsulti che potevano voler significare l’insorgenza dell’Parkinson o l’effettivo nervosismo del ragazzo all’idea che Sebastiano potesse avercela con lui. 
-Quindi mi dispiace per tutte le coglionate che mi escono di bocca, perché lo so che faccio così, sono una frana e dico sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato e sono un paracadute bucato quando cerco di spiegarmi. Però tu davvero non devi considerare la maggior parte delle cose che mi escono di bocca, perché sono cazzate che nemmeno penso e quando mi capita di farla nel buco di solito ho già mandato tutto a puttane precedentemente- 
Era davvero impegnato nel suo monologo, nel cercare di dire le cose per bene senza sbagliare, perché ci teneva davvero stavolta e non voleva che per uno stupido malinteso poi Sebastiano potesse avercela con lui una vita intera. Era capace di farlo, lo sapeva. Quando qualcuno faceva un torto al ragazzo era depennato dalla lista delle persone che meritavano di stare in vita, semplicemente rimuoveva tutto su di lui. L’aveva già visto succedere. Roba che inizialmente aveva chiamato un medico perché non era possibile avere una tale amnesia selettiva nei confronti di una persona, di tale portata da cancellare persino il fatto di averla conosciuta o il suo nome dalla memoria. Che poi lo sapeva che non era questo il caso, insomma aveva detto una cazzata, ok, ma era tutto lì. Non gli aveva di certo ucciso il cane o non aveva davvero scopato con suo fratello. Razionalmente sapeva che era un paura stupida quella, ma la razionalità, ormai si era capito, non era davvero il suo forte, soprattutto quando entrava in ballo Sebastiano. 
-Insomma, considera solo che sono qui che parlo come un coglione e mi ci sto anche sentendo. Considerami un coglione, ti prego. Ma che ti passi dalla testa l’idea di essere una seconda scelta o il mio divertimento momentaneo. Perché non lo sei. E non conta un cazzo con quanti io abbia scopato prima di te, perché tu hai ribaltato tutta la mia concezione del sesso. Io con te non faccio sesso, io faccio l’amore.-
Si interruppe per prendere fiato e si perse l’espressione stupita di Sebastiano, così come i suoi occhi lucidi. 
-E se mi sono spalmato su tuo fratello, prima, è stato solo perché, Cristo andiamo! Mi avevi messo in pace col mondo solo pochi minuti prima e tuo fratello è adorabile appena sveglio. Non c’è nient’altro dietro, giuro-
Fabio puntava ancora lo sguardo al pavimento, senza osare alzarlo, senza vedere che Sebastiano si stava mordendo il labbro e il suo viso si era addolcito, illuminandosi in un sorriso che non era quello da pazzo-psicotico che elargiva agli altri, e nemmeno quello malizioso-ma inquietante che gli rivolgeva a letto. Questo era piccolo, gli riempiva il viso di mille fossette ed era quasi un segreto, così intimo e prezioso che, se Fabio l’avesse visto, avrebbe voluto conservarlo per sempre con sé. 
-Hai finito?- chiese, divertito. 
Fabio alzò la testa perché il tono non era quello seccato di prima, era quasi… intenerito.
Fece appena in tempo a vedere il suo sorriso speciale, prima che le labbra di Sebastiano impattassero con le sue e le mani si scontrassero con quelle di Fabio, che le aveva alzate per fare esattamente la stessa cosa: posarle sul viso dell’altro.
Risero un po’, senza staccare le labbra, perché erano due stupidi e se ne rendevano conto. Facevano di un dettaglio un problema insormontabile e tentavano di ignorare con tutti loro stessi i problemi che invece erano importanti.
Però la lingua di Sebastiano scivolava dolce sulla sua, il suo sapore era da far girare la testa e le mani erano fredde, come sempre, ma così dannatamente loro che Fabio semplicemente spense il cervello, finalmente. 

Le uniche volte che Sebastiano usciva era per comprarsi da bere. Ormai i suoi amici non lo chiamavano più, e lui non chiamava più loro, si limitava a uscire di casa quando Michele era al lavoro. Andava al supermercato più vicino e si riempiva il carrello di bottiglie di tutti i tipi, che beveva regolarmente prima che suo fratello rientrasse. Doveva berle tutte, perché altrimenti Michele avrebbe svuotato le rimanenti, quindi doveva uscire ogni giorno per avere ogni giorno da bere. Suo fratello non capiva. Lui urlava sempre ogni volta che lo trovava ubriaco perso, con la testa infilata nel water a vomitare. Gli urlava cose che non capiva, non lo ascoltava davvero in quei casi, ma in un certo senso il suono della sua voce era rassicurante. 
Finché riusciva a sentire Michele urlare voleva dire che non era poi così ubriaco, no? 
Che poi doveva cominciare presto perché Michele tornava alle nove a casa, quindi lui alle tre del pomeriggio, non appena suo fratello usciva di casa per tornare al bar, andava al supermercato. Contava i minuti, perché essere sobrio non era un opzione contemplabile. Per questo le mattinate erano tremende, durante la mattina soffriva i postumi e non riusciva nemmeno a ricordarsi in che punto della casa era, figurarsi uscire. Le mattine era troppo sobrio, riusciva ancora a pensare. 
Quella volta fu diverso però. 
Suo fratello l’aveva chiuso dentro casa. 
Fece una smorfia e provò a cercare le chiavi. 
Niente. 
Bastardo. 
Non poteva davvero averlo relegato lì! Lui aveva bisogno delle sue ore di salvezza dall’angoscia, le pretendeva. Non capiva, suo fratello, che costringerlo a restare sobrio equivaleva a ucciderlo? 
Ringhiò, mettendosi le mani nei capelli. 
Le finestre al pian terreno avevano le sbarre quindi da lì non poteva uscire. Salì in camera di Michele, quella dava sulla strada e c’era la grondaia che passava proprio lì vicino. Magari poteva aggrapparsi lì e farsi scivolare giù… non era troppo alto, ce l’avrebbe fatta. 
Aprì la finestra, soddisfatto di essere riuscito finalmente a trovare la soluzione, e si calò fuori, aggrappandosi immediatamente alla grondaia per reggersi. Sembrava tenere. Sorrise e cominciò a calarsi. 
Non si rese subito conto di stare cadendo, non se ne rese conto perché era troppo tempo che non beveva e quindi il corpo tremava e il pensiero di sua madre e di Laura aveva ricominciato a martellargli la testa, facendogli male, un male da impazzire. A volte, quando succedeva, tremava così tanto che non riusciva a disegnare. Solo che quando beveva era uguale, quindi non disegnava proprio più.
Quando sentì un dolore tremendo alla testa e chiuse gli occhi, gli sembrò quasi di capire cosa doveva aver provato la madre. Se morire era così bello, se gli permetteva di non pensare molto più efficacemente che bevendo una bottiglia, allora perché non l’aveva fatto subito? 
Quando riaprì gli occhi suo fratello lo stava fissando, serio. 
Sentiva qualcosa di morbido sotto di sé ma non eccessivamente, quindi doveva essere sul divano del salotto. Certo, suo fratello era uno scricciolo, non lo avrebbe mai portato a letto. 
-Sai perché non sei in ospedale?- chiese Michele. La voce era dura e secca, l’espressione gelida. Aggrottò la fronte ma faceva male, aveva come un martello pneumatico nella testa. 
Non aveva mai visto quell’espressione sul viso del fratello, era spaventosa. 
-Sono tornato a casa perché dovevo portare una cosa a Fabio e me n’ero dimenticato. Quando ti ho trovato lì ho capito- 
Fabio doveva essere il ragazzo che lavorava con lui, il figlio dei proprietari del bar. Gliene parlava alle volte Michele. Ma adesso aveva una voce talmente strana da costringerlo a spalancare per bene gli occhi per vederlo. Aveva paura di quella voce perché suo fratello non la usava mai con lui. Era meglio quando urlava.
-Ho capito che forse era meglio così, che tu vuoi morire e che io sono un egoista nel non permettertelo. Ho capito che non ce la faccio più e che non ce la fai più neanche tu, quindi forse questa è davvero l’unica soluzione.- Sebastiano cercò di tirarsi su a sedere, per capire meglio. Suo fratello stava dicendo cose assurde, con quel tono logico, come se stesse esponendo una cosa perfettamente razionale. 
Ma non era razionale. 
Perché temeva di aver capito dove voleva andare a parare, e per una volta ringraziò il cielo di essere abbastanza sobrio da capirlo. 
-Forse se moriamo entrambi sarà meglio, sarà tutto finito e io smetterò di essere stanco, terrorizzato e disperato. Forse tutto questo smetterà- Michele non lo guardava più ora. O meglio, il suo sguardo era fisso su di lui, ma non lo guardava davvero. Somigliava troppo allo sguardo che aveva lui ultimamente. 
-Cosa dici?- sussurrò Sebastiano, una sfumatura di paura nella voce.
-Ricordi la canzone che ci piaceva tanto? Quella di Ligabue?- rispose Michele, il tono assente di prima. 
Ora la paura invadeva le vene, scorrendo amara lungo il corpo. Lo paralizzava ma riuscì ad annuire comunque.
Michele sorrise, vuoto, cominciando a canticchiarla.
-Ho visto tanti giuda 
tutti in buona fede 
e ho visto cani e porci fatturare a chi gli crede 
ho visto la bellezza 
che ti spacca il cuore 
e occhi come il mare nel momento del piacere- 
Aveva una voce dolce, Michele, roca e profonda ma capace di scorrerti addosso. Non era molto intonato però, fra i due era Sebastiano quello capace di cantare.
Riconosceva la canzone, era “Atto di Fede” di Ligabue, Sebastiano gliela cantava sempre quando Michele era triste, perché aveva delle parole bellissime e una melodia trascinante. 
Gli occhi di Michele si riempirono di lacrime, ma non era il pianto violento che lo prendeva quando non sapeva più cosa fare e il dolore era troppo forte; era un pianto tranquillo, come se non volesse davvero farlo, come se stesse piangendo solo perché il suo corpo ricordava come si faceva.
-Michi… basta- sussurrò Sebastiano.
-Non riesco Sese- mormorò Michele -Non riesco a vederla, la bellezza che ti spacca il cuore. Non riesco a vedere come riusciremo ad uscire. Non voglio nemmeno più uscirne- 
La testa scivolò in basso, si appoggiò alle gambe di Sebastiano. Stava ancora piangendo, senza che un solo muscolo si muovesse. 
Era più terribile che se avesse urlato.
Fu lì che capì. 
-Sese, non ce la faccio più. Puoi uccidermi assieme a te? Ti prego.- furono parole così dolorose da non riuscire nemmeno a respirare, per un lungo attimo. 
Lui aveva fatto questo a Michele, lui l’aveva ridotto così. 
Cominciò a piangere a sua volta, un pianto silenzioso come quello di Michele, un pianto troppo doloroso per esprimersi in singhiozzi, troppo profondo.
Ricordava come continuava la canzone.
-Vivere è un atto di fede, 
Mica un complimento
Questo è il mio atto di fede,
Questo è il tuo momento- 
La voce era alta e limpida, così diversa da quella di Michele da sembrare quasi fuori luogo. Ma Michele alzò la testa di scatto, guardandolo. Vide lo stupore nei suoi occhi, vide che non si era aspettato nessuna reazione, che gli aveva detto quelle cose ma in realtà le aveva dette a se stesso e non pensava che servissero davvero a qualcosa. 
Sebastiano gli accarezzò il viso, dolce, così dolce come non lo era da tanto, troppo tempo, da prima che morisse sua madre. 
Gli sfuggì il primo singhiozzo.
-L’avevo dimenticato, sai. Che vivere è un atto di fede, che è l’atto di fede più dannatamente duro e impossibile che possa esserci. Che però è bellissimo- 
Mormorò Sebastiano, tirandolo piano verso di sé, facendolo alzare dal pavimento per costringerlo dolcemente a sedersi sulle sue gambe.
-Scusa- sussurrò sul suo collo. Michele scoppiò a piangere davvero, in singhiozzi che sembravano voler spezzare il suo corpo, uscire da lui per non ritornarvi più, perché era troppo doloroso stare lì.
-Non voglio più sentirti dire una cosa del genere Michi. Non berrò più, sarò qui, ma tu non devi più dire una cosa così- disse poi, accarezzando teneramente la schiena di Michele, osservando come lentamente i singhiozzi si placavano. 
Lo sentì annuire contro la sua spalla e sorrise, stringendolo forte. 
Fu in quel momento che giurò che non avrebbe mai più fatto nulla che avrebbe potuto di nuovo ridurre suo fratello in quello stato.