CAPITOLO NONO
L'amore
non è quello che i poeti del cazzo vogliono farvi credere. L'amore ha i
denti; i denti mordono; i morsi non guariscono mai. Nessuna parola,
nessuna combinazione di parole, può chiudere le ferite d'amore. È tutto
il contrario, questo è il bello. Se quelle ferite si asciugano, le
parole muoiono con loro.
-S.King-
Principalmente
accadde perché era passata una settimana e loro si sentivano
tranquilli. La prima paura di Sebastiano era stata quella che Michele
lo capisse immediatamente, solo guardandoli in faccia.
Quando
così non era stato, si erano rilassati, convincendosi che bastasse non
farsi vedere troppo vicini per non farsi sgamare.
Quello
che li rese imprudenti fu il fatto che Fabio aveva deciso di tornare al
lavoro il giorno dopo, quindi il tempo che avrebbero potuto passare da
soli lui e Sebastiano sarebbe diminuito drasticamente. Da un lato era
sicuramente una cosa positiva per il lavoro di Sebastiano, visto che da
quando stavano assieme era rallentato notevolmente, dall’altro sarebbe
stato molto più difficile stare da soli senza dirlo a Michele. Anche
perché ormai i punti erano stati tolti, i lividi erano spariti, i
genitori di Fabio ormai sapevano tutto e la denuncia stava andando
avanti. Le scuse di Fabio per restare a casa dei fratelli stavano
diminuendo drasticamente. Le costole facevano ancora male e aveva
ancora la fascia che le stringeva, però il medico lo aveva avvertito
che sarebbe andata per le lunghe e in ogni caso non giustificavano la
sua ulteriore permanenza lì.
Stavano tirando via giorni con le unghie, lo sapevano entrambi.
La
cosa buffa era che non stavano facendo assolutamente nulla quando
Michele li vide. Non stavano facendo sesso, non stavano nemmeno
cominciando a farlo, non si stavano nemmeno baciando.
Non fu quello a tradirli.
Sapevano
che Michele sarebbe rientrato a momenti, quindi si erano rivestiti ed
erano tornati in salotto, avevano chiamato la pizzeria per farsi
portare la cena e stavano guardando la televisione seduti sul divano.
Poi Sebastiano sospirò, occhieggiando Fabio. Non si era più lamentato
di quella situazione assurda, dell’indifferenza che dovevano fingere
con Michele o delle attenzioni che dovevano avere quando uno dei due
decideva di infilarsi nel letto dell’altro durante la notte. Era
contento che avesse rispettato il suo volere ma al contempo sapeva che
con la sua vigliaccheria stava facendo un torto a tutti, anche a Fabio.
Per
questo si avvicinò ulteriormente a lui, appoggiando la testa
sull’incavo del suo collo e strofinando il naso contro la sua pelle.
Fabio allungò una mano ad accarezzargli la testa, sorridendo.
-Che c’è?- chiese, piano.
Sebastiano scrollò le spalle, non aveva il diritto di lamentarsi di una situazione che aveva creato lui, quindi non disse nulla.
Fabio però parve capire.
-Riusciremo
a trovare lo stesso il tempo per stare assieme, vedrai. Ora che Michele
sta con Gin starà a casa meno anche lui, soprattutto adesso che ci sarò
anche io ad aiutarlo al bar e lui quindi sarà meno stanco. Adesso Gin
non ha più esami, per cui avranno più tempo per
stare
assieme. E poi puoi uscire con noi qualche volta, no? I tuoi amici non
si offendono se ti rubiamo un po’ ogni tanto- concluse, passandogli un
braccio attorno alle spalle e stringendolo a sé.
Quando
Michele entrò in casa non lo sentirono perché Sebastiano era troppo
occupato a ricordare il momento in cui Fabio aveva imparato a
conoscerlo così bene, riuscendo a tirarlo fuori dai momenti in cui si
incantava su pensieri tristi. Fabio invece era occupato a posare le
labbra sui capelli di Sebastiano, baciandogli piano la testa mentre il
compagno continuava a tenerla premuta contro il suo collo.
Non
stavano facendo niente, ma era l’atmosfera che si respirava ad essere
così intima da non lasciare dubbi sulla natura di quello che li legava.
-Ma
cosa…- si lasciò sfuggire Michele, bloccandosi sulla soglia del
soggiorno. Per lui era lampante, chiaro e preciso come uno schiaffo in
pieno volto.
Suo
fratello non si avvicinava mai così a nessuno che non fosse lui. Fabio
non coccolava mai nessuno, lui non sopportava qualsiasi contatto
superiore alle pacche sulle spalle. E poi il modo in cui Sebastiano
nascondeva la testa sul collo di Fabio, il modo in cui quest’ultimo gli
baciava i capelli, con devozione quasi, non lasciava davvero
adito a dubbi.
I
ragazzi si staccarono precipitosamente, dando ulteriore conferma a
Michele delle sue ipotesi. Solo che ora guardando l’espressione di
Sebastiano non poteva più chiamarle ipotesi.
-Da quanto tempo?- chiese con voce pericolosamente bassa.
Vide Sebastiano sbiancare e si stupì di non provare nulla.
-Non è come…- tentò di iniziare Sebastiano, ma fu subito interrotto dal fratello, che alzò una mano.
-Ti
prego. Non prendermi per stupido. Per me potete fare quello che volete.
Non siamo spostati, non mi hai tradito. Né tu né lui- disse, indicando
Fabio col mento.
-Quindi
non c’era bisogno di nascondermi nulla, e non c’è bisogno di negare
adesso- concluse, con una voce fredda che stupì lui stesso per
primo.
-E ora devo vedermi con Gin, scusate.-
Uscì dalla porta com’era entrato, in silenzio e velocemente.
Quando fu uscito Fabio si azzardò a lanciare un occhiata al compagno.
-Non
riesco a capire come l’ha presa- mormorò, senza tentare di avvicinarsi
perché sapeva che in quel momento Sebastiano l’avrebbe mandato
via.
-Male- sospirò lui, abbassando la testa: -Se non urla e non tenta di capire vuol dire che l’ha presa davvero male.-
Si alzò dal divano a sua volta, ignorando lo sguardo di Fabio che lo seguiva, preoccupato.
-Ho bisogno di stare solo- disse soltanto, uscendo dalla stanza sotto lo sguardo impotente e ferito di Fabio.
Era una situazione difficile e orrenda ed era lui che l’aveva creata.
Non riusciva a fare a meno di pensarci.
Sebastiano
ancora non usciva di casa, se non lo stretto indispensabile. Stava
chiuso nel seminterrato e continuava a scrivere frasi discutibilmente
tragiche sulle pareti, ma Michele sapeva che era il suo modo per
sfogare la paura che ancora aveva, quindi non diceva nulla. Però aveva
ripreso a disegnare e questa Michele la riteneva una cosa decisamente
positiva. Suo fratello con una matita in mano era invincibile; era
seriamente convinto che per lui fungesse da bacchetta magica o una cosa
del genere.
Forse
per questo aveva rischiato di perdersi per sempre, perché in seguito
alla morte di sua madre non aveva più toccato una matita o un
pennello.
Quando tornò a casa era piuttosto tardi rispetto al solito.
Trovò
Sebastiano in cucina, che occhieggiava la porta ansioso, aspettandolo.
Nel frattempo si stava muovendo frenetico, affancendandosi fra i
fornelli e prendendo cose a caso nel frigo o negli stipetti.
Aveva
avuto una pessima giornata, era stanco, irritato e vagamente triste,
però la vista di suo fratello così attivo lo sorprese.
Di solito era così solo quando disegnava.
-Ma cosa fai?- chiese senza nemmeno salutare.
Sebastiano sussultò e si voltò subito, rischiarando il viso e scoccandogli un sorriso enorme.
-Cucino- rispose con voce leggera, quasi non volesse darvi peso, o che ne desse Michele.
-Com’è andata oggi? Hai una faccia orribile- chiese poi, guardandolo incuriosito.
-Si può sempre contare su di te per un po’ di sano conforto- ironizzò Michele, per poi scuotere la testa:
-E
comunque non pensare di distrarmi. Cosa vorrebbe dire cucino? Tu odi
cucinare! Potresti far scoppiare la casa o so io cosa! Vuoi che ci
riduciamo a vivere sotto un ponte?- continuò, ignorando lo sguardo cupo
di suo fratello.
-Piantala.
Il fatto che tu non mi abbia mai visto non vuol dire che io non sia
capace! Come pensi sopravvivessi a Venezia? D’aria?- borbottò, per poi
accorgersi che suo fratello lo stava fregando, sviando la sua
attenzione appositamente per non rispondere alla sua domanda.
Sia mai che ci riuscisse, Michele non era mai stato capace di nascondere nulla a Sebastiano.
-E
comunque- riprese, facendogli il verso :-Non sperare tu di distrarre
me! Che succede?- chiese, il tono che si addolciva ponendo la domanda.
Per un attimo Michele rimase fermo a guardarlo, totalmente stupito.
Fin
dall’inizio aveva provato una vaga sensazione di risonanza, come se
avesse dovuto afferrare qualcosa dal primo momento.
Solo adesso capiva cosa.
Sebastiano
era davvero preoccupato per lui, gli stava parlando come una
volta, quando Michele era triste o aveva paura e lui lo consolava. Era
una sensazione così distante nel tempo, era così difficile rapportarla
al Sebastiano degli ultimi tempi, che per un momento davvero non seppe
come comportarsi.
Poteva davvero fidarsi a lasciarsi andare?
Sebastiano
parve capire cosa si agitava nella sua testa, si avvicinò a lui, gli
angoli delle labbra sollevati in un sorriso accennato.
-Non
rientri mai così tardi, per questo stavo cucinando. Ingannavo il tempo.
Ho pensato che rientrando saresti stato felice di non doverlo fare tu-
disse.
Era
preoccupato e aveva voluto fare qualcosa di carino per dimostrargli che
un motivo per tornare l’aveva, che lui era lì e che poteva
fidarsi.
Di nuovo.
Quando
lo capì a Michele si strinse un po’ il cuore e lo stupido litigio con
Fabio venne spazzato via. Fu come se qualcuno avesse tagliato una fune
tenuta troppo tesa, troppo a lungo. Le spalle si abbassarono di scatto
e un respiro più profondo degli altri sfuggì dalle sue labbra.
Non era più solo adesso.
Non lo sarebbe stato mai più.
Aprì la bocca per rispondere e dovette schiarirsi la gola, la voce uscì un po’ roca:
-Ma
niente. Fabio, sai il ragazzo che lavora con me, ha fatto una cazzata e
io l’ho ripreso, solo che evidentemente non gli è piaciuto essere
sgridato da me e mi ha ribadito il fatto che il capo è lui. Quando gli
ho detto che non era affatto il capo ma solo il figlio dei capi, non ha
gradito molto-
Già
mentre ne parlava gli sembrava che fosse una sciocchezza in paragone ai
motivi per essere tristi che aveva solo un mese fa.
-Immagino- rispose Sebastiano, anche se non sembrava molto partecipe della sua irritazione, quanto più… divertito?
-E che ha fatto?- chiese poi, con un luccichio negli occhi. No no, non gli era solo sembrato, era proprio divertito lo stronzo!
-Mi
ha lanciato un bicchiere d’acqua addosso! Ma ti pare? Siamo in pieno
Gennaio cavoli! Avrei potuto beccarmi una Broncopolmonite con principio
di Pleurite!- proseguì Michele con un tono decisamente petulante.
A questo punto Sebastiano non riuscì a trattenere le risate.
-Cioè:
ti ha lanciato davvero un bicchiere d’acqua addosso? E sei arrivato
tardi per questo? Per asciugarti?- riuscì a dire fra le risate.
Michele lo guardò, un sopracciglio inarcato fino all’impossibile e una smorfia stizzita sul viso.
-
Sì e non ci trovo niente da ridere! Lo stronzo ha pure avuto il
coraggio di puntarmi il dito contro e ridere sbraitando qualcosa sul
fatto che avevo l’espressione più ridicola del mondo-
Sebastiano rise ancora più forte. Michele si irritò sempre di più.
Poi il fratello, a fatica, riuscì a smettere, anche se brevi singulti ancora gli scuotevano le spalle ogni tanto.
-Hai finito?- chiese Michele, tediato.
-Quasi- rispose l’altro, asciugandosi una lacrima sfuggita per il troppo ridere.
Poi la sua espressione mutò e Michele si fece attento.
Era sempre attento quando aveva quell’espressione lì, perché sapeva che era importante quello che stava per dire.
-Scusa…
però è bello che tu ti arrabbi così per questo. Voglio dire, è una
stupidata e tu solo un mese fa non ti saresti nemmeno accorto di Fabio
che faceva una cazzata al lavoro, eri troppo preso da… altro. Il fatto
che ora tu ti sia incazzato così vuol dire che ne stiamo uscendo. Vuol
dire che c’è spazio per altra rabbia, per altro dolore, per altra
paura. Non importa che faccia male sul momento, stiamo riprendendo a
vivere, forse è giusto che faccia male. Forse farsi male vuol dire che
stiamo andando nella direzione giusta perché prima era un dolore
continuo, no? Non avremmo notato la differenza. Se una parola o un
atteggiamento ti ferisce o ti indispone, vuol dire che prima non lo
eri. Vuol dire che non vivi più in un dolore costante in cui una
piccola sofferenza in più vuol dire soltanto aggiungerne altro e tu
quasi non te accorgi, perché la differenza tra lo stare bene e stare
male non te la ricordi più. Vuol dire che ora questa differenza la
sai-
Michele rimase fermo a guardarlo, incapace di trovare qualcosa da dire.
Sebastiano
era preoccupato per lui, stava bene ed era preoccupato e gli parlava
come una volta, era tornato l’unico capace di farlo uscire dalle sue
paranoie e dai suoi momenti bui, era tornato il fratello per cui
sarebbe morto.
-Non
me ne andrò più da nessuna parte. E anche se dovessi farlo, tornerò
sempre- sussurrò Sebastiano, accarezzandogli delicatamente una guancia.
Michele
lasciò andare un sospiro, appoggiando la testa alla sua mano. Erano le
parole che avrebbe sempre voluto sentire, e anche se adesso non
riusciva a crederci fino in fondo, sperava che prima o poi sarebbe
riuscito a farlo.
Ognuno
aveva le proprie battaglie da affrontare, e non era mai stato facile
per nessuno andare avanti. Ma se Sebastiano continuava semplicemente ad
esserci, allora forse avrebbero vinto anche questa.
E questo fu il giuramento che fecero i due fratelli.
Era uno strano gioco al massacro quello che stavano giocando i due fratelli.
Facevano
finta che non fosse successo nulla, comportandosi fra loro come al
solito, o almeno tentando, mentre con Fabio avevano reazioni
estremamente simili.
Michele
gli parlava con fredda cortesia, mostrandosi gentile e rispondendo alle
sue battute come al solito, ma si rifiutava di parlare di qualsiasi
argomento serio o più profondo dell’ultima partita del Milan. Questo
comprendeva la denuncia di Fabio con le relative conseguenze, Ginevra,
Sebastiano. Soprattutto Sebastiano.
Evitava
ogni riferimento, non lo nominava nemmeno per sbaglio, e quando Fabio
provava ad iniziare il discorso lui glissava, scappando altrove. In
sostanza era una situazione decisamente insostenibile, anche perché
Michele era il suo migliore amico e si stava comportando come un
conoscente occasionale.
Con Sebastiano andava anche peggio.
Ora
che aveva ripreso a lavorare praticamente non lo vedeva mai. Tornava a
pranzo e lui era chiuso in camera, tornava la sera ed era la stessa
cosa. Sembrava avesse messo le tende nel seminterrato.
Sapeva
che Sebastiano aveva tentato di parlare a Michele, li aveva sentiti una
sera: o meglio, aveva sentito le urla di Sebastiano e il silenzio
gelido di Michele. Con lui nessuno dei due parlava, quindi non sapeva
niente. Però da quella volta Sebastiano aveva preso ad evitarlo con una
costanza e un efficienza che aveva del sovrumano.
E
lui questa situazione non la sopportava per niente. Se i due fratelli
avevano deciso di giocare al massacro potevano farlo da soli, lui non
era il tipo che stava in silenzio ad aspettare che la situazione si
calmasse; non sarebbe riuscito a sopportare un minuto di più il
silenzio gelido che si respirava in quella casa.
Non
aveva immaginato che potesse finire così, non aveva considerato
l’ipotesi che il compagno potesse chiudersi in se stesso al punto da
rifiutare persino di aprirgli la porta della camera.
Aveva preso una dannata chiave e aveva sbarrato la porta, aveva del patologico una cosa del genere.
Era
tre giorni che questa situazione andava avanti e lui aveva già i nervi
a pezzi. Non era abituato a non fare nulla, ma sembrava che fosse
l’unica cosa che potesse fare. Quindi decise di reagire a modo suo, per
tentare di sbloccare lui stesso quella situazione.
Stava
cenando con Michele, in silenzio. Ogni tanto l’amico occhieggiava la
porta per vedere se suo fratello si faceva vivo, e quando tutto taceva
metteva su un espressione che era un concentrato di sollievo e
delusione davvero difficile da districare.
-Domani torno dai miei-
Disse Fabio, la voce dura e lo sguardo ancora di più. Michele alzò lo sguardo, stupito.
-Non mi sembra un modo di fare corretto- disse solo, posando la forchetta.
Fabio a quel punto scoppiò.
-Non
mi frega un cazzo del modo giusto! Voi certamente non lo sapete visto
il comportamento di merda che avete. Sei ancora il mio migliore amico o
no?Non voglio rubarti il fratello, non voglio ammazzarlo, non voglio
nemmeno farlo soffrire, Cazzo! Sembra che io abbia compiuto qualche
omicidio orrendo invece di stare col ragazzo che amo. E ora quel
coglione si comporta in questo modo assurdo e io non ce la faccio più,
chiaro? Sto impazzendo, quindi me ne vado prima di uccidervi davvero. E
ora andate tutte e due a ‘fanculo- concluse con gli occhi lucidi, le
urla che avevano costellato il suo discorso erano scemate in un tono
stanco; l’avevano logorato quei giorni, l’assenza di Sebastiano, la
freddezza di Michele.
Si alzò dalla sedia e si avviò fuori dalla stanza.
- Sarete contenti adesso. Per quello che ve ne frega- mormorò.
Sebastiano doveva sicuramente averlo sentito urlare, ma non era intervenuto, non era salito, non aveva fatto nulla.
Era ancora peggio che se l’avesse lasciato chiaramente.
Non
prese nulla di quello che aveva lasciato lì, non ce l’avrebbe fatta.
Aprì la porta di casa sperando fino all’ultimo che uno dei due lo
fermasse, ma non accadde. Michele stava fermo sulla soglia della
cucina, e solo all’ultimo vide Sebastiano che lo guardava, in mezzo al
salotto. Gli occhi sgranati come se solo alla vista del suo viso stanco
ed esasperato, solo all’udire le sue urla, avesse capito quanto
esattamente gli stesse facendo male. Solo ora che se ne stava andando.
Alzò una mano, come per fermarlo, ma a quel punto Fabio non ce la
faceva davvero più. Non aspettò, sbatté la porta dietro di sé e
cominciò a camminare. Casa sua era abbastanza lontana ma una camminata
di certo gli avrebbe fatto bene. Sentiva ancora le lacrime premere
contro le ciglia ed era assurdo perché i due fratelli erano dei
coglioni e non pensava ci fosse nulla di male nell’essersi innamorati.
E invece aveva perso in un colpo solo sia il suo migliore amico che il
fidanzato.
Davvero perfetto.
Non
aveva fatto nulla per fermarlo. Questa era l’immagine che gli premeva
il cervello, così forte da minacciare di farlo esplodere.
Sebastiano era lì e non aveva fatto nulla.
Sapeva
cosa avrebbe dovuto fare, sapeva che se l’avesse seguito, se l’avesse
abbracciato, se glielo avesse chiesto, lui sarebbe rimasto. E
invece non aveva fatto nulla e sapeva che sarebbe stata questa
l’immagine che avrebbe portato via con sé.
Sebastiano immobile in mezzo al salotto.
Si
sedette sul gradino di un negozio, il sole stava lasciando il posto
alla sera e il crepuscolo allungava le sue ombre sulla città.
Non
voleva davvero piangere ma quando si premette i pugni sugli occhi, per
impedire alle lacrime di uscire, non poté fare a meno di pensare che
lui ci aveva creduto davvero, che potesse funzionare. Aveva creduto in
Sebastiano, aveva creduto di aver trovato finalmente un posto dove
stare, la felicità. E invece si ritrovava con un pugno di mosche, con
tanti ricordi che pungevano come spine e le lacrime che finalmente
uscivano.
Singhiozzò rannicchiato su sé stesso, sperando che Sebastiano arrivasse.
Ma non fu lui a trovarlo.
Una
mano gentile si posò sulla sua spalla, discreta, quasi sapesse che non
sopportava essere toccato, soprattutto quando si stava mostrando debole
come in quel momento.
-Hei- disse una voce sottile che riconobbe subito.
-Gin- esclamò stupito, alzando il viso rosso e bagnato.
-Michele
mi ha chiamata non appena tu sei uscito. Io gli ho urlato di tutto e
poi sono uscita a cercarti. Quei due sono davvero degli idioti, lo so-
disse, e per la prima volta da tre giorni un sorriso si aprì sul viso
di Fabio.
La
casa di Ginevra era elegante e discreta come lei. Piccola ma
accogliente, le tonalità del blu facevano da padrone, dalle piastrelle
della cucina al divano dove erano seduti. Lei gli aveva piazzato una
birra ghiacciata in mano e ora che la stava sorseggiando sentiva che
poteva quasi dire di stare meglio.
-Coraggio-
disse Ginevra, sorridendogli dolce -Sfogati. So che tenere tutto dentro
per questi tre giorni ti avrà fatto impazzire.-
Fabio
piegò gli angoli della bocca in un sorriso debole, Ginevra lo conosceva
bene. Era una ragazza discreta ma attenta, non si immischiava mai in
situazioni che non le competevano.
Essere
la ragazza di Michele, tuttavia, le dava il diritto di immischiarsi. Ma
era un intrusione così delicata da non dare fastidio.
-Non
so Gin. È tutto un casino. Michele mi tratta come se fossi un estraneo
e Sese peggio. Non mi parla nemmeno, mi evita e lo so che ho un
carattere del cazzo ma non riesco a stare in una situazione del genere.
Non penso di meritarlo, non penso di aver fatto nulla di male.-
Sentì la ragazza sospirare e bevve un sorso di birra.
Sapeva
che era in arrivo una paternale, ma da lei poteva accettarla. Anzi gli
sembrava quasi di volerla, perché lui dentro quella situazione ci stava
così male da aver perso tutta la sua già poca obbiettività.
Il parere di Ginevra forse sarebbe stato decisivo.
-Penso
che non ci siano colpe né meriti, in questa storia. Come nella maggior
parte dei casi- esordì lei: - Michele è venuto da me immediatamente,
non appena ha scoperto di voi due, e devo dire che non mi ha sorpresa
per niente. Era chiaro a tutti che vi morivate dietro a vicenda-
ridacchiò della faccia sorpresa del ragazzo - Andiamo, era davvero
palese! Comunque era sconvolto e non sapeva cosa fare, sono stata io a
dirgli di prendersi un po’ di tempo per metabolizzare la notizia.- si
morse un labbro, assumendo un espressione triste. Fabio era pronto a
scommettere sulla sua buona fede, solo che si stava infilando in una
situazione più grande di lei, più grande di tutti loro.
-Mi
dispiace che abbia seguito il mio consiglio in questo modo distorto.
Non voleva finire per scoppiare e urlare contro voi due, stava cercando
di trattenersi per accettare la cosa e ha finito per far male a tutti,
se stesso per primo-
Fabio la guardò, in silenzio. Non aveva mai pensato alla questione sotto quel punto di vista.
-Riguardo
Sebastiano non so dirti molto, ma da quello che mi dice Michele, quando
sta male tende a diventare egoista, a non considerare che anche gli
altri soffrono e a chiudersi in se stesso. Un comportamento molto
comune se ci pensi. Tutto il dolore è egoista. Penso che stesse così
male e avesse così paura che non ha pensato a quanto ti stesse facendo
soffrire.-
Il ragazzo posò la birra, dopo averla finita con un lungo sorso.
Era
vero, Sebastiano era così. Si perdeva nella sua testa, soffriva, e non
si rendeva conto che anche gli altri stavano male, non si rendeva conto
di quanto stesse lentamente uccidendo chi gli stava vicino. Con Michele
si era comportato così e aveva visto quanto il ragazzo era stato sul
punto di spezzarsi per sempre.
Ginevra continuò a parlare:
-Tu invece sei impulsivo e non pensi.-
Rise
dell’espressione corrucciata che aveva assunto il viso di Fabio,
posandogli una mano sulla spalla per fargli segno di farla continuare.
-Se
avessi pensato avresti capito che stavano cercando di affrontare la
cosa a modo loro e che dovevi solo dargli tempo, perché Michele ti
vuole bene, ti adora letteralmente e da quel che ho capito anche
Sebastiano. Devono risolvere la cosa fra di loro e finché non l’avranno
fatto non c’è nulla che tu possa fare. Andandotene così hai solo fatto
precipitare le cose, costringendoli a parlare di una cosa che ancora
non sono pronti ad affrontare-
Fabio
rimase in silenzio un lungo attimo, l’analisi della ragazza era precisa
ed esauriente. Si vedeva che stava studiando psicologia.
-Non so se incazzarmi o darti ragione-
Lei
sorrise, alzandosi dal divano per prendergli un’altra birra. Si era
trasferita lì per studiare, i suoi genitori erano benestanti e le
avevano comprato quell’appartamentino, per cui viveva da sola e
sembrava in genere molto più matura di tutti loro.
-Puoi anche fare entrambe le cose- rispose lei, porgendogli la birra già aperta.
-E
puoi dormire qui questa notte. So che odi far preoccupare i tuoi, e
capitare a casa all’improvviso con quella faccia lì non è il
massimo-
Fabio la guardò, adorante. Peccato solo che fosse una donna.