FOLLIA
1
capitolo
LOST BOYS
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Tutto è
andato, tutto
è finito: ponetemi sul rogo;
la festa è
terminata e
le lampade si estinguono.
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Il corpo urla per i
colpi ricevuti e il viso è una maschera di lividi. La
bellezza
dei lineamenti risalta anche attraverso le abrasioni, ma Alistair non
si sente bello. Si sente stanco e indolenzito. Si trascina verso il
bagno, apre l’acqua aspettando che riempia la vasca e intanto
sì
Spoglia, prestando attenzione a non fare movimenti bruschi. Il bagno
è pieno di vapore, appanna lo specchio a figura intera e
crea
strani disegni sulle piastrelle blu notte, disegni come sogni di
luoghi sconosciuti e bellissimi, dove ci si potrebbe perdere, dove
sarebbe dolcissimo perdersi, nella pace e nella tranquillità
di un tramonto senza fine.
Dolore.
Dentro l’anima, come se
fosse lacerata da artigli crudeli e poi la stessa mano entrasse nel
suo petto a stritolargli il cuore.
Non piange.
Se
incominciasse non finirebbe più.
Si alza in piedi e si
avvicina allo specchio muovendosi con cautela, con questo dolore
dentro che ad ogni passo è come se precipitasse in un
abisso.
Si guarda, percorrendo con gli occhi verdi il corpo pieno di lividi e
tuttavia muscoloso, i capelli corvini lunghi fino alle spalle che gli
ricadono in ciocche disordinate davanti al viso pallido, gli occhi
verde smeraldo sembrano aver rubato al viso tutto il colore, insieme
alle labbra rosse, gonfie e spaccate nel mezzo. Se le sfiora con la
punta dita, sussultando al contatto e ricordandone uno più
violento… la mano forte, callosa, il fiato pesante, le
urla…stringe
gli occhi. No. Non vuole pensarci adesso.
“basta”
Mormora,
la voce rotta da un presagio di pianto, si volta e controlla la
temperatura dell’acqua.
Bollente.
Come piace a lui.
Gli
farà male sui lividi ma ha sempre adorato l’acqua
caldissima…è una delle poche cose cui non
rinuncia.
S’immerge con una smorfia ma subito il dolore lascia il posto
alla
calma e alla beatitudine di quell’acqua bruciante che gli
accarezza
il corpo. Le tensioni spariscono, la volontà si annulla e
finalmente Alistair si copre il viso con le mani
- e piange-
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“Papà”
Mormora Shadè muovendo
appena le labbra in un grido silenzioso, lacerante.
“Papà”
E poi lo sfinimento, gli occhi vuoti come un mondo nero, fatto di
ombre e tranelli, ingannevole e falso, eppure puro nella sua
oscurità. I capelli tinti di un rosso sgargiante tendente al
viola ricadono in corti boccoli sugli occhi e sul collo,
solleticandone la pelle sensibile e donandole un aria sbarazzina. Si
circonda le gambe con le braccia, stringendosele al petto quasi a
volersi proteggere dal mondo, mondo crudele, freddo, cattivo.
E
quella litania ripetuta all’infinito, come se quel nome
sparato a
bruciapelo nel silenzio della stanza fosse la mano del padre che la
colpiva e la voce impastata che la insultava.
Suo fratello che si
parava davanti a lei per proteggerla.
I suoi gemiti di dolore.
La mano destinata a lei che calava sul viso candido di Alistair.
Il silenzio assordante quando quel ’uomo
– suo padre -
suo PADRE -
Era uscito da casa per andare ad ubriacarsi in
qualche bar.
I singhiozzi di suo fratello che giungono da dietro
la porta del bagno.
La voglia di andare a consolarlo e la
stanchezza che impedisce di muoversi.
Il vuoto dentro di lei.
La
negazione di tutto ciò che è successo.
“Quello
non è mio padre…
papà…aiutami”
La confusione
nella sua testa.
Dio la confusione...
...E poi come finirà?
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Si passa una mano sottile nei capelli
biondi, spettinandoli ancora di più, lampi azzurri
s’intravedono attraverso le sue palpebre socchiuse e stanche,
la
sigaretta che pende molle dalle labbra piene e morbide.
“Che
palle” borbotta strofinandosi gli occhi “devo
cambiare lavoro”
sposta lo sguardo sulla piccola finestra sporca che dà sulla
strada, la notte allunga le sue braccia sul mondo, muto esistere di
luce e buio.
Il regno dell’oscurità è iniziato.
Il suo regno.
Si nutre del nero della notte e beve il vento
che implacabile soffia sulla città.
Un sorriso sardonico
si dipinge sul suo viso pallido, ironia per combattere la sofferenza
insita in lui “la mia vita” un mormorio indistinto
che si perde
nel vuoto della stanza. Si alza barcollando e lentamente accende le
varie candele sparse per la casa, un rito quasi, candele nella notte,
per illuminare la sua anima, il suo dolore, un po’ di luce
per lui,
per scaldarsi dal grande freddo di quest’epoca. Apre il frigo
desolatamente vuoto e con una smorfia lo richiude
…”digiuno anche
stasera” un leggero disappunto nella sua voce…ma
in fondo lui
ormai c’è abituato e non gli dà
granché
fastidio non mangiare per un po’. Però una birra
ci vuole.
Si spoglia in fretta e si butta sotto l’acqua gelida della
doccia,
scorre in rivoli freddi sulla sua pelle marmorea, il suo corpo
sottile, quasi androgino, e i pensieri che lo assalgono, il dolore,
strisciante, enorme, farsi strada in lui, soffocarlo quasi,
così
grande da graffiargli l’anima fino a farla sanguinare.
Vorrebbe
ripiegarsi su se stesso, nella sua mente, nella sua anima e nn
pensare più.
E non fare più nulla…
Ma c’è
questo dolore dentro…
Dal diario di Johann Winckleman, 1
dicembre 1999
Non so che fare…tutto cade a pezzi e i
frammenti della mai anima si sparpagliano nel silenzio.
La
follia.
L’impossibile parto di una mente sconvolta
Si può
impazzire di solitudine?
Quanto ho camminato?
Quante ne ho
viste?
Quante ne ho fatte?
Ed ora?
Qui!
Ascolto blues
Nn mi consola
Ho al morte dentro
-che c’è nn
credi + alla vita?
Si ci credo!
-ed allora vivi!
Ma sto
vivendo
Vivo la morte
L’annullamento
Hai voluto troppo
No io voglio tutto
Voglio vivere
Lasciami vivere il mio
annullamento
Ho solo dolore
Determinazione
Confusione
Non riesco + ad amare
Riesco solo a sopportare
Finché
scoppierò
Scoppierò scoppierò
E con il
mio sangue
Sporcherò tutti
I volti sapienti
E i
volti avidi
I volti di coloro che hanno
Troppi ideali che
avevo
Per troppo tempo perseguito
Si sono sciolti come
Neve
al sole
Hanno lasciato solo fango
Ma è dal fango
Che
nascono i fiori
L’erba
Ora sono vuoto
O troppo pieno
Voglio vivere
Vivere
Mi dicono che ho voluto troppo
No
io voglio tutto
Tutto anche la merda
Chi riesce a mangiare la
merda?
Mille occhi mi guardano
Mi spiano discreti o
indiscreti
Tutti vogliono sapere
Avere qualcosa da me
A
mala pena riesco a dare silenzio
Vorrebbero la mia rabbia
La
mia energia
No io nn la darò a nessuno
Continuerò
la mia strada
È una strada lunga
Conduce alla pazzia
O alla vita?
Ora vado…x il pazzo
Il vecchio,
l’impotente, lo squallido, il cencioso
Il cane
Ho imparato
molte cose
Dal cane
Chi potrebbe descrivere
Il mio
viaggio?
Chi se nn io
Io che non lo voglio
A che serve
descrivere
Ad uno che nn capisce
Perché troppo pieno
del suo sapere?
E poi che parole usare
X un viaggio che sta
compiendosi
Tutt'ora mentre scrivo
Quale penna riuscirebbe
A
fissare un pensiero?
La mia nn ci riesce
Xò mi sfogo
un pokettino
Mi sfogo come se bastasse
Scrivere x sfogarsi
Nn mi voglio sfogare
Voglio distruggermi
Davanti ai
vostri occhi
Mi sono sciolto come una candela
Ma ho fatto
vedere
Fino all’ultima luce
Continuerò a sciogliermi
Alla fine forse mi muoverò
E agirò x qualcuno
X qualche cosa
X me.-
Rilegge le parole che ha
scritto quella mattina appena tornato dal lavoro e trovandosi suo
padre in casa. Suo padre gli faceva sempre quell’effetto
devastante…come se amplificasse di cento volte i suoi dubbi
e i
suoi pensieri.
Andarsene di nuovo.
Via da tutto.
Perché
si era fermato?
Non lo ricorda più… forse perché
era stanco. O è stato costretto?
Stringe i denti…bastardi
ipocriti. I suoi genitori rinchiusi nella loro piccola vita.
E
una nuova notte che lo aspetta.
È un lavoro pesante il
suo… e soprattutto pagato poco, ma è un modo come
un altro
per guadagnare, a lui che potrebbe avere tutto…a lui a cui
nn
sarebbe negato nulla se solo lo
volesse…lui…sceglie di vivere
così.
“e poi c’è quel ragazzo
nuovo…ha degli
occhi tristi”
Pensa prima di uscire ed affrontare una nuova
notte
“chissà se anche stasera viene”