FOLLIA

2 Capitolo
Sonata of Illusion

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Il saggio disse: "trova il tuo posto
Nell'occhio della tempesta
Cerca le rose lungo la strada
Ma stai attento alle spine"
Scorpion

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Il locale si trova appena fuori della città, un posto piuttosto squallido a dire la verità, e in altri momenti Johann sicuramente si soffermerebbe ad osservare tutto come fa ogni sera…ma questa volta c’è il vento.
Il vento gelido che graffia il viso e le sue guance pallide e spettina i pensieri in testa.
I pensieri.
Come lame affilate.
Suo padre e la sua famiglia…così incredibilmente ottusa nelle proprie convinzioni, rivede il collegio dove è cresciuto, poi la sete di mondo che aveva addosso, la sete di infinito, di libertà, tutti i paesi, le città. Piccoli mondi che proseguivano la loro vita indifferenti. Ma a lui piaceva, lui così poteva essere quello che voleva e nessuno lo costringeva a fare nulla. Allora perché era tornato?
Le porte del locale notturno si stagliano davanti ai suoi occhi azzurri, enormi, quasi volessero contenere la notte e l’eternità, scomparire in essa. Entra nel locale e lo sguardo corre automaticamente al bancone, c’è ancora.
Lo sguardo triste, i capelli neri raccolti in una coda morbida, il fisico asciutto, muscoloso, bellissimo. Scrolla le spalle come per togliersi dalla mente quei pensieri assurdi, lui è già stato con altri uomini non ha problemi, ma per l’altro nn saprebbe dire. Si avvicina lentamente, le movenze feline e tutta l’attenzione concentrata su di lui, lui che adesso lo sta fissando freddamente, può quasi sentirli su di se,
I suoi occhi,
Sfiorargli il corpo, scivolargli fra i capelli , entragli dentro.
Hanno un intensità bruciante.
Alistair osserva il ragazzo appena entrato, lunghi capelli biondi e un corpo sottile e forte.
Ma perché poi l’ha notato.
Gli piacciono i ragazzi ok…ma ha già abbastanza problemi di suo. Con suo padre e… con Shadè. Shadè… stringe gli occhi passandosi un mano nei capelli, ricorda quella sera prima di uscire, ricorda la sua espressione vacua, le braccia diafane strette intorno a lui, la voce sperduta…
“oddio non ce la faccio da solo”
Un pensiero chiaro, così limpido e forte che teme di averlo detto ad alta voce, ma vicino a lui che lo osserva c’è solo il biondino.
Che lo osserva un po’ troppo fissamente a dire la verità.
Aspetta che gli dica qualcosa, magari che lo tratti male per avere la scusa di attaccare bottone…ma se aspetta lui sta fresco.
Johann si siede vicino al bancone e continua ad osservarlo, sfacciato quasi, non saprebbe dire neanche lui perché lo incuriosisce tanto, ma intuisce che dietro la sua aria fredda e indifferente c’è qualcosa… il suo gesto di prima lo testimonia chiaramente.
Quella disperazione a stento trattenuta.
“Chissà come sarebbe fare l’amore con lui”
Sentire le sue mani forti su di se e quel corpo perfetto dentro il suo…stringe le gambe…ecco, ci mancava solo eccitarsi prima di lavorare!
È da poco che il ragazzo lavora li…una o due sere,
Ma il suo urlo è forte.
L’urlo della sua anima lacerata, fatta a pezzi e sbranata.
L’urlo di chi non spera più nulla perché non crede ci sia nulla più in cui sperare.
Lo sente perché quell’urlo è anche il suo. È come se creassero una musica,
La morte delle illusioni.
O degli ideali.
E perché fa così male doversi specchiare negli occhi tristi di un ragazzino?
Oh! Poterlo possedere, scoprire la fonte del suo dolore e abbeverarsene… ma erano pensieri assurdi. Assurdi. Non c’era nessuno che poteva aiutarlo nel suo cammino. Oddio detta così sembra una di quelle cose mistiche…e forse per lui in un certo senso lo è, un cammino all’interno della sua umanità. Per scoprire il senso
-se c’è-
Il senso dell’esistenza.
Il senso che non esiste.
Il senso perduto in mezzo alle migliaia di strade che nel mondo ha visitato.
Perduto…o ucciso forse.
– ucciso-
Nelle mani di coloro che siedono dietro a una scrivania e stritolano il cuore dietro a un foglio bianco. Come la loro anima.
Non è la superficialità la loro colpa.
La colpa è la loro cecità, il loro chiudere gli occhi davanti alla perfidia, all’odio che acceca.
La superficialità è la condanna.
La condanna a una vita di solitudine per i mali commessi.
E se se ne rendessero conto –oh se solo…- la condanna si alleggerirebbe e la solitudine sarebbe sopportabile.
Guarda Alistair in silenzio.
Guarda i suoi occhi verdi.
La sua anima a pezzi.
Lo guarda ed è come se facesse l’amore con lui, solo con uno sguardo, sguardo bellissimo- l’unico che forse ci potrebbe salvare- che non prende nulla, ma solo riceve, riceve - negli occhi- il mondo.
Alistair si sente quasi violato… nel suo essere più intimo.
Nel suo cuore.
Quello sguardo in pochi secondi ha capito di lui più di quanto non abbia capito lui stesso.
Ed è sconcertante… sconcertante che invece di esserne inorridito… ne sia quasi FELICE.
Il peso dei suoi 19 anni gli sembra più sottile adesso.
Leggero.
Solo a vederlo.
E deve parlare, parlare per superare quell’attimo di smarrimento, parlare e dire la prima cosa che gli viene in mente.
“devi prendere le ordinazioni a quel tavolo”
Dolcemente
Ridicolo forse
Ma lui non è abituato a parlare con gli altri
E a dire la verità questa è la prima volta che sente il bisogno di far sentire la sua voce a qualcuno, “ok”
Sornione
Come se avesse capito tutto e stesse al gioco
Come se non potesse fare altro che assecondarlo.
E la notte si srotola come un serpente maligno, demoniaco, e allunga le sue spire sul umanità.
Le due.
Ora di tornare a casa sperando che suo padre sia ancora in giro e non abbia picchiato di nuovo Shadè. Così fragile. Basterebbe un soffio per spezzarla. Lei che nega tutto e si richiude nel suo mondo, è terribilmente preoccupato per sua sorella… non vuole perdere anche lei. È la cosa più importante, per cui è rimasto a casa e non è scappato quando ha potuto, per lei che non sopporterebbe la fuga da casa, per lei che sembra una bambolina di porcellana.
Per lei.
Cerca con lo sguardo il biondo, a dire al verità non ha certo bisogno di cercarlo… non l’ha mai perso di vista! Si avvicinano e Alaistair sussurra:“ devo andare”, così. Come se fossero una coppia di vecchi amanti,
E Johann alza la mano
E per la prima volta
Lo sfiora.
La guancia calda con le dita tiepide, un contatto struggente, quasi disperato, in mezzo alla folla indifferente, scende con la mano a lambire le labbra spaccate, lo sente tremare e non saprebbe dire se per il dolore o per l’eccitazione, o per tutti e due.
È incredibile come riesca a leggere nei pensieri di quel ragazzo triste, a intuirne il cuore spezzato, il bisogno di qualcuno vicino.
Come lui.
E le dita che lo accarezzano piano,
Una piuma,
Brividi che si spargono per tutto il corpo, caldi, che gli fanno desiderare di più, non gli importa del dolore, delle labbra rotte, di nulla.
Finche può stare così.
Con la sua pelle addosso.
Appoggia il viso alla sua mano e lo strofina leggermente, nuovi brividi e nuovo calore e gli occhi incatenati, lo sguardo azzurro e quello verde, due mute richieste d’aiuto che si intrecciano affogando nella mente e approdando nel cuore.
Poi senza dire più nulla si volta e se ne va.
E fino a domani avrà lui in mente,
Lui che nemmeno sa come si chiama, l’unica persona a cui ha mai chiesto aiuto in vita sua.