NOTE: è stato difficile scrivere questa storia perché non capivo esattamente dove volevano andare a parare Frank e Gerard. Sapevo come doveva svolgersi, cosa sarebbe accaduto, ma non avevo idea del rapporto che avevano e come si sarebbe evoluto, né tantomeno avevo idea che volevano fare un discorso simile sulla debolezza e sulla paura.
È stato bello scoprirlo mentre scrivevo ^O^.
Comunque. È vero che in rete circola un audio di Frank, risalente al 2003, che chiede aiuto per ritrovare Gerard, sparito da tre giorni lasciando solo un messaggio in segreteria dove diceva che andava a diventare il nuovo Jim Morrison e che se ne sarebbe andato in autostop. La voce di Frank è davvero seria e molto tesa, gira anche su you tube, ascoltatelo se potete. È vero anche che per un periodo Mikey e Frank hanno abitato assieme. Come tutti sanno il periodo di droga e alcolici per Gerard finirà solo nel 2004, quindi aveva ragione Frank, ne passeranno ancora tante, prima di uscirne. L’accenno a The Black Parade, è appunto solo questo: un accenno. Non era stata scritta all’epoca, era in lavorazione Revenge, non Parade, però mi piaceva l’idea che fosse comunque una traccia a cui Gerard pensava da tempo, se la coccolava nella mente e aspettava che crescesse, nutrendola per quando sarebbe stata pronta a venire alla luce. Come faccio io per tutte le mie fic praticamente :P. Bene, questa fic partecipa al contest delle situazione di Akane, che ha dato il permesso di postare. Non so a che posizione arriverà, voi incrociate le dita ^O^.
PS: La canzone sotto il titolo è quella che Akane ha scelto per sottofondo alla fic, è anche il riferimento che Gerard fa durante i suoi deliri di conseguenza cliccate sul titolo per aprire il video...

I lost my fear or falling

seconda

/Welcome to the black parade/

La discesa,

fatta di disperazioni
e senza risultato
conduce a un nuovo risveglio
che è il rovescio della disperazione.

A quello che non possiamo realizzare, a quello
che all’amore è negato,
a quello che abbiamo perduto nell’aspettativa
segue una discesa,
interminabile e indistruttibile.
-William Carlos William-


Zero, uno, due…
La stanza smette di girare, si ferma e tutto torna a fuoco.
…tre, quattro, cinque…
Lo sporco che si rintana ovunque sparisce e tutto torna pulito, limpido, puro.
…sei, sette, otto…
La testa smette di pulsare e di fare male, i pensieri smettono di uccidere.
…nove, dieci, undici…
Il mondo sparisce.

Gerard scuote la testa; non funziona, questo è chiaro. È un incantesimo che gli ha insegnato sua nonna, da piccolo. Quando qualcosa faceva paura, quando il buio minacciava di soffocarlo, bisognava sconfiggerlo in qualche modo, tenerlo lontano. Allora si rintanava sotto le coperte, tutto stretto, rannicchiato su se stesso come una palla, e recitava febbrile quella nenia. All’epoca funzionava sempre, si addormentava sfinito, ancora con gli occhi stretti stretti e il viso bagnato di lacrime, ma di brutti sogni non ne faceva.
Da grande ha smesso di farlo ormai, o meglio, lo fa molto meno spesso e ha perso efficacia. L’ultima volta che ci ha provato è stato quando è morta sua nonna.
Ha desiderato che non fosse successo nulla, di svegliarsi col caffè appena fatto che Helena gli porgeva sempre, col suo sorriso e le sue domande su com’era andato il concerto l’altra sera. Non ha funzionato. Si è svegliato solo, con Mikey che entrava in camera con uno sguardo più perso del suo e lo vedeva che voleva dirgli qualcosa, qualunque cosa, ma le parole non erano uscite.
Anche lui ci aveva provato, a fare l’incantesimo, glielo leggeva negli occhi, e nemmeno nel suo caso aveva funzionato.
Allora avevano smesso di farlo, di provarci, perché non ha senso un incantesimo che non è in grado di riportare indietro la persona più importante della loro vita.
Prima di allora aveva sempre funzionato. Aveva desiderato creare qualcosa di grande, qualcosa che potesse far star meglio le persone come lui, ed erano nati i My Chemical. Aveva desiderato che Frank facesse parte della loro band, e lui aveva accettato entusiasta la proposta. Aveva desiderato diventare la persona più importante per Frank, e lui aveva messo da parte tutto per seguirlo.
Evidentemente la morte di sua nonna mette fine ai giochi. Basta desideri, basta incantesimi. La magia è morta con lei.
Il mondo è morto con lei.
Si stringe su se stesso, dondolandosi un po’, cullando i pensieri, cercando loro un posto dove possano riposare, dove facciano meno male.
-Fanculo- mormora, mordendosi le labbra. Ovviamente non funziona. Loro sono ancora lì, sono sempre lì, li può sentire agitarsi, distruggere il suo piccolo universo fatto di certezze che pensava non sarebbero crollate mai. Avrebbe dovuto saperlo che arriva sempre Lei a mettere fine a tutto; ai sogni, ai desideri, alla felicità. Arriva la Morte e tutto si china a Lei, Nera Signora che in un sospiro fa implodere il mondo e guarda indifferente la sua rovina.
Cerca qualcosa nello zainetto che si è portato dietro, le mani tremano, la morte è sempre lì. Ha bisogno che faccia meno paura, e se l’incantesimo non funziona più, ha solo un modo per azzerare tutto.
Quando sniffa la polverina bianca, qualcosa nel petto sembra distendersi, improvviso. Ecco che arriva il sogno implacabile che trascina il mondo nel buio, ecco che arriva la parata nera che finalmente cala l’oblio ai suoi pensieri.
Quasi se la immagina, un corteo deforme e nero, dove le paure della gente prendono forma e diventano strane creature desolate e tristi.
Quasi si immagina se stesso sul carro che avanza portando la distruzione, cancellando qualunque paura, facendo avverare gli incubi più oscuri per poterli finalmente esorcizzare. Ride, isterico. Sarebbe una bella canzone, quando le mani smetteranno di tremare potrebbe scriverla. Ora come ora non riesce nemmeno a parlare, la voce esce roca e bassa, graffia la gola rifiutandosi di obbedirgli. In quelle condizioni dubita che qualcuno riesca a riconoscerlo, anche se si decidesse a chiamare i suoi amici.
Ricorda a malapena il messaggio delirante che ha lasciato in segreteria a Mikey, qualcosa a proposito di diventare il nuovo Jim Morrison. Beh, è decisamente sulla buona strada. Ancora a bucarsi non è arrivato, ma non dubita che prima o poi sniffare e basta non sarebbe più bastato.
Forse dovrebbe fermarsi finché è ancora in tempo, come gli ripete sempre Ray, l’unico con cui abbia parlato sinceramente del suo problema con la droga e con l’alcool. E con le pastiglie. Gli altri sanno poco e nulla, spizzichi e bocconi, intuiscono qualcosa, ma sicuramente non immaginano quanto dentro ormai sia andato.
Mikey ha i suoi problemi con l’alcool da affrontare, con Bob non ha mai avuto il coraggio di farsi vedere così debole e spezzato. Frank è un discorso a parte, è un discorso complicato. Vedere il disprezzo e la delusione nei suoi occhi lo ucciderebbe davvero, ma sarebbe una morte brutta e dolorosa, diversa dalla morte salvifica che gli promettono le pastiglie e il resto.
Perché una cosa Ray non ha mai capito.
Lui non è più in tempo. Lui non potrà mai dire di essere davvero in grado di salvarsi, perché è consapevole con tutto se stesso che indietro ormai non si torna.
Sente le lacrime uscire, indesiderate ma potenti. Non riesce più a mandarle via, ormai è perso, il suo corpo non risponde più. Afferra la bottiglia di Vodka che ha appoggiato accanto al letto squallido di quel motel, e ne beve un lungo sorso. Forse l’alcool riuscirà a intorpidirlo ancora. Il muco si incrosta con le lacrime, formando una maschera disgustosa che non riesce a cancellare. Si asciuga con le maniche della felpa, ma il naso brucia ed è rosso, anche se tira su il muco, questo esce lo stesso.
-Fanculo- ripete, più basso stavolta, più disperato.
Puzza di sudore e di alcool, di vestiti bagnati e di disperazione. È brutto quando si arriva a disprezzare se stessi in questo modo.
Forse la parata nera raggiungerà anche lui, forse riuscirà a spazzarlo via.
Forse i pensieri riusciranno a fare meno male, forse qualcuno riuscirà a trovarlo nonostante tutto.
Forse la morte ha risparmiato la magia.
Se solo Frank lo abbracciasse, riuscisse a guardarlo senza provare disgusto per quello che è diventato. Se solo gli giurasse che tutto sarebbe andato bene, che lo avrebbe salvato. Se solo lo baciasse e gli desse un po’ della sua forza, un po’ della sua incredibile volontà di tirarsi fuori dalla merda che ha minacciato di mangiare anche lui.
Se solo la fottuta bottiglia di Vodka smettesse di cercare di uscire dal suo stomaco e non si riversasse per terra, in una pozza di vomito che lo fa piangere ancora più forte.
Dio che schifo.
Che schifo che fa, che è diventato. Non riesce nemmeno ad alzarsi per andare in bagno, continua a vomitare sul pavimento. Almeno ha avuto la forza di sporgere la testa e non si è vomitato addosso come al solito.
Si lascia andare sul letto, sfinito.

Spalanca gli occhi mentre Mikey gli fa ascoltare il messaggio, incredulo. Che cazzo voleva dire? Che cazzo sta succedendo che nessuno si azzarda a dirgli?
Guarda Bob che scuote la testa, sorpreso quanto lui. Mikey è evidentemente fuori di testa, continua a piangere e urlare, isterico, da lui non riuscirà a sapere nulla.
Allora si volta verso Ray. Lui non è sorpreso. Stringe le mani a pugno, piantandosi davanti a lui.
-Che cazzo sta succedendo?- sibila. Ray storna lo sguardo, mordendosi le labbra carnose. È a disagio. Gerard deve avergli detto qualcosa, e deve avergli fatto promettere di non dirlo a nessuno. Ma se solo lui sa dove cazzo si trova adesso, se solo lui sa cos’è questa follia, e si rifiuta di dirglielo, allora sarebbe capace di ucciderlo con le sue mani.
-Gee non sta molto bene ultimamente- dice Ray, a disagio.
Non gliene frega un cazzo del suo disagio.
-Spiega- esorta, il viso una maschera inespressiva.
-Ho promesso di non…-
-Non me ne fotte niente, Ray! Gee è sparito sparando cazzate, è andato via in autostop per Dio! Potrebbe essergli successo qualunque cosa, e adesso tu mi dici che cazzo ha!- sbotta infine, avvicinandosi pericolosamente all’amico, che si ritrae, spaventato da quello che gli legge negli occhi.
-Non è solo alcool Frank.- si rassegna a dire alla fine. La furia che legge negli occhi di Frank è molto più spaventosa di qualunque reazione potrebbe avere da parte di Gerard.
-Ha cominciato a sniffare, abbastanza regolarmente, e prendere pastiglie perché non riusciva più a dormire. Calmanti per lo più, ansiolitici, antidepressivi, di tutto. Il fatto è che mischia tutto assieme, senza criterio. Una mattina è venuto da me, completamente disfatto e senza voce, non ricordava nemmeno quello che aveva fatto nel week end. Non riusciva a emettere una nota ed era terrorizzato che questa cosa rovinasse il tour, di non riuscire più a cantare.-
Per un attimo solo il silenzio gli risponde. Ray ha taciuto sulla disperazione che aveva Gerard negli occhi, sulle sue mani che tremavano e sul corpo scosso dai singhiozzi. Ray ha taciuto ma Frank riesce a leggere ugualmente queste cose e ne è terrorizzato.
Perché non ha mai immaginato che l’amico potesse essere arrivato a questo punto. Sa che beve troppo, si ubriaca facilmente e va fuori di testa. Aveva immaginato qualcosa sulle pastiglie, anche lui ne prende alle volte, e anche lui si risveglia dopo due giorni senza sapere un cazzo di quello che è successo tanto si è sballato. Ma questo è diverso. Lui lo fa per sballarsi e basta, Gerard lo fa per scomparire.
-Perché non è venuto da me?- mormora poi, quasi sconfitto dall’enormità di quello che è venuto a sapere. Di quello che si è rifiutato di vedere, convincendosi che Gerard sta bene, che è una cosa momentanea, che se ne sarebbe reso conto se sarebbe diventato un problema. Beh un problema lo è già da tempo, ma evidentemente lui non è abbastanza in gamba per fare qualcosa, anche solo accorgersene.
Ray scuote la testa. Non lo sa.
-Conoscendo Gee non è venuto da noi perché aveva paura.- si intromette Mikey. Ha ascoltato il discorso di Ray senza sorprendersi più di tanto, la crisi isterica finalmente placata, ma un terrore negli occhi che Frank non gli ha mai visto.
-Di cosa?- chiede sottovoce, come se le forze improvvisamente fossero sparite, la sua energia prosciugata.
Mikey scuote le spalle e Frank capisce. Gerard ha paura di così tante cose che è difficile quantificarle tutte. Paura che non capiscano, che non gliene importi, che lo giudichino. Un mare di cazzate.
-Cosa facciamo adesso?- sussurra Mikey, le lacrime che si affacciano ai suoi occhi. Se Mikey è così spaventato allora la situazione è grave. Se lui che conosce Gerard meglio di tutti ha così paura, vuol dire che non si risolverà bene.
-Aspettiamo che torni- risponde con fermezza Bob, è rimasto in silenzio fino a quel momento, non voleva intromettersi in qualcosa di troppo privato.
-A volte non si può fare altro- conclude, intrecciando le mani.
Frank sente un enorme bolla di angoscia salire nel petto, opprimergli la trachea e soffocarlo. Aspettare. Non è fatto per aspettare, non è da lui.
Si siede accanto a Mikey, che è sprofondato nel divano e non accenna ad alzarsi, quasi che la crisi isterica avuta prima lo avesse prosciugato.
Lui lo sta ancora guardando, aspettando la sua risposta, come se Bob non avesse mai parlato.
Si morde le labbra, in silenzio.
Mikey pensa che lui e Gerard siano quanto di più simili a due esseri inseparabili ci siano, che lui deve per forza avere la risposta giusta, o per lo meno una più soddisfacente di uno sterile: aspettiamo.
Solo che non ne è più così sicuro.
Se davvero la sua amicizia contasse tanto per Gerard, avrebbe superato le sue paure per chiedergli aiuto. Non sarebbe andato da Ray.
Se davvero lui fosse un buon amico si sarebbe accorto molto prima delle condizioni di Gerard.
Non è più così sicuro di sapere cos’è giusto fare in quel momento.
Non è così sicuro di sapere cosa dire a Mikey che lo guarda, fiducioso e sicuro che lui risolverà tutto ora che conosce la situazione.
-Aspettiamo- si rassegna a dire alla fine, sospirando insoddisfatto.
-E nel frattempo giuro che rivolterò questo cazzo di mondo per trovarlo, ok?- sussurra poi, perché non sopporta lo sguardo così sperduto di Mikey, non sopporta l’idea che Gerard ne possa avere uno identico addosso, in quel momento, per cui almeno uno dei due deve riuscire a toglierlo via.
-Te lo troverò, Mikey- questa volta la voce è decisa e strappa un sorriso al ragazzo, piccolo ma è già qualcosa. Si rannicchia contro il suo fianco e Frank lo stringe forte.
Non è Gerard, ma è quanto di più vicino a lui ci sia, un pezzo della sua anima. Sa che se Gerard gli potrebbe perdonare di non essersi accorto della disperazione che evidentemente prova, non gli perdonerebbe mai aver lasciato suo fratello nel caos.

Il vomito si è asciugato, incrostandosi. Ha pagato la receptionist, se così si poteva definire la ragazza dall’aria un po’ stordita che l’aveva accolto, per non essere disturbato. Dubitava che l’avrebbero fatto comunque, quell’motel ha davvero l’aria di essere il posto perfetto dove prostitute e serial killer vengono a rifugiarsi.
Magari uno di loro lo troverà. Almeno così il desiderio si avvererà. Il mondo per lui scomparirebbe. Prima o poi avrà il coraggio di farlo da solo, prendere una lametta e mettere fine a tutto. Il suo corpo sta già cedendo dopotutto, non ricorda nemmeno da quanto tempo è lì. Forse un giorno. Due al massimo. Tre?
Impreca, cercando a tastoni la bottiglia nuova di zecca che ha recuperato dal bar del motel. È svenuto dopo aver vomitato per l’ennesima volta, e non ha idea per quanto tempo. Forse tutto il pomeriggio. Gli pare che prima ci fosse il sole che filtrava dalle tapparelle, mentre ora è buio, quindi dev’essere per forza notte o sera.
Non ha molta importanza, in ogni caso.
È come essere dentro The wall. Un muro insormontabile, e lui che si distrugge le mani per cercare di superarlo, senza mai riuscirci. Qualcuno è in grado di gettare giù il muro di un folle?
Tutto si è allontanato e non è sicuro che ci sia davvero qualcuno, dietro quel muro, non è sicuro di essere davvero luiquello che si trova dall’altra parte. E se ci fossero gli altri invece? Se lui fosse quello che si trova nel mondo reale e gli altri fossero finiti dietro un muro invisibile fatto di ipocrisia ed egoismo? Ma fa poi tutta questa differenza?
No, non pensa.
In ogni caso, giusto o sbagliato, c’è sempre un dannato muro a dividerlo. A quel punto ogni considerazione su quale sia la parte giusta diventa pura demagogia. Non esiste una parte giusta, nemmeno una più sofferente.
Forse ne esiste solamente una più sola.
Gli altri sembrano così lontani adesso… una bolla di nulla a cui non riesce ad aggrapparsi più. Mikey, Ray, Bob… è tutto sfocato, tutto senza senso. Non si concede di pensare a Frank. È troppo doloroso.
L’idea di essersi ridotto così, l’idea di averlo deluso definitivamente. Per quello non ha ancora chiamato.
Quando l’istinto di sopravvivenza si farà più forte della paura del disgusto di Frank, allora forse riuscirà a farlo, ma spera che quel momento non arrivi mai. Il suo istinto di sopravvivenza fino adesso
ha riposato sotto coltri di foglie morte e putrefatte, e spera che ci resti a lungo. Chissà quanto tempo impiegherà per lasciarsi morire. Senza mangiare, senza bere, senza quasi respirare.
La puzza di urina è l’unica cosa che riesce ancora a sentire, disgustosa e fortissima. Non aveva la forza di alzarsi e andare in bagno.
Chiude gli occhi con forza, bevendo un ulteriore sorso dalla bottiglia.
Dio che schifo.
Che schifo.
Non riesce a sopportare l’idea di affrontare un altro fottuto giorno in quelle condizioni.
La parata nera ormai ossessiona i suoi pensieri, esseri deformi invadono la sua mente e l’unica cosa che riesce ancora a desiderare è essere divorato da loro e dare finalmente pace ai suoi pensieri.

Zero, uno, due…
Smettere di respirare
…tre, quattro, cinque…
Smettere di sentire.
…sei, sette, otto…
Smettere di esistere.
…nove, dieci, undici…

Frank?

Frank chiude la chiamata con un ringhio piuttosto frustrato.
Sono passati tre fottuti giorni e ancora di Gerard nessuna traccia.
Cerca di non pensare alla paura che gli attanaglia lo stomaco, scivolandogli viscida lungo la gola e serrandola. Potrebbe essere sperduto in chissà quale angolo della fottuta America. Potrebbe aver persino preso un aereo.
Potrebbe essere morto.
-Cazzo- sibila, sbattendo il pugno sul tavolo. Scopre che non serve a sfogare la rabbia, però sentire i lampi di dolore invadergli i nervi, inspiegabilmente gli schiarisce la mente.
Ha chiamato mezza America, tutte le conoscenze che ha e sonomolte. Però non ha ancora chiamato a raccolta tutta la blogosfera.
È rischioso, non sa esattamente come potrebbe diffondersi la notizia, però le ha provate tutte ed è stanco, spaventato e nervoso. Non sa più cosa fare. Vuole solo avere Gerard vicino a sé, vuole accarezzargli la schiena sussurrandogli che andrà tutto bene e che non è colpa sua.
Vuole fargli scivolare le labbra sul viso, come tante volte ha fatto nel buio della loro cuccetta, e l’ha sempre fatto perché voleva, mai per farlo sentire meglio.
È una cosa di cui non hanno mai parlato ma di cui entrambi sono perfettamente consapevoli.
Solo ora che il terrore di perderlo gli sembra più reale che mai, riesce ad ammettere tranquillamente che non c’è niente di male a volerlo in quel modo, che ‘fanculo tutto, loro sono più importanti di qualunque cosa.
Mikey appare sulla soglia del soggiorno, scarmigliato e con gli occhi ancora pieni di sonno.
È schifosamente presto ma nemmeno lui è riuscito a dormire per più di due ore, quindi non si sente in diritto di dirgli nulla.
-Novità?- chiede, ansioso.
Frank scuote la testa e si siede alla piccola scrivania che usano per il PC.
-Voglio provare a mandare un avviso su internet. Magari qualcuno lo ascolta e l’ha visto e mi scrive… non so più cosa fare, Mikey- ammette infine, accendendo nervosamente il Computer e connettendosi.
Sa che non può permettersi di lasciarsi andare con lui, non ne ha nessun diritto, perché è Mikey suo fratello, è lui quello che deve essere sostenuto, non è giusto che sia l’opposto.
-Pensi che funzionerà?- chiede Mikey, avvicinandosi a lui e sbirciando da sopra la spalla i suoi movimenti.
Frank si morde le labbra per non mettersi a urlare. Non ne può più di dover continuare a ripetere che andrà tutto bene, quando lui stesso avrebbe un disperato bisogno di sentirselo dire.
-Che cazzo ne so Mikey! Se avessi dei dannati poteri magici come Harry Potter l’avrei già evocato qui per poi schiantarlo, cazzo!- ringhia infine, non è riuscito a trattenersi, non è mai stato bravo a farlo.
Si pente subito del suo scatto, non appena vede gli occhi di Mikey spalancarsi sul volto magro e pallido. Ha due occhiaie spaventose.
-Scusa- mormora poi, passandosi una mano sul volto e premendosi le dita sulle palpebre.
-Scusa, è che non so. Non so è vorrei sapere, vorrei dirti che andrà tutto bene ma…- bisbiglia poi, la voce rotta. Fa una fatica immane a ricacciare indietro le lacrime.
-Ma hai bisogno che qualcuno lo dica a te- conclude l’amico per lui.
Gli passa un braccio attorno alle spalle e rimane così, cercando di trasmettergli tutto il calore che riesce a tirare fuori.
Frank è consapevole di quanto gli costi non lasciarsi andare a una crisi isterica ora che lo vede cedere in questo modo, proprio lui, quello più deciso e sicuro di trovarlo, quello che lo ha sempre sostenuto in quei giorni. Non si sente meglio, per niente, solo se fosse Gerard quello che lo stringe riuscirebbe a sentirsi un po’ meno disperato, ma apprezza lo sforzo, questo sì.
-Dai, ora registro il messaggio.- bisbiglia, respirando profondamente e cominciando a parlare. Non riconosce nemmeno le parole che dice, gli sembra tutto meccanico e senza senso, man mano che parla la voce si spezza sempre di più. Non si è reso conto di quanto parlarne facesse dannatamente male finché non lo ha fatto.
Termina in un sussurro che si spezza in un singhiozzo, riesce a malapena a sentire Mikey che chiude il contatto e invia il tutto.
Poi viene stretto in un abbraccio avvolgente e quasi soffocante.
Non riesce a fare a meno di piangere, fra le braccia di Mikey che sussulta con uguale forza; continua a ripetergli che lo troveranno, che sta bene, che lo sente. Non è Gerard, ma ammette che è un abbraccio estremamente confortante e ne ha un dannato bisogno.

Gerard sa perfettamente che è una testa di cazzo a comportarsi in questo modo.
Sa che Mikey sarà fuori di testa e gli altri saranno dannatamente preoccupati. Non osa immaginare come sta Frank.
Ma non può impedirsi di esultare quando sente le forze abbandonarlo quasi del tutto. Non ha nemmeno l’energia per allungare la mano e afferrare la bottiglia accanto al letto, non sente più la puzza di vomito, sudore e urina che impregna la stanza. Non sente più nulla se non la sete divorargli la gola e seccargli le labbra. È l’unica sensazione davvero viva e potente, e sa che sarà l’ultima ad andarsene.
Finalmente i pensieri però gli danno tregua, finalmente la sua mente sembra troppo stanca perfino per gettarlo nella solita oscurità.
Sorride, stringendosi su se stesso.
L’oblio sta arrivando, la dimenticanza è alle porte e sarà accolta con giubilo. Va tutto bene, se lo ripete come una nenia. Sta andando tutto bene. C’è solo questo pungolo al petto, fastidiosissimo, quando pensa a Mikey e Frank. Allora cerca di non farlo, cerca di allontanare il pensiero perché sarebbe l’unica cosa in grado di far vacillare la sua decisione.
I pensieri ora galleggiano nel vuoto, come una massa di immagini spezzate che gli si imprimono nella mente con sfacciata violenza.
Lo abbagliano, sembrano tanti flash di altrettante macchine fotografiche.
Sorride quando vede Mikey a cinque anni, ridere per un disegno che li ritraeva entrambi come supereroi; fa una smorfia quando rivede la faccia della ragazza che si è scopato a quindici anni, la sua prima volta.
Contrae i muscoli del viso quando la figura di Jamia riappare nella sua mente, costringendolo a ricordare la sensazione devastante che ha provato nel rendersi conto che Frank era già di un’altra.
Poi sua nonna. Ray. Sua madre. Il loro primo concerto. Lo scantinato dove si esibivano.
È tutto mischiato assieme, è tutto confuso, forse è vero che quando si sta per morire si rivede tutta la propria vita, ma Gerard non si illude che la Morte arrivi tanto presto. Sente il corpo leggero, come se non esistesse più, ma nello stesso tempo lo trascina a terra, pesante come non mai. È una sensazione strana, è come quando si fa di coca fin quasi al collasso, ma è mille volte più forte. Qualcosa lo incatena a terra, qualcosa che non è il puzzo di urina o di muffa che c’è nella stanza, e non sono nemmeno le immagini che sta vedendo.
Qualcosa che gli appare violento davanti agli occhi, non più come un flash fastidioso, ma come una deflagrazione di luce devastante.
Geme di dolore quando tenta di portarsi una mano alla faccia, per coprirsi gli occhi già chiusi. I movimenti gli sono preclusi, qualunque movimento. La percezione del corpo torna, come se fosse stato gettato giù da una rupe e avesse toccato il suolo dopo un volo di mille metri.
Fa male, cazzo se fa male.
Fa ancora più male quando si rende conto di cosa ha visto.
Mani timide e leggere, così diverse da come se le immaginava addosso nei momenti in cui si concedeva di pensarlo.
Labbra come seta sulla pelle, scivolano sul viso, impalpabili e delicate, eppure catalizzatrici di migliaia di sensazioni che scoppiano improvvise. Poi la lingua traccia il contorno della sua, con un terrore quasi sacro ma senza esitazioni. E tutto quello che si portano dietro, Santo Dio, tutto quello che sono in grado di fargli provare solo con un lieve sfiorarsi, solo con le labbra che si chiudono sulle sue. Non è possibile che nel mondo esista una persona in grado di fargli provare tutto quello, non può permettersi di dipendere in questo modo dalle labbra di qualcun altro. Non quando sa che ci perderà il sonno per il desiderio di riaverle.
Frank.
Cazzo, Frank.
-No, no no- sussurra, la voce sembra non voler uscire più forte, eppure assume un tono terrorizzato che non aveva mai avuto prima, neppure quando stava cercando di fuggire da se stesso.
Deve provare a muovere la mano, per prima cosa. Lo fa senza nemmeno aprire gli occhi, deve ridurre al minimo gli sforzi e aprire gli occhi al momento è uno sforzo intollerabile.
Prima il mignolo, a fatica. Ci impiega un secolo e fa una fatica terribile, come se fosse stato in coma mille anni, invece cazzo sono due, tre forse? Giorni che sta in quel cazzo di letto, non è possibile che sia già riuscito a ridursi così.
Stringe le labbra, mentre lacrime di frustrazione escono dagli occhi.
Perché ridursi in quel modo è stato così dannatamente facile e riprendersi sembra impossibile?
Quando riesce a muovere l’intera mano, quasi ha la tentazione di lasciarsi andare a un urlo vittorioso. Non lo fa perché sa che non riuscirebbe a fare un cazzo di niente dopo, cazzo di fisico di merda che si ritrova.
Striscia verso la tasca dei pantaloni, pregando perché il cellulare si trovi ancora lì. Quando stringe le dita sul metallo freddo, si rende conto che deve anche provare a parlare, però, se no è fottutamente inutile tutta la fatica che ha fatto.
Si schiarisce la voce, ma niente. Più di un sussurro spezzato non esce. Spera vivamente che sia sufficiente se no ci morirà davvero in quella stanza, e gli sembra quanto meno un destino beffardo, morire ora che ha deciso di provare a salvarsi.
Il numero di Frank lo compone a fatica, sbagliando tante di quelle volte da fargli credere di aver accumulato troppo Karma negativo per quella vita.
Quando finalmente una voce ansiosa e senza la minima traccia di sonno gli risponde, l’unica cosa che riesce a fare è mettersi a piangere.
-Gee, Gee ti prego…- riesce a sentire, la voce di Frank è così disperata da strappargli un’ulteriore crisi di pianto. Non ce la fa, semplicemente non ce la può fare a mettere assieme le parole giuste.
-Dimmi dove sei, ti vengo a prendere, Gee…- lo chiama ancora, lo implora con un tono così struggente da stringerli il cuore in una morsa d’acciaio e fuoco.
-Non piangere, non piangere…- continua a sussurrare Frank dall’altra parte, come se sentirlo lo stesse uccidendo, come se fosse la cosa più dolorosa che avesse mai sopportato.
È allora che inghiotte l’ennesimo singhiozzo, respirando più profondamente che può e apre la bocca.
All’inizio non esce nulla, nemmeno un fiato, e lui sta per richiuderla, rinunciando forse definitivamente, quando lo sente.
Un singhiozzo così forte da sembrare un latrato.
Ma non è stato lui a emetterlo, no lui sta respirando ora, non sta piangendo.
È stato Frank.
La conferma arriva quando sente una serie di singhiozzi così forti e strazianti da pensare che il cuore gli si stia squartando nel petto.
-Tu non sai, cazzo, non sai quanto ho sperato… Gee, non puoi farmi questo, finiscila. Non puoi. Sei un fottuto egoista, stronzo del cazzo.- geme fra i singhiozzi, Gerard tace ancora e si sente piombare addosso le parole come macigni. Se le merita e forse saranno le ultime cose che sente. È un po’ triste che siano insulti, ma è la voce di Frank a dirli, quindi è anche un po’ dolce, forse.
-Gee farò qualunque cosa. Non lasciarmi, cazzo. Qualunque cosa. Non hai idea di quanto sia stato vicino a impazzire, non lo sopporto senza di te, non sopporto nulla senza te. Ti prego… dimmi dove sei- implora ancora.
È allora che Gerard respira più forte, più deciso. Se Frank può farcela, a piangere e parlare, a insultarlo e volergli bene allo stesso tempo, allora lui può sussurrare il nome del Motel.
E lo fa.
-Arrivo Gerard. Non chiudere la chiamata, non chiudere.- Gerard obbedisce, è troppo sfinito per riuscire a fare altro. Sente rumori dall’altra parte, Frank si dev’essere alzato dal letto. Si prepara e intanto parla con lui, un po’ lo insulta, un po’ gli dice cose che non pensa minimamente di meritare, facendosi bastare come risposta il suo respiro e i suoi singhiozzi, sempre più forti a ogni parola.
Il rumore della macchina invade il suo orecchio e vorrebbe dirgli che non può guidare e parlare al telefono, che è pericoloso, ma non riesce ancora a emettere un suono, quindi si rassegna e continua a stringere spasmodico il telefono e piangere.

Zero, uno, due…

tre, quattro, cinque

sei, sette, otto
Muoviti cazzo.
nove, dieci, undici
Frank. Frank. Frank.

Chiude la comunicazione quando arriva davanti al bancone della reception e Gerard non è in grado di dirgli il numero di stanza. Ha guidato ore, è un miracolo che a quell’ora della notte sia riuscito a connettere abbastanza da ricordare dove cazzo si trova quel Motel e fare la strada giusta.
I singhiozzi di Gerard sono scivolati sempre di più nel nulla, sempre più sfiniti, sempre più deboli, e lui è terrorizzato da questa cosa. Ha continuato a parlare, facendo scivolare via cose che non avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma ora non ha più importanza. Non sa di preciso quanto ha rischiato di non vederlo più, ma dal modo in cui piangeva, suppone davvero tanto. Non voleva rischiare che non lo sapesse, quindi ha buttato fuori tutto. È consapevole del fatto che probabilmente Gerard non ricorderà una parola, forse nemmeno le ha sentite, però il solo fatto di averle dette lo fa sentire meglio, quindi va bene così.
Si fa dire la stanza giusta e corre lungo il corridoio come un forsennato, rischiando di spezzarsi una gamba con le curve al limite che fa e gli ostacoli che devia, ma deciso ad arrivare prima possibile.
Gli Hotel cazzo. Lui aveva chiamato tutti i dannati Hotel, non immaginando nemmeno che Gerard potesse rintanarsi in una topaia come quella, invece ha sbagliato per l’ennesima volta, e continua a maledirsi per quello.
Spalanca la porta con forza, scardinandola quasi, e trattiene il fiato davanti alla puzza che lo assale.
Fumo, sudore, alcool, vomito e qualcos’altro che non riesce a capire subito.
Vede le bottiglie disseminate lungo la stanza, una quantità incredibile, e tracce di polvere bianca sul comodino. Impreca un po’quando i suoi occhi corrono sulla figura rannicchiata sul letto.
Capisce cos’è la puzza indefinibile quando vede i suoi pantaloni bagnati. C’è del vomito secco a terra, e del vomito fresco sul letto, accanto a lui. Cristo Dio, si è pisciato addosso.
-Gee…- sussurra, liberandosi finalmente dallo stupore e correndo accanto al letto, evitando il vomito e ignorando la chiazza scura sui suoi pantaloni. Non gliene fotte un cazzo, niente di niente, in quel momento vuole solo sentirlo, abbracciarlo, picchiarlo e baciarlo fino allo sfinimento.
Gerard muove appena la testa, mugolando. Gli occhi sono chiusi ma deve aver riconosciuto la sua voce perché sorride lievemente.
Frank si getta contro di lui prima che Gerard riesca a fare qualunque altra cosa, persino avvertirlo di non toccarlo in quelle condizioni.
Stringerlo fra le braccia dopo tre giorni di agonia e paura, è la cosa più dolce e dannatamente perfetta che potesse sognare, figurarsi se gli frega qualcosa delle condizioni in cui è.
-Dio ho avuto così paura- sussurra, la testa premuta sui suoi capelli neri e le mani piantate nelle scapole. Lo ha sollevato dal letto dallo slancio che ha avuto, ma Gerard non se ne lamenta, anzi, si stringe a lui più forte, aggrappandosi debolmente alla sua maglia e premendo la testa contro il suo collo.
Non smetterebbe mai di stringerlo, perché Gerard non lo sa, ma la cosa che lo ha tenuto in piedi quei giorni, che lo ha spinto a rivoltare il mondo per trovarlo, fino a mandare un messaggio su internet, è proprio questo istante.
L’immagine del momento in cui lo avrebbe abbracciato e lo avrebbe tenuto al sicuro fra le sue braccia, stringendolo fino a fondere i confini dei loro corpi per non permettergli più di sparire in quel modo.
-Scusa- sussurra Gerard, la voce di carta vetrata. Non riesce a dire altro, ma Frank scuote la testa.
-Qualunque cosa… non ti lascio, Gee. Verrai a stare con me e Mikey, non ti lascio, non ti lascio.- continua a ripetere come una nenia, come a volersi rassicurare che davvero vada tutto a posto, che Gerard sia lì fra le sue braccia.
-Ha funzionato- sussurra poi Gerard, quando è nel bagno, stretto a Frank che lo sta spogliando per fargli fare una doccia. Non ha vestiti puliti e l’idea di fargli rimettere quei pantaloni lo nausea, ma non ha altra scelta. Però una doccia gli farà dannatamente bene, quindi lo sta spogliando, senza la minima traccia di malizia perché, beh, la paura che ha preso deve avergli inibito gli ormoni.
-Cosa?- chiede poi, quando gli ha tolto la maglietta, scompigliandogli ulteriormente i capelli neri che ricadono attorno al viso pallido.
Non ce la fa nemmeno a stare in piedi, si è dovuto sedere sul water, e il tragitto verso il bagno ha dovuto praticamente trascinarlo.
È completamente senza forze e non ha la minima idea di come sia riuscito a ridursi così, e nemmeno la vuole avere. Le condizioni in cui ha trovato la stanza sono un indizio sufficiente per fargli perdere la voglia di saperlo nei dettagli.
-L’incantesimo di nonna- risponde Gerard dopo un po’, guardandolo negli occhi, per la prima volta da quando è arrivato.
-Ho desiderato che tu venissi…- conclude, facendogli un sorriso così storto e dolce, da attirarlo come una calamita.
Ignora le proteste di Gerard sul fatto che non dovrebbe assolutamente nemmeno pensare di baciarlo, con il sapore che deve avere adesso la sua bocca. Lo ignora e lo fa, perché Gerard non capisce. Non capisce quanta paura ha avuto, quanto stia ringraziando Dio ogni istante per aver dato a Gerard la forza di chiamarlo, e non lasciarsi semplicemente morire.
Gli succhia le labbra screpolate, sentendosi scoppiare dentro il petto un calore che parla della sua volontà di proteggerlo, impedendo che una cosa del genere si ripeta. Gli prende il viso fra le mani, avido, gli accarezza frenetico le guancie tonde e gli fa piovere sul viso mille piccoli baci. Non sono teneri, né dolci, sono, in un certo qual modo, terrorizzati.
Prende piccole porzione di pelle fra le labbra, succhiando piano, con un ansia proporzionale alla paura che ha avuto, e sente Gerard arrendersi fra le sue braccia, e con un sospiro abbracciarlo, ancora debolmente.
Mille marchi, mille segni e mille lividi, anche sul cuore, soprattutto sul cuore. Forse se gli lascia addosso abbastanza segni Gerard se lo ricorderà, di non essere solo, di poter contare su di lui. Di essere suo. Gerard si ricorderà che non deve fare mai più cazzate come questa.
Si impossessa della sua bocca quasi con violenza adesso, aggressivo e impaurito, man mano che lo bacia l’ansia, invece di placarsi, sale.
Il suo sapore gli esplode dentro e addosso, accecandogli il cervello. L’unica cosa che riesce a fare è ringhiare sulle sue labbra, mentre Gerard mugola, morbido e arrendevole contro di lui. Pensare che ha rischiato di non vederlo più, cazzo, mai più, mai più. Di non sentire mai più le sue labbra aprirsi in questo modo, le sue mani stringerlo e la
lingua cercare la sua con un abbandono e una fiducia quasi oscena. Quindi un bacio non può calmarlo, nemmeno scopare probabilmente potrebbe.
Ora che l’ha trovato, ora che l’adrenalina che l’ha tenuto in piedi e l’ha mantenuto abbastanza lucido da sapere cosa fare, sparisce, si ritrova senza forze lui stesso, a tremare fra le braccia di Gerard, non riuscendo a staccarsi da lui. Mai come in quel momento ha sentito il peso degli anni che lo dividono da Gerard, mai come in quel momento si è sentito un ragazzino, totalmente inadeguato a sorreggerlo e proteggerlo.
-Non me ne vado- sussurra Gerard al suo orecchio. Al contrario di quanto ha fatto con Frank, il bacio deve aver calmato Gerard. Le sue mani sono ferme e non tremano, la sua voce è ancora un sussurro ma si sta riprendendo rapidamente. Frank si chiede come diavolo faccia, a farlo sentire così. Non dovrebbe riuscirci. Non sta scritto da nessuna parte che un ragazzo ridotto nel suo stato, seppure trattandosi di Gerard, riesca a sembrare così dannatamente rassicurante.
Annuisce, calmandosi un po’, chiudendo gli occhi per non guardare quelli verdissimi e lucidi di Gerard, perché sa che se lo facesse avrebbe un’altra crisi, e non vuole. Ci sono cose che la forza da sola non basta a proteggere, questo lo sa perfettamente, però vuole lo stesso diventarlo. Vuole diventare così forte da non ridursi più così per nessuno, vuole diventare così forte da indurre Gerard ad andare da lui, non fuggire in autostop. Ha paura ad ammettere molte cose, Frank, ma è sempre stato onesto con se stesso, ai limiti del masochismo, quindi quando questo pensiero si affaccia alla sua mente, lui non può semplicemente mandarlo via. Ne deve per forza prendere atto. La consapevolezza di quello che un pensiero del genere comporta, arriva come un treno lanciato a folle velocità e per evitare che lo prenda in pieno petto non ci sono molte soluzioni.
Sa che Gerard non è pronto ad affrontare una cosa del genere, per quanto lui pensi che in realtà sia molto più forte di quanto non dia a vedere, per cui deglutisce a fatica e si stacca da lui, lentamente.
-Dai, doccia adesso. Intanto io lavo i pantaloni e li mettiamo sul termosifone ad asciugare.-
Gerard lo guarda, interrogativo. Sicuramente si aspettava una reazione diversa.
Annuisce, alzandosi in piedi a fatica e lanciandogli uno sguardo ancora un po’ sperduto.
-Tu non vieni?- sussurra, incerto.
Non è la cosa giusta da fare, lo sa perfettamente. Gerard si aggrapperà a lui però lui non è ancora così forte da sostenerlo, si farà male, si faranno male entrambi. Non deve dargli appigli così evidenti, non deve dargli armi così potenti per riuscire a distruggerlo. Sa che non lo farà apposta, ma Gerard Way è fatto così. Egoista ed egocentrico, a modo suo gli vuole bene davvero, ma se glielo consentirà lo trascinerà con sé. L’ha già fatto e il terrore che ha provato in questi tre giorni ne è la testimonianza. Vorrebbe dirgli che non è di scoparlo sotto la doccia che ha bisogno, che lui ci sarà sempre, che lo accoglierà perfino a casa sua, che però non basta, che deve chiedere aiuto, che deve andare da uno psicologo o qualcosa di simile. Che lui non è abbastanza forte per tirarlo fuori da quella merda da solo.
Però le mani di Gerard hanno ripreso a tremare, notando l’incertezza negli occhi di Frank, ed è una visione che non riesce a sopportare.
Mentre si spoglia e lo raggiunge, pensa che questa è la testimonianza più grande della sua debolezza.
Mentre Gerard lo bacia pensa che non è giusto però che sia così. Che non vuole che Gerard diventi l’emblema umano del suo fallimento, che non se lo meritano, nessuno dei due se lo merita.
-Diventerò forte Gee- sussurra, mentre le mani di Gerard scendono ad accarezzargli la schiena.
-Diventerò così forte che niente potrà più farci sentire così-
Sussurra ancora, e ancora, mentre Gerard geme piano al tocco delle sue dita sul collo e poi sul torace.
-Non credo ai supereroi- mugola Gerard, glielo soffia nell’orecchio, mentre si preme contro di lui e basta. Forse dopotutto non vuole scopare. Forse lo sa anche lui che non basta, che non è quella la via.
-Credo che la tua debolezza sia perfetta. Non ti avrei mai chiamato altrimenti. Sono le tue imperfezioni che mi hanno salvato.- lo guarda e Frank sa che non ha finito, quindi tace.
-Mentre ero svenuto… ho ricordato la prima volta che mi hai baciato. Come tremavi, la paura fottuta che avevi. Come però l’hai fatto lo stesso, come hai rischiato che io ti buttassi giù dal letto e ti rovinassi la vita. Lì ho capito che sono un coglione, che non sono solo io ad essere terrorizzato, a dover affrontare ogni giorno tutta la merda che il mondo lancia addosso. Che anche tu eri spaventato, che anche tu avevi bisogno di me. Non è la forza Frank. È il sapere che siamo tutti così soli e spaventati, uscire dal proprio fottuto egoismo e aprire gli occhi, smettere di essere così ipocriti da pensare di essere i soli a soffrire e rendersi conto che il mondo non è una dannata gabbia ma può essere affrontato. Se anche tu hai paura, se anche tu ti senti soffocare, va bene. Va bene così perché non saresti qui altrimenti.-
Frank si morde le labbra, spalancando gli occhi. Solo ora si ricorda cosa l’aveva tanto colpito all’inizio di lui. Questa capacità assurda di penetrare nelle persone, nella sua testa, di essere spietato con se stesso e con gli altri, però di consolare e portare calore nello stesso modo.
-Accettare le proprie debolezze e non combatterle, quindi- dice Frank. Non cerca una conferma; Gerard si perde ogni volta in mille giri di parole per esprimere un concetto che ne richiederebbe solo dieci, però ormai ha imparato a seguirlo.
-Guardarsi in faccia e trovarsi orribili, sporchi e disgustosi, ma arrendersi a far entrare quell’essere disgustoso nella propria immagine di sé, perché è l’unico modo per trasformarlo in qualcosa di bello-
Frank sorride, premendosi a lui e lasciando che l’acqua scorra addosso ad entrambi. Non è cambiato niente da prima, sa che Gerard ora parla così ma domani è perfettamente capace di tornare a bere in un angolo sporco del Van. Ma è quel momento che conta. Sono quelle parole che l’hanno salvato dall’angoscia, e se la sua paura è stata in grado di salvare Gerard, allora forse è vero che va bene averne.
Va bene avere paura, va bene essere stupidi e deboli, va bene essere terrorizzati. Mentre lo pensa un sospiro di sollievo lascia il suo petto e si sente più leggero. Sarà ugualmente un inferno per loro due, prima che Gerard ne esca, ma adesso sanno di essere in grado di affrontarlo.
Gerard non scapperà più e lui non smetterà di avere paura. Forse in questo modo riusciranno a salvarsi entrambi.