PARTE SECONDA
Ricordi
Ci son treni che non ripassano,
ci son bocche da ricordare,
ci son facce che si confondono
e poi ci sei tu,
e ora ci sei tu
fatti sentire
(Ligabue)
CAPITOLO QUARTO
Volevo
dire che io la voglio, la vita, farei qualsiasi cosa per poter averla,
tutta quella che c'è,
tanta da impazzirne, non importa, posso anche impazzire ma la vita,
quella, non voglio perdermela,
io la voglio, davvero, dovesse anche fare un male da morire è vivere
che voglio.
Alessandro Baricco
E ora non c'erano più parole.
Non poteva tornare indietro, lo sapeva e non c’era nulla che potesse fare per andare avanti, Lily era svanita lasciandogli li solo la sua amarezza e la sua paura, lasciandolo solo.
Lui e i suoi ricordi.
E in fondo sapeva che non era difficile perché erano li, già Harry ne aveva liberati un po', e ora non chiedevano che di essere riesumati definitivamente, e lui scivolò a terra prendendosi la testa fra le mani e lasciando che i capelli neri coprissero il bellissimo parco che si apriva davanti a lui.
Era il momento.
Lo desiderava da star male, non c’erano più parole, prima o poi sarebbe passata, doveva passare perché lui altrimenti sarebbe impazzito.
E chissà se aveva ancora quei capelli spettinati che non stavano giù nemmeno con la colla. Sorrise al ricordo delle sue manie da conquistatore, quanto ne era stato geloso all’epoca! Certo, non sapeva ancora che fosse gelosia, pensava fosse fastidio perché gli fregava le ragazze. Come se gliene fossero mai mancate! Quanto erano stupidi e giovani, quanto bene stavano assieme. Quanto si fidavano l’uno dell’altro. Più ancora che di Remus, erano capaci di mettersi contro il mondo per difendere la loro amicizia, insieme erano grandi.
Grandi.
E ora lò’aveva lasciato da solo.
E ora era li, seduto in un parco del cazzo a guardare il lago e a pensare a quanto erano grandi e belli i sogni che facevano assieme, a quanto avrebbe voluto rivederlo, a quanto male avrebbe fatto ricordare ancora.
Ma npon era tempo di esitare, sapeva cosa andava fatto.
Non doveva semplicemente mettersi li e cominciare a snocciolare i suoi ricordi più belli, no: doveva ricrearli. Per cui si alzò in piedi e chiuse gli occhi concentrando in sé tutta l’energia possibile, quella che di solito usava per fare incantesimi, il potere che si incanalava nella sua bacchetta ora lo concentrò sulle sue mani strette a pugno e quando le rilasciò e aprì gli occhi tutto era cambiato.
Me n’ero accorto immediatamente, lo so che può sembrare strano ma alla fine è la vita
che lo è, e uno pensa che essere perfetti, che seguire quello che la tua famiglia ti dice, che obbedire, siano le sole cose che possono salvarti, alla fine.
E invece no.
Sono i desideri che ti salvano, e cercare con tutto te stesso di averne sempre di nuovi, di non fermarti mai.
Bruciarli a una velocità così folle da non riuscire nemmeno a pensarci, dopo.
Così quando salii sul treno desiderai immediatamente diventare amico di quel ragazzino che sembrava l’opposto di me, spavaldo, coraggioso, arrogante anche ma non importava, emanava una vita tale da ubriacarsi, da desiderare viverla con tutto me stesso, e l’unica cosa che volevo in quel momento era che quella vita fosse mia.
Solo per me.
E allora capii che era da quella parte che dovevo andare se volevo salvarmi, e beh…io sono sempre stato uno che non si ferma molto a pensarci su, se penso che una cosa ne valga la pena allora la faccio e fanculo al resto, dopotutto avevo passato abbastanza tempo a incartapecorirmi a Grimmauld Palace no? Era ora di vivere davvero.
Cosi divenni Grifondoro, non mi interessava davvero in quale casa fossi finito, bastava che non fosse Serpeverde, che ne avevo abbastanza.
E bastava che quel ragazzino fosse nella mia stessa casa.
Fu da li che cominciai a desiderare veramente e a farmi un male da impazzire, un male che non si può nemmeno immaginare.
Ma fu quella la prima volta che lui mi salvò davvero.
Tornare a casa fu un tormento quell’estate: avevo 12 anni ma il fatto di essere un bambino non mi aveva mai esentato dalle punizioni e dai castighi, e io da parte mia facevo di tutto per farli incazzare a dovere. Ci godevo immensamente a circondarmi di cose Babbane, a parlarne, a riempire la mia stanza di stendardi rossi e dorati. Più le prendevo più insistevo, era una cosa più forte di me, le sfide mi hanno sempre esaltato e quella contro la mia famiglia lo era.
Solo che poi si dimostrarono più astuti di quello che pensavo e ci si misero d’impegno per rendermi la vita un inferno. Così fecero di tutto per rovinare l’ unica cosa bella che avevo in quel posto. Regulus. Ecco quello mi fece male ma ovviamente ostentavo il mio solito disprezzo e la mia solita aria ostile e strafottente, non avrei mai ammesso che la distanza che erano riusciti a mettere fra noi due mi faceva male ed ero troppo orgoglioso per tentare di riconciliarmi con lui, lui che aveva seguito le idee dei miei senza darmi nessuna possibilità di appello, senza nemmeno tentare di capirmi.
In effetti fu la prima vera ferita che riuscirono a infliggermi.
Ma io non mi fermavo, avevo i miei amici: avevo Remus, Peter e soprattutto James, e non ero mai stato così felice. La mia voglia di vita finalmente veniva soddisfatta. Di più, avevo trovato un amico che se possibile ne aveva più di me e facevamo a gara per cercare di soddisfarla, era davvero esaltante gravitare attorno a James Potter. Era diventato il leader del gruppo non perché fosse il più gradasso o perché l’avesse chiesto, ma semplicemente era parso naturale a tutti, era quello che aveva le idee più geniali, quello che inventava giochi sempre nuovi e divertenti, quello che sapeva sempre dove andare per divertirsi o che sapeva inventare qualcosa di bello anche se pioveva o se qualcuno di noi era triste. Fu naturale per noi affidare a lui il compito di guidarci, e questo ci condizionò per tutta la vita, anche se allora non ce ne rendevamo conto. James era anche quello che capiva sempre se uno di noi aveva qualcosa che non andava e con infallibile istinto tirava sempre fuori la cosa giusta da dire o da fare per farlo sentire meglio, era un osservatore acuto e, anche se non sembrava, nulla gli sfuggiva. Così non gli sfuggì nemmeno l’espressione che avevo quando tornai a scuola il mio terzo anno. Avevo appena avuto un litigio pazzesco con Regulus, a seguito del quale non ci parlammo mai più, tranne che in un'occasione.
Appena salii sul treno mi misi a cercarli cercando di mascherare quanto fossi furioso e deluso e triste; non volevo farmi vedere così debole e sciocco da loro, erano i miei migliori amici e l’ultima cosa che volevo era che mi reputassero una femminuccia, quando in effetti era uno di quei momenti in cui avrei solo voluto spaccare qualcosa e poi mettermi a piangere in pace.
Ma sebbene avessi solo 13 anni il famigerato orgoglio maschile era già presente in dose massiccia, alimentato da un'intera infanzia vissuta attorno a persone maestre nell’inganno e nella dissimulazione, così quando li trovai mi incollai un bel sorriso sornione e cominciai a prendere in giro Peter come al solito, sedendomi accanto a James.
Non mi scusai ma davanti alla sua faccia ferita avrei voluto mordermi la lingua e fare a brandelli il mio ego per far sparire quell’espressione dai suoi occhi.
“E tu hai mai pensato a quanto sei testa di cazzo, Black?” urlò lui furioso, nemmeno vidi il pugno che si abbatteva su di me, forse perché non avevo pensato che potesse mai ricorrere a una cosa tanto…beh, babbana come un pugno invece che a un incantesimo (un vizio di famiglia suppongo). Ma la cosa ebbe i suoi risvolti positivi perché finì che ci azzuffammo come poche volte e io mi scaricai a dovere riducendolo piuttosto male. Anche io a dire il vero ero uno straccio, lui era piuttosto forte e muscoloso per via del Quidditch, niente a che fare con il mio fisico longilineo che tanto faceva sospirare le ragazzine.
Fu Remus che urlando un
“Aguamenti!” ci fece staccare, io stavo sfogando su di lui la mia frustrazione e il mio nervosismo accumulato in quei tre mesi d'inferno e lui, potevo saperlo con certezza conoscendolo come lo conoscevo io, stava facendo a pezzi l’espressione che avevo usato quando avevo detto quelle parole. Sprezzante, cattiva. Per questo si accanì sul mio povero visino d’angelo riducendolo una schifezza.Non ci parlammo per tutto il resto del viaggio e questa cosa mi distruggeva perché riconoscevo di essere in torto marcio, lui voleva solo aiutarmi e io l’avevo trattato in quel modo. Dopotutto forse ero davvero solo uno stupido Black che riusciva sempre a ferire le persone che gli volevano bene. Forse non valeva la pena stare con me.
Lo guardavo di sottecchi, e mi sfioravo le labbra e i lividi che cominciavano ad affiorare sul viso, suppongo lo facessi per un sottile masochismo di fondo che devo aver sempre avuto senza saperlo. Lui invece era immobile, gli occhiali storti che non si curava di aggiustare, lo sguardo fisso al finestrino, duro, impenetrabile. Non l’avevo mai visto così arrabbiato verso di me e avevo una paura fottuta di aver fatto solo un' enorme cazzata e che lui ora non mi avrebbe più parlato.
Assurdo ovviamente, quella era una lite da nulla confronto soprattutto a quelle che ci furono dopo, rare ma esplosive, ma non ero abituato alla pace dopo un litigio, nel mio piccolo mondo quando ci si rivolgevano parole e gesti del genere dopo eri bersaglio di disprezzo e freddezza per il resto dei tuoi giorni.
Remus cercò in tutti i modi di alleggerire la situazione facendo battute, parlando di come ultimare la mappa dei Marauders e di mille stronzate, ma ben presto si rese conto che era del tutto inutile e che forse parlandoci separatamente avrebbe avuto più successo, così si mise a chiacchierare con Peter lasciandoci col nostro astio.
Appena scesi dal treno ci attendevano le carrozze, avevo perso la voglia di tornare a scuola, volevo solo che a James sparisse quell’espressione dalla faccia, e nemmeno il fatto di non vedere mio fratello in giro mi tranquillizzò, non me ne facevo nulla del mio stupido orgoglio se non potevo stare vicino a lui.
Ma James era sempre stato il più coraggioso, quello capace di fare la cosa più impensata e pazza ma di cui tu avevi più bisogno.E poi non era capace di restare arrabbiato per molto tempo, prendeva fuoco immediatamente ma anche immediatamente si calmava, anche se, nel frattempo, magari aveva distrutto la scuola impulsivo com’era.
Così mi afferrò per mano e gettò sopra di noi il mantello, trascinandomi in mezzo alla foresta.
“Scusa” sbottò appena potè nuovamente guardarmi negli occhi, non dovette piacergli quello che vi vide perché la sua espressione, da dura che era, si sciolse in un complesso di sentimenti che non riuscii a districare perfettamente nemmeno io: consapevolezza, senso di colpa, rabbia ancora, ma anche tenerezza. Fu questa che mi vinse definitivamente e mi fece abbassare la testa sfilandomi la maschera di freddezza che avevo indossato per difendermi, e mostrando quanto davvero ero ferito e confuso da tutto quello che stava succedendo attorno a me. Si avvicinò a me e mi posò la mano sulla guancia costringendomi a guardarlo“Non fare quella faccia, non mi hai fatto nulla. Sei solo uno stupido rammollito non puoi sperare di battere me!”
Sapevo perché lo diceva, dovevo avere un espressione talmente triste, confusa e incerta che voleva farmi reagire, non sopportava vedere qualcuno in questo stato, preferiva i pugni all’immobilità. Però non riuscii a parlare nonostante tutto, la rabbia si era sciolta e aveva lasciato un nodo in gola che minacciava lacrime che non avevo nessuna intenzione di versare.
“senti…non voglio necessariamente sapere cosa è successo ma non devi più comportarti così” aggrottai le sopracciglia e lui ovviamente capì quello che volevo dire e mi rispose “Come un Black” gelandomi. Non avevo riflettuto su quanto il mio comportamento rispecchiasse quel modo di fare, di ferire gli altri senza pensarci, solo perché se ne ha voglia, di passare sopra i sentimenti altrui. Mi sentii ancora peggio se possibile. Lui fece scorrere la mano dal viso ai capelli prendendo fra le dita una ciocca scura e strattonandola lievemente, come per sottolinearne le parole e quel contatto mi mandava ancora più in confusione, avevo sempre pensato a lui come a un fratello, ma allora perché sentivo mille brividi scendere lungo la schiena?Mi schiarii la voce costringendomi a parlare, quel dialogo stava cominciando a essere surreale con lui che rispondeva a cose che avevo solo il coraggio di pensare.
“Ero arrabbiato con mio fratello” Non era una vera e propria scusa, non pensavo di esserne capace, non ancora, nemmeno per lui, però era un'ammissione di colpa e una scusa implicita che lui sembrò accettare perché non disse nulla e mi sorrise.
“E, non so…non dovrebbe importarmi nulla, non dovrebbe fregarmene nulla perché cazzo: è uno stronzo, un fottuto pezzo di merda ma non riesco a far finta di nulla, non ci riesco e mi viene un nervoso assurdo se penso che è colpa di quella troia di mia madre se lui ora si comporta così, se diventerà una persona orribile come loro dal bambino che era, e li odio tutti. Ma soprattutto odio lui perché anche io sono cresciuto allo stesso modo ma non sono così!” Quando iniziai non riuscii più a fermarmi, avevo un bisogno dannato di sfogarmi, era stata una cosa che mi aveva tormentato per tutta l’estate e lui era l’unica persona che volevo vicino. Volevo lui e volevo che non smettesse di toccarmi i capelli.
“Non è colpa tua” disse, spiazzandomi totalmente
“io non l’ho detto” replicai quasi sussurrando dalla sorpresa “no ma è la naturale conseguenza del ragionamento che farai conoscendoti” Rispose lasciandomi senza fiato. Gli afferrai la mano, sentivo le lacrime strabordare e cercai di trattenere il disastro artigliando l’arto del povero James che non fece una piega, anzi, mi strinse le dita fissandomi intensamente, quasi come se volesse entrare nella mia mente e perforarmi l’anima.“E io ti voglio bene perché tu ti ci sei rimasto male invece di fregartene, e ti sei arrabbiato” ora la stretta era così forte da farmi quasi male, ma non avrei lasciato la sua mano per nulla al mondo “Ti voglio bene perché stai piangendo e perché sei esattamente come sei.” Eccole.
Solo queste.
Erano le parole dette con il candore e la tenerezza di un bambino che mi salvarono ancora.
Erano le uniche parole che in quel momento volevo sentire e le sue le uniche braccia che in quel momento volevo che mi stringessero a sé, facendomi sentire il calore del suo corpo e desiderando per la prima volta qualcosa di impossibile.
“Se dici a qualcuno che ho pianto ti ammazzo” Dissi mordendogli una spalla. Lui rise lasciandomi andare e coprendoci nuovamente col mantello tornammo al castello.