CAPITOLO QUINTO
Eravamo insieme, tutto il resto del tempo l'ho scordato.
(Walt Whitman)
Alla fine era stato terribilmente facile ricordare, se n’era reso conto nel momento in cui le immagini erano fluite davanti a lui e si era davvero trovato in quel treno, i sentimenti e le sensazioni le stesse, sembrava che non aspettassero altro che fluire da lui per essere raccolte da James. Era più stancante del previsto però.
Si stava rendendo conto che dopotutto morire non era una passeggiata e che il prossimo ricordo doveva essere quello buono perché richiamare il passato richiedeva decisamente troppe energie.
Non era facile. Chiudeva gli occhi e mille piccole stupide cose gli apparivano, come istantanee di un mondo ormai in rovina. L’enorme gelosia che aveva provato nel momento in cui Lily aveva finalmente accettato la corte di James, la disperazione e l’annientamento provato di fronte all’evidenza dei suoi sentimenti, il desiderio spasmodico di lui…e poi i suoi baci, la sua pelle, il suo corpo…mille volte suo, mille volte benedetto e maledetto per la sofferenza che gli aveva provocato la sua morte. La pazzia di Azkaban, quando i ricordi erano lame taglienti e allora li aveva eliminati, racchiudendo in sé solo Peter, solo la sua vendetta, l’unica cosa che in quel momento contava. Non poteva morire prima di aver ucciso quel bastardo. Prima di averlo vendicato.
Non gli era concesso.
E poi ricordava. Ora ricordava. La sua voce…ecco cosa lo aveva salvato dalla follia, la sua voce lieve, un sussurro spezzato, e mani come piume che lo sfioravano asciugandogli lacrime invisibili che si erano gelate sulle guance perché versate troppo a lungo e troppo tempo fa.
Spalancò gli occhi inorridito, aveva sempre pensato di aver sognato quella volta, ma se davvero era stato James allora adesso capiva le parole di Lily in un modo molto più profondo e completo. E nonostante avesse cercato di farlo non avrebbe mai potuto dimenticare, Sirius, le sue parole, il suo tocco e il posarsi lieve delle sue labbra che medicavano ferite crudeli e riparavano a torti mai meritati.
“Non morire… come finirò io se tu muori? Finiscila perché stò impazzendo dal dolore per te”“
Ricordava la sua risposta febbricitante:
“La luna demone ci guarda e ride Jamie…ridi della mia follia perché io sono già impazzito dal dolore”
Giorni allucinanti trascorsi ripetendo frasi sconnesse, solo sensazioni elementari ad accompagnarlo nella sua solitaria follia.
Fame.
Desiderio di lui.
Freddo.
Desiderio di lui.
Sete.
Desiderio di lui.
Disperazione.
Desiderio di lui.
Annientamento.
Strapparsi il cuore dal petto e farlo a pezzi.
E nella sua agonia non aveva capito che lui gli era sempre rimasto accanto e se non era impazzito definitivamente era solo perché la presenza che lo riscaldava d'inverno era la sua, il niente che lo pervadeva dopo un incubo era lui che lo provocava, la voce che sentiva quando tutto era diventato troppo, era la sua, le mani che lo sfioravano quando il corpo era troppo malato e indebolito erano le sue. Non aveva capito che per salvare lui si era perso definitivamente, impazzendo al suo posto.
Un po’ aveva capito come funzionava quel posto, non sapeva
quanta energia richiedeva stare accanto ai propri cari e intervenire a
quel modo, ma sospettava fosse decisamente tanta. Doveva essersi
ridotto a una larva per aiutare lui in quell’inferno e la cosa che lo
mandava fuori di testa era che lui non se
n’era mai accorto. Si alzò da terra deciso e chiuse gli occhi: sapeva
quale ricordo richiamare per James, sapeva cosa poteva risvegliarlo ed
era stato stupido a non pensarci prima.
Non pioveva no… sarebbe stato banale e stupido. Non pioveva, anzi, il cielo era così azzurro e terso come solo a dicembre poteva essere, azzurro e gelido da far male a guardarlo. E lui non capitò da me sotto la pioggia scrosciante con le ciocche umide che gli si appiccicavano al volto e lo sguardo disperato…sarebbe stato ancora una volta banale e tutto si poteva dire di noi tranne che fossimo banali. Non pioveva no… sarebbe stato banale e stupido. Non pioveva, anzi, il cielo era così azzurro e terso come solo a dicembre poteva essere, azzurro e gelido da far male a guardarlo. E lui non capitò da me sotto la pioggia scrosciante con le ciocche umide che gli si appiccicavano al volto e lo sguardo disperato… sarebbe stato ancora una volta banale e tutto si poteva dire di noi tranne che fossimo banali. Venne da me portandosi dietro una ventata gelida perché era così euforico da non aver pensato nemmeno per un istante di smaterializzarsi, ma aveva fatto la strada a piedi, correndo, per poi bussare come un forsennato alla mia porta e catapultarsi su di me appena aprii temendo un attacco di Voldemort o qualcosa di simile. Anzi fu fortunato se non si beccò una maledizione in pieno viso. Mi abbrancò i fianchi con le gambe e mi tempestò il viso di baci, totalmente alla cieca, finché riuscì a trovare le labbra e ci si tuffò, un bacio come raramente ne avevo ricevuti. Non riuscii a respirare per cinque minuti buoni, finché il bisogno di aria prevalse sulla necessità di continuare a duellare con la sua lingua e dovetti staccarmi ridendo. Va da se che eravamo crollati sul pavimento perché mi pare di averlo già detto ma lui era assai più muscoloso di me e non era facile per me sorreggerlo.
“Hei hei cos’è successo?”chiesi cercando di tirarmi su, cosa difficile col suo peso addosso che non accennava a voler scendere.
“Sono padre!” disse, e i suoi occhi splendevano come raramente avevo visto, un'espressione di pura gioia in viso; non potevo sopportarlo.
Lo feci cadere con ben poca grazia sul pavimento alzandomi in piedi senza una parola e accendendomi una sigaretta. Cos'era, quella notizia lo aveva rimbambito del tutto, tanto da non immaginare come avrei reagito? Un figlio metteva fine a tutti i miei desideri segreti e inconfessabili, a tutti i sogni che mi concedevo solamente di notte, per non illudermi troppo, a tutte le stupide visioni di noi due assieme e basta, senza Lily o una guerra di mezzo, che dal mio punto di vista era più o meno la stessa cosa.
Un figlio suo significava la fine per me.
E mi maledissi perché avrei dovuto saperlo che lui non avrebbe lasciato Lily, cosa mi aspettavo? Aveva ammesso quello che provava per me perché spinto alla follia dal sottoscritto ma se non avessi insistito fino a quel punto non lo avrebbe mai fatto, lo sapevo bene. E ancora adesso alle volte mi guardava in modo strano, con uno sguardo liquido e segreto che solo io potevo intravedere e, forse, capire. Uno sguardo pieno di molte cose, tra cui rimpianto e senso di colpa. Lo stavo distruggendo e me ne rendevo conto. La nostra storia stava distruggendo tutto quello che di positivo aveva sempre pensato di se stesso, tutte le convinzioni che si era costruito, lo stavo facendo a pezzi consapevolmente e non potevo farne a meno perché rinunciare a noi due voleva dire fare a pezzi me stesso. Per puro egoismo.
Non ero migliore di Snivellus alla fine, che aveva sacrificato l’amicizia con Lily per i suoi stupidi ideali di morte: io avevo rinunciato alla serenità di James per la mia breve e illusoria felicità.
Per questo avevo il terrore di quello sguardo: perché se di notte, al buio e nudi sotto le lenzuola, potevo sopportarlo, l’idea di ritrovarmelo di giorno a tradimento sul suo viso mi atterriva.
Per quanto consapevole di tutta la distruzione che gli stavo arrecando, non volevo lasciar perdere. Sarei morto piuttosto che lasciar perdere.
Non sentii i suoi passi, non mi accorsi di lui finché non mi prese la sigaretta dalle labbra facendola evanescere e piazzò i suoi occhi a due centimetri dai miei.
“Sirius pensi che sia stupido?” solo questo, ma bastò perché capissi, nuovamente, quello che gli si agitava in testa, quello che la sorpresa per la notizia mi aveva impedito di capire.
Non aveva intenzione di andarsene, di allontanarsi da me, non aveva intenzione di lasciarmi, era sempre James, quello che mi capiva meglio di chiunque altro.
Quello che io capivo meglio di chiunque altro, meglio perfino di Lily.
Non era felice perché la sua vita andava avanti e ora aveva una scusa plausibile per sbarazzarsi di me, come avevo potuto pensarlo? Era felice perché aveva un figlio suo, non importava che fosse di Lily o di chissà chi: era suo, era il suo bambino, la sua traccia nel mondo, il piccolo malandrino che avrebbe seguito le orme del padre, e io avrei dovuto ringraziare Lily fino alle lacrime per avergli dato la possibilità di provare questa gioia, indipendentemente dalla storia di Jamie con me.
“Per tutta la vita ho cercato di seguire solo quello che volevo fare, solo i miei desideri, convinto che solo questi mi avrebbero portato alla felicità...” lo interruppi, perché non avevo bisogno di un discorso del genere: lo sapevo, sapevo cosa aveva dovuto combattere per distruggere la mentalità gretta di quegli anni e accettare di amare un uomo.
“Jamie lo so. Sono stato stupido e-”fu lui a interrompermi stavolta.
“No che non lo sai” Secco e deciso, “Per cui lasciami finire… e così era. Solo che l’ho dimenticato, sono stato un coglione e non volevo ammettere che quello che provavo era troppo importante per consentirmi di essere felice senza viverlo. Tutto qui. Non ti dico che non amo Lily o che non l’ho amata, ma tu sei diverso, tu…” Si interruppe: dire cose sdolcinate non faceva proprio per lui, e io ghignai sapendo quanto si era dovuto forzare per fare un discorso del genere, ma lo stava facendo e io sapevo quello che intendeva dire, non era che non amasse Lily, ma quello che provava per me andava al di là di qualunque altra persona, di qualunque altro sentimento. Non aveva bisogno di dirmelo.
“Smettila di guardarmi così, smettila di fare il coglione perché non ho intenzione di fare niente di quello che tu pensi. Credi che dopo tutta la fatica che ho fatto per accettare quello che provo per te potrei di nuovo stipare tutto dentro?Dimentichiamoci del vecchio Sirius e basta?” stava parlando a bassa voce ma tanta era l’intensità che pareva urlasse.
Così.
Sono poche le cose che si impigliano alla mente e per lo più sono cazzate. La prima è stato il suo sguardo la prima volta che ci siamo conosciuti, la seconda le sue labbra quando mi ha baciato la prima volta, la terza quella voce.
Quando senza dirmelo mi stava dicendo che mi amava, per la prima volta.
“Beh svegliati, perché non si torna indietro! Non si può tornare indietro e io non posso…” la voce gli si spezzò e io mi odiai perché avrei potuto interromperlo, perché sapevo quello che mi voleva dire, glielo leggevo chiaramente in viso, ma non lo feci perché avevo bisogno di sentirglielo dire.
“Non posso più dimenticarmi di te. Non potrei mai più dimenticarmi di te quindi non pensare mai, nemmeno per un attimo che io potrei essere felice perché tu non sei parte della mia vita”
Sospirò. Era stato un discorso difficile e non aveva ancora finito, in fondo ne ero divertito, dopotutto ero sempre stata una persona sadica e tutta la sofferenza che mi aveva fatto provare sposando Lily dovevo pur fargliela scontare, per cui incrociai le braccia appoggiandomi al tavolo, aspettando il seguito.
Lui mi guardò storto, ovviamente aveva capito il mio gioco e a dimostrazione di ciò mi diede un colpo sulla nuca che avrebbe dovuto essere scherzoso e leggero ma che risultò piuttosto pesante.
“Hei! Prima ti vuoi liberare di me e ora mi picchi?” esclamai, fintamente offeso, massaggiandomi la parte lesa, sempre con estrema eleganza, beninteso.
Lui si limitò a scandire un lapidario "Idiota” prima di prendermi con violenza i capelli ai lati del viso per avvicinarmi a se e baciarmi.
Questa volta me lo godetti per bene, chiusi gli occhi e assaporai la sua lingua farsi strada in bocca, cercare la mia; mi persi nei brividi che quel semplice contatto era in grado di farmi provare e benedissi mille volte la mia ostinazione, che mi aveva permesso di non mollare e poter provare tutto questo. Lasciò i miei capelli per appoggiare il corpo al mio, circondandomi con le braccia e reggendosi con le mani al mobile dietro di me. Ecco mi stavo accendendo… al solo pensare, immaginare, come avrebbe potuto evolversi la situazione i motori erano già a mille. Ma lui non aveva finito e non era una persona che mollava tutto a metà, seppure per un motivo piacevole come quello.
Si staccò ansimando, appoggiò la guancia alla mia strofinandosi leggermente, facendomi sentire la barba pungente sulla pelle liscia e strappandomi un lamento; ormai ero perso e la sua bocca che tormentava il mio orecchio non migliorava la situazione, gemetti nuovamente inarcando il bacino e incollandolo a quello di lui come le mani erano incollate al suo fondoschiena, stavolta ebbi la soddisfazione di sentire anche il suo gemito alzarsi incontrollato. Stavamo perdendo il controllo e lui non lo voleva ancora, aveva ancora una cosa da dire.
Per cui la disse senza giri di parole o finte ritrosie, la disse spaccandomi il cuore, ma stavolta per la gioia.
“Voglio che tu sia il suo padrino. So che per te sarà difficile riuscire a non pensare a… cose spiacevoli guardandolo, ma voglio che faccia parte della tua vita perché fa parte della mia e siamo una famiglia. Voglio che ogni volta che tu lo guardi, tu veda tuo figlio”
L’avevo già detto forse ma, beh, lui era capace di dirti cose simili con un candore allucinante, senza capire perché le persone dopo lo guardavano boccheggiando e con gli occhi lucidi, senza capire perché non riuscivano a spiccicare una parola.
Splendido James, che aveva il coraggio di dirle quelle cose, per quanto melense e fuori dai suoi canoni, io avevo bisogno di sentirle e lui le disse, e anche se non aveva detto ’ti amo’chiaramente quella era un ammissione che andava molto oltre il semplice dire che mi amava.
Dopodiché continuammo quello che dovevamo continuare. Non era nei suoi programmi ma finiva inevitabilmente così, non era possibile per noi stare nella stessa stanza senza metterci le mani addosso.
----------E io non riuscivo a fare a meno di guardarti quando facevamo l’amore… eri splendido, anche se non te l’ho mai detto, eri splendido quando ti contorcevi sotto di me, gli occhi chiusi e l’espressione persa, a ogni spinta che davo socchiudevi le labbra e gemevi, non ti sei mai controllato con me e questa cosa l’adoravo. Adoravo sentirti perdere il controllo così, solo con me.
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Spalancò gli occhi all’improvviso: eccolo, eccolo li, l’aveva sentito, quello era un ricordo di James e risentire finalmente la sua energia lo fece quasi perdere il momento per l’emozione. Era lui, non era perso. Era finalmente lui.
Chiuse gli occhi nuovamente lasciandosi andare, lasciandosi cadere verso quel pensiero, verso quell’attimo di struggente nostalgia. Non si sarebbe fatto lasciare indietro, non si sarebbe sbagliato.
Stavolta no.
Strinse il ricordo, strinse la mente di James che ora riusciva chiaramente a percepire attraverso le maglie dell’incanto che aveva creato e lo costrinse a guardarlo, lo costrinse a rivelarsi.
Non poteva lasciarlo andare.
E, con un sussurro del vento che leggero aveva ripreso a spirare, il suo corpo lentamente sbiadì, lasciando il posto a una nebbiolina leggera, per ricomparire nel ricordo di James, per costringerlo a non lasciarlo più, nemmeno per il richiamo irresistibile della pazzia.