CAPITOLO SESTO
Non ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio. Ti ho amato perché il desiderio di te era più forte di qualsiasi felicità. E lo sapevo che poi la vita non è abbastanza grande per tenere insieme tutto quello che riesce ad immaginarsi il desiderio. Ma non ho cercato di fermarmi, né di fermarti. Sapevo che lo avrebbe fatto lei. E lo ha fatto. È scoppiata tutto d'un colpo
(Alessandro Baricco)
Solo un'immagine nella testa.
Confusa.
I suoi occhi d’argento, intensi, arrabbiati, confusi, eccitati…quando li avevo visti così? Argento liquido che pareva fondere la distanza che ci separava e se ci fosse stato un muro fra noi avrebbe fuso anche quello.
Ma la mente è confusa, alla deriva, solo una massa di immagini spezzate, scaglie di ricordi che si conficcano nell’anima lacerando il buio che mi circonda.
Lampi di luce che portano il colore dei suoi occhi, del suo viso, dei suoi ricordi; ricordo anche io e Merlino solo sa se preferirei non farlo. Sono ricordi che distruggono perché ormai non è più.
Quel tempo non è più.
Però al contempo sono come balsamo nell’anima, non posso fare a meno di aggrapparmi alle immagini che mi portano, nonostante la stretta dolorosa che contrae il mio essere.
I suoi occhi di argento liquido che mi guardarono, intensi, eccitati, quando sono entrato nella stanza.
Andavo sempre da lui a quell’ora, era una specie di appuntamento ormai, e lui doveva di certo saperlo perché anche se fingevamo che fosse un'improvvisata trovavo sempre due bicchieri di FireWhiskey sul tavolo e le sigarette in bella vista. Non so cosa gli fosse preso quel giorno ma conoscendolo dovevo certo averlo fatto arrabbiare per il mio ennesimo rifiuto di vedere la realtà che lui mi sbatteva in faccia ogni giorno, da quando avevo sposato Lily. Non pensava davvero che l’avrei sposata, questo l’ho capito subito, appena ho visto i suoi occhi allargarsi e sfuggire ai miei, forse per la prima volta nella mia vita. E io sapevo perché. Oh solo Godric sa quanto mi sono aggrappato all’amore per Lily per reprimere quello che sentivo, era sbagliato, lui era mio fratello, il mio unico prezioso fratello e non potevo, non potevo provare quello che provavo per lui, per un uomo: era sbagliato e orrendo. Però quando lo guardavo, quando guardavo i suoi capelli neri scendere sul viso bellissimo, o il suo corpo cesellato pensavo che quello fosse Sirus, per niente orrendo. Il mio Sirius.
Per questo quel giorno sono rimasto così basito da non riuscire nemmeno a muovermi. Sapevo delle sue avventure, sia con donne che con uomini; all’inizio me le raccontava, quando ancora cercava di reprimere anche lui, però non avrei mai immaginato di provare una gelosia così devastante guardandolo.
Sono entrato da quella cazzo di porta e l’ho visto.
Un ragazzo steso sul tavolo, a pancia sotto, ancora la camicia addosso, i capelli che gli coprivano il viso, e Sirus. Non dimenticherò mai quella scena.
Sirus in piedi dietro di lui, la camicia slacciata a far intravedere la pelle bianca, il sudore che gli imperlava il corpo e il bacino con il suo movimento ritmico e veloce. Rimasi di sale e per un attimo il mondo parve frantumarsi, la mente azzerata e gli occhi incollati ai suoi. Mi fissava, fissava la porta da quando aveva cominciato probabilmente, e ora i suoi occhi di mercurio erano piantati nei mie, intensi, la pupilla dilatata che aveva divorato l’argento e le labbra socchiuse in una posa così sensuale che avrei voluto spaccargliele seduta stante. Invece rimasi li, a fissarlo mentre scopava con un altro, che per giunta doveva gradire molto visto che nemmeno aveva notato la mia presenza e visti i gemiti che si alzavano. Le labbra gli si incurvarono in un lieve sorriso soddisfatto e io seppi con esattezza che non era per quello che stava facendo ma per la faccia che dovevo avere. E il suo sguardo non lasciava il mio, intenso come se bruciasse la distanza fra noi, intenso come se dovessi esserci io li, al posto di quel ragazzino, a farmi scopare da lui. Intenso come se effettivamente al posto di quel ragazzino ci fossi io e le labbra violate dalla sua mano che si lasciava succhiare freneticamente le dita in realtà fossero le mie e solo per la mia immensa stupidità ci eravamo persi quell’occasione. Continuava a muoversi sinuoso, però ormai eravamo persi con gli occhi uno nell’altro e il resto del mondo avrebbe potuto andare a fanculo, come sempre. E mi stavo pure eccitando, merda.
Non era immaginabile eccitarsi guardando il mio migliore amico fare sesso con un altro, eppure quello sguardo diceva che era con me che lo stava facendo, era per me che il suo cazzo si era drizzato ed era me che stava aprendo in due in quel momento.
Quello sguardo mi stava letteralmente divorando e il mio primo istinto fu andare lì e farmi scopare fino a star male, il secondo spaccargli la faccia.
Vinse il secondo.
Di così poco che dovetti fare forza su me stesso per picchiarlo invece che toccarlo.
In seguito però mi rifeci, eccome se mi rifeci!
Così mi avvicinai come una furia, rompendo la bolla di nulla in cui ci eravamo immersi, e lo staccai a suon di pugni, nemmeno quando cadde a terra mi fermai, mi sedetti a cavalcioni su di lui continuando a tempestargli di pugni le braccia con cui si era coperto il volto e ogni parte di lui che riuscivo a raggiungere, volevo cancellare ogni traccia delle mani che l’avevano toccato, volevo distruggere la persona che mi aveva ridotto così, con un'erezione dolorosa che chiedeva soddisfazione e l’anima a pezzi per il conflitto che questo creava.
Non mi fermavo, non ci riuscivo. Sapevo che gli stavo facendo seriamente male ma non mi potevo fermare e non mi rendevo conto che nemmeno le mie lacrime si fermavano.
Non si rendeva conto quel coglione di tutto quello che provavo? Di tutto quello che sopportavo ogni giorno, del desiderio di lui che soffocavo, della voglia di stare solo con lui che reprimevo? di tutto il mio mondo che collassava solo per una testa di cazzo così enorme?
“Finiscila James!” lo sentii urlare ma non gli diedi ascolto, la sua voce mi faceva solo infuriare di più.
“James basta!” la voce stridula, non sapevo perché non reagiva: avrebbe potuto ribaltare le posizioni, prendere la bacchetta che era a nemmeno venti centimetri da lui e fermarmi ma non lo fece e io, in fondo, il dannato perché lo sapevo.
Dovevo essere io a fermarmi, dovevo essere io a sbollire e a fermarmi altrimenti quando sarei uscito dalla quella porta non ci sarei rientrato mai più.
“James mi stai facendo male” disse Sirius, la voce rotta, e fu questa ammissione di debolezza che mi fece sgranare gli occhi e fermare il pugno a pochi centimetri dal suo viso. Non l’avevo mai sentito fare un'ammissione del genere, mai in vita mia, nemmeno quando altre persone l’avevano ridotto ben peggio e non con i pugni ma con la magia. Era troppo orgoglioso, sarebbe morto senza mai chiedere pietà, l’avevo sempre pensato.
Fu come se mi avessero tagliato i fili, mi accasciai su di lui continuando a piangere per la prima volta in vita mia, e le mani che prima lo picchiavano ora lo stringevano come se fosse l’unica cosa che mi rendeva reale in quel momento.
Piangevo come piangono i bambini, singhiozzando senza ritegno, con la bocca aperta e i lacrimoni che scendevano, e non piangevo per lui o per Lily, piangevo per me stesso. Perché avevo lottato ma mi ero arreso e non era da me arrendermi, io che quando mi mettevo in testa una cosa non mollavo mai, come sapeva bene Lily, mentre in quel momento sapevo che stavo per alzare bandiera bianca. Non ce la facevo più, lo volevo con tutto me stesso e non bastava mai, avrei voluto inglobarlo perché non si allontanasse mai da me, avrei voluto strappargli il cuore e portarlo sempre con me. Era una cosa così enorme da sconvolgermi e forse era sempre stata da questa che fuggivo. Sapevo che questa cosa avrebbe finito per distruggermi. Lo sapevo come sapevo che mi chiamavo James Potter. Era la cosa più bella e terribile che mi potesse capitare.
Volevo.
No.
Dannazione.
Se avessi alzato la testa avrei decretato la mia sconfitta, dovevo staccarmi e andarmene, senza nemmeno guardarlo, dovevo…
No.
Dovevo solo spingermi contro di lui, far scivolare la testa dal suo petto alla sua bocca e appropiarmene, dovevo solo mordergli le labbra fino a fargli male e costringerlo ad aprirle, senza per altro incontrare nessuna barriera, e baciarlo fino a soffocarlo, lottare con lui fino a lasciarlo stordito e sconfitto come lo ero io.
Dovevo solo perdermi in quel bacio dal sapore amaro di lacrime e sospirare sulle sue labbra mormorando “Sei un bastardo” e sentire le sue mani stringermi frenetiche, come prima non avevano osato fare rimanendo immobili. Mi strinse così forte e con una disperazione così grande da farmi male e tale fu la veemenza che usò nel rispondere alla mia lingua che duellava furiosa con la sua da farmi capire appieno la portata della sofferenza che anche lui aveva provato in tutti quegli anni, e per la prima volta mi sentii appagato. Era assurdo e mostruoso ma la scossa che mi colpì al solo sfiorare le sue labbra fu devastante, desideravo solo non smettere mai, toccarlo di più e continuare a baciarlo, non bastava.
Non bastava baciarlo, era una sensazione così esaltante averlo li, sotto di me, compatto e solido, eccitante e bellissimo, che riuscii solo a pensare a quanto mi ero perso fin’ora.
Non smettemmo.
Gli afferrai il viso fra le mani, strofinai le guance con più calma ora, la lotta furiosa e appassionata di prima si era smorzata in qualcosa di più languido che mi mandava totalmente in confusione, non capivo più nulla se non che non volevo smettere.
Sentivo il mio corpo andare a fuoco come mai prima e un nodo di eccitazione che partiva direttamente dal mio inguine per diramarsi dappertutto e soffocare ogni altra constatazione o pensiero potessi avere. Immaginavo sarebbe stato così fra noi, istinto e passione, bruciante e assoluta, voglia di divorarsi e sete dell’altro, senza stancarsi mai, vita che divorava ogni istante davanti a noi ed esplodeva accecando ogni barlume di mondo possibile.
Continuammo a baciarci, ci staccavamo per brevi istanti, rimanendo uno sulle labbra dell’altro, riprendevamo il respiro ormai sempre più rotto e poi ci rituffavamo nuovamente ad esplorare le nostre bocche, senza stancarci mai, avremmo potuto continuare all’infinito. Erano baci diversi dal primo, che aveva il sapore della disperazione e l’odore dell’animale braccato che non può più fare nulla se non chiudere gli occhi e buttarsi nel burrone accettando l’inevitabilità, erano baci pieni di ardore, eccitanti, teneri anche. Questo mi stupì. Sapevo quanto poteva essere delicato ma non lo avevo mai immaginato rapportato a me. Eppure gli ultimi baci che mi diede prima di staccarsi definitivamente furono così lievi da sembrare neve che sfiora le cose prima di appoggiarsi su di esse lasciando la sua impronta quasi impalpabile ma innegabilmente perfetta sul mondo.
Sospirai appoggiando la testa sull’incavo del suo collo, cominciavo a stare dannatamente scomodo a dire il vero: le gambe mi facevano male appoggiate com’erano ai suoi fianchi e supponevo che lui stesse altrettanto male sdraiato sul pavimento col mio dolce peso che lo schiacciava, ma in effetti non era nemmeno così importante. Ormai non si poteva tornare indietro, e non avrei nemmeno voluto farlo una volta assaggiato quello che poteva essere, non ci avrei più rinunciato. Ero già stato abbastanza pazzo.
Lui voltò leggermente la testa in modo da appoggiare le labbra sui miei capelli ancora più spettinati del solito e sussurrò: “Merlino James…se mi baci ancora così non capirò più nulla definitivamente” non scorderò mai il suo tentativo maldestro di fare il romantico, mi scappò perfino una risatina condita da frase acida e lapidaria “E la differenza dove sarebbe?” e forse intuì che non era il caso di andare oltre senza chiarire un paio di cose che ebbi subito la premura di esporgli “La prossima volta che mi combini un tiro del genere ti cancello dalla faccia della terra” mi alzai a guardarlo negli occhi nel dirlo, ed ero così mortalmente serio e incazzato che vidi il suo sguardo ancora perso farsi subito presente e mordendosi le labbra rispose “La prossima volta che mi costringerai a fare una cosa del genere per te mi cancellerò da solo dalla faccia della terra perché sarà finita” e avrei dovuto arrabbiarmi ancora di più perché dimostrava ancora una volta di essere un testardo che non si arrendeva nemmeno sotto la minaccia di torture efferate, però nel suo essere contorta era una frase a suo modo così romantica che mi arrivò dritta al cuore, saltando un paio di arterie per fare prima.
Era sempre lui e l’amore non l’aveva certo reso sdolcinato o sottomesso, anzi: era ancora più combattivo di prima. Mi guardò deciso e le sue mani mi strinsero ribaltando le posizioni e schiacciandomi al pavimento. Sapevo cosa voleva dire. Non mi avrebbe più lasciato andare ora, per nessun motivo, non aveva bisogno di essere sdolcinato per dirlo: quel gesto, quello sguardo erano molto più eloquenti di ogni parola e io che lo conoscevo meglio di me stesso lo sapevo.
Quello che non sapevo era che il tempo che ci era concesso era davvero poco.
Prima della rovina.