SOGGETTI
SMARRITI
CAPITOLO
PRIMO
Matt
si scostò per l’ennesima volta i capelli biondo miele dagli occhi,
nervoso.
Non
era sicuro che fosse una buona idea, anzi, di più, era certo che tutto
quello fosse una pessima,
pessima,
idea. Come gli era saltato in mente di accettare? Avrebbe passato
quattro giorni interi nella stessa casa con
lui ed
era l’ultima cosa che entrambi volevano.
Un
conto era uscire tutti assieme la sera cercando in ogni caso di
evitarsi il più possibile, un conto passare tutti quei giorni assieme
nella stessa casa…evitarsi sarebbe diventato molto difficile.
Come
riuscire a stare così vicini senza sfiorarsi? Senza lasciarsi scivolare
addosso le mani, i pensieri, l’anima?
Si
morse il labbro inferiore così forte da sentire immediatamente la
traccia ferrosa del sangue invadergli la bocca, l’unica cosa che Giò
gli aveva chiesto era stata quella di dimenticare tutto.
O
meglio,
metterci una pietra
sopra testuali parole.
Lasciò
cadere la testa fra le mani, afferrandosi con rabbia i capelli che gli
circondavano il viso, li portava più lunghi del solito e ne sapeva
anche il motivo.
Perché
Giò aveva amato passarci in mezzo le mani, si era perso nella loro
soffice consistenza e li aveva baciati e odorati come se davvero
fossero miele, una colata di miele direttamente sul cuscino, o sulla
pelle di Giò, o sul suo ventre liscio.
Doveva
smetterla.
Era
una pessima idea ma sapeva anche perché alla fine aveva accettato; si
alzò dal muretto con aria malinconica, finalmente si sentiva parte di
qualcosa, finalmente aveva amici che lo facevano sentire bene e in
parte accettato, certo aveva nascosto loro una parte consistente di ciò
che era ma era sicuro che qual’ora avesse mai deciso di dirlo avrebbero
capito anche quello.
Da
quanto tempo era in cerca di persone simili? Da quanto non si sentiva
più parte di qualcosa perché si era negato ogni contatto col mondo
esterno?
Ora
aveva trovato degli amici, delle persone a cui voleva bene e se si
trattava solo di chiudere nel congelatore gli ormoni e il cuore per un
altro po’ l’avrebbe fatto, dopo di ché avrebbe potuto scegliere chi
frequentare e avrebbe potuto cominciare a costruirsi una vita.
Infilò
le mani nei Jeans non prima di essersi assicurato che la maglietta nera
della Rams fosse perfettamente liscia, senza nessuna piega e senza
nessuna macchia accidentale, poi si avviò distrattamente verso
l’ingresso della scuola.
Oggi
era l’ultimo giorno prima del ponte del due giugno, poi avrebbero avuto
quattro giorni interi compreso il week end da passare nella casa in
montagna di Eleonora e lui non riusciva a rallegrarsene quanto avrebbe
voluto.
Ma
non avrebbe nemmeno permesso a uno stupido sbaglio commesso solo per
leggerezza di distruggergli la vita anche quell’anno.
Si
portò la mano sopra il torace, sfiorando la stoffa morbida della
maglietta, una cicatrice bastava, bastava per sempre.
Sentì
un braccio arpionargli il collo e sorrise avendo capito immediatamente
di chi si trattasse, non molte ragazze avevano quella presa da
campionessa di Karate.
“Ele”
salutò cercando di non soffocare sotto le attenzioni amorevoli della
bionda.
Che
poi definire bionda era un eufemismo visto che i capelli della suddetta
ragazza erano striati da ciocche più o meno larghe, a seconda del gusto
personale della proprietaria, che sfoggiavano un bel rosa shocking,
decisamente abbagliante.
E
giusto perché nessuno si azzardasse a dire che lei non aveva abbastanza
estro, si era legata i capelli boccolosi in due codini alti che
lasciavano la cascata multicolore scivolare sulle spalle nude, fino ad
arrivare alla vita. Li teneva sempre legati in qualche acconciatura
strana per cui non si era mai davvero chiesto quanto fossero lunghi in
verità ma sospettava che lei da sola avrebbe fatto la gioia di
qualunque commerciante in parrucche.
“Mi
stropicci la maglia” mugugnò contrariato, dando un occhiata veloce
all’abbigliamento della ragazza.
Una
canotta bianca che poteva fregiare un pizzo elaborato sul seno e una
gonna ampia, di quelle che sembravano uscite da un salone vittoriano,
solo che invece di arrivare fino ai piedi si fermava sopra il
ginocchio, lasciando scoperte le belle gambe che terminavano con due
piedini da cenerentola calzati in un paio di zeppe vertiginose.
Matt
si lisciò la maglietta in un modo che rasentava l’ossessione ora, ma
perché, perché, la sua migliore amica doveva essere una Gotich Loli? E
per di più con un gusto moderno tutto suo, che non ricalcava
l’originale giapponese che alla fine non era così male.
“Matt
guarda che non ti contagio mica” esclamò la ragazza facendo una piccola
smorfia;
“Mio
Dio mi chiedo se quando verrai a casa mia ti metterai a pulire tutto il
tempo urlando contro a chiunque si permetterà di lasciare i vestiti in
giro”
Matt
alzò gli occhi al cielo per l’ennesima volta, Eleonora era una delle
poche ragazze che davvero adorava e a cui aveva detto quasi tutto di
se, l’unica che sapeva che lui era gay, anche se le aveva taciuto
l’esperienza assolutamente devastante con Giò.
Le
voleva un bene dell’anima e lei per contro lo difendeva sempre a spada
tratta e nessuno osava sfidare la campionessa in carica di Karatè
dell’intera regione, quindi poteva dire che era grazie a lei se aveva
una vita relativamente tranquilla, ma il prezzo da pagare era stato
alto.
Guardò
il suo trucco da bambolina e l’ombrellino di pizzo che teneva con se
per proteggersi dal sole.
Un
prezzo molto alto.
“Giò!
Splendore domani ci si becca tutti da Matt e da li si parte per casa
mia!” l’urlo disumano che i polmoni di Eleonora erano in grado di
emettere davvero nessuno l’avrebbe mai eguagliato. Voltò velocemente la
testa dall’altra parte, non voleva vedere i suoi capelli neri che
sfidavano la legge di gravità sparandosi in cielo in mille direzioni
diverse, né tantomeno gli occhi verdi che brillavano di malizia ogni
volta che si posavano su un essere femminile appena decente, non voleva
vedere la consistenza di quella pelle serica e abbronzata e ricordare
com’era sotto le dita, non voleva ricordare come le sue spalle ampie
sussultavano sotto gli affondi della sua lingua, né ricordare com’era
sentire il suo corpo compatto e muscoloso schiacciato contro il
proprio, sentirlo ansimare, singhiozzare quasi, sentire come le sue
mani lo cercavano e come lo trovavano sempre, con l’infallibile
certezza che niente era loro precluso per quella notte, niente.
Nemmeno
sussurrare all’orecchio parole che si strappavano via dall’anima
accucciandosi in posti segreti dove non avrebbero fatto troppo male dopo.
Le
labbra gli tremarono nel tentativo di riprendere il controllo di se,
avere una migliore amica che conosceva praticamente mezza scuola ed era
estremamente estroversa e solare a volte poteva essere decisamente
destabilizzante.
“Si
dolcezza, ricordo tranquilla” detto con quella voce da infarto, dannazione,
non poteva, non poteva!
Perché
lui sapeva che in quel
ricordo
c’era molto più di quello che si poteva sospettare, aveva capito tutte
le parole implicite che Giò gli stava urlando ora e non voleva voltarsi
a guardare i suoi occhi mentre gli ricordava per l’ennesima volta di
dimenticarsi quello che erano stati per una notte soltanto.
Solo
per un istante, mentre già il ricordo diventava dolore sordo al centro
del petto, si permise di voltare lo sguardo per osservare come la vita
sottile fosse evidenziata dalla maglietta bianca e come il sedere
fasciato dai jeans lo facesse impazzire.
Dio
se era masochista!
Ringhiò
inconsapevolmente quando Jessica gli posò una mano proprio sul
fondoschiena e si avvicinò per baciarlo a fior di labbra.
Quella
zoccola l’avrebbe uccisa, l’avrebbe arsa viva e sparpagliato i suoi
resti per l’intera città così non l’avrebbe toccato più.
“Tesoro
mi devi dire qualcosa?” la voce perplessa di Eleonora lo strappò dalle
sue elucubrazioni.
“Perché?”
chiese sfoggiando uno sguardo ambrato ingenuo e confuso schifosamente
falso.
“Non
so, perché ho l’impressione che se tu fossi un piromane Jessica sarebbe
un pollo arrostito”
Atteggiò
la bocca ad un sorriso angelico assolutamente da brivido per il
contrasto che l’espressione dei suoi occhi avevano assunto in quel
momento.
“Di
pure una gallina allo spiedo, su uno spiedo molto molto grande”
Sentì
Eleonora schiaffeggiargli un fiancò, fintamente scandalizzata.
“Matteo
Ferro!Queste cose non si dicono vergogna!”
Rise
con lei mentre le posava un braccio attorno alle spalle e assieme
entravano a scuola per poi dividersi per i corridoi, ognuno nella
propria classe. Eleonora frequentava la quinta mentre lui era ancora in
terza, ancora non si capacitava di come una ragazza così grande e
popolare avesse voluto diventare proprio sua amica. Eleonora sapeva
della sua cotta per Giò, a pensarci bene non aveva nemmeno dovuto
dirglielo, era come se lei l’avesse sempre saputo. Non perché Matt
fosse sfacciato o esageratamente trasparente, anzi, sapeva essere
criptico e insondabile, ma Eleonora aveva questo dono, sapeva leggere
le persone, leggerle davvero, era un osservatrice acuta e a questo
univa un intuito che a volte era davvero pazzesco.
Non
aveva certo bisogno che lui gliele dicesse
certe
cose. Anche se dell’unica notte che avevano passato assieme lui e Giò
ancora non sapeva nulla e Matt giurò a se stesso che non ne avrebbe mai
saputo nulla.
Aveva
giurato.
Non
era tanto per Giò e per mantenere la sua facciata con Jessica, era per
gli occhi di Giò mentre glielo chiedeva, era per quei pezzi di giada
lucidi che disperati lo pregavano di non dire nulla, che era stata una
debolezza, che lui non era gay e che non si sarebbe ripetuto mai più.
Era
perché non aveva mai visto nulla di più puro e bello come gli occhi di
Giò, verdi come solo in un sogno si potrebbero trovare e splendenti
sotto le lacrime che non aveva trovato il coraggio di versare.
Sospirò
preparandosi a seguire la lezione, per la prima volta in tutta la sua
carriera scolastica si trovò a desiderare che la domenica non arrivasse
mai.
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Invece
la domenica arrivò sin troppo presto e lo trovò sveglio dalle sei del
mattino più o meno, aveva controllato con cura ossessiva che ci fosse
assolutamente tutto nel borsone e si era portato via roba per una
settimana intera più che per quattro giorni, ma controllare che ci
fosse tutto per l’ennesima volta gli calmava i nervi già fin troppo
provati in quegli ultimi due mesi.
I
suoi genitori erano partiti per il week end sul lago di Garda, si erano
innamorati di quel posto e ogni momento era buono per tornarci.
Quando
il campanello suonò lo trovò in cucina a prepararsi il terzo caffè,
sapeva che avrebbe avuto bisogno di una camomilla, piuttosto, ma non
poteva farci nulla. Quando era nervoso beveva caffè e fumava come una
ciminiera, era più forte di lui.
Sobbalzò
e rovesciando il contenuto della tazzina si avviò verso la porta,
imprecando mentalmente.
Eleonora
e Annalisa.
Ok
loro poteva reggerle, avrebbero calmato i suoi nervi tesi.
Eleonora
gli saltò al collo abbracciandolo stretto e cercando coccole come una
gattina, era il suo saluto quasi ogni volta che si vedevano e lui
sorridendo rilassò le spalle per stringerla forte, quello scricciolo
aveva sempre il potere di calmarlo, gli ricordava perché stava facendo
tutto quello.
La
lasciò andare sospirando e con occhiata veloce ad Annalisa si spostò
dalla porta per farle entrare.
All’inizio
la migliore amica di Eleonora l’aveva messo estremamente in soggezione,
aveva diciotto anni ma sembrava molto più grande per la sua età con
quel fisico alto e slanciato e le curve prosperose che lei accentuava
con corpetti aderenti e minigonne vertiginose.
Il
tutto rigorosamente nero ovviamente, dopotutto era una Dark, come amava
sempre ripetere lei.
Per
l’occasione aveva scelto un paio di jeans neri e una maglietta con un
teschio blu nel mezzo, si era limitata in fondo.
“Ciao
Nana” la salutò gentile come sempre e lei rispose con un
grugnito scostandosi la lunga ciocca blu da davanti gli occhi.
Portava
i capelli cortissimi e una frangia di un taglio e un colore sempre
diversi che le copriva costantemente gli occhi, vedere lei e Eleonora
assieme era decisamente destabilizzante per il contrasto assurdo che
formavano.
“Non
parlarmi finché non saremo giunti in un luogo con una temperatura
accettabile! Cristo santo ma lo sanno lassù che siamo solo a Giugno e
non ad Agosto?” rispose lei aggressiva sottolineando il concetto
alzando gli occhi neri ed espressivi al soffitto.
Matt
sorrise, ormai la conosceva abbastanza da sapere di non doversi
spaventare da questi sfoggi di aggressività e anche se all’inizio
l’avevano terrorizzato ora lo confortavano in un certo senso.
Era
bello conoscere così bene delle persone da sapere sempre cosa
aspettarsi da loro, ed era bello sapere che la loro strafottenza o la
loro aggressività non era diretta verso la tua persona ma verso gli
altri.
Era
bello sentirsi parte di qualcosa e sapere che se loro ridevano ridevano
con
lui
e non di
lui.
“Mi
pareva di aver sentito la soave voce di Mercoledì Adams!”
Replicò
una voce sorniona da dietro le loro spalle, Matt non ebbe il tempo
nemmeno di prepararsi mentalmente che entrarono Giò e Manuele, assieme
come sempre.
Quest’ultimo
si avvicinò a Nana inchinandosi ostentatamente verso di lei e ricevendo
in cambio un dito medio con un consiglio molto colorito sul modo in cui
usarlo.
“Già
fatto” replicò ridendo Manuele per poi fare un cenno di saluto a Matt e
stravaccarsi sul divano.
Giò
stranamente silenzioso si guardò attorno mordendosi un labbro, salutò
tutti e andò a stendersi accanto all‘amico, ignorando la sua ragazza
che nemmeno era entrata.
Una
scocciata Jessica si fermò sulla porta, osservando con aria annoiata lo
stipite e concedendo un saluto a mezza voce.
Matt
si scurì in volto voltandosi per andare in cucina e vedere se riusciva
a salvare qualcosa del caffè, sapeva di aver mantenuto una facciata
fredda e composta davanti agli altri e anche se non era riuscito ad
ingannare Ele, tutti gli altri avevano creduto semplicemente che lui
fosse ancora assonnato.
Si
strinse la mano mentalmente.
Ecco
ora doveva solo continuare così per le restanti ore che lo dividevano
dall’agognato giovedì.
Sospirò
sconsolato, alla fine avrebbe dovuto prendersi una vacanza per
riprendersi dalla vacanza, ne era sicuro.
Giò
sentiva lo sguardo ironico di Manuele addosso e non era una bella cosa.
Se
Manuele lo guardava così voleva dire che aveva capito qualcosa e quando
il suo migliore amico sospettava che lui avesse dei segreti lo
tormentava senza sosta per scoprire quali erano.
Spostò
gli occhi in quelli blu del suo amico, per scoprire che lo stava
guardando fisso con quell’espressione sorniona che ha il gatto quando
ha appena scoperto che il canarino che ha puntato è bello succoso.
“Piantala
o ti tiro il telecomando addosso” lo minacciò sventolando il suddetto
telecomando verso di lui.
Lo
vide inclinare la testa indietro ridendo, lasciando che i capelli
castani e mossi scivolassero sul collo, “Mio Dio potrei morire dalla
paura dopo una minaccia così sentitamente terrorizzante”
Strinse
le labbra carnose, non doveva ucciderlo, erano amici, cercò di trovare
nella sua mente una ragione valida per tenerlo in vita e stava ancora
cercando quando Manuele minacciò seriamente di rompere il suo già
labile autocontrollo.
“Non
vai ad aiutare Matt a fare il caffè?” quasi rischiò di soffocarsi con
la sua stessa saliva e a quel punto la sua mente smise di cercare e il
suo corpo partì all’attacco automaticamente scagliandosi contro il suo
amico e pizzicandolo piuttosto forte in qualunque parte del corpo
riuscisse a raggiungere.
Un
urlo disumano li interruppe.
“Ma
che cazzo fate coglioni!” la voce soave di Annalisa li costrinse a
fermarsi e a giudicare dalla faccia sconvolta di Matt di ritorno con un
vassoio pieno di tazzine fumanti, doveva dedurre che non si era ancora
abituato alle cazzate sue e di Manuele.
Adorava
quell’espressione sconcertata negli occhi ambrati del ragazzo, adorava
vedere come il suo corpo sottile si bloccava vedendoli in quella
posizione assolutamente compromettente e come posava le tazzine sul
tavolo facendo finta di nulla, mentre invece era assolutamente sicuro
che stava cercando con tutto se stesso di trattenere una risata.
Era
strano come una sola notte avesse cambiato tutto, come si era scoperto
a decifrare ogni piccolo segnale di quel volto sempre così chiuso e
criptico per poter disincagliare i veri pensieri di Matt e riuscire a
capirlo meglio.
O
forse non era partito tutto da quella notte ma molto prima e lui aveva
sempre negato tutto, ostinandosi a chiudere quello che sentiva a doppia
mandata per non ammettere che la vista di lui devastava tutte le sue
certezze.
Matt
lo devastava.
Non
riusciva più a far finta di non sapere cosa l’altro stesse pensando,
non riusciva più a impedirsi di scostargli i capelli biondi dagli occhi
e incastrarglieli dietro le orecchie, ricordando com’erano soffici
quando aveva posato la testa su lui
dopo.
Si
alzò di scatto dal divano, non era vero, non gli interessava nulla di
tutto quello, era stato tutto un maledetto errore.
Si
diresse veloce verso Jessica e abbracciandola forte la condusse dentro
casa per poi porgerle il caffè e ascoltare distrattamente la sua voce
zuccherosa mentre lo ringraziava, mentre i suoi occhi rimanevano
impigliati a quelli di Manuele che lo fissava per una volta serio,
assottigliando gli occhi blu e dirigendoli a turno da lui a Matt.
Sospirò.
Sarebbe
stata una lunga, lunga vacanza estenuante.
“Ciao
a tutti!“ La voce pacata di Gabriele riuscì a rasserenare tutti, il
viso ancora scocciato di Nana si distese in un sorriso, Matt rilassò
visibilmente le spalle e Eleonora corse ad abbracciarlo stritolandolo e
rompendo l’atmosfera strana che si era creata.
“Bene,
ora che anche il nostro Angioletto è arrivato possiamo dirci al
completo e partire direi!” commentò Manuele alzandosi dal divano per
scoccare a Gabriele una lunga occhiata ammiccante, con i capelli
castano chiari che gli scendevano in morbidi boccoli sul collo e quegli
occhi verde abbagliante sembrava davvero un angelo, per non parlare dei
lineamenti delicati e del fatto che sembrava sprizzare bontà e
ottimismo da tutti i pori.
“Aspettavate
me?” chiese leggermente costernato, continuando a stringere troppo
forte Eleonora che si era adagiata comodamente sul suo torace e non
accennava a volersi staccare.
Prima
che Manuele potesse aprire bocca e dire qualcosa di molto, molto
sconveniente visto l’espressione che il suo viso aveva assunto, Giò lo
precedette “Direi!La prossima volta mando Nana a svegliarti con la sua
chitarra elettrica” la minaccia sembrò divertire Matt che ancora una
volta si trattenne per nascondere un sorriso.
Giò
si accigliò, non capiva perché dovesse sempre nascondere tutto quello
che provava, non sorrideva mai apertamente, non si arrabbiava mai, non
imprecava mai, stava in silenzio e ogni tanto lanciava qualche battuta.
Sembrava
scaldarsi un po’ solo quando si parlava di argomenti pallosi o di
scuola.
Onestamente
non lo capiva.
Lui
era l’opposto, se voleva ridere rideva, se voleva fare casino lo faceva
e se voleva piangere in pace faceva pure quello.
Non
tratteneva mai nulla e viveva sempre tutto quello che la vita gli
regalava, era consapevole che non erano infinite le possibilità di
essere davvero felici e cercava di cogliere all’istante tutte quelle
che potevano essere afferrate, soffocando tutto quello che era sicuro
l’avrebbe ucciso.
Come
Matt.
“Dai
allora, in marcia!” esclamò allegra Eleonora staccandosi dal suo
confortante rifugio.
“Matt
e Nana con me, gli altri con Gabri!” e senza aspettare commenti uscì
dalla porta salendo in macchina. Lei e Gabri erano gli unici
maggiorenni e quindi gli unici ad avere la macchina, ognuno si diresse
al proprio posto più o meno in silenzio.