CAPITOLO
SECONDO
Siamo
tutti esuli dal nostro passato.
-Fëdor
Dostoevskij-
Odore
di stantio e un vago sentore di marcio, le pareti della cameretta erano
divorate dalla muffa e lui stringeva forte le mani sopra le orecchie
per non sentire i tonfi e le urla. I grandi occhi blu erano serrati e
il corpicino si muoveva avanti e indietro quasi cullandosi da solo per
evitare di sentire e percepire qualunque rumore potesse provenire
dall’altra stanza.
Solo
il terrore a riempirgli la mente e numeri senza senso che scandivano il
tempo, perché doveva finire prima o poi e lui contava il tempo che ci
voleva affinché sua madre entrasse in camera e li abbracciasse dicendo
che andava tutto bene.
Fino
a quel momento continuava ad avere paura, a tremare e a contare,
impadronendosi dei minuti, dei secondi, impadronendosi del tempo e
tentando di divorarlo affinché la smettesse di contrarsi su se stesso
mangiando ore di felicità.
Poi
due mani più grandi delle sue lo attirarono a se e lo strinsero forte,
cominciando ad accarezzargli i capelli, tenero, lui spalancò finalmente
gli occhi aggrappandosi alla maglietta del fratello e sentendo la gola
stretta in un nodo così forte da pensare che sarebbe soffocato, sarebbe
sicuramente morto e forse papà e mamma avrebbero smesso di litigare e
mamma non avrebbe più bevuto da tutte quelle bottiglie e papà non si
sarebbe più arrabbiato con lei.
Forse
se fosse morto avrebbero fatto pace.
Si
accorse che stava tremando più forte e solo in quel momento si rese
conto che era perché stava piangendo, ma nemmeno le lacrime riuscivano
a sciogliere il nodo. Le mani di Dom non smettevano di scorrere sulla
sua schiena, percorrendo lievi la colonna vertebrale e cercando di
calmarlo in qualche modo, non diceva una sola parola e lui lo sapeva il
perché. Perché anche Dom stava piangendo e prima di riuscire a parlare
doveva cercare di calmarsi e quell’abbraccio serviva un po’ a tutti e
due.
“Contiamo
assieme” disse solo il fratello , un sussurro roco e rotto dal pianto.
Il bambino assentì e finalmente gli sembrò di riuscire a respirare più
facilmente.
Si
alzò a sedere di scatto, i piedi erano attorcigliati nel lenzuolo che
aveva scalciato in fondo al letto, le mani corsero ad infilarsi tra le
onde castane, stringendo e tirando e solo quando dalle sue labbra uscì
un mugolio che a stento riconobbe come suo, smise.
Un
incubo.
Con
tutto quello che stava succedendo doveva immaginarlo che avrebbe
ricordato cose spiacevoli, l’aveva messo in conto dopotutto ed era
quello che aveva detto a Giò l’altro giorno in discoteca, quando
l’amico tutto preoccupato l’aveva fermato posandogli una mano sul
braccio e con quell’espressione mortalmente seria -quella che usava davvero
raramente- gli aveva detto che aveva parlato in preda alla rabbia e al
nervoso, che non voleva che lui facesse nulla se questo lo faceva star
male. E lui si era sentito davvero stringere dentro perché solo Giò era
in grado di leggere questi dettagli di lui, era l’unico a cui fosse
consentito farlo e, anche se aveva la delicatezza di un ippopotamo,
quello che davvero traspariva dal suo discorso era semplicemente quanto
ci tenesse a lui. Tanto da mettere da parte la vendetta sui bastardi
che avevano picchiato e accoltellato Matt quando aveva solo tredici
anni, solo perché era gay. E questa era una cosa così orrenda e aveva
inciso così tanto sul ragazzo che Manuele non aveva avuto il minimo
dubbio nel proposi di trovare i colpevoli, lui aveva i mezzi e le
conoscenze giuste, lui sapeva come fare. Anche se il prezzo da pagare
era alto e stava già cominciando a reclamare l’anticipo presentandogli
quei sogni.
La
cosa più assurda era come sulle labbra, un istinto antico che
richiamava ogni uomo, prima o poi, era tremata per un attimo la parola
mamma
come se quella parola, salvifica e dannata assieme, potesse portargli
una qualche illusoria pace nella pena che il sogno aveva richiamato.
Sorrise amaro alzandosi definitivamente e afferrando le sigarette sul
comodino, erano le cinque del mattino ma ormai il sonno era andato a
puttane quindi tanto valeva farsi una sigaretta.
I
jeans erano larghi e quasi cascavano scivolando sui fianchi stretti ma
Manuele non se ne curava, appoggiato al muro di una vecchia casa
diroccata, aspettava. La sigaretta perennemente in bocca mandava volute
di fumo grigio ad infestare ulteriormente quella parte di città, una
città diversa da quella che stava cominciando a considerare un po’ sua,
una città che aveva quasi scordato, rimosso dai suoi ricordi, salvo poi
rendersi conto, non appena ci aveva rimesso piede, che ci sono ricordi
che non se ne vanno, si acquattano in fondo alla parte segreta di te e
aspettano la loro ora sogghignando. Ci sono ricordi che semplicemente
esistono e già questo in se costituisce la rovina.
In
quel pezzo di strada mi sono sbucciato le ginocchia e Dom ha riso
prendendomi in braccio e dicendo che ero davvero una femminuccia.
Abbassò
la testa lasciando che le morbide onde scure coprissero il volto teso,
non sapeva esattamente quanto avrebbe dovuto aspettare ma ogni minuto
era un lampo che portava con sé la consapevolezza che quella città lo
avrebbe mangiato lentamente, pezzo dopo pezzo, fino a prendersi la
parte migliore, quella che aveva costruito assieme a Giò e alle persone
che si prendevano cura di lui, quella città era il sangue che gli
scorreva nelle vene, sangue malato che portava il marcio in tutto il
corpo.
Non
si sarebbe mai liberata di lei in fondo, e lo sapeva.
Poi
un ombra scura apparve alle sue spalle, un ragazzo che lui riconobbe
immediatamente e che lo spinse a voltarsi con un sorriso ironico sulle
labbra.
“E’
sempre bello rivedere questa amabile città e i suoi splendidi abitanti”
il ragazzo sorrise e si infilò le mani in tasca, la canottiera esaltava
le sue braccia muscolose e piene di tatuaggi e i capelli nerissimi
incorniciavano un volto senza dubbio affascinante, se non altro per il
leggero strabismo degli occhi, sembrava che vedessero tutto e niente
nello stesso momento.
“E’
sempre bello vedere che non sei cambiato dopotutto” rispose quello,
facendo un cenno con la mano per indicargli di seguirlo.
Non
camminarono moltissimo, i vicoli stretti e bui sembravano susseguirsi
tutti uguali ma Manuele li conosceva perfettamente, sarebbe stato
impossibile perdersi.
“Qui
andrà bene” disse il ragazzo, fermandosi in un vicolo particolarmente
claustrofobico e guardandosi attorno nervoso.
“Sai
che non dovrei essere qui e che l’ho fatto solo perché sei tu” esordì
quello, stringendosi nelle spalle e accendendosi una sigaretta.
“Apprezzo
molto lo sforzo, ricordami di ripagarti in
qualche modo”
rispose beffardo Manuele, dove le parole in
qualche
modo assumevano connotazioni ben precise che accesero subito lo sguardo
dell’altro di mille sfumature eccitate, “Vedo che non sei cambiato
nemmeno tu” commentò Manuele ghignando e avvicinandosi a lui per
percorrergli con un dito il profilo di una spalla, lentamente,
perdendosi nella consistenza di quei muscoli che ricordava molto meno
sviluppati ma che decisamente apprezzava maggiormente ora.
“Ti
sbagli, non sono più il ragazzino tremante di una volta che si
rifugiava da te dopo”
il tono di voce era duro e sprezzante ma sapeva cosa si nascondeva
dietro, la consapevolezza che tutti e due dovevano qualcosa all’altro e
che era solo per quel motivo che ora il ragazzo si trovava lì.
“E
io non sono più lo stupido che si faceva quasi uccidere per difenderti
Davide” ribatté Manuele, appoggiò le labbra sulla tempia dell’altro in
una carezza che non aveva niente di gentile quanto di affamato.
Una
volta aveva quasi amato quel ragazzo sorridente e tenero, che quando
non ce la faceva più correva da lui e si faceva stretto stretto contro
il suo torace, lasciandosi accarezzare la schiena e sussurrare parole
di conforto che avevano l’ironia sferzante di una frustata ma che
riuscivano sempre a stemprare la tensione. Era strano pensare che
Davide ce l’aveva fatta, era rimasto e aveva fatto strada, mentre lui
era fuggito via, a guardarli assieme una volta avresti detto
esattamente l’opposto.
Anche
se effettivamente non si poteva davvero dire chi
dei due avesse fatto strada davvero, quando la vita di Davide era
sempre in bilico sul filo di un coltello o di un proiettile.
“Non
sono più Dade?” replicò l’amico in un soffio ironico, gli occhi
socchiusi mentre le labbra di Manuele percorrevano la mascella e
scendevano sul collo a lasciargli morsi che erano un po’ dei marchi, sei
stato mio e se solo lo volessi lo saresti ancora,
questo dicevano i suoi denti che affondavano nella carne tenera.
Davide
si morse le labbra per non gemere mentre una mano correva sulla nuca di
Manuele per infilarsi nei capelli scuri e l’altra scivolava sul fianco
a premerselo addosso.
“Sei
sempre
Dade, ma pensavo non gradissi più quel soprannome, ora ne avrai
sicuramente uno più scenico” replicò l’altro, mentre anche le sue mani
avevano cominciato a vagare sul corpo che ormai aveva schiacciato
contro il muro, le gambe divaricate gli facevano spazio in modo che
potesse incastrarsi perfettamente nel mezzo e le dita serravano i
capelli stringendo le ciocche scure, avvicinandolo ulteriormente a sé.
“Sicuramente
è più scenico ma non vorrei mai vederlo pronunciato da te e non te lo
dirò mai altrimenti mi prenderesti per il culo per tutta la vita.” Una
risata leggera si trasmise direttamente sulla clavicola di Davide che
il ragazzo stava mordicchiando per poi passarci la lingua e far gemere
più forte l’altro, non era mai stato in grado di resistergli, anche se
quando si erano conosciuti avevano appena tredici e quattordici anni e
non avevano fatto poi chissà cosa, era sufficiente quello che già gli
altri facevano a Davide e avevano successivamente fatto anche a
Manuele; loro si accontentavano di accarezzarsi furtivi e accoccolarsi
vicini nelle notti più dure.
“Sai
perché ti ho chiamato vero?” un sussurro tra un morso e l’altro mentre
anche le mani avevano cominciato a vagare ed alzare la canottiera per
accarezzare lo stomaco piatto e abbronzato.
“Non
sono sicuro di voler rischiare la vita per portare un messaggio a tuo
fratello, sai com’è irritabile” replicò Davide, la voce spezzata che
tentava di mantenere un tono sicuro ma che scivolava sempre di più nel
estatico.
“Mh”
rispose Manuele staccando improvvisamente le mani e la testa,
guardandolo per un attimo con uno sguardo obliquo e contrariato, le
labbra a qualche millimetro dalle sue e le mani che si erano fermate
sui bottoni dei jeans. Davide mugolò, non era davvero pensabile l’idea
di fermarsi adesso, non quando Manuele aveva acceso uno ad uno i suoi
sensi gettando loro addosso benzina a secchiate, non quando l’unica
cosa che voleva era sentirlo dentro santo cielo, con una smania che
minacciava di portarlo al delirio se l’altro non lo avesse soddisfatto.
“Manu…”
gemette cercando di inarcare il bacino contro il suo per far toccare le
loro erezioni e ricevere soddisfazione, ma l’amico l’aveva messo in
conto e si scostò per poi riavvicinarsi e premerglisi addosso
improvvisamente e per un breve bruciante attimo, facendolo quasi
gridare dall’insoddisfazione.
“Bastardo”
ringhiò stringendo con furia le ciocche di capelli ancora intrecciate
alle sue dita, per tutta risposta Manuele inarcò il capo seguendo il
movimento della mano e sorrise, tagliente e letale.
Il
suo sorriso, quello che voleva dire sei
fottuto e lo sai
lo stesso identico sorriso di suo fratello.
“Daaaade…”
cantilenò strusciando ancora il bacino contro il suo e avvicinando la
punta della lingua alla sua mascella, percorrendola.
“Tu
fai una cosa per me e io faccio una cosa per te” sussurrò sulla sua
pelle, sapeva essere estremamente sadico e manipolatore quando lo
voleva, di questo Davide era perfettamente consapevole ed era proprio
questo suo lato del carattere che lo accendeva ogni volta.
“Vaffanculo”
sibilò l’altro, la voce spezzata in piccoli ansiti e la voglia che
ormai bruciava in tutto il corpo, “Vaffanculo, farò quel cazzo che
vuoi, ma ora scopami dannazione” e il sorriso trionfante di Manuele si
perse nel bacio affamato che gli elargì e nelle loro lingue che si
cercavano frenetiche.
Non
c’era dolcezza o tenerezza, non si poteva nemmeno definire passione,
quanto piuttosto furia e una necessità così violenta e crudele da
squassare tutto il corpo e costringere Manuele a voltare di scatto
Davide contro il muro, per posargli le mani sui fianchi e allontanarli
dalla parete in modo da poter slacciare i jeans agevolmente e
cominciare a masturbarlo.
I
movimenti precisi e veloci ogni tanto rallentavano e i gemiti di Davide
si alzavano incuranti di tutto, il suo bacino gli andava incontro
smanioso, non vedeva niente, non sentiva niente, se non le mani di
Manuele stringerlo e il suo respiro addosso.
E
quando Manuele entrò con foga in lui si morse le labbra a sangue e
inarcò la testa indietro, sbarrando gli occhi, esponendo il collo ai
suoi baci e lasciando che una mano andasse ad afferrargli le lunghe
ciocche nere che sfioravano le spalle, per tirare e farsi maggiore
spazio sulla carne tenera della gola. Era semplicemente fuoco che
divampava così violento e necessario da cancellare la città di merda in
cui erano, il vicolo stretto in cui stavano scopando e perfino la puzza
di merda che veniva dal tombino lì sotto. La mano di Manuele scorreva
veloce sulla sua erezione e quando strinse più forte dopo una spinta
particolarmente violenta, Davide non si trattenne più, non era
umanamente possibile trattenersi di più con Manuele che pompava dietro
di lui e lo portava alla pazzia col movimento folle del suo bacino e
con quella dannata mano.
Quando
Manuele si staccò e crollò su di lui ansimando, per un attimo la linea
dolce del collo che diventava spalla lo incantò, sotto la scorza dura
che si era creato per sopravvivere era rimasto sempre il suo Dade,
smanioso di contatto e di calore. Sapeva che avrebbe fatto quello che
gli chiedeva e non per la scopata, ma perché anche per Davide, in un
modo contorto e forse sbagliato, lui era rimasto sempre il suo Manu.
Posò
un bacio languido sulla nuca, scostando, con quella che ora si poteva
definire quasi tenerezza, i capelli.
Quando
si allontanò per tirarsi su i Jeans e permettere all’altro di
rivestirsi pensò a come in fondo le cose non cambiavano mai del tutto,
si modificavano forse, intrecciando le persone che erano state con
quelle che erano diventate e che diventeranno, ma alcune persone,
quelle che avevano vissuto con te il periodo più schifoso della tua
vita, quelle, restavano sempre.
Testimoni
implacabili del fatto che niente è incancellabile e che i legami si
perdono, mutano, ma ritornano immancabilmente.
“Digli
che non ho dimenticato e che sono tornato a riscuotere” disse solo
Manuele, la voce che ora era ridiventata tagliente e secca, priva della
solita ironia che lo contraddistingueva sempre.
Davide
rabbrividì voltandosi verso di lui e fissando i suoi occhi blu, ora
mare in tempesta, desiderando per la prima volta non aver mai
conosciuto nessuno dei due fratelli, capaci di entrarti così
violentemente nell’anima da impedirti di dimenticarli davvero.
“Sai
cosa rischio” rispose solo, fissandolo a sua volta con i suoi occhi
neri come l’inchiostro, occhi in cui la pupilla si confondeva con
l’iride.
“Ti
ho ricompensato mi pare” l’ironia tornava a condire la sua voce ma si
perse nella risposta secca dell’altro.
“Sai
che non lo farò per quello” commentò Davide, se i fratelli si univano
qualunque nemico si sarebbero trovati di fronte sarebbe stato un nemico
morto
e per un attimo ebbe pietà di quello stupido uomo.
Lo
sguardo di Manuele si addolcì un attimo, accarezzando il corpo
dell’amico ancora appoggiato al muro e le labbra piene ancora gonfie e
rosse di baci.
“Lo
so Dade” disse solo, allontanandosi definitivamente e sparendo alla sua
vista.
Non
c’era davvero un motivo valido per cui si era diretto a casa di Giò,
non che dovesse averne per forza uno, erano amici in fondo no? E gli
amici dovrebbero avere sempre la porta aperta, questo era uno degli
assiomi che imparavi a far tuoi non appena pensavi di averne incontrato
uno.
Poi
crescevi e vedevi che in fondo non era poi un assioma, non era poi così
scontato, non era poi così vero, e ti sentivi un po’ tradito perché,
porca miseria! Te l’avevano giurato che ci sarebbero stati, ti avevano
fatto capire, anche senza dire una sola parola, che non c’era nemmeno
da chiederlo, loro sarebbero stati lì. E invece spesso ti ritrovavi con
la mente in pezzi e una porta chiusa. E quindi aveva imparato a non
dare mai per scontato il modo che aveva Giò di rispondere alle sue
chiamate, sempre allegro, come se non aspettasse che di sentire lui; il
modo che aveva di salutarlo, come se davvero non potesse incontrare o
vedere persona più gradita, nemmeno Matt; il modo che aveva di esserci
sempre e correre da lui non appena aveva il sentore che qualcosa non
andasse e il modo che aveva di aprirgli sempre, sempre
la porta con un sorriso. Quello che non si aspettava davvero era che ad
aprirgli la porta fosse Gabriele, il sorriso smagliante e gli occhi
chiari che non avevano ombre o esitazioni, gli occhi di chi l’anima te
la mostra immediatamente, e non ci sono ombre o parti nascoste perché,
in bene o in male, loro sono incapaci di nascondere qualcosa.
“Manu!
Ciao! Scusa se ho aperto io ma quei due debosciati stanno cercando di
cucinare le crepes, solo che Giò non è un assistente valido come Ele e
non ti dico i risultati” con la voce che non cercava nemmeno di
trattenere una risata allegra.
“E
io che pensavo di aver interrotto qualcosa di più interessante”
commentò Manuele entrando in casa e sentendo un vago odore di bruciato
che effettivamente investiva perfino il salotto, si diresse in cucina
seguito da un Gabriele che stavolta la battuta l’aveva capita ma
avrebbe preferito farne a meno.
“Mio
Dio sei a senso unico, cazzo Manu ma non pensi ad altro?” rispose,
nella voce un tono di sincera incredulità.
“E
a che altro dovrei pensare di altrettanto interessante?Piuttosto
tu…com’è che non sei a studiare come un matto per la maturità come
stanno presumibilmente facendo Ele e Nana?” Chiese osservando come Matt
stesse colpendo Giò ripetutamente sul dorso delle mani col mestolo e
come Giò lo guardasse con aria da animaletto ferito. Lo salutarono
all’unisono, Matt con un sorriso discreto e uno sguardo attento, Giò
con una lunga occhiata che gli svelò buona parte del motivo che l’aveva
spinto a quell’improvvisata.
“Perché
ho la mente fusa e Giò mi ha proposto di fonderla definitivamente
facendomi assistere ai loro scleri” rispose Gabriele mentre li indicava
con sguardo eloquente. In effetti erano entrambi infarinati dalla testa
ai piedi e se questo per Giò non era motivo di particolare scorno, per
Matt invece doveva essere un autentica tortura, vista la mania che
aveva per la pulizia.
“Io
non sclero, è Matt che è fissato santo cielo! Di questo passo mangeremo
alle due!” Matt gli rivolse un occhiata truce e incrociando le braccia
sibilò un gelido “Fottiti allora e comprati una pizza!” poi per evitare
battute facilmente intuibili alzò un dito e intimò: “E se sento una
sola battuta di dubbio gusto vi sbatto fuori!” A quel punto Giò
incrociò le braccia in una posa identica a quella del fidanzato e con
stizza ribatté: “Io non faccio mai battute di dubbio gusto! E non vedo
la necessità di bagnare a ogni singola crepes cotta il fondo della
padella nell’acqua! Né di usare il burro e spalmarlo ogni volta, l’olio
è più veloce” a quelle parole il cipiglio di Matt assunse un entità
davvero notevole e con grande divertimento dei suoi spettatori agitò il
mestolo in aria, minacciandoli con un tono sepolcrale: “Uscite
immediatamente da questa cucina. Tutti!” Giò appoggiò le mani sui
fianchi e sbuffò fuori un: “Ma è la mia cucina!” E Manuele vedendo gli
amici schernirsi in quel modo, osservando Gabriele che non faceva altro
che ridere piegato in due, riuscì a capire bene il motivo che l’aveva
spinto a venire lì. Non era mai certo della scena che avrebbe assistito
entrando a casa di Giò, ma quello su cui poteva sempre contare era che
l’avrebbe immancabilmente fatto sentire meglio.
Matt
in ogni caso non aveva minimamente considerato la protesta di Giò e uno
sguardo particolarmente truce aveva spinto tutti i ragazzi ad
abbandonare la stanza, Manuele scrollando le spalle divertito, Gabriele
ridendo come un matto e Giò ancora imbronciato, rimbrottando fra sé e
sé fino a che si sedettero sul divano.
“Giò
santo cielo, sembri una pentola a pressione!” commentò Gabriele ancora
ridendo, mentre l’interpellato alzava sull’amico uno sguardo assassino.
“Taci tu! Di chi è stata l’idea di cucinare le crepes che ‘Matt le fa
tanto buone!’ ? Tu sei quello che ha scatenato la belva di là!” e
all’urlo di Matt: “Guarda che ti sento e sai le conseguenze che questo
porterà” tutti non poterono fare a meno di rabbrividire e rattristarsi
per la povera libido di Giò che evidentemente sarebbe rimasta senza
soddisfazioni per un bel po’.
Poi
le risate scemarono e stravaccandosi sul divano Giò osservò
attentamente Manuele, non aveva detto una parola da quando era entrato
in cucina, si era limitato a un due battute nemmeno troppo brillanti e
questo era decisamente preoccupante nella scala che scandiva l’umore
dell’amico.
E
quando Giò gli rivolse uno sguardo intenso, dove si intrecciavano
preoccupazione, affetto, stima e una tacita promessa, quella di esserci
sempre, ma sempre sempre, allora Manuele si concesse un sospiro stanco,
l’unico atto di debolezza che avrebbe mostrato. Per Giò era sufficiente
ed era consapevole che se l’era lasciato scappare solamente perché Matt
era in cucina e non guardava.
Era
difficile spiegare perché Giò gli era così caro, ma forse non era poi
nemmeno così necessario, si poteva intuire dal modo in cui l’amico lo
capiva ogni volta, da come ora avesse smesso di sorridere e lo
fissasse, serio, e dalle uniche parole che gli rivolse: “E‘ tutto una
merdata Manu, non si può trovare un altro modo?” avrebbe dovuto sapere
che avrebbe capito, non era andato lì per quello? Perché lui avrebbe
capito senza bisogno di dire nulla? Però vedere come ci riuscisse ogni
volta lo riempiva sempre di una gratitudine così assoluta da stordirlo.
Perché se la vita aveva insegnato qualcosa a Manuele, quel qualcosa era
sicuramente che incontrare una persona capace di entrare così in
profondità dentro di te e resistere nonostante avesse visto in faccia
quanto tu possa essere miserevole, non era per niente scontato. Scosse
la testa, piantando i suoi occhi blu in quelli verde scuro dell’amico,
così simili e diversi da quelli chiari e splendenti di Gabriele, e
rispose: “Va bene così, ti dovevo un favore dopotutto, uno bello
grosso.” e Giò quasi rabbrividì per quello che le parole
sottintendevano, perché stipata dentro a quella semplice frase c’era la
consapevolezza che se non fosse stato per Giò probabilmente la vita di
Manuele avrebbe preso tutta un’altra strada e la sua anima sarebbe
stata molto più a brandelli di quanto già non fosse per conto suo.
“Non
dire cazzate…” Ma Manuele lo interruppe con un gesto secco,
“Non
dire cazzate tu Giò, sai che lo voglio quanto te perciò piantala.” Per
poi spostare lo sguardo impercettibilmente verso Gabriele in un chiaro
messaggio.
Non
è il momento di parlarne e per dire la verità non c’è proprio un cazzo
di cui parlare.
Gabriele
osservava quello strano scambio senza dire nulla, non ci capiva molto
ma quello che capiva non gli piaceva per nulla e aveva l’impressione
che avesse a che fare con Matt.
Aveva
notato come i due ragazzi si erano stretti possessivi attorno a lui,
ogni sguardo ostile che riceveva prima per i corridoi della scuola e
ora per strada, veniva ricambiato con uno sguardo altrettanto ostile e
molto più minaccioso; ogni gesto che poteva sembrare meno che gentile
veniva ugualmente punito con un po’ più di uno sguardo minaccioso; se
questo poteva capirlo per quanto riguardava Giò, l’interessamento che
aveva mostrato Manuele proprio non se l’aspettava. Non era tipo da
interessarsi davvero alle persone, non che se ne fregasse ma aveva
l’impressione che fosse il tipo che osservava tutto ma non veniva
toccato
davvero
da nessuno,
solo Giò aveva questo privilegio e in parte Eleonora. E ora era
arrivato Matt e Manuele con lui sembrava comportarsi come con un
fratello minore, lo proteggeva, lo ascoltava e si interessava davvero.
E questo era disturbante.
Ma
ancora più disturbante era trovarlo appunto, disturbante.
Insomma a lui piaceva Eleonora e che gli importava poi se Manuele si
era affezionato al ragazzo del suo migliore amico? Era una cosa
normale. Solo che con lui non era così, non aveva quello sguardo
tenero, non lo sfiorava in brevi carezze che riconosceva con stupore
come coccole.
A lui riservava sguardi strani che lo confondevano e quando lo toccava
era sempre per sbaglio, sembrava evitasse con tutte le sue forze anche
solo di sfiorarlo e non sapeva davvero spiegarsi il fastidio che
sentiva in fondo allo stomaco ogni volta che queste considerazioni
sgorgavano dal fondo di sé. Si rifiutava di credere che fosse gelosia, ma
gelosia di cosa poi?
Lui Manuele non lo considerava se non come amico, e come amico gli
piaceva molto e gli dava fastidio che qualcun altro, arrivato dopo di
lui tra l’altro, potesse prendere il suo posto.
Ecco,
così andava meglio.
“Vado
a vedere a che punto è la belva di là” fu la voce di Giò a
interromperlo dalle sue riflessioni, non poté fare a meno di ammirarlo
per il coraggio che stava dimostrando ma poi capì che era solo fame,
non coraggio. Guardando l’ora si era effettivamente reso conto che
erano le due del pomeriggio.
Sentì
la porta della cucina aprirsi e degli urli alzarsi all’istante, per poi
interrompersi d’un tratto altrettanto istantaneamente.
Gabriele
sorrise, Giò doveva aver trovato un buon metodo per farlo tacere.
“Se
fare l’isterico porta a questi risultati dovrei mettermi a urlare anche
io” borbottò Manuele con uno scintillio divertito negli occhi. Non era
cambiato nulla da quando era entrato in casa eppure sentiva l’aria
attorno al ragazzo meno elettrica, più distesa e rilassata e capì che
per lui quei due erano una specie di panacea, se loro stavano bene ed
erano felici andava tutto nel verso giusto.
“Hai
bisogno di fare l’isterico?Non conosci altro modo?” ribatté Gabriele,
senza davvero rendersi conto della battuta appena fatta e soprattutto
di chi
fosse
il destinatario di questa battuta, che probabilmente non aspettava
altro per avvicinarsi un po’ a lui e arrivare a sfiorarlo con le cosce,
senza toccarlo davvero e questa era la cosa più frustrante. Seduto
accanto a lui si chiedeva perché diavolo tutte le sue sinapsi dovessero
andare in corto circuito non appena sentiva il corpo di Manuele a meno
di un metro da lui.
“A
dire il vero sì” rispose quello con un sorriso che non era né ironico
né malizioso ma racchiudeva in sé uno strano miscuglio di stanchezza e
tenerezza, una cosa assurda indossata da lui.
“Ma
alle volte sembra che i miei metodi non funzionino per nulla” e
Gabriele ebbe l’insensata impressione di andare letteralmente a fuoco,
anche se non avrebbe saputo dirne il motivo. O forse semplicemente il
suo corpo aveva recepito prima di lui il messaggio che tentava di
mandargli Manuele, senza che però la sua mente ne fosse davvero
cosciente.
“Allora
cambia metodo” si ritrovò a dire dopo aver distolto lo sguardo con
quella che sperava risultasse noncuranza e non paura.
Il
ragazzo scosse le spalle, sfiorandolo nuovamente e producendo nuovi
brividi, per poi lasciarsi sfuggire un sospiro, quasi che in sua
presenza dopotutto si concedesse più di quello che gli altri avrebbero
mai potuto intuire di lui, e rispose: “No, penso che continuerò così…
mi darà più soddisfazione quando alla fine prenderò ciò che voglio” e
nemmeno Gabriele a questo punto riuscì a ignorare che in quel discorso
c’era un sottinteso grande quanto una cattedrale.
“E
se non ci riuscissi?” con una punta di irritazione nella voce, dava
troppe cose per scontate Manuele e lui aveva appena cominciato a capire
cosa volesse dire con tutte quelle frasi sibilline, e quello che capiva
metteva sottosopra tutte le sue certezze.
“Ci
riuscirò” con una tale fiducia in questo da irritarlo davvero, scostò
la gamba dalla sua con un gesto repentino e solo in quel momento si
rese conto di quanto
vicino fosse Manuele e di quanto questo non lo infastidisse affatto.
“Questa
tua sicurezza può essere irritante sai?” e glielo disse come se lo
stesse accusando, accusando di averlo costretto a ribaltare la sua
concezione del mondo e prendere in considerazione una cosa che il suo
cervello non aveva ancora realizzato del tutto, continuando a negare
con stordita incredulità. Non poteva essere, si era sicuramente
sbagliato, Manuele non poteva davvero…cazzo non riusciva nemmeno a pensarlo.
“Forse
è l’unica cosa che mi rimane” e questo sussurro quasi involontario lo
costrinse a voltare la testa di scatto, osservando i suoi occhi
brucianti in cui leggeva un desiderio e un incertezza che lo
spiazzavano. Non c’era posto per esitazioni o dubbi, semplicemente lo
disse, con quella semplicità spiazzante che aveva tanto attirato
Manuele, senza nemmeno pensarci prima. “Ti rimaniamo noi” la voce una
carezza gentile “Ti rimango io” Tornò ad avvicinarsi a lui, non lo
stava toccando nemmeno con una piccola porzione di sé, però gli occhi
verdi ora così intensi e teneri sembravano abbracciarlo e suggerire che
non erano parole di circostanza, ci credeva davvero.
“Non
so bene cosa fare ma so che vorrei aiutarti davvero in qualche modo… ”
e questa era una cosa capace di spiazzare definitivamente Manuele
perché non era abituato a sentirsi dire cose del genere con tutta
questa semplicità e non era abituato allo sguardo sincero che gli stava
rivolgendo Gabriele. C’era Giò ma Giò era un’altra cosa, la tenerezza
che gli rivolgeva ora Gabriele toccava un posto così in fondo a sé da
pensare di non possederlo nemmeno prima che le parole di Gabriele lo
risvegliassero.
Manuele
aprì la bocca e non sapeva davvero cosa avrebbe risposto, probabilmente
qualcosa di acido e stronzo, perché quando si sentiva particolarmente
indifeso reagiva così, ma l’intervento provvidenziale di Giò lo bloccò.
“Finalmente
il principino ha deciso di sfamarci” borbottò facendo un cenno generale
per condurli in cucina; la tavola imbandita faceva concorrenza a un
ristorante, le posate, i piatti, perfino i tovaglioli arricciati, erano
disposti alla perfezione, e Giò non ebbe nemmeno la forza di
commentare, ci rinunciò a priori sedendosi a tavola e cominciando
finalmente il pasto.