CAPITOLO
QUARTO
L'anima
non è sempre un diamante ma alle volte velo di seta,
immagina
un velo di seta trasparente, qualunque cosa potrebbe stracciarlo, anche
uno sguardo.
-Alessandro
Baricco-
Aveva
cercato di rimuovere gran parte dei ricordi dolorosi, quelli che si
insinuavano dentro l’anima e poi non volevano saperne di uscire
nuovamente, quelli che si impigliavano così testardamente alla pelle da
sembrare impossibile riuscire davvero a dimenticare.
Era
fin troppo chiaro il puzzo che infestava quel posto, lo ricordava come
uno schiaffo alla sua memoria, eppure gli sembrava molto più piccolo di
allora, quella volta gli era parso enorme, un magazzino abbandonato dai
mille anfratti dove nascondersi. In quel momento non poteva davvero
credere che fosse così piccolo invece, incapace di pensare
razionalmente al fatto che fosse cresciuto e quindi fosse assolutamente
normale ricordarlo in quel modo, falsato dalle percezioni incerte del
suo essere ragazzino, erano passati solo due anni ma gli parevano
secoli. Davide lo fissava con uno sguardo preoccupato e guardando lo
sguardo cupo di Dom in effetti pensò che avesse ragione a preoccuparsi.
Non presagiva nulla di buono e represse un brivido che minacciava di
stordirlo.
Odiava
suo fratello.
Lo
odiava e lo avrebbe ammazzato se solo se ne fosse presentata
l’occasione. Eppure erano lì, in quella stanza buia, a fargli compagnia
solo Davide e nessun altro, tutti gli altri aspettavano fuori pronti a
intervenire anche se nessuno pensava ce ne fosse un reale bisogno,
dopotutto lo avevano perquisito prima di lasciarlo entrare, senza
fargli mancare sorrisetti sarcastici e sguardi maliziosi.
In
effetti in cima alla lista da persone da uccidere Manuele avrebbe senza
dubbio piazzato loro prima di suo fratello.
“Ma
che commovente questa riunione di famiglia” commentò Manuele, incapace
di tacere ancora né di tenere a freno la lingua tagliente. Era senza
dubbio furioso e anche se sapeva che era stato lui a cercare il
fratello e non l’opposto, non poteva evitarsi di guardarlo come se
fosse stato il fratello a costringerlo nuovamente a presentarglisi
davanti agli occhi.
“Non
hai perso il tuo sarcasmo vedo”rispose Dom, gli occhi blu fissi sulla
sua figura, i capelli tagliati cortissimi sembravano metterli ancora
più in risalto, così come risaltavano i lineamenti rozzi e marcati
eppure innegabilmente affascinanti.
“Tra
le altre cose” replicò Manuele avvicinandosi a lui senza esitare,
sapeva che se avesse mostrato l’inquietudine che lo stava afferrando in
quel momento sarebbe stata la fine.
Due
paia di occhi blu identici si stavano fronteggiando, ghiaccio contro
ghiaccio piantati come lame mortali uno sull’altro, uno stallo che
nessuno dei due riuscì davvero a vincere e allora si risolsero a
distogliere lo sguardo nello stesso momento, per posarlo sulle tazze
che avevano di fronte.
“Com’è
questa nuova famiglia?” Chiese il maggiore, i capelli castani tagliati
corti nascondevano le stesse onde che modellavano la capigliatura del
minore.
Manuele
alzò le spalle, lo sguardo perso sulla limonata che la madre adottiva
aveva piazzato loro davanti con un sorriso caldo.
“Non
lo so” rispose, e in quella risposta c’era la diffidenza che aveva
maturato in anni di spostamenti da una famiglia all’altra, passando per
istituti che erano più simili a grandi casermoni che altro, quindi
davvero non voleva sbilanciarsi perché a tredici anni aveva già
imparato che delle apparenze non ci si poteva mai fidare.
“So
che hai un nuovo amichetto” continuò Dom sarcastico, c’era una nota
irriverente di fondo che avrebbe caratterizzato per tutta la vita il
modo di Manuele di porsi con gli altri.
Non
appena Dom menzionò Giò Manuele si irrigidì, era in quella famiglia da
pochi mesi e aveva stretto molte amicizie con gli altri ragazzini,
soprattutto perché lui era un tipo divertente e la sua storia
incuriosiva tutti, si avvicinavano a lui con la naturale curiosità dei
bambini e con il loro crudele candore spiattellavano verità scomode
cercando di capire cosa fare con quel ragazzino così strano.
“E’
solo il mio vicino di casa” rispose Manuele, ora innervosito, non
voleva davvero fare vedere al fratello che era stato così debole da
permettere a un estraneo di entrare nella sua sfera affettiva così in
fretta. Dom non aveva amici, solo compagni, e lui voleva assomigliare
al fratello più di qualunque altra cosa al mondo, quindi ammettere che
a Giò era davvero affezionato era una piccola sconfitta per lui.
Ma
Dom lo intuì lo stesso, lo intuì nel modo quasi affettuoso con cui gli
occhi di Manuele seguivano un bambino giocare a calcio con gli amici
nel cortile vicino, un impulso spontaneo che il fratellino non era
ancora in grado di controllare.
“Cos’ha
di diverso dagli altri?” chiese, infilandosi con precisione chirurgica
nei dubbi e nel marasma contorto che era la sfera emotiva del fratello,
instillando perplessità e ricoprendo tutto quello che prima sembrava
naturale e giusto
di
una patina di diffidenza e cinismo.
“Niente”
rispose in fretta Manuele, troppo in fretta. La verità era che non lo
sapeva nemmeno lui, però quando era arrivato a scuola il primo giorno
tutti lo avevano guardato strano e gli si erano avvicinati
circondandolo, irritandolo enormemente e, in fondo, spaventandolo. Lui
voleva solo essere lasciato in pace non venire circondato dalla curiosa
ipocrisia degli altri.
Ed
era arrivato Giò, aveva disperso gli altri con un cenno infastidito
della mano e in quel cenno Manuele aveva riconosciuto la naturale
propensione al comando e l’estrema sicurezza di sé di un capo.
E
poi gli aveva sorriso ed era rimasto con lui tutto il giorno, senza
chiedergli nulla, parlando di quelle cose stupide e insensate di cui
parlavano tutti i ragazzini di quell’età, inondandogli il petto di un
calore che non aveva mai conosciuto, e nello stesso tempo impedendo a
chiunque di avvicinarsi a loro.
E
poi era parso naturale continuare a vedersi, giocare assieme e passare
tutti i pomeriggi a guardare la tv, era come se Giò lo avesse preso per
mano mostrandogli quanto potesse essere bello avere una famiglia, degli
amici sinceri, una vita normale.
Dove
il normale non era sinonimo di noiosità ma solo di calore.
Ma
erano pensieri e stati d’animo di cui si vergognava enormemente davanti
al fratello, con un solo sorriso cinico era riuscito a far sembrare
tutto sporco e sbagliato.
“Non
mi frega niente di questa gente qui” disse Manuele con una veemenza che
raramente gli aveva sentito nella voce Dom “Tu sei mio fratello e io
voglio stare con te!” perché Dom c’era sempre quando aveva bisogno di
lui, l’aveva abbracciato quando sembrava che nessuno al mondo volesse
farlo e si prendeva sempre cura di lui.
“Vuoi
davvero stare con me?” chiese sibilino Dom, in quel sussurro tagliente
Manuele avrebbe dovuto riconoscere il pericolo ma era piccolo e amava
suo fratello, non gli sarebbe mai venuto in mente che seguirlo potesse
essere la sua rovina, ma anche se qualcuno gliel’avesse detto lui
probabilmente avrebbe scrollato le spalle, asserendo che se andare con
Dom l’avrebbe ucciso voleva dire che sarebbe morto. Ma con suo
fratello.
“Si”
rispose testardo il ragazzino, Dom sorrise e in quel sorriso a Manuele
parve di scorgere soddisfazione e tristezza assieme, come se il
maggiore volesse disperatamente stare con lui ma questo fosse in un
qualche modo segreto e sconosciuto al più piccolo, sbagliato.
“Allora
fatti trovare stasera alle nove fuori casa, porta uno zaino con la tua
roba, vieni con me”
“Mi è sembrato di capire che tu pensi che io sia in debito con te”
cominciò il fratello, con un tono indifferente che non ingannò nemmeno
per un istante Manuele.
“Non
lo penso. Ne sono sicuro” Ribadì sicuro il ragazzo, senza permettersi
di mostrare la minima debolezza. Solo una e suo fratello lo avrebbe
cacciato, lo sapeva.
“Vorrei
sapere cosa ti da tutta questa sicurezza” replicò sarcastico il
ragazzo, allungando una mano ad accarezzare pigramente il fianco di
Davide, il gesto parve così casuale e privo di malizia da dare
l’ingannevole impressione di essere sfuggito inconsapevolmente dalle
dita del fratello, ma Manuele poteva intuire con precisione quanto
invece fosse voluto e cercato.
Gli
stava dando un messaggio chiaro, anzi, due.
Gli
occhi fissi nei suoi erano un: Posso
portarti via tutto ciò a cui tieni in un istante.
Le
dita chiuse sul fianco di Davide erano un: Non
scherzare con me, potrei distruggerlo con un gesto e tu lo sai.
E
Manuele non era così sciocco da ignorare il pericolo che quello sguardo
e quelle dita rappresentavano.
“Io
non dimentico Dom” rispose soltanto, ed era rischioso, molto rischioso,
tanto da chiedersi per un istante se ne valeva la pena. Per Matt che
probabilmente nemmeno la voleva la sua vendetta, e quando sarebbe
venuto a sapere cosa stava facendo si sarebbe arrabbiato a morte. Per
Giò che gli aveva detto più volte di lasciar perdere.
Poi
rivide lo sguardo di Matt la sera in cui era tornato abbracciato a Giò,
dopo avergli raccontato tutto, quello sguardo così disperato e triste e
da animale
in trappola,
tanto da non poterne sopportare la vista. E rivide Giò tutte le volte
che gli apriva sempre, immancabilmente, la porta di casa,
accogliendolo. L’aveva accolto quando nemmeno lui pensava di meritare
un posto a questo mondo, aveva stretto a sé il suo io più orrendo e
aveva pianto con lui fino a che gli occhi erano risultati troppo
asciutti e l’anima troppo schiantata dal dolore per piangere ancora.
Gli doveva tutto.
E in fondo c’era qualcos’altro no? Il desiderio spasmodico e
inconfessabile di rivederlo, rivedere suo fratello e mettersi
finalmente il cuore in pace, odiarlo definitivamente e cancellarlo
dalla sua vita.
In
fondo non era così altruista come credeva.
“E
non dovrai farlo mai” replicò risoluto il fratello, lasciando il fianco
di Davide e alzandosi in piedi. Ora erano faccia a faccia, due maschere
di uguale durezza e freddezza che si confrontavano, granitiche nella
loro certezza e nella fredda e spietata convinzione di seguire solo il
loro desiderio.
“Dimmi
cosa vuoi e poi vattene” non era una vittoria, lo sapeva bene, poteva
essere la sconfitta più grande di tutte, ma non aveva scelta se non
fidarsi.
“Voglio
delle persone. Voglio distruggerle.” Rispose Manuele, e Davide vedendo
quegl’occhi così identici confrontarsi, ringraziò il cielo il fatto di
non essere nella cazzo di lista nera dei due fratelli.
Manuele
mise una mano in tasca, sotto lo sguardo attento del fratello, ne uscì
un piccolo foglietto piegato in quattro.
“Qui
c’è tutto quello che so su di loro. Dade sa come contattarmi” Dove quel
Dade voleva dire:
ci sono legami che non puoi spezzare, ci sono cose da cui non puoi
trascendere. Imparalo in fretta.
Poi
si voltò e un passo dopo l’altro uscì dal magazzino, per l’ennesima
volta.
Solo
il silenzio seguì l’uscita del ragazzo, un silenzio che parve
condensarsi nell’aria, quasi volesse essere respirato al posto
dell’ossigeno per fare finalmente parte della loro più intima essenza.
“L’aiuterai?”
il sussurro di Davide spezzò quell’immobilità, schiantandosi nelle
orecchie di Dom e penetrando nel suo cervello più potente di un urlo.
“Con
ogni mezzo” rispose solo, ma era sufficiente per far fiorire un sorriso
amaro sulle labbra del più piccolo.
“Dovrai
dirglielo prima o poi” commentò Davide, si permetteva di farlo solo
perché erano soli e sapeva che con lui Dom si concedeva di abbassare un
po’ le sue difese, quasi che il suo essere stato per un breve ma
importante momento l’essere più vicino a Manuele, l’avesse salvato
dalla spietata durezza che Dom riservava agli altri.
Era
preparato alle mani che lo spinsero contro il muro e al braccio che gli
piantò sotto la gola, premendo.
“Mai”
sibilò, le labbra a un centimetro dalle sue, una linea sottile serrata
e rabbiosa.
“Vivi
qui?” chiese il ragazzino, guardando con timore quel grande magazzino
scuro, sembrava il labirinto del minotauro, quello che avevano studiato
a scuola e che l’aveva spaventato enormemente.
“Si”
rispose Dom, stringendogli la spalla e voltandolo verso di sé prima di
farlo entrare, “Ed è importante che tu impari a cavartela da solo Manu,
non voglio piagnistei, non voglio vederti appiccicato a me, qui io non
sono tuo fratello, sono solo un membro del gruppo. Non l’ultimo
arrivato quindi qualcosa valgo, ma nemmeno il capo. Quindi non posso
difenderti e non lo vorrei neanche, devi imparare da solo.” Manuele
capì perfettamente quello che voleva dirgli. Non era il capo, poteva
farlo entrare nel gruppo ma non poteva difenderlo, era totalmente alla
mercé di tutto quello che avrebbero voluto fargli gli altri. La pallida
protezione che gli poteva offrire il fratello valeva fino al momento in
cui qualcuno di più importante non si fosse interessato a lui.
Entrando
vide solo un accozzaglia della più variegata specie umana ci fosse in
città; tutti erano impegnati a fare qualcosa di più o meno illegale,
chi fumava e non sigarette, chi limava e dipingeva parti di motorino o
macchina, chi parlottava. Nessuno si interessò davvero a lui, solo un
ragazzino dai capelli neri, totalmente ingarbugliati e sporchi lo
guardò con qualcosa che somigliava molto alla compassione. Si diresse
verso di lui, impassibile, la schiena dritta e lo sguardo asciutto, suo
fratello gli aveva dato una possibilità, non lo avrebbe deluso.
Poche
ore dopo, quando due persone vennero a prelevarlo per portarlo in un
angolo del magazzino assieme a Davide, non capì subito quello che
volevano da lui, perché lo stessero picchiando prendendolo in giro e
perché invece stessero facendo qualcosa di molto peggio all’altro
ragazzo, che lo guardava disperato, serrando le labbra e trattenendo le
urla e il terrore, una muta domanda negli occhi. Perché nonostante
Manuele fosse l’ultimo arrivato stavano violentando lui?
Manuele
non riuscì davvero ad arrivare a casa senza danni collaterali.
D’altronde
meglio averli per strada, dove poteva nascondersi in un angolo, che a
casa dove i suoi genitori potevano vederlo e preoccuparsi per lui.
Voleva bene a quelle persone, l’avevano accolto e curato senza mai fare
domande, volendogli bene in un modo così incondizionato che non pensava
nemmeno esistesse a questo mondo. Non voleva che si preoccupassero per
lui.
Fu
pensando questo che si diresse verso un vicolo laterale vicino casa
sua, poggiando le mani contro il muro per sostenersi e vomitare.
Si
era aspettato una qualche reazione all’incontro con suo fratello,
tuttavia aveva sperato non fosse proprio quella.
La
tensione nervosa si stava sciogliendo, i ricordi stavano affiorando
alla mente e tutto stava andando in pezzi, sperava solo che
ricomponendoli non sarebbe mancato nulla. Tremava ma non ci fece
davvero caso, era troppo occupato a pulirsi la bocca e soffocare
un’altra ondata di nausea, avrebbe smesso di fare così male prima o
poi, avrebbe smesso di ridursi la mente in pezzi ogni volta che il
coperchio dei ricordi veniva alzato. Ma sperava che la mano di Giò, al
contrario, non smettesse mai di venire tesa, sperava che l’amico non
smettesse mai di presentarsi davanti a lui proprio quando lui aveva più
bisogno di vederlo.
“Dovevo
immaginarlo che mi avresti teso un agguato” commentò, la voce instabile
e il corpo che non voleva finirla di tremare.
“Se
il mio migliore amico è uno scemo che altro devo fare?” replicò Giò,
osservando serio il suo amico che si puliva la bocca con il fazzoletto
che gli aveva porto prima, gli occhi ancora lontani; continuò a
osservare anche quando lasciò cadere il fazzoletto e lo guardò fisso,
c’era tutto quello che non aveva mai avuto il coraggio di dirgli,
dentro, c’era tutta la gratitudine che provava per lui e tutta la
disperazione che cercava di lasciarsi alle spalle.
Non
disse nulla, si limitò ad aprire le braccia nello stesso istante in cui
Manuele si mosse per gettarsi loro incontro e farsi piccolo contro di
lui, smettendo di tremare soltanto quando sentì le mani chiudersi sulla
sua schiena.
“Perché
lo fai Manu?” sussurrò Giò, una mano stringeva la vita del ragazzo e
l’altra era impegnata a massaggiargli piano la nuca, districandosi fra
le onde scure che formavano i suoi capelli.
Manuele
non rispose, era troppo occupato a premere il viso contro il collo
dell’amico e a rilassarsi sotto le sue carezze, in fondo Giò non aveva
davvero bisogno di risposte, lo sapeva benissimo, lo conosceva meglio
di chiunque altro.
Infatti
proseguì: “So che non è solo per Matt, quella è solo la scusa… quello
che non capisco è perché vuoi farti del male in questo modo” cercò di
scostarlo da sé per guardarlo negli occhi, ma Manuele non ne voleva
sapere, continuava a stringerlo spasmodicamente, non poteva guardarlo
mentre Giò distruggeva una a una tutte le scuse che si era costruito
per giustificare quella follia.
“Perché
hai un amico masochista” rispose, sperando che questo potesse
bastargli, ma stava parlando di Giò… non avrebbe mai potuto farsi
bastare una risposta del genere e in un angolo di sé ne era felice. Non
sarebbe potuto entrare così a fondo in lui altrimenti, non sarebbe mai
riuscito a farsi amare in quel modo totale se si fosse fermato alla
superficie come tutti gli altri.
“Quello
non l’ho mai messo in dubbio” replicò Giò, arrendendosi all’idea di
continuare la conversazione in quel modo assurdo, appoggiò la guancia
sui suoi capelli e sospirò.
“Quello
di cui ho paura è che tu sbatta la testa per la seconda volta contro la
stronzaggine di tuo fratello e basta Manu, sai che sarò sempre lì in
quel caso ma davvero… ne vale la pena? Cosa vuoi dimostrare?” Per un
lungo attimo non rispose, i pensieri si accavallavano e lottavano per
uscire in forma di parola ma non era un operazione così semplice, non
era mai semplice cercare di tradurre in frasi comprensibili qualcosa
che nella sua testa era sconfinato, un universo quasi, e allora si
ritrovava a dire qualcosa, ma era un niente confrontato a quello che
davvero avrebbe voluto dire.
“Ho
vissuto gli ultimi due anni odiandolo con tutte le mie forze, ma ero un
bambino Giò, avevo quindici anni quando me ne sono andato dalla banda,
può essere che ci sia qualcosa che non ho… considerato. E devo
rendermene conto, devo sapere se odiarlo definitivamente o no” a quel
punto alzò la testa e lo guardò, gli occhi erano di un blu profondo,
qualcosa che aveva a che fare con le profondità più scure dell’abisso,
dove la luce non scendeva mai e mostruosi pesci luminescenti tagliavano
come lame il nero. Era uno sguardo di chi nel suo abisso personale ci
era già stato e ora cercava a fatica di risalire alla superficie.
Giò
sospirò, non c’era molto da dire, immaginava fin dall’inizio che
dovesse esserci una cosa del genere alla base di tutte le azioni di
Manuele.
“Sai
che sono con te” disse solo, seguendo con lo sguardo Manuele che
nascose un sorriso chinando la testa e appoggiandola contro il suo
petto, era un sorriso splendente che raramente concedeva agli altri, un
sorriso che a guardarlo ti sentivi di troppo perché rivelava molto più
di quello che Manuele avrebbe voluto.
“Non
l’ho mai dubitato”