CAPITOLO
QUINTO
Sentire
tutto, in tutte le maniere, vivere tutto da tutte le parti,
essere la stessa cosa in tutti i modi possibili allo stesso tempo.
-Pessoa-
Per
un tacito accordo Matt ed Eleonora avevano organizzato la serata
del: ‘maschi con maschi e femmine con femmine’, dove l’unica vera
motivazione tesa a giustificare una bambinata simile era evitare che
Gabriele stesse troppo male rivedendo la sua amica così presto.
Era
passata solo una settimana che il ragazzo aveva passato chino sui
libri ad uccidersi il cervello mandando giù nozioni su nozioni,
impedendosi di pensare a cosa sarebbe cambiato nella sua vita d’ora in
avanti, a cosa significasse per lui Eleonora e a come avrebbe gestito
la situazione adesso. C’era la maturità e poi le diverse strade che
avevano deciso di intraprendere, non avrebbero avuto più moltissime
occasioni di vedersi come prima. Però erano amici e non aveva
intenzione di smettere di vederla, quindi aveva urgente bisogno di
ridefinire le sue priorità e i suoi sentimenti. Solo che adesso
semplicemente non ci riusciva. La sofferenza era un essere strisciante
che mangiava pezzi della sua anima e per bloccarla prima che fosse
troppo tardi l’unico modo che aveva trovato era non pensarci. Si
ammazzava di studio, il lato positivo era che sarebbe uscito dalla
maturità con un voto più che dignitoso, il lato negativo era che in
questo modo era già sfinito ancora prima di uscire quella sera.
Si
guardò allo specchio, i capelli biondi erano sparati in mille
direzioni diverse, non riusciva a far assumere ai riccioli una
direzione accettabile. Con un sospiro prese un elastico e se li legò in
una piccola coda che almeno dava la parvenza di un vago ordine; gli
occhi erano contornati da occhiaie livide intonate con la maglietta
viola senza maniche che aveva indossato, si limitò a lavarsi il viso
con dell’acqua gelida sperando di ottenere qualche risultato degno di
nota.
Non
aveva molta voglia di uscire a dirla tutta ma era sicuro che quei
tre sarebbero venuti a prelevarlo a casa e avrebbero usato dei metodi
molto poco piacevoli se lui si fosse rifiutato, quindi si rassegnò
all’idea di passare una serata con i due piccioncini e Manuele, che
ultimamente aveva assunto un ruolo molto particolare nella sua vita.
Era
quello che chiamava alle tre del mattino se quella notte non
riusciva a prendere sonno, perché di giorno poteva anche ammazzarsi sui
libri, ma di notte i pensieri erano liberi di correre. Manuele
rispondeva immancabilmente, la voce impastata dal sonno e il tono
sferzante di chi avrebbe preferito dormire e ti faceva pesare fino alla
morte l’averti risposto, però lo faceva. Non parlavano di nulla in
particolare, film, musica, cazzate insomma, però i commenti ironici
dell’amico lo facevano stare bene e rideva come non aveva mai riso
negli ultimi periodi, la mano premuta sulla bocca per non fare rumore e
il corpo finalmente rilassato. Non avevano mai parlato di quelle
telefonate notturne e Gabriele ne era eternamente grato perché anche
solo pensarci di giorno assumeva connotazioni decisamente diverse dal
farlo di notte.
Scese
le scale con calma, era lui che doveva passare a prendere gli
altri in macchina, ed era sicuro che Manuele sarebbe stato sulla porta
ad aspettarlo e assieme avrebbero passato almeno mezz’ora a suonare il
clacson per mettere fretta a Giò, che sicuramente stava finendo di
prepararsi, se almeno aveva iniziato a farlo, e poi sarebbero arrivati
da Matt con un ritardo stratosferico e avrebbero subito le sue
invettive per tutta la serata.
La
sagoma dell’amico seduto sui gradini fuori dalla porta di casa gli
strappò un sorriso, aveva ragione come sempre. Vide i pantaloni larghi
e bassi che aveva indossato strisciare il pavimenti per la gioia di
tutti gli spazzini notturni, la canottiera bianca sottolineava
l’abbronzatura notevole che era riuscito ad assumere in appena due
volte che erano stati al mare, vicino alla sue pelle cadaverica aveva
un effetto quantomeno strano. Però gli stava bene, sottolineava i
muscoli, non sviluppati come quelli di Giò, però ben disegnati, il
torace era largo e i fianchi stretti, da quella posizione non riusciva
a vedergli il sedere purtroppo… si riscosse quando si accorse che stava
allungando il collo per potervi riuscire, arrossì furiosamente e voltò
la testa verso l’altro finestrino perché Manuele non se ne accorgesse.
Non si era davvero reso conto che stava cercando di guardare il culo a
un suo amico e la cosa era vagamente disturbante. Anzi, molto
disturbante. Il ragazzo aprì la portiera con un ghigno poco
rassicurante e lui ebbe la certezza che non si era perso un solo
movimento della sua testa, intuendo infallibilmente cosa stava cercando
di vedere torcendo il capo in quel modo.
“Visto
qualcosa che ti piace?” lo apostrofò ironicamente Manuele, lui
non si sprecò nemmeno a negare, era inutile disperdere energie in quel
modo, ne avrebbe avuto un estremo bisogno per affrontare quella serata.
“Taci”
borbottò premendo l’acceleratore e percorrendo i due metri che
gli bastavano per ritrovarsi davanti casa di Giò, tra le risate
dell‘amico. Suonò il clacson risolvendosi poi ad aspettare e azzardò
un’altra occhiata per osservare il ghigno di Manuele che continuava a
fissarlo. Gli occhi blu luccicavano contornati dalle ciglia scure, la
bocca storta in quel sorriso sfacciato era estremamente sensuale.
Dannazione, altroché energie, si trattava di dar fondo a tutta la sua
scorta di autocontrollo!
“Sei
uno schifo” Manuele si premurò in questo modo di chiarire i suoi
pensieri riguardanti l’aspetto dell’amico quella sera, Gabriele non
poté fare a meno di inarcare un sopracciglio e sbottare infastidito:
“Ha parlato Johnny Depp! Ma guarda tu” Manuele continuò imperterrito:
“Dovresti cercare di dormire la notte, o almeno impegnarti in attività
ludiche ricreative, altrimenti avrai un aspetto così esaurito che gli
insegnanti prenderanno spavento quando ti presenterai in classe per gli
esami” la sua mente si era bloccata alla frase ‘attività ludiche
ricreative’ perché gliene stavano venendo in mente moltissime ma non
tutte erano rivolte ad Eleonora e questo se da un lato gli faceva
piacere, dall’altro lo turbava indescrivibilmente.
“La
pianti?” replicò Gabriele seccato, non sapeva per quale motivo ma
il fatto che Manuele lo stesse schernendo in questo modo lo infastidiva
molto. Anzi il motivo lo sapeva però cercava con tutto se stesso di non
pensarci. Certo che con tutte le cose a cui cercava di non pensare
ultimamente si poteva scrivere un libro.
“No
se non mi prometti che almeno cercherai di dormire decentemente”
rispose Manuele quasi dolcemente, un tono che per un istante lo
spiazzò, togliendogli dalle labbra qualsiasi replica piccata avesse
pensato di porvi.
“Non
è una cosa che posso promettere” bofonchiò distogliendo lo sguardo
dall’amico, aveva un espressione troppo tenera, troppo intensa, troppo strana
rapportata a
Manuele, questo lo confondeva. Sentiva l’irrazionale desiderio di
stordirlo e lasciarsi stordire di baci da lui, senza che nemmeno
Manuele l’avesse mai sfiorato se non per caso o per attimi
infinitesimali. Cristo, non l’aveva mai nemmeno toccato decentemente se
non per quell’abbraccio che ancora gli bruciava la pelle, fuori casa di
Eleonora, e quello non poteva essere considerato un gesto atto a
sedurlo o cose del genere.
“Però
puoi almeno tentare di farlo” insistette Manuele, con quella voce
morbida che usava così raramente, con quel braccio troppo vicino al
suo, con quell’irrazionale desiderio di fare scorrere le dita sui
muscoli che si intravedevano da sotto la pelle liscia.
Merda,
merda, merda
pensò stringendo le mani a pugno per impedirsi di fare una cosa così
stupida, cosa diavolo gli stava succedendo?
“Perché
diavolo ti preoccupi così?” sbottò infine, il continuo
reprimere ogni impulso verso di lui lo stava sfiancando più velocemente
di quanto non lo sfiancasse stare sui libri tutto il giorno e non
dormire la notte.
“Perché
di solito la gente si preoccupa?” ribatté l’amico inarcando un
sopracciglio, era un tono da chiara presa in giro, però non riuscì a
irritarlo come al solito. In un lampo rarissimo di fortuita intuizione
capì che era difficile tanto per lui quanto per Manuele accettare
quello che stava succedendo fra loro. Che poi doveva ancora capire cosa
fosse.
“Un
giorno o l’altro te lo chiederò chiaro e tondo, e sono curioso di
sapere cosa mi risponderai” disse, fissando la via scura che si snodava
al di fuori dal finestrino, illuminata da lampioni che creavano polle
di luce come isole chiare in un mare di nulla.
“Chi
ti dice che ti risponderò?” replicò Manuele, senza nemmeno
preoccuparsi di distogliere lo sguardo fisso su di lui, sul suo profilo
regolare e sulla linea delicata delle guancie che avevano perso
la rotondità dell’infanzia ma ne conservavano la morbidezza.
Non
aveva chiesto di cosa stava parlando, era fin troppo chiaro a
entrambi, e se Manuele, a modo suo, gli aveva dato un nome, Gabriele ne
era ancora lontano. Anche se il nome che gli aveva dato Manuele
cominciava a stare stretto rapportato a quello che davvero sentiva,
spesso si chiedeva se non fosse il caso di lasciar perdere, se il gioco
non stesse diventando troppo pericoloso anche per lui. Se lo chiedeva
osservando il collo lungo e bianco dell’amico e immaginandovi le sue
labbra sopra, se lo chiedeva mentre lo sfiorava casualmente e sentiva
il calore della sua pelle intossicarlo. Ma ancora di più se lo chiedeva
mentre parlavano di cazzate e scopriva che non ne aveva mai abbastanza,
di parlare con lui; se lo chiedeva quando Gabriele lo guardava con
quegl’occhi verdissimi che riuscivano sempre a togliergli il fiato, e
il suo solo desiderio era quello di abbracciarlo forte, senza
connotazioni sessuali dietro, senza che quel gesto dovesse per forza
portare da un’altra parte. Solo perché gli voleva bene e non
sapeva dirlo, quindi abbracciarlo era l’unica cosa che rendesse
giustizia almeno in parte a quello che sentiva. Ed erano quest’ultimi
pensieri a spaventarlo.
“Sempre
il solito stronzo” mormorò Gabriele, ma era un tono privo di
irritazione o rabbia, era una constatazione che sapeva vagamente di
tenerezza, tenerezza che fece tremare per un attimo Manuele.
“Ma
vedo che ci prendi gusto a insultarlo” esclamò una voce allegra,
seguita da una capigliatura nera sparata in mille direzioni diverse e
un paio di occhi verdi di una tonalità più cupa e intensa di quella di
Gabriele, ma in cui vi si leggeva una malizia che lo sguardo dell’amico
non contemplava.
“Che
vuoi, ha già capito tutto di me al primo sguardo” replicò ironico
Manuele, mentre Giò apriva la portiera posteriore dell’auto e si
accomodava sui sedili, spostando un po’ di roba che Gabriele vi posava
distrattamente ogni volta che prendeva la macchina dei suoi.
Aveva
indossato un paio di jeans
stretti che avrebbero fatto la gioia
di Matt e una maglietta nera senza maniche che sottolineava i muscoli
sviluppati e il torace largo. Osservandolo accanto a Matt che era uno
scricciolo, non potevi fare a meno di chiederti cosa mai ci
azzeccassero assieme. Ma poi vedevi la perfetta sintonia dei loro
gesti, quando uno dei due tirava fuori le sigarette e l’altro
l’accendino, nello stesso identico momento, senza essersi accordati
prima nemmeno con uno sguardo. Vedevi come le mani di Giò cercavano
sempre di sfiorare in un modo del tutto voluto il corpo di Matt, e come
Matt accoglieva quel contatto col volto impassibile stringendosi
tuttavia impercettibilmente a lui. Vedevi lo sguardo dolce e caldo di
Matt posarsi su di lui, solo a percepire la metà delle cose che vi
stavano dentro già si schiattava di invidia, perché avere uno sguardo
del genere puntato addosso era molto più di tutto quello che molti
osavano sperare. Quindi poi non ci si sorprendeva più di tanto a
vederli vicini e anzi si cominciava a pensare che fossero uno il
contraltare perfetto dell’altro.
“Dai
partiamo, Matt mi ha già squillato almeno cinque volte” disse Giò
senza reprimere un sorriso al solo nominarlo, Manuele alzò gli occhi al
cielo, borbottando: “E’ in serate come questa che mi mancano gli
insulti di Nana… riportano a un livello accettabile la mia glicemia,
senza che debba cercare punture di insulina in giro”
Matt
scese dai gradini del condominio con un’aria stizzita che si
accentuò quando aprì il portone, giusto per provare a farli sentire in
colpa per il ritardo. Gabriele lo accolse stringendosi nelle spalle,
come a ribadire che non era colpa sua e che lui era stato puntuale.
Manuele ghignò a sottintendere che a lui invece non era per nulla
dispiaciuto il ritardo e Giò lo guardò colpevole provando a rabbonirlo
con una carezza sulla spalla non appena entrò in macchina. Matt parve
decidere di risparmiare il fiato in rimproveri che aveva già elargito a
sufficienza in altre situazioni analoghe e con un sospiro si rassegnò
ad appoggiarsi contro la spalla di Giò e chiese: “Allora, dove si va?”
La
decisione fu presa dopo almeno mezz’ora di trattative, alla fine Giò
e Manuele ebbero la meglio, sarebbero andati in un locale che dava
sulla spiaggia a parecchi kilometri dalla città, ma non troppi da
rendere irrealizzabile l’idea. Era un locale piuttosto alla moda e meta
di moltissimi ragazzi da tutte le città vicine. Il ‘Tenda’ si poneva
come punto di ritrovo fra la gioventù di tutta la regione ed era
possibile incontrare gente di tutti i tipi, tutte persone piuttosto
fighette ma il divertimento massimo di Giò e Manuele era prendere per
il culo suddette persone distruggendole di commenti acidissimi,
inframmezzando il tutto da occhiate alle ragazze dagli abiti succinti
che si avvicinavano al bancone, e dalla degustazione dei mille cocktail
diversi e molto buoni che offriva il locale. Una soluzione che Matt e
Gabriele non gradivano molto, Matt per la parte riguardante le occhiate
alle ragazze che ricambiavano puntualmente con sguardi lunghi e
sensuali, Gabriele per la strada che avrebbe dovuto sobbarcarsi e
perché sapeva che sarebbe finita con Manuele che spariva da qualche
parte con qualche ragazza, e la cosa, per quanto potesse negarlo, gli
dava fastidio.
Appena
arrivarono furono immediatamente bombardati dalla musica
altissima e dai ragazzi che si affollavano in ogni angolo della strada,
impossibilitati a sedersi nei tavoli già occupati. Matt vide realizzati
i suoi più cupi presentimenti. Già tre ragazzine si erano voltate a
guardare Giò, tutte in minigonna e tutte super truccate, sguardi
maliziosi e tocchi apparentemente casuali che fecero fremere Matt,
risvegliando il suo lato violento che lo spingeva a riversare occhiate
omicide su tutte quelle che osavano avvicinarsi. Solo che in un posto
del genere, dove lo spazio vitale era ridotto al minimo e se volevi
muoverti dovevi aspettare che la folla decidesse di farlo, sperando che
la direzione che avrebbe intrapreso fosse la stessa che intendevi
intraprendere tu, non era certo facile evitare di far entrare in
contatto Giò con il resto dell’umanità.
Il
perché Manuele aveva voluto andare in quel locale fu subito chiaro,
nel momento in cui una ragazza più procace e disinibita delle altre gli
fece scivolare in mano il suo numero di telefono, strizzandogli un
occhio e allontanandosi con le amiche. Il ragazzo sorrise soddisfatto e
infilò il biglietto in tasca, deciso a usare quel numero se non altro
per sfogare gli ormoni che ultimamente stavano gridando vendetta.
Riuscirono
a prendere da bere dopo molti tentativi infruttuosi e si
aggiudicarono un pezzo di muretto che delimitava la strada sulla quale
era il locale, dalla spiaggia. Vi si sedettero e cominciarono a
sorseggiare tranquilli le bevande. La serata era ancora lunga, e a
giudicare dalle occhiate omicide che Matt rivolgeva a Giò, sarebbe
stata estenuante.
“Quand’è
che hai l’esame tu?” chiese Giò, tentando di distogliere
l’attenzione di Matt dal mondo circostante, aveva voluto andare li
perché a Manuele piaceva e in quel momento la sua priorità era
distrarlo. Si era reso conto di essersi dato la zappa nei piedi nel
momento stesso in cui una ragazza lo aveva avvicinato tentando di fare
conversazione. Lo sguardo di Matt avrebbe potuto gelare l’inferno.
“La
settimana prossima. Certo che tu li scegli bene gli argomenti di
conversazione eh?” si lamentò Gabriele fissando una ragazza bruna a
poca distanza da lì, lo stava guardando a sua volta e non gli
dispiaceva affatto. Era alta e dalle curve generose, era l’opposto di
Eleonora e sicuramente non aveva niente a che fare con Manuele, non
sarebbe stato male distrarsi un po’ per una serata. Manuele si rabbuiò
immediatamente, “La prossima volta vedi di fargli una richiesta in
carta da bollo prima di chiedergli qualcosa” commentò tagliente,
Gabriele si voltò a guardarlo stupito, quello non era semplice
sarcasmo, quella era irritazione vera e propria.
“La
prossima volta può evitare di fare domande così idiote” replicò
invece Matt, e Giò guardando la faccia stupita e un po’ ferita di
Gabriele e la gelida furia che campeggiava in quella di Matt, seppe con
certezza che aveva fatto la cavolata colossale della sua vita
scegliendo di andare proprio lì.
Giò
si passò una mano nei capelli, alzando la testa per cercare un po’
di refrigerio dalla brezza che spirava dal mare e cercando
contemporaneamente di fuggire dall’atmosfera che si stava cominciando
a respirare, non voleva certo che la serata finisse in quel
modo.
“Non
ero mai stato qui… non è male” commentò Gabriele guardandosi
attorno, la musica era carina e i ragazzi attorno improvvisavano
sessioni scatenate di ballo sulle canzoni più popolari.
“Visto
che alla fine ti porto in bei posti?” rispose Giò voltandosi
sorridendo in direzione di Gabriele, sembrava l’unica oasi di
tranquillità in quella serata, ma d’altronde il loro amico era sempre
così, schietto e spontaneo, non litigava mai con nessuno ed era sempre
gentile, si stava bene accanto a lui.
Manuele
e Matt parlarono quasi all’unisono, il primo per dire: “Beh
insomma questo posto è una vera miniera se vuoi trovarti una tipa da
scopare, strano tu non ci sia mai venuto. Fortuna che ci sono gli amici
a rimediare.” che suonò acidissimo perfino alle orecchie di Giò, e Matt
per ribadire una cosa simile: “Ma certo, come si fa a non venire almeno
una volta in tutta la vita nel posto ‘svuota-palle’ per eccellenza
dell’intera regione!” siccome la situazione stava diventando davvero
ridicola, Giò non ci pensò due volte ad afferrare Matt per un braccio e
trascinarlo verso l’interno del locale, lasciando Manuele e Gabriele
soli nel muretto. Che se la sbrigassero da soli quei due.
Non
appena i due amici si furono allontanati, Gabriele si voltò verso
Manuele e notando la sua espressione cupa e astiosa, non poté fare a
meno di sbottare: “Si può sapere che hai?” diretto e sincero come al
solito. Manuele se l’aspettava e aveva già preparato la risposta, un
inno di sarcasmo e ironia per cui si stava ancora complimentando con se
stesso, ma vedendo l’espressione preoccupata e ferita del suo viso si
smontò come la panna lasciata fuori dal frigo.
Abbassò
la testa borbottando qualcosa di inintelligibile. Gabriele,
deciso a scoprire perché mai ce l’avesse tanto con lui quando poco
prima sembrava che ci provasse spudoratamente, gli si avvicinò
abbassando la testa in modo da poterlo guardare negli occhi, e
insistette: “Ho fatto qualcosa che non ti è piaciuto?” questo gli
piaceva di Gabriele, non si scusava per qualcosa che ipoteticamente
aveva sbagliato senza nemmeno esserne consapevole, non parlava mai a
vanvera, pesava sempre le parole ma quando le diceva si poteva star
certi che non se le sarebbe rimangiate.
“Si,
hai fatto qualcosa che non mi è piaciuto, ma visto che è nel tuo
pieno diritto farlo mi sa che dovrò scusarmi io” fu l’unica risposta
che riuscì a tirar fuori dalle labbra serrate di Manuele, e si vedeva
che aveva mangiato a morsi il suo orgoglio per sputarla fuori. Gabriele
non commentò, si limitò a sorridere e fare qualcosa di molto stupido. O
meglio, in seguito lo avrebbe ribattezzato come tale, perché era un
gesto che faceva sempre con Eleonora ogni volta che la ragazza veniva
fuori con commenti infantili o inappropriati e poi si tappava la bocca
guardandolo colpevole. Non che pensasse in qualche modo di poter
confondere le due persone, questo no, però la tenerezza che provava in
quei momenti, il sapere che l’altra persona aveva sbagliato ma non lo
aveva fatto per cattiveria e il sottile divertimento che recava con sé
questa consapevolezza, ecco, quella era uguale.
Non
pensò realmente a tutte queste cose quando lo fece, queste cose le
avrebbe pensate dopo, fino a spaccarsi la testa e poi si sarebbe
risolto a chiamare Manuele alle cinque del mattino facendosi
bestemmiare dietro.
Semplicemente
alzò una mano e la infilò nelle morbide onde scure che
incorniciavano il volto di uno stupito Manuele, gli massaggiò la nuca
sorprendendosi di quanto fosse facile e bello e giusto toccarlo in
questo modo, sorprendendosi del sospiro che esalò l’amico e di quando
poi lo trattenne mentre avvicinando a sé la testa scura gli avvolse le
spalle con un braccio, facendogli posare la testa sul suo petto.
Scivolò su di lui così naturalmente da pensare che fosse nato per
quello, che quello fosse il suo posto da sempre e che avessero
l’abitudine di assumere questa posizione da una vita intera, e fu lì
che la diversità di quello che provava quando lo faceva con Eleonora lo
colse. Con lei non c’era questo brivido che toglieva un po’ il fiato
per poi farlo accelerare, con lei non c’era il desiderio di far
scorrere le mani lungo tutta la schiena e poi sotto quella dannata
maglietta bianca per sentire se la sua pelle era morbida e liscia come
la immaginava. No, tutto sommato quello che l’aveva spinto a farlo
poteva essere un sentimento simile, ma le sensazioni che provava non lo
erano per niente.
Manuele
invece aveva rinunciato per principio a pensare, fin dal
momento in cui le dita dell’amico si erano infilate nei suoi capelli
aveva sentito un poco familiare tuffo al cuore che si strinse quasi
dolorosamente, per una volta si era limitato a lasciare il timone a
qualcun altro e questo era un qualcosa di così estraneo alla sua natura
da spingerlo per un attimo a chiedersi terrorizzato cosa stesse
facendo. Si morse le labbra rilassando le spalle e chiudendo gli occhi,
lasciare il controllo a un altro era un qualcosa che non aveva
sperimentato mai con nessuno, perfino quando era Giò ad abbracciarlo
lui faceva in modo di avere la situazione in mano, decideva quando e
come ciò dovesse succedere e quando non lo faceva voleva semplicemente
dire che era così distrutto da non sapere nemmeno in che parte del
mondo fosse.
Per
questo rimase completamente immobile a godersi le lievi carezze che
Gabriele faceva alla sua schiena, con i relativi brividi che ne
conseguivano, senza farsi domande né cercare risposte. Respirava a
pieni polmoni cercando di assorbire con tutto sé stesso la tranquillità
e la sottile eccitazione che provava, sperando che quel momento non
finisse mai e l’unico dubbio che gli salì alla mente fu lo scopo per
cui faceva tutto quello. Davvero voleva solo una scopata da Gabriele?
Da quanto tempo nessuno lo stringeva così? -e Giò non contava perché
lui lo faceva in termini puramente amichevoli- Da quanto tempo lui non
si lasciava stringere in questo modo?
Si
sentiva avvolto da un bozzolo di calore e tenerezza, si sentiva protetto, ed
erano
le sensazioni più belle che avesse mai sperimentato con un altro essere
umano.
Nessuno
dei due disse una parola, non volevano spezzare l’incanto che
si era creato, l’unico rimpianto era di non essere soli.
Matt
e Giò stavano risolvendo i loro problemi comunicativi in un modo
decisamente più pittoresco e interessante. Non si erano davvero curati
delle occhiate che gli avevano rivolto gli altri quando Giò aveva
trascinato Matt in bagno e aveva chiuso a chiave la porta, erano troppo
occupati a guardarsi furiosi.
Ora
che lo spazio angusto del cubicolo dove si erano stretti era
occupato quasi interamente dai loro corpi -il water era incastrato fra
loro due ma non si contava- si limitavano a fissarsi senza dire una
parola.
Finché
Giò afferrò il compagno per il colletto della maglietta e lo
sbatté al muro, piuttosto violentemente, per poi sibilare : “Non voglio
più vedere una scena del genere” Poteva capire l’insicurezza patologica
di Matt, ma gli sembrava di avergli dato abbastanza certezze in questi
mesi, dopo l’indecisione iniziale, per non fargli dubitare più di
quello che provava per lui.
“Nemmeno
io” rispose Matt fulminandolo con lo sguardo, rimase immobile,
non cercò nemmeno di afferrargli i polsi o di liberarsi dalla sua
stretta.
Giò
non lo lasciò proseguire, lo avvicinò a sé con impazienza,
tirandolo per il colletto e lo baciò quasi con violenza. Era un bacio
per ricordargli che lui era di Matt, che si appartenevano a vicenda e
niente avrebbe mai potuto cambiare questo, perché era la cosa più
importante e vitale che fosse mai capitata a entrambi e non avrebbero
potuto immaginare la loro vita senza l’altro. Semplicemente. Matt parve
capirlo perché il bacio lentamente si trasformò in qualcosa di più
languido e sensuale, si rilassò fra le sue braccia e con dolcezza gli
circondò i polsi con le mani per spingerlo a lasciargli la maglia e
intrecciare le dita con le sue.
Quando
smisero Giò appoggiò la fronte contro la sua, sospirando :
“Matt, non vuol dire nulla, posso trovare carina una ragazza ma sto con
te” ed esemplificò quest’affermazione abbastanza impetuosamente,
scendendo a mordicchiargli il collo, per poi far scorrere le mani lungo
il suo corpo. Matt adorava il modo in cui Giò faceva scorrere dapprima
i polpastrelli e poi il palmo su di lui, sembrava che stesse
accarezzando un vestito di pura seta, qualcosa di infinitamente
prezioso e segreto, un tesoro quasi. Si lasciò scappare un gemito
mordendosi poi un labbro per cercare di fare silenzio, c’era altra
gente fuori e pensare di fare qualunque cosa con Giò mentre la gente
faceva quel che di solito si fa in bagno, non era esattamente il
pensiero più gratificante del mondo. Ma non appena il compagno gli
abbassò i jeans e afferrò i suoi glutei a piene mani, l’unica cosa
coerente che riuscì a mettere assieme il suo cervello, era che bastava
che Giò lo toccasse ancora, che sfregasse ancora il suo bacino contro
il suo, che lo baciasse ancora, il resto poteva andare a farsi fottere.
Il resto non esisteva. Gli circondò i fianchi con le gambe e quando
finalmente entrò inarcò la schiena e la testa indietro, per sentirlo
meglio, per lasciare che le sue mani scorressero meglio sul suo torace
e ad ogni spinta era sempre più lontano. Una mano era aggrappata alle
sue spalle e l’altra era corsa a tapparsi la bocca per far meno rumore
possibile. Non gemere e urlare tutto il piacere che provava era una
tortura, non avere un letto a disposizione per muoversi e godere ancora
meglio era pura follia, però Giò si muoveva e la sua mano scorreva su
di lui, sempre più velocemente, a ogni spinta il concetto di suo si
ingigantiva sempre di più finché gli esplose nella testa assieme a un
gemito lungo e prolungato che non riuscì più a trattenere.
Posò
i piedi per terra, cercando di calmare il respiro e appoggiando la
fronte contro la sua spalla, non voleva nemmeno vedere il disastro che
sicuramente avevano combinato, per ora non importava, per ora erano
ancora nel loro piccolo mondo segreto, irraggiungibili da chiunque non
vi appartenesse.
“Sei
mio” disse Matt mordendogli la spalla per sottolineare il concetto.
“Sono
tuo” concesse Giò sorridendo contro i suoi capelli.
Quando
uscirono furono accolti dagli sguardi allucinati degli altri
ragazzi, non vi badarono più di tanto, si lasciarono scappare un
sorriso soddisfatto e andarono a cercare gli altri due.
Li
trovano sullo stesso muretto, stavano parlottando ridendo alle
battute dell’altro, finalmente l’espressione di entrambi era serena e
tranquilla, sembrava si stessero davvero divertendo e quando si unirono
a loro,i commenti si sprecarono.
La
serata passò tranquilla, si divertirono a bere e fare a gara di
rutti, con grande scorno di Matt che li osservava scuotendo la testa,
finché a un certo punto Giò non decise che era ora di dimostrare a Matt
tutto il suo amore e con un balzo salì su un tavolino, spaventando a
morte i suoi occupanti e costringendo Matt a scusarsi con loro,
imbarazzatissimo, mentre cercava di farlo scendere tirandolo per una
gamba.
Manuele
e Gabriele ridevano come pazzi, non avevano intenzione di fare
proprio nulla, i bastardi.
“Giò
cazzo scendi di lì!” urlò esasperato a un certo punto. Ma Giò
continuò a tenerlo lontano tendendo la gamba e posandosi una mano sul
cuore declamava sonetti di Shakespeare rivisitati e corretti.
“Il
guerriero tanto declamato basta che sia sconfitto una volta, pur
dopo mille vittorie, ed è mandato a ‘fanculo dal libro dell’onore!”
Manuele
aveva riconosciuto il sonetto, anche se Giò lo stava
rimaneggiando con cura, e rideva ancora più forte avendo presente la
versione originale, Gabriele invece guardava perplesso Matt che
diventava di mille colori cercando di salire a sua volta sul tavolo, e
commentò “Ma io non me lo ricordavo proprio così…”
L’amico
rise più forte e rispose: “Aspetta che finisca tu!”
“Io
sono felice, amo e sono riamato, da colui che non posso lasciare…
né essere lasciato!” Matt riuscì a salire sul tavolo, i ragazzi attorno
si erano allontananti, solo due temerari erano rimasti li attorno,
ridevano e tenevano fermo il tavolino per impedire che cadessero,
Manuele e Gabriele non erano così magnanimi. Si limitavano a ridere.
“Anche
perché se mi lascia gli spezzo le ossa e le uso per mangiare al
cinese al posto delle bacchette” fu la conclusione pittoresca di Giò
che riuscì a finire la frase poco prima che Matt gli tappasse la bocca
con la mano e lo trascinasse giù, un barista stava correndo verso di
loro, probabilmente per cacciarli visto il casino che stavano facendo e
la folla che avevano riunito, allora Giò afferrò la mano di Matt e
corse veloce verso la spiaggia. Come riuscì a non cadere barcollante e
mezzo ubriaco com’era fu un miracolo, ma arrivati sulla battigia si
lasciarono cadere sulla sabbia uno sopra l’altro, ancora ridendo. “Tu
sei pazzo!” esclamò Matt che si era accomodato sopra di lui e gli
premeva i palmi delle mani contro le guance, per guardarlo fisso negli
occhi e ribadire meglio il concetto. “Mi ami per questo!” replicò Giò
posando le mani sui suoi fianchi e cercando la pelle nuda sotto la
maglietta, la accarezzò piano, tracciando piccoli cerchi immaginari
sulla schiena e godendosi i mugolii deliziati di Matt che si era
accoccolato sul suo petto tranquillo.
“Ti
amo perché sono masochista” borbottò lui, poi la risata degli altri
due ragazzi li raggiunse e Giò voltò appena la testa per vederli,
corrucciato.
“Non
rovinateci i pochi momenti di romanticismo che ci concediamo”
brontolò Giò sentendo la risata di Matt vibrare contro il suo petto,
non smise di far scorrere le dita sulla schiena, era qualcosa che Matt
adorava e poi continuando così lo avrebbe distratto dallo sgridarlo per
la scena di prima. O almeno sperava. Per ora funzionava e non aveva
intenzione di smettere.
“Basta
che non evolva in nient’altro davanti a noi” rispose Gabriele
posandosi le mani sui fianchi e osservandoli intenerito, faceva davvero
bene al cuore guardarli, sembrava che tutti i mali del mondo sparissero
e che tutti i problemi e i guai che potevano capitare, potessero essere
sconfitti in un sospiro da loro. Bastava che fossero assieme. E in quel
momento gli sembrò di capire Manuele, di capire perché si sentisse
sempre meglio stando con loro e perché desiderasse proteggerli così
intensamente. Niente doveva farli soffrire, niente doveva intaccare
quella bolla perfetta di felicità che li avvolgeva, finché loro erano
felici tutto sarebbe andato bene e si sarebbe risolto. Erano un bel
talismano dopotutto.
“Dai
andiamo a farci un giro e lasciamoli alle loro prodezze amorose”
ridacchiò Manuele tirandolo per la maglietta e allontanandosi fra i
ringraziamenti sentiti di Giò.
La
sabbia si infilava in mezzo alle dita dei piedi, affondarci dentro e
poi alzarla contro Manuele era estremamente gratificante. Soprattutto
perché Manuele poi ricambiava minacciandolo e ridendo, ovviamente il
solo risultato che ottennero fu quello di ritrovarsi sabbia nei posti
più impensati.
“L’ho
sempre detto io che sei un danno!” si lamentò il ragazzo moro,
cercando di scrollarsi di dosso quei dannati granelli, senza molto
successo. A quell’ora la sabbia era umida e appiccicosa e non c’era
verso di farla davvero andare via dai vestiti o dalla pelle.
“Davvero?
Io avrei giurato il contrario!” replicò Gabriele osservando
l’amico che si toglieva la maglietta. Deglutì. “Che fai?” chiese
cercando di assumere il tono più noncurante che riusciva. L’aveva visto
senza maglietta un infinità di volte quindi non gli faceva il minimo
effetto. Presumeva.
Sperava.
Diavolo
però se aveva un torace ben fatto! Non ci aveva mai fatto caso
più di tanto, insomma ovviamente non si soffermava di certo a guardare
il corpo di un amico immaginando poi di farci scorrere sopra le mani e
poi la lingua e…
“Mi
spoglio”
Fortuna
che i pantaloni che indossava erano larghi.
“L’ho
intuito sai, potrò sembrare idiota ma in fondo un neurone residuo
che circola esiste ancora” aveva messo le mani ai bottoni dei pantaloni.
Cazzocazzocazzo.
“Sono
felice che colui che ci debba riaccompagnare a casa non sia
andato del tutto per conto suo” replicò Manuele lanciandogli uno
sguardo del tutto noncurante. Gabriele sperava che l’espressione
imbarazzata e vagamente maniaca, unita alla lingua che umettava le
labbra di continuo, potesse essere scambiata per sorpresa.
Ma
visto il ghigno che gli rivolse Manuele ne dubitò molto.
Bastardo!
Non
i boxer,
non i boxer, non i boxer… fu
l’unico pensiero
coerente che Gabriele riuscì a formulare, evidentemente l’amico aveva
deciso di prendere a mazzate i suoi ormoni sconvolti da una sacrosanta
crisi adolescenziale e ci stava riuscendo particolarmente bene.
Qualcuno, lassù, parve ascoltare la sua preghiera perché Manuele si
limitò a calare i pantaloni lasciandoli scivolare sulla gambe e poi
avviandosi verso l’acqua.
“Non
vieni?” e nonostante tutta la sua ingenuità, stavolta non poté
fare a meno di notare il doppio senso. Era grande quanto il palazzo del
Brunei.
“Eh…”
esalò solo, grattandosi una guancia, cercando di ignorare le
risate di Manuele e cominciando a spogliarsi a sua volta, non appena
l’amico si fu girato. Non voleva certo che notasse quanto esattamente
avesse gradito lo spettacolo.
Lo
raggiunse nell’acqua e la sua vendetta fu schizzarlo così forte da
aver paura di averlo affogato a un certo punto.
Solo
quando la sua testa nera riaffiorò dall’acqua sputacchiando si
rilassò e rise alle sue accuse: “Ma tu vuoi mandarmi al creatore prima
del tempo! Ucciso da un ragazzino, guarda te!” borbottò incrociando le
braccia al petto e guardandolo storto. “Guarda che sono più grande di
te!” replicò Gabriele avvicinandosi a lui per tirargli una sberla
leggera sulla nuca.
“Ma
la pianti di attentare alla mia integrità vecchietto?”
esclamò a quel punto Manuele, allungando una mano e afferrandogli il
polso per bloccare qualunque altro gesto inconsulto.
Silenzio.
Lo
sciabordio del mare sembrava essersi attenuato improvvisamente, non
c’era davvero un motivo valido per cui Gabriele dovesse trattenersi dal
toccare il suo viso leggermente, con la punta delle dita, solo per
tracciarne i contorti come desiderava fare da tempo, scendendo poi sul
collo e sulla spalla. Per cui lo fece.
Disegnò
i suoi contorni con la stessa delicatezza con cui un pittore
accarezzava la tela del suo quadro più bello, percepì sotto le dita il
momento esatto in cui Manuele trattenne il fiato, sapeva che l’aveva
provocato fino a farlo impazzire di proposito. E ora pazzo si sentiva
davvero, stava impazzendo dalla voglia di avvicinarsi ancora e posargli
le labbra sulla tempia, così, mezzi nudi in mezzo al mare, con il sale
che tirava la pelle e la voglia che saliva sempre più forte.
Il
cuore stretto in mezzo al petto.
Le
labbra trovarono il suo viso, vide di sfuggita Manuele chiudere gli
occhi, le ciglia che tremavano e la mano che stringeva forte la sua,
gli salì in gola una voglia folle di stringerlo fortissimo e divorarlo,
perché aveva la sensazione che vederlo così fragile ed esposto fosse un
privilegio di pochissimi.
La
pelle era liscia sotto le labbra, proprio come se la immaginava, e
il suo primo pensiero fu che non ne avrebbe avuto mai davvero
abbastanza. Scivolò sulle guance, fermandosi a sentirne la morbidezza
sotto le labbra e beandosi del leggero ansito che scivolò fuori al
compagno.
Manuele
non si muoveva, una mano stretta alla sua e l’altra abbandonata
sul fianco, non osava nemmeno respirare troppo forte, quasi che un
respiro più accennato potesse spezzare l’incanto creatosi.
Gabriele
invece assaporava.
Assaporava
la sottile impazienza che provava nel negarsi ancora le sue
labbra, aspettando di terminare ogni angolo del suo viso prima di
concedersele. Ora era sceso al mento e lo mordicchiava leggermente,
Manuele si lasciò scappare uno sbuffo e lui rise piano, sapeva che lo
stava sottoponendo a una tortura ma non lo faceva coscientemente, solo
che non voleva perdersi niente. Non un sospiro, non un brandello di
pelle, non un soffio, non un respiro.
E
finalmente risalì sulle sue labbra e con una lentezza infinita le
sfiorò appena, godendosi il brivido che sentiva salire lungo la schiena
e l’unico pensiero che gli balenò in mente fu: ecco,
ci siamo, cazzo finalmente.
Perché
davvero stava per arrivare alla follia negandosi ancora la sua
bocca, gli mordicchiava le labbra tirando leggermente e bisbigliando:
“Mi stai facendo uscire pazzo sai?” e il sorriso che gli rivolse di
risposta gli confermò che, sì, lo sapeva perfettamente. Ma non aveva la
minima voglia di perdersi ad analizzare i suoi comportamenti proprio
ora. Con un sospiro più forte degli altri allungò la lingua a leccare
piano le labbra e sentì un gemito appena trattenuto e la mano
dell’amico salire ad afferrargli la nuca e spingerlo contro di sé, nel
momento esatto in cui si decideva ad approfondire il bacio.
Si
perse completamente nel suo sapore, nel tocco lezioso e sensuale
della sua lingua, nel senso di possesso che la sua mano stretta alla
nuca provocava. Lo stava divorando e non avrebbe mai smesso, smettere
significava morire perché non esisteva una cosa più importante del
continuare a baciarlo, divorarlo,
sentirlo fin
dentro l’anima. E la tenerezza si stava
trasformando inesorabilmente in qualcos’altro, perché era davvero
troppo che entrambi aspettavano questo momento, quindi le mani salirono
a percorrere sentieri solo immaginati sulla schiena, fermandosi sui
fianchi e avvicinando i bacini per sentirsi meglio, gemendo uno nella
bocca dell’altro e continuando a intrecciare le lingue sempre più
affannosamente, sempre più impetuosamente.
Finché
fronte contro fronte, ancora con gli occhi chiusi, si fermarono
ansimando e cercando di calmarsi almeno un po’.
“Non
sai cosa ti farei” sussurrò Manuele socchiudendo gli occhi e
godendosi i tenui bagliori verdi che cominciavano a intravedersi da
sotto le ciglia di Gabriele.
“Ne
ho una vaga idea” replicò sullo stesso tono Gabriele, per poi
sospirare, sapeva che avrebbe dovuto pensare a un mare di cose adesso,
perché quello non era preventivato, fino a un mese fa non ci pensava
nemmeno a Manuele in quel senso, e ora il suo unico desiderio era
ribaltarlo sulla sabbia e finire quello che avevano cominciato. Sapeva
che avrebbe dovuto riflettere almeno un po’ su cosa fare ora e cosa
voleva Manuele da lui, ma in quel momento, con il suo respiro addosso e
il corpo ancora premuto a quello di lui, non riusciva a fare altro che
godersi la pelle bagnata che scivolava sotto le sue dita, le
sue labbra leggermente rosse, la sensazione esaltante che dava averlo
finalmente lì, fra le sue braccia.
“Non
pensare troppo che ti si fondono i neuroni” disse Manuele
ridacchiando, non riuscendo a spegnere del tutto i brividi che
l’avevano colto e che ancora lo scuotevano leggermente.
Gabriele
sorrise a sua volta, per poi piegare la sua bocca in una
smorfia e affrettarsi a nascondere il viso nell’incavo del suo collo,
stringendolo forte quasi potesse rappresentare una specie di ancora di
salvataggio o qualcosa del genere. Si rendeva conto che era una cosa
stupida ma non riusciva a togliersi dalla mente il pensiero che non
avrebbe dovuto desiderarlo così tanto, avrebbe dovuto sperare che in
mezzo al mare, a baciarlo in questo modo ci fosse Eleonora e invece si
rendeva conto che era proprio Manuele che desiderava, e con tutto sé
stesso. Era una cosa capace di destabilizzarlo nel profondo. Sentì le
braccia di Manuele circondarlo e poi cullarlo leggermente, poggiando la
guancia sulla sua testa, strofinandola contro i suoi capelli. Un gesto
talmente stupido e tenero allo stesso tempo, capace di penetrare così a
fondo nella sua corazza, da spaventarlo davvero, per un attimo.
“Shhh”
sussurrò Manuele continuando a cullarlo, un ricordo
lontano del modo che aveva sua madre di tranquillizzarlo quando era
piccolo e faceva un brutto sogno, solo che questo aveva connotazioni
del tutto differenti. “Va tutto bene” continuò il ragazzo, sorridendo
quando i capelli di Gabriele gli solleticarono la pelle nel seguire la
testa che annuiva.
“Andrà
tutto bene, te lo prometto” ed era una cosa talmente stupida da
promettere che anche Manuele si chiese da dove gli venisse fuori
un’idiozia così immensa, ma Gabriele che si stringeva tremando contro
di lui e cercava la sua pelle con la punta del naso, strofinandola come
un gattino in cerca di calore, era di una tenerezza micidiale, capace
di prendere a mazzate il cuore più duro.
Raggiunsero
Giò e Matt e li trovarono nella stessa posizione in cui li
avevano lasciati, Giò sdraiato sulla sabbia che accarezzava la schiena
del compagno, e Matt sopra di lui che dormiva saporitamente. Manuele
inarcò un sopraciglio commentando ironico: “L’ho sempre detto io che
hai un effetto soporifero sugli altri” Gabriele ridacchiò tirando fuori
le chiavi della macchina e lanciandole in aria, per poi riprenderle al
volo.
“Andiamo?”
chiese inclinando la testa per osservare meglio il sorriso
di Giò mentre scuoteva leggermente Matt cercando di svegliarlo non
troppo bruscamente, era così raro vedere Giò con quell’espressione in
viso, di solito faceva lo spaccone con Manuele, scherzando e facendo
impazzire Matt e chiunque fosse nel raggio di cinque chilometri, per
cui ora vedere come gli accarezzava il viso posandogli un bacio sulla
fronte per svegliarlo lo riempiva di un qualcosa difficile da definire.
Guardò
Manuele di sottecchi e lo vide con la stessa espressione un po’
persa che doveva essere apparsa sul suo viso, improvvisamente la voglia
che lo aveva colto prima, quella di abbracciarlo e stringerlo e
ribaltarlo sulla sabbia tornò prepotente.
“Si
può sapere perché lo state guardando come se lo voleste mangiare?”
borbottò Giò stringendo a sé Matt come a volerlo proteggere.
“Idiota”
tutti si voltarono a guardare Matt che aveva parlato con la
voce ancora impastata dal sonno e risero allo sguardo offeso che
sfoderò Giò.
“Ma
come! Io vigilo sulla tua virtù e tu mi ripaghi così?” replicò il
ragazzo alzandosi in piedi e incrociando le braccia sul petto, Matt
alzò gli occhi al cielo e Manuele commentò : “Vigila per poterne
approfittare lui ogni volta… e poi si dice generoso! Ma gli amici non
dovrebbero condividere?” non riuscì nemmeno a finire la frase che si
ritrovò gli sguardi di Giò e Gabriele osservarlo truci e le loro mani
muoversi all’unisono per tirargli una sberla nemmeno troppo leggera
sulla nuca.
“Voi
due siete pericolosi” borbottò il ragazzo mentre Matt, senza
aspettare nessuno, si avviava verso la strada.