CAPITOLO
OTTAVO
Forse
tutti i draghi che esistono nelle nostre vite sono solo principesse che
stanno aspettando di vederci agire almeno una volta con bellezza e
coraggio. Forse tutto ciò che ci minaccia è nella sua più profonda
essenza qualcosa di indifeso, che vuole il nostro amore.
(Grossman)
Il
locale era piuttosto grande e frequentato da gente molto opinabile. Per
la maggior parte erano motociclisti e gente piuttosto alternativa, era
il locale perfetto per chi voleva dimostrare di essere un duro, uno con
cui non si scherzava.
Attuare
lì il loro piano era un tocco di pura genialità che Giò aveva trovato
semplicemente perfetto.
“Che
posto assurdo” commentò Giò sedendosi al bancone.
“Non
farti sentire” replicò Manuele con un ghigno, non gli dispiaceva molto
quel locale, sicuramente era diverso da tutti quelli che si trovavano
nella loro città frequentati da fighetti spocchiosi.
Si
guardò attorno e lo individuò quasi immediatamente, suo fratello si era
preoccupato di fornirgli anche delle foto molto accurate, era seduto al
banco poco più in là e stava sorseggiando una birra da solo. Era
presto, probabilmente stava aspettando altra gente.
“Avvistato”
disse Manuele con aria assolutamente noncurante. “E non girarti a
guardarlo santo cielo! Ma Jess non ti ha insegnato nulla?!”
Giò
lo guardò storto per poi sorridere malizioso e replicare: “Oh si, mi ha
insegnato molte cose, ma l’arte di guardare la gente senza farsi notare
l’abbiamo tralasciata sai, avevamo un programma molto intenso” Manuele
scosse la testa e con un cenno avvicinò il barista, ordinando due
birre, “Sai che con questa affermazione potrei ricattarti a vita, no?”
l’amico si rabbuiò immediatamente e Manuele rise, lanciando un’altra
occhiata al tipo. Lo stava guardando. Il teatrino con Giò doveva aver
attirato la sua attenzione, proprio com’era sua intenzione. Per
l’occasione aveva indossato un paio di jeans aderenti presi in prestito
da Giò, lui odiava i pantaloni troppo stretti e questi gli stavano
incollati come una seconda pelle, sottolineando i muscoli delle gambe e
il sedere; sopra aveva optato per una maglia senza maniche nera,
anch’essa aderente. Si sentiva checca da morire e leggermente zoccola,
cosa che Giò non aveva mancato di fargli notare, però aveva centrato il
bersaglio. Tommaso non gli toglieva gli occhi di dosso.
Quando
arrivarono le birre lui sfoggiò un sorriso malizioso per poi afferrare
la sua, berne un sorso e leccarsi le labbra dalla schiuma in un modo
assolutamente indecente.
Mentre
lo faceva alzò gli occhi sul ragazzo poco lontano e gli lanciò uno
sguardo ammiccante. Tommaso lo stava guardando a bocca aperta, così
come Giò.
“Dio
mio Manu, sei una troia! Quasi quasi ti trascino io in quel cazzo di
bagno” Manuele sorrise, e fu un sorriso così sfacciatamente osceno da
prosciugare la salivazione di Tommaso e Giò nel giro di un istante.
Ora
Giò capiva come mai Gabriele era capitolato così presto, se Manuele si
metteva a sorridere così indecentemente ci voleva poco a risvegliare
istinti sessuali del tutto addormentati.
“Anche
questo potrei utilizzare contro di te” rispose noncurante posando una
mano sulla coscia di Giò, vicino all’inguine. Anzi, non propriamente
vicina, quanto più letteralmente sopra. Giò e Tommaso deglutirono, Giò
per soffocare gli istinti insani che il suo migliore amico stava
risvegliando, Tommaso perché quello strano ragazzo lo stava guardando.
Toccava
il suo amico in un modo assolutamente sconveniente per essere in un
locale, ma sembrava fregarsene e mentre accarezzava la coscia
dell’altro ragazzo lo guardava con uno sguardo inequivocabile. Finì la
sua birra in un sorso e guardò l’orologio. I suoi amici sarebbero stati
lì fra mezz’ora più o meno, aveva tutto il tempo di fare una cosa
veloce con quel tipo lì, aveva l’assoluta necessità di sfogarsi perché
ormai i pantaloni erano diventato decisamente stretti e sebbene lo
sfregamento contro i jeans fosse piuttosto piacevole, sarebbe stato
molto più piacevole sbattersi quella zoccola che lo stava provocando in
quel modo.
Quando
lo vide alzarsi dalla sedia lanciandogli un lungo sguardo, non ci pensò
due volte prima di seguirlo.
Giò
aspettò cinque minuti prima di seguirli con la macchina fotografica,
non pensava davvero che sarebbe stato così veloce, sapeva che Manuele
era bravo a provocare ma quel tipo aveva ceduto davvero in fretta.
Sorrise, cattivo. La parte divertente della vendetta sarebbe arrivata
solo l’indomani mattina, ma entrare nel bagno antistante a quello
dov’erano loro, salire sul water e vedere dall’alto il tipo
inginocchiato davanti a Manuele che gli stava inequivocabilmente
facendo un pompino, non aveva davvero prezzo.
Scattò
una foto ma la posizione non era delle migliori, così aspettò che
Manuele alzasse lo sguardo e, vedendolo, allungasse una mano verso la
serratura, facendola scattare. Ora sarebbe stato un gioco da ragazzi
socchiudere la porta e scattare tutte le foto che voleva.
Ovviamente
non fotografò Manuele, anche perché la sua faccia era contorta in una
smorfia che non sapeva classificare se di godimento o di disgusto, ma
era propenso per la seconda. Gli posò una mano sulla nuca, spingendo
violentemente la testa verso di sé, il ragazzo fece una smorfia ed
emise un verso soffocato ma Manuele non se ne curò, con un espressione
glaciale che mise i brividi addosso perfino a Giò, continuò a dirigere
la testa di Tommaso, dandogli un ritmo sempre più veloce e serrato.
Evidentemente al ragazzo però piacque quel trattamento, i pantaloni ora
presentavano un rigonfiamento piuttosto notevole che Giò si preoccupò
di fotografare. Poi Manuele si inarcò e venne senza un gemito, tenne la
testa di Tommaso inchiodata al suo posto e solo dopo un po’ gli
concesse di staccarsi. Aveva un espressione gelida, gli occhi un abisso
di ghiaccio e la bocca stretta in una linea sottile.
“So
che ti piace” disse poi, quasi dolcemente, mentre l‘altro tossiva
cercando di respirare e calmare l‘irritazione alla gola. A Giò vennero
i brividi, vedere Manuele così infuriato era davvero raro. Spinse il
ragazzo per terra, finché poggiò la schiena contro la parete, le gambe
larghe e un espressione che era un miscuglio di paura, umiliazione e
godimento, non si era assolutamente reso conto della porta socchiusa,
né di Giò che con la macchina fotografica scattava a più non posso.
Manuele
non sembrava ancora soddisfatto e Giò si stupì delle sue mosse
successive, il piano non era quello. Manuele doveva andare fino in
fondo con quel tipo, avevano studiato assieme tutti i dettagli. Ma
vedere l’amico che alzava un piede e lo posava sull’inguine del
compagno gli fece scorrere un brivido gelido lungo la schiena. Sapeva
che Manuele diventava spietato quando era arrabbiato, l’aveva visto in
azione molte volte, ma con lui era come se si stesse sfogando per
tutto. Per aver adescato Matt e poi averlo picchiato in quel modo, per
averlo costretto a chiedere l’aiuto di suo fratello per ritrovarlo, per
averlo obbligato a guardare in faccia una realtà che sperava di aver
dimenticato.
Così
quando il piede si mosse, lentamente dapprima e poi sempre più
velocemente, Giò ebbe la misura esatta di quanto fosse sconvolto e
pericoloso Manuele in quelle condizioni. Premette il piede facendo
uscire una smorfia di piacere e di dolore al ragazzo, poi lo rilasciò e
continuò a muoverlo ritmicamente, strappando smorfie e gemiti a
Tommaso.
Giò
chiuse piano la porta, avevano abbastanza materiale, andava bene così,
non voleva vedere altro. Si diresse verso la cassa e pagò le loro
consumazioni, quando vide Manuele uscire dal bagno gli fece un cenno
con la testa e uscì. Non sarebbe rimasto in quel luogo un istante di
più.
Quando
Manuele lo raggiunse rimasero in silenzio a lungo, chiamarono un taxi e
rimasero seduti sui gradini di un locale ad aspettare, fumando. Giò
fumava molto poco e generalmente lo faceva con Matt, una sigaretta ogni
tanto giusto dopo il sesso o quando erano assieme agli amici, ma dopo
una serata del genere aveva bisogno di ben altro che non una sigaretta.
Silenzio.
“So
che il piano non era questo, ma non ce l’ho fatta” disse alla fine
Manuele, non lo guardava, teneva la testa bassa e lasciava che i
capelli coprissero il viso.
Giò
espirò il fumo e sospirò, non sapeva cosa dire ma sapeva che Manuele
aveva bisogno di essere tranquillizzato, quindi aprì la bocca e ne uscì
un: “Va bene così Manu, abbiamo abbastanza foto. Mi dispiace
che tu abbia dovuto farlo, davvero. Non ti chiederò mai più una cosa
del genere” il tono era serio e contrito, per quanto avesse voluto con
tutte le sue forze vendicarsi di quei bastardi, non lo voleva certo
fare sulle spalle del suo migliore amico.
Manuele
sorrise, per la prima volta, e scosse la testa, sollevato: “Non
pensarci. Ora quel bastardo è sistemato.” poi si fece serio, appoggiò
la testa indietro vedendo in lontananza il taxi arrivare, e continuò:
“Non pensavo che mi avrebbe fatto così schifo. Dopotutto era una pompa,
ne ho ricevute dalle persone più disparate, non pensavo mi potesse fare
un effetto del genere” Giò sorrise lievemente, alzandosi da terra e
avvicinandosi al taxi, seguito da Manuele, “Sai vero perché è stato
diverso dalle altre volte?” rispose a bassa voce, non perché aveva
paura di essere sentito da qualcuno ma perché era un discorso talmente
delicato che si sentiva totalmente inadeguato. Manuele assentì, serio,
e Giò proseguì: “E cosa intendi fare?” ormai erano seduti sul taxi che
li avrebbe riportati a casa, era piuttosto presto a dire vero. Meglio,
si disse, così sarebbe potuto andare da Matt e scordarsi quella sera,
quella scena, quell’espressione disgustata e quelle fotografie.
“Vado
da lui” rispose Manuele, e Giò seppe che finalmente il suo amico aveva
tirato fuori il coraggio di afferrare la propria felicità.
Perché
se lo meritava.
Gabriele
stringeva il bicchiere con il suo coktail e mangiucchiava la frutta che
gli avevano infilato nello spiedino per accompagnarlo.
Alzò
gli occhi su Matt che stava sorseggiando una semplice birra e sorrise
lievemente, l’amico aveva dovuto dar fondo a tutta la sua forza di
persuasione per convincerlo a uscire. Era da una settimana che stava
rintanato in casa a studiare e cominciava ad avere gli occhi a forma di
libro, non ne poteva davvero più.
“Dai
su, non ti faccio fare tardi” disse Matt divertito, giocherellando
distrattamente col cellulare.
Gabriele
scrollò le spalle come a dire che non importava, poi si decise a
chiederlo.
“Ma
cos’è che dovevano fare stasera Giò e Manu?” non riuscì a dare alla sua
voce il tono noncurante che avrebbe voluto, difatti Matt alzò il viso
verso di lui e assottigliò gli occhi, per poi rispondere appoggiandosi
allo schienale della sedia: “Mah, a quanto pare hanno giocato a basket
tutto il pomeriggio, sa il Cielo per quale motivo, e ora sono troppo
stanchi per uscire” con il tono di chi non credeva a una parola ma
aveva il sospetto che la verità non gli sarebbe piaciuta per niente,
quindi non voleva indagare più di tanto.
“Manu
non ti ha detto nulla?” domandò Matt con tutta la delicatezza che
riuscì a trovare, sapeva che questo per l’amico era un argomento
scomodo.
Gabriele
bevve un lungo sorso, poi lasciò andare un sospiro e rispose:
“Macché,
è una settimana che non si fa vivo”
Matt
non commentò, si limitò a guardarlo e in quegli occhi ambrati Gabriele
vide comprensione e affetto. Amava parlare con Matt perché non serviva
fare mille giri di parole per spiegare un dato concetto o come si
sentiva, bastava uno sguardo e lui aveva già capito tutto.
“Che
ne dici di parlargli?” propose con cautela Matt, non erano affari suoi
e non voleva intromettersi ma aveva la sensazione che se nessuno dei
due avesse preso la situazione di petto, la loro storia avrebbe
rischiato di navigare in acque incerte e indefinite fino ad arenarsi in
qualche isola sperduta e indisegnabile nel mare del mai.
C’era
in ballo troppo orgoglio e troppa paura.
“Sai
qualcosa che io non so?” chiese amaro Gabriele “No perché con i
presupposti che mi ha dato, parlargli sarebbe un suicidio.”
Matt
prese tempo, lanciando un’altra occhiata al cellulare e guardandosi
lungamente attorno prima di rispondere, Manuele era un caso complicato
e per niente facile da risolvere, non era semplicemente paura di
affrontare la propria omosessualità come l’aveva avuta Giò, era
piuttosto senso di inadeguatezza, terrore di impegnarsi o proprio di
innamorarsi, era orgoglio e testardaggine, era troppe cose assieme per
poterle spiegare.
“Dipende
tutto da cosa vuoi tu Gabri. Ne sei innamorato?” e se si era permesso
di porre una domanda così diretta era solamente perché sapeva che
l’amico apprezzava la sincerità e odiava i giri di parole.
E
aveva un gran bisogno di essere preso a calci per smuoversi, proprio
come nella storia con Eleonora.
Gabriele
si appoggiò alla sedia, guardando il tavolo e percorrendo con un dito
una scritta incisa sul legno, che diceva più o meno: ‘Tati TVUKDBXS’,
alle volte si ritrovava ad invidiare la semplicità con cui i ragazzini
affrontavano le questioni amorose.
Perché
proprio lui doveva scegliersene uno così contorto?
“Sì”
rispose senza dubbi o incertezze, lui non ne aveva più da un pezzo e
possedeva l’onestà necessaria per ammetterlo in tutta tranquillità.
Matt
sorridendo riuscì a capire benissimo Manuele. Aveva detto quel ‘sì’ con
una sicurezza e una luce così calda negli occhi, da far invidia a
chiunque. Tutti avrebbero voluto qualcuno che ammettesse con tutto
questo affetto nella voce l’amore che provava, senza imbarazzi o
maschere. Una persona capace di sostenerti e al contempo farsi
sostenere mettendo da parte l’orgoglio.
“Diglielo.
Posso dirti solo questo. Sai meglio di me quanto può essere contorto
Manuele, ho idea che se non affronti tu la questione di petto lui non
lo farà mai.”
Gabriele
annuì, se anche Matt confermava la sua idea voleva dire che era tempo
di tirare fuori le palle e costringere Manuele ad ammettere quello che
provava, qualunque cosa fosse.
Anche
perché un’altra settimana come questa e avrebbe potuto dire addio alla
sua sanità mentale.
Lo
riscosse la suoneria del cellulare di Matt, vide l’amico leggere
immediatamente il messaggio e aprirsi in un sorriso luminoso mentre
rispondeva. Non ebbe bisogno di chiedergli chi era.
“Stanno
venendo qui” disse quando ebbe finito di digitare.
“Quei
due non me la raccontano giusta” borbottò Gabriele, la fronte
corrucciata, fra i pezzi di conversazione ascoltati quando Matt non
c’era e quella settimana di silenzio, non era difficile intuire che
stavano organizzando qualcosa che non volevano che Matt sapesse. E non
poteva essere niente di buono.
“Non
voglio sapere nulla” sospirò Matt “Ho paura di sapere cosa la mente
diabolica di quei due unita è in grado di concepire. Ricordati lo
scherzo a quel povero professore, quando gli hanno incendiato la
cattedra urlando: ‘Benvenuto all’inferno’”
Gabriele
ridacchiò ricordando la scena, quello scherzo aveva fatto il giro di
tutto l’istituto.
“E
questo è niente. Tu non c’eri ma quando erano ancora in prima
hanno scassinato la macchina di un professore riempiendola di
preservativi gonfiati a palloncini” si interrupe mentre Matt portava
una mano alla fronte, scuotendo la testa “Il messaggio subliminale fu
chiaro a tutta la scuola” l’amico scoppio a ridere “Eh, immagino”
commentò guardando la porta e vedendo i loro amici entrare.
Non
si poteva davvero descrivere quant’era commovente immergersi
nella solita vita.
Uno
la viveva ogni giorno e non si fermava a pensarci. Non si fermava a
pensare che non erano i grandi sogni o i grandi ideali quello che
permetteva ogni giorno di uscire dal guscio intricato degli incubi per
vivere un’altra giornata.
Era
Giò che gli lanciava un ultima occhiata prima di uscire dal taxi, e in
quell’occhiata c’era tutto: affetto, gratitudine, tenerezza, e una
forma d’amore così pura e diversa dall’accezione comune che si dava
alla parola, da restare un attimo senza fiato a cercare di capire fino
in fondo cosa quello sguardo significasse. Era entrare nel locale dove
sapeva avrebbero trovato gli altri, per vedere Matt che li guardava e
si illuminava, sfiorando una mano di Giò e facendogli posto, con un
amore nello sguardo così grande da sconfinare nell’adorazione. Era
Gabriele che gli sorrideva in un modo così intimo da scaldarlo
immediatamente e fargli desiderare una bolla di nulla dove racchiudere
tutte queste immagini per sempre.
Gli
occhi di Gio.
Le
mani di Matt.
Il
sorriso di Gabriele.
Perché,
Manuele ne era consapevole, erano queste le cose che alla fine
l’avrebbero salvato.
“Ma
voi non eravate così distrutti da non riuscire nemmeno a respirare?”
chiese con estrema nonchalance Matt, Giò si fece subito attento, aveva
orchestrato una scusa assolutamente banale, memore delle lezioni di
Manuele, ma forse era fin troppo banale per Matt.
“Ci
siamo ripresi subito… sai com’è, un caffè, una puntatina in bagno e sei
come nuovo.” rispose Manuele afferrando il bicchiere di Gabriele: “Cosa
bevi?” chiese, con lo scopo preciso e sfacciato di cambiare discorso.
Non aspettò risposta, comunque, si limitò a bere un sorso a sua volta
per poi storcere il naso.
“Dio
che schifo è dolcissimo! Avevo dimenticato che razza di gusti assurdi
hai tu” commentò poi, ignorando totalmente la faccia sbalordita di
Gabriele che aggrottò le sopracciglia offeso, “Ma sarà buona la roba
che bevi tu! Ma che poi… come cazzo sei vestito?” chiese, terminando la
frase con una domanda stupefatta. Erano vestiti così aderenti che la
questione che si poneva non rimaneva nel dubbio del : ‘si intuisce
tutto’, quanto piuttosto nella certezza di un: ‘si vede assolutamente
ogni muscolo, linea, forma’. E non poteva dire che gli dispiacesse. Si
perse a guardarlo fissamente, a guardare come i jeans sottolineassero
le gambe muscolose e poi gli addominali e le braccia e… cazzo fortuna
che era seduto e non poteva guardargli il sedere, altrimenti supponeva
che nemmeno i pantaloni larghi che portava sarebbero bastati a celare
la situazione, là sotto.
Manuele
nel frattempo aveva seguito il suo sguardo, divertito, e non si era
trattenuto dal rispondere: “Volevo vedere la faccia che avresti fatto e
non sono rimasto deluso” ammiccando.
Matt
si intromise, salvando Gabriele dall’imbarazzo totale, la
sfacciataggine di Manuele era capace di mettere in difficoltà chiunque,
figurarsi Gabriele.
“Ma
quei jeans non sono di Giò?” notò sospettoso.
“Stai
pensando quello che sto pensando io?” chiese Gabriele, non credendo
davvero a quello che gli era passato per la testa, ma desideroso di
capirci qualcosa.
Matt
lo guardò inarcando il sopraciglio, per poi rispondere con un secco:
“No” che fece ridere Giò e Manuele, spingendo quest’ultimo ad
avvicinarsi all’orecchio di Gabriele, sussurrando: “Con Giò non ho
fatto nulla, in compenso ho immaginato di fare molte cose, non con lui
però” e dall’espressione vacua che assunse il suo viso, tutta la tavola
fu in grado di risalire al commento che aveva sussurrato Manuele.
“Sei
un porco” commentò Giò, facendo scivolare una mano sotto il tavolo per
posarla sulla gamba di Matt.
“Tu
sta zitto” borbottò Matt muovendosi a disagio, erano stati lontano
tutto il giorno perché Giò doveva risolvere una questione di vitale
importanza con Manuele, e non avevano avuto occasione nemmeno di
vedersi di sfuggita.
“Ecco
Giò… sta zitto. Se proprio vuoi usare la bocca fallo in altri modi”
Ci
fu un attimo di silenzio in cui Matt guardava perplesso l’espressione
leggermente schifata che aveva assunto Giò, e Gabriele guardava tutti
senza capire. Poi Giò rispose: “Mi sono venute in mente almeno due
risposte che non sarebbe carino darti davanti a loro” replicò con la
voce più atona che riuscì a tirare fuori.
Manuele
si passò una mano sulla fronte, perfettamente consapevole dell’immagine
mentale che aveva risvegliato nell’amico, quindi rispose: “Taci. Sono
venute in mente anche a me.” fra le risate di Giò.
“Ragazzi
io però andrei a casa… domani devo alzarmi presto per studiare”
intervenne Gabriele, tirando fuori il portafoglio per lasciare i soldi
della consumazione agli amici. Manuele alzò una mano per fermarlo:
“Lascia, faccio io” con una naturalezza estrema, salvo poi rendersi
conto che Gabriele era rimasto a guardarlo sorpreso, per poi
distogliere lo sguardo, umettarsi le labbra e annuire. Sapeva a cosa
era dovuto quell’imbarazzo, aveva parlato senza pensarci su molto, cosa
strana per lui, e quello che aveva detto sembrava quasi una
consuetudine fra loro due, lasciava a intendere un’intimità e un
abitudine che non esisteva ancora fra loro, ma che sarebbe stato fin
troppo facile acquisire.
“Mi
accompagni?” chiese Gabriele voltandosi a guardarlo e sorridendo
appena. Era come se la pelle bruciasse dalla voglia di sfregarsi contro
la sua, contro la striscia chiara che lasciava scoperta la maglietta
troppo corta e troppo aderente. La tentazione di poggiarvi contro la
mano e poi risalire, percorrendo la schiena e il petto, era
assolutamente totalizzante. Chiuse la mano a pugno per impedirsi di
fare una sciocchezza del genere in un locale, per impedirsi di
avventarsi sulle sue labbra ora leggermente aperte in un espressione
sorpresa, per non mordicchiarle appena, assaggiandole leziosamente
prima di immergersi nella sua bocca. Lo stava guardando così
intensamente da temere che tutto il locale potesse accorgersi di quello
che stava pensando, ma onestamente non gliene importava poi molto,
voleva solo che Manuele accettasse, perché non si vedevano da una
settimana e adesso la voglia di baciarlo e toccarlo lo stava divorando.
“Hai
bisogno che ti tenga la mano?” rispose Manuele dopo un istante che
aveva passato a raccogliere i pensieri alla velocità della luce.
Gabriele l’aveva decisamente preso in contropiede.
La
replica di Giò arrivò fulminea: “No, ha bisogno che tu la mano la metta
da un’altra parte” e gli arrivarono in sincrono i calci di Gabriele e
Matt.
Quest’ultimo
decise di mettere un freno all’idiozia del suo compagno, dicendo secco:
“Un’altra parola e te la scordi la mia, di mano” E Manuele non poté
fare a meno di scoppiare a ridere.
“Vado
prima che Giò dica qualcosa di cui si possa pentire” commentò Gabriele
che aveva assunto una colorazione molto vicina all’esatta sfumatura che
aveva un peperone. Non aspettò di vedere se Manuele alla fine lo
seguisse o no, il commento di Giò l’aveva fatto sprofondare
nell’imbarazzo più totale, tanto da mandarlo in confusione e indurlo
quasi a scappare dal locale.
“Hei!
Vuoi farmi correre la maratona?” lo richiamò Manuele tentando di
raggiungerlo. Il solo effetto che ottenne fu quello di far aumentare la
velocità del passo a Gabriele. Quando riuscì a raggiungerlo erano quasi
arrivati, il locale era praticamente attaccato a casa sua e aveva
deciso di uscire a bere qualcosa con Matt esclusivamente perché non
aveva dovuto prendere la macchina e perché Matt gli aveva promesso che
sarebbe stata una cosa veloce.
“Ma
ti fermi? Che hai? Tutto bene?”
Chiese
Manuele quando finalmente riuscì a raggiungerlo.
“Cazzo,
no!” rispose veemente Gabriele, si fermò e si voltò di scatto verso di
lui, allargando le braccia per enfatizzare la confusione e
l’incazzatura che si stava agitando in lui: “Perché è una settimana che
non ti fai vivo e non rispondi ai messaggi, te ne salti fuori così dal
nulla comportandoti come il mio…” si interruppe cercando le parole
giuste che non vennero, quindi si limitò a prendere fiato e concludere
del tutto incoerentemente: “E poi Giò viene fuori con ‘sta battuta del
cazzo!”
Manuele
lo guardò cauto, le arrabbiature di Gabriele erano leggenda nella loro
scuola, l’amico non si arrabbiava praticamente mai ma quando lo faceva
diventava quasi isterico e aveva degli scatti violenti devastanti.
“Non
devi dar retta a quello che dice Giò, sai com’è fatto” la risposta non
sembrò sedare l’amico, anzi divenne ancora più irrequieto e si agitò
gesticolando: “Ma si non è questo, è che voi sembrate così… oh al
diavolo!” Manuele probabilmente avrebbe trovato l’intera scena molto
comica se non avesse colto, con precisione infallibile, a cosa li stava
portando tutto questo discorso sconclusionato.
“Sei
geloso di Giò?” chiese a bruciapelo, piantando gli occhi fissi nei suoi.
“Si.
No. Oh ma che cazzo di domande!” sbottò Gabriele mettendosi le mani nei
capelli e grattandosi furiosamente la testa.
Manuele
si guardò attorno e poi chiese, divertito: “Non è che potremmo entrare?
Se no facciamo pagare il biglietto ai vicini, almeno tiriamo su qualche
soldo” Gabriele sembrò rendersi conto in quel momento che erano ancora
in mezzo alla strada, proprio davanti a casa sua per giunta.
“Merda”
sibilò, sembrò calmarsi un attimo, il tempo di voltarsi e aprire la
porta di casa. Accese tutte le luci e sospirando osservò Manuele che si
guardava attorno incuriosito, non era mai entrato a casa sua e ora gli
pareva chiaro che rappresentasse in modo più che perfetto Gabriele.
Era
arredata sui toni dell’arancio e del giallo, ti pareva di immergerti in
un raggio di sole. Subito un gattino che sembrava più uno scricciolo
che un felino, venne incontro a Gabriele, strusciandosi sulla gamba e
richiamando rumorosamente la sua attenzione sulla ciotola vuota.
“Scusa
un attimo che do da mangiare all’affamata qui” disse Gabriele, sembrava
più calmo adesso, quasi come se entrare in casa e accarezzare
distrattamente il gatto avesse stemprato la tensione di prima. Si
diresse verso la cucina borbottando contro il gatto, sotto lo sguardo
divertito di Manuele.
“Come
se stessi morendo di fame… sei un esagerata, ecco cosa” intervallato
dai miagolii del gatto che sembrava rispondergli a tono. Era una scena
capace di sciogliere qualunque tensione o nervosismo, non era la
tenerezza in sé, ma il senso di casa che si respirava. E provare una
sensazione del genere guardando Gabriele che parlava con un gatto era
quantomeno inusuale per Manuele.
“Tua
madre non c’è?” chiese con tono assolutamente noncurante Manuele,
sapeva che suo padre viveva in un’altra città con un’altra donna e che
non si vedevano spesso, quella casa era l’unica cosa che era rimasta a
lui e sua madre.
“No,
fa il turno di notte oggi” rispose Gabriele, sembrava essersi calmato
adesso e Manuele sospirando si sedette sul divano aspettando che
l’amico tornasse a dedicargli attenzione.
Quando
finalmente uscì dalla cucina aveva preso due birre, gliene tese una in
silenzio e si sedette accanto a lui. Sembrava essersi spento
completamente ora, guardava fisso davanti a sé, senza voltare la testa
nemmeno per sbaglio, forse centrava il fatto che sedendosi sul divano
la sua maglietta si era alzata notevolmente e dai pantaloni si
intravedevano i boxer neri che aveva indossato. Ghignò seguendo un
pensiero particolarmente perverso e decise che scioglierlo un po’ prima
di parlare non sarebbe stata una cattiva idea.
“Sono
improvvisamente diventato orrendo?” la sorpresa a una domanda così
inattesa costrinse Gabriele e voltare la testa di scatto verso di lui,
sgranando gli occhi e rispondendo: “Ma no, assolutamente, anzi…” per
poi interrompersi improvvisamente quando si rese conto cosa esattamente
aveva detto, anzi, stava per dire.
“Tu…
tu sei pericoloso! Mi fai dire cose!” esclamò poi, ma ormai la frittata
era fatta, l’aveva guardato e ora non riusciva più a distogliere lo
sguardo, la voglia che aveva di toccarlo e percorrere con le labbra e
la lingua ogni centimetro di pelle era troppo bruciante e intensa per
poterla ignorare.
Manuele
rise, una risata bassa e roca che accese brividi ulteriori lungo la
schiena del compagno, lo stava provocando consapevolmente e del tutto
cosciente dell’effetto che aveva su di lui. Avrebbe dovuto odiarlo solo
per questo, eppure non riusciva davvero a convincersene, la perversione
di Manuele era un tratto così peculiare del suo carattere da risultare
inscindibile dall’idea di lui.
“Quali
cose ti farei dire?” chiese ancora, la voce che si insinuava nel
cervello accendendo tutte le terminazioni nervose.
“Che
sei bello” borbottò costringendosi a guardarlo in faccia, ignorando il
resto del corpo che stava semi steso sul divano in una posa da stupro.
Ma
non andò molto meglio con gli occhi, il suo sguardo era intenso ed
avvolgente, sembrava stesse tessendo un incantesimo in cui solo loro
due potevano muoversi, amplificando tutte le sensazioni a mille e
facendolo bruciare dalla voglia di lui.
Cercò
di riprendersi dalla confusione ormonale borbottando altre parole:
“Cioè, so che non è una cosa da dire a un altro ragazzo, è più una cosa
da ragazze questa, non volevo dire che tu sembri una ragazza ecco,
solo…” Manuele lo interruppe posando una mano sulle labbra, lo vide
deglutire e sorrise. Poteva andare avanti ore Gabriele a sproloquiare
quando era in imbarazzo, e lui aveva altri programmi per la serata.
“Va
bene così, ho capito quello che volevi dire” disse solo, sentendo come
le labbra di Gabriele si schiudevano contro le sue dita, erano umide e
piene e stava morendo dalla voglia di divorargliele, ma gli piaceva
giocare così con il desiderio dell’altro ragazzo, facendo salire
l’eccitazione fin quando sarebbe stata impossibile da trattenere.
“E
cosa volevo dire?” sussurrò Gabriele sulla sua pelle, facendogli
scivolare un brivido di aspettativa lungo la schiena, immaginava come
doveva essere sentirsi quelle labbra addosso, sentire come lambivano la
sua pelle e come poi scivolavano in ogni angolo del suo corpo,
immaginava la sensazione che potevano dare sentirle chiudersi contro di
sé ed era una cosa che desiderava ardentemente, per cancellare
definitivamente la sensazione di sporcizia che si sentiva addosso da
prima. Perché Gabriele era così, purificava tutto quello che sfiorava.
“Che
ti piaccio” rispose in un sussurro sensuale Manuele, lo sentì tremare
leggermente in risposta alla sua affermazione e poi lo vide chiudere
gli occhi, arrendendosi.
Lo
vide nettamente quell’attimo, il momento esatto in cui Gabriele aveva
lasciato andare ogni ragionamento, ogni congettura, e si preparava a
fidarsi solo del suo istinto, delle sue sensazioni e di quello che
Manuele gli diceva. Vide distintamente l’attimo in cui Gabriele si
affidò a lui, mente, cuore e corpo. Tutto nelle sue mani perché l’amico
amava in questo modo, totalizzante.
Baciò
piano la mano posata ancora sulla sua bocca, piccoli baci umidi che
fremevano per la voglia di espandersi e al contempo non avrebbero mai
smesso di fare esattamente quello. Baciargli le dita con devozione,
come se tutto il mondo potesse racchiudersi lì, fra la sua bocca e il
palmo della sua mano.
E
quei baci erano un assenso più grande di ogni parola.
“E
se tu non provi la stessa cosa per me è meglio se ti alzi e te ne vai,
perché non sopporterei sentirmelo dire dopo” sussurrò Gabriele, ancora
con gli occhi chiusi. Non voleva davvero vedere la reazione di Manuele
a quelle parole, gli ci era voluto tutto il suo coraggio per
pronunciarle ma sapeva di aver fatto la cosa giusta. Un conto era fare
sesso con una persona qualunque per il gusto di farlo, un altro conto
era fare sesso con Manuele. Continuava a rifiutarsi di guardarlo quindi
non vide la sua espressione, ma sentì il suo corpo avvicinarsi e la sua
mano spostarsi dietro la nuca per avvicinarlo a sé e baciarlo
finalmente.
E
fu come se il mondo tornasse al suo posto, tutto quello che prima era
confuso e incerto prese confini netti e precisi, lì, fra le braccia di
Manuele che l’avevano avvolto e lo stringevano forte,
Gabriele si sentì finalmente pienamente e completamente
felice.
Le
lingue si cercavano sempre più freneticamente e le labbra scivolavano
fra loro, il suo sapore, la sua consistenza, era per Gabriele pura
estasi.
Mentre
le labbra di Manuele scivolavano sul suo viso, in una scia di baci
affamati che percorreva la sua pelle come se dovesse memorizzarne i
contorni, sentì la sua voce raggiungerlo, fra un bacio e l’altro : “Non
so dove tutto questo ci porterà” mormorò facendo risalire le mani lungo
la schiena, portando con loro la sua maglietta, “Ma so che voglio
provarci” si interrupe per staccarsi il necessario per sfilargli la
maglia e poterlo finalmente contemplare. Fece scivolare le mani lungo
il suo torace, toccandolo a lungo quasi fosse ipnotizzato dalla
consistenza della sua pelle e dai brividi che le sue carezze
accendevano in Gabriele.
Con
un gemito provocato dalle dita di Manuele che stuzzicavano il
capezzolo, allungò le mani toccando finalmente quella pelle che l’aveva
tormentato tutta la sera, quella piccola striscia di pelle sui fianchi
che occhieggiava dalla maglietta, per poi salire in fretta lungo gli
addominali, bere ogni sospiro di Manuele direttamente dalle sue labbra
e togliergli quella dannata maglietta.
Si
stavano solo baciando e sfiorando il torace, ma già la temperatura si
era alzata e il bisogno di sentirsi senza vestiti si faceva pressante,
era impossibile ormai ignorarlo.
“Vieni”
disse Gabriele, la voce impastata e gli occhi velati, si alzò in piedi
e tese una mano verso Manuele che l’afferrò, alzandosi in piedi e
finendogli addosso, del tutto intenzionalmente. Non smisero di baciarsi
mentre sbattevano in tutte le superfici della casa, e Gabriele pensò
che avrebbe potuto pure farsi scopare lì, in piedi contro un muro,
tanta era la voglia che aveva di sentirselo addosso e dentro, ma era la
prima volta e Manuele voleva farlo come si doveva.
Quando
arrivarono in camera e Manuele lo fece stendere sul letto, Gabriele era
ridotto ad implorare con voce rotta un: “Ti prego” che non sapeva
esattamente a cosa si riferisse. Forse era un: ti prego smetti di
tormentarmi e scopami! oppure un: Dio, non smettere, non smettere mai,
nessuno dei due si curò si interpretarlo con tutti i crismi, ma non
importava. Niente importava se non sfilare gli ultimi vestiti e
sentirsi finalmente nudi, pelle contro pelle in un contatto che stava
facendo impazzire entrambi, e se prima Manuele era riuscito a mantenere
un minimo di controllo sulla situazione, adesso si rese conto che era
impossibile per lui continuare a farlo. Schiacciò Gabriele contro il
letto e allungò una mano verso la sua bocca; vedere il suo viso
stravolto, gli occhi chiusi e la bocca aperta per aspirare più aria
possibile, era quanto di più erotico avesse mai osservato. Gli succhiò
le dita, facendo passare la lingua su ogni falange, e Manuele fece uno
sforzo enorme per impedirsi di voltarlo ed entrare in lui
violentemente.
Quando
fece penetrare un dito dentro di lui fu attento ad osservare ogni
dettaglio, ogni espressione del viso, perché voleva che fosse perfetto
e anche se sapeva che una cosa del genere sarebbe stata impossibile,
lui la pretendeva ugualmente.
Il
compagno strinse forte gli occhi e lasciò andare un lungo gemito che
diventò lamento quando Manuele inserì un altro dito. Si fermò un
attimo, il suo calore era intossicante e sentiva che sarebbe potuto
impazzire se non si fosse sbrigato, il desiderio di entrargli dentro lo
stava uccidendo, ma al contempo non avrebbe smesso mai di guardarlo,
guardare il modo in cui i suoi fianchi ora si alzavano sfregando contro
la sua erezione e facendolo gemere sorpreso. E non poté più aspettare,
sfilò le dita e portò le mani sulle sue gambe, percorrendole febbrile
prima di alzarle ed entrare piano in lui. Era consapevole che stavano
andando troppo velocemente, che se si fosse fermato e avesse giocato un
altro po’ con il suo corpo Gabriele si sarebbe rilassato molto di più,
ma non ce l’avrebbe mai fatta. La voglia era troppa, lo stava uccidendo
l’idea di lui, il suo autocontrollo aveva un limite.
E
ora l’aveva abbondantemente superato.
Si
fermò solamente perché Gabriele ora stava boccheggiando e i lamenti che
si alzavano non erano certamente di piacere. Si abbassò a baciarlo
piano, dolcemente ora, sentiva tutti i muscoli contratti e se non si
rilassava sarebbe stato impossibile proseguire.
“Mi
fermo?” sussurrò contro le sue labbra, consapevole di non essere
davvero in grado di farlo.
“Non
provarci nemmeno” rispose in un bisbiglio spezzato prima di sorridere
lievemente e andargli incontro col bacino. Sentirlo gemere in risposta
e perdere il controllo, per Gabriele fu un afrodisiaco potentissimo.
Manuele
ora si spingeva dentro di lui completamente perso, il viso sconvolto e
il respiro sempre più corto e veloce, a vederlo così, completamente
privo di barriere e di difese, sembrava che il suo cuore volesse
esplodergli fuori dal petto.
Poi
la mano del compagno corse alla sua erezione, stringendola, e Gabriele
perse anche quel minimo di lucidità che era riuscito a mantenere e
semplicemente si lasciò andare a un piacere che toglieva il fiato e
spezzava il respiro.
Solo
un po’ di tempo dopo, quando la testa di Manuele si appoggiò contro il
suo petto mentre la mano del compagno gli percorreva la schiena
distratto, riacquistò l’uso della parola per qualcosa di diverso che
non fosse gemere indegnamente e urlare.
“Un
bel modo per calmarmi” sussurrò Gabriele godendosi i mugolii che
emetteva l’amante ogni volta che la sua mano arrivava a un punto
particolarmente sensibile della sua schiena.
Sembrava
quasi che stesse facendo le fusa.
“Se
ogni volta che scleri posso incanalare la tua aggressività in questo
modo, allora vedrò di farti sclerare più spesso” rispose Manuele, la
voce ancora impastata dal sesso.
“Mi
fai già impazzire così… vuoi uccidermi definitivamente?” rispose
divertito Gabriele, stringendolo un po’ più forte. Non riusciva davvero
a credere di averlo lì, fra le sue braccia, e poterlo stringere quanto
voleva, poter scorrere la mano sulla schiena beandosi la sensazione che
dava la sua pelle sotto i polpastrelli. Volerlo proteggere, amare,
inglobare, volergli risparmiare ogni sofferenza, essere una cosa sola
con lui. Erano desideri così forti da creare una sinergia in grado di
devastarlo, impedendogli di pensare lucidamente come prima. Esisteva
solo la frenesia di sentirlo il più possibile, in ogni angolo di sé,
avrebbe voluto avere le sue mani dappertutto e sentire il suo corpo ancora
più a fondo, fino a strapparsi la pelle, i muscoli e tutto il resto per
essere davvero una cosa sola. E da come lo stringeva Manuele stando
immobile, intrecciato a lui come due pezzi di un puzzle, Gabriele era
certo che stesse pensando la stessa cosa.
“No,
ho un aspirazione diversa per l’utilizzo del tuo corpo” rispose
pigramente Manuele, sollevando leggermente la testa e sfiorandogli il
collo con le labbra, in una carezza lieve e ripetuta che ebbe il potere
di strappare un mugolio a Gabriele.
“E
potrei sapere anche io come vorresti utilizzare il mio corpo?” Manuele
sorrise contro la sua pelle per poi risalire a mordicchiare l’orecchio,
occupandosi di mordicchiarlo e succhiarlo con dedizione assolutamente
ammirevole.
“No”
sussurrò in risposta, “Preferisco mostrartelo” per poi far scivolare
prima una mano e poi tutto il resto del corpo, verso il basso, a
godersi i gemiti e i singhiozzi di Gabriele mentre si prendeva cura di
lui.