CAPITOLO SECONDO
Eri solo da incontrare

Le favole non dicono ai bambini che esistono i draghi, i bambini già sanno che esistono, le favole dicono ai bambini che i draghi possono essere uccisi.
-Gilbert Keith Chesterton-


Quello che le parole di Lily avevano smosso nel fratello, lo si scoprì qualche settimana più avanti. Lorenzo aveva preso l’abitudine di passare sempre più tempo in camera con Noah, quando non dovevano studiare e Lorenzo non lavorava. Entrava in camera sua, si stendeva sul letto e lo osservava cazzeggiare al PC, scaricare qualche testo di medicina o qualche telefilm truculento. Non facevano niente di particolare , ma Lorenzo si era scoperto a non poter fare a meno di osservare le sue spalle magre, quando lui le stirava per dare sollievo ai muscoli indolenziti. Si era scoperto a dipendere dal modo in cui il sorriso di Noah si accendeva, perché fino a poco tempo prima l’idea che potesse sorridergli era così assurda e impensabile, da coglierla come una cosa preziosa e custodirla gelosamente. Non gli aveva ancora parlato di molte cose, ma era consapevole che anche solo permettergli di stare steso sul suo letto a guardarlo, era molto per lui. Lorenzo gli stava appiccicato praticamente tutto il tempo che non doveva dedicare ad altro e lentamente Noah ci si stava abituando, anche se entrambi erano spaventati, per ragioni diverse. Fu quando Noah parlò che Lorenzo comprese distintamente dove li avrebbe portati tutto quello.
“Ti devo far vedere una cosa” disse alzandosi in piedi e aspettando che Lorenzo seguisse il suo esempio.
Il ragazzo lo seguì incuriosito e quando vide che lo stava conducendo nel suo studio lo prese una sorta di terrore solenne. Aveva un rapporto strano con quella stanza: da una parte era curioso da impazzire di vedere cosa c’era dentro e quanti libri preziosi conteneva, in più aveva segnato il suo avvicinamento a Noah quindi significava molto. Però dall’altra parte sapeva quanto quella stanza ricordasse a Noah i suoi genitori e non voleva farlo soffrire inutilmente. Le parole di Lily continuavano a circolargli nella testa senza dargli pace. La sofferenza che ancora lui non riusciva a comprendere era legata a quella stanza? Ai suoi genitori?
Seguì Noah all’interno e scoprì che la realtà era ancora meglio di ogni sua previsione.
Quella stanza conteneva una biblioteca enorme, quando ci era entrato la prima volta ne aveva vista una piccola parte. Rimase senza parole fino a quando la reale portata di tutto quello non lo colpì, allora cominciò a saltellare in giro per la stanza in una perfetta e involontaria imitazione di Lily. “Oddio! Ma questi sono libri rarissimi! Oddio oddio, tu non puoi davvero avere tutto questo qui dentro! E’ tipo la cosa più bella che potessi vedere!” senza vedere Noah che sorrideva intenerito, né lo scintillio nel suo sguardo mentre si diresse verso un punto preciso della libreria.
Tirò un fuori tre libri tenuti assieme da un rilegatore e li porse a Lorenzo.
“Guarda un po’ qua” Lorenzo gli lanciò un occhiata incuriosita e poi afferrò i libri in mano, tirando fuori un volume e poi sgranando gli occhi. Non poteva credere a quello che vedeva.
Sfogliò il libro con una reverenza assoluta, la mente era vuota, non riusciva davvero a realizzare quello che aveva in mano e soprattutto cosa significasse per Noah avergli fatto vedere quella stanza. Erano troppe informazioni assieme e tutte troppo belle.
“Ma questa… questa è la prima edizione di ‘Grandi speranze‘! Non puoi davvero possedere questo libro!” disse con voce quasi tremante, la risposta lo spiazzò totalmente.
“Infatti non è mio. E’ tuo” rispose Noah noncurante, anche se, e Lorenzo lo sapeva, in realtà era tutto tranne che indifferente. Poteva percepire chiaramente l’agitazione che lo pervadeva e che stava tentando di nascondere con tutto sé stesso. Si stupì nel pensare che solo un mese fa avrebbe creduto davvero che tutto quello non avesse colpito Noah particolarmente, l’avrebbe creduto davvero indifferente come voleva mostrarsi.
Ora invece poteva leggere benissimo il suo volto, intuiva chiaramente come fosse turbato, lo capiva dallo sguardo sfuggente, dalle labbra strette e dal modo in cui le mani si chiudevano e si aprivano. Era nervoso e agitato. Il perché non riusciva a capirlo fino in fondo.
“Non puoi dire davvero” sussurrò posando il libro sulla scrivania “Questo libro vale tantissimo” lo vide scrollare le spalle , borbottando: “Lo so, cosa credi che sia, idiota? Tanto a me quella roba non piace, per cui tienila pure” e distolse immediatamente lo sguardo, perdendosi il sorriso deliziato che spuntò sulla faccia di Lorenzo, non lo aveva ingannato nemmeno per un istante.
Poi Noah continuò a parlare a sottovoce: “Era di mia madre, ci teneva molto… anche a lei piaceva Dickens e leggeva tantissimo…” sbuffò un sorriso e proseguì, sempre con quell’aria trasognata: “Si è sempre dispiaciuta di non essere riuscita a trasmettermi il suo amore per la lettura… gli saresti piaciuto” e Lorenzo seppe che quello era il momento giusto, non ce ne sarebbe stato un altro migliore.
“Com’è morta?” un sussurro, quasi che un rumore più forte potesse spezzare l’incanto o farlo andare a pezzi definitivamente.
Vide Noah trasalire e guardarlo sorpreso, non si aspettava una domanda del genere ma non ne sembrò seccato. Prese un respiro profondo e rispose: “Dopo la morte di mio padre non ha retto più. Lei…”si interruppe, lo sguardo impazzito vagava per la stanza appendendosi in ogni superficie possibile prima di tornare su di lui e guardarlo quasi sconfitto. Stava cercando un modo che non facesse male per dirlo, ma non esisteva quindi lo sputò fuori così, con tutta la rabbia con cui l’aveva vissuto.
“Si è suicidata” Lorenzo sgranò gli occhi e rimase a fissarlo inebetito, sapeva che i suoi genitori erano morti e sapeva che c’entrava un incidente in macchina ma aveva sempre pensato che fossero morti entrambi per quella ragione, invece sembrava che sotto ci fosse decisamente di più.
Fece per parlare ma Noah lo interruppe, proseguendo. Lorenzo intuì che ormai aveva cominciato a parlare e stava buttando fuori tutto, non si sarebbe fermato.
“Mio padre morì in un incidente in macchina, facemmo un frontale contro un’altra auto, io ero in macchina con lui.” sorrise sarcastico e finalmente lo guardò fisso negli occhi, sfidandolo quasi, era come se gli stesse urlando: volevi sapere? Vediamo cosa dici adesso, vediamo cosa fai di fronte a tutto questo, vediamo se c’è ancora un motivo per cui io dovrei fidarmi degli altri, vediamo se riesci a trovare ancora belle parole.
“Riportai anche io gravi ferite ma non fui davvero in pericolo di vita” il tono di voce si fece più amaro adesso, Lorenzo non osava nemmeno respirare: “Buffo che sia successo a lui. Era medico sai, il primario di chirurgia e se fosse successo a me lui avrebbe sputo cosa fare e forse non sarei morto. Anzi sicuramente. Invece io avevo appena cominciato a studiare medicina, non sapevo dove mettere le mani, non sapevo cosa fare. Mia madre non resse al colpo, cercò di resistere per noi ma dopo un mese si imbottì di sonniferi, ansiolitici e antidepressivi.”
Silenzio.
Nessuno dei due fiatò, Lorenzo sapeva che Noah non aveva ancora finito, lo intuiva chiaramente dal suo sguardo ancora lontano.
“Non devi pensare che io sia così per questo. Non sono diventato uno stronzo asociale per causa loro, non gli avrei mai fatto questo. Io sono sempre stato così. Quando nasci bruttino, senza la minima eleganza e con un carattere sarcastico e chiuso, puoi fare ben poco per sopperire. E’ il solito circolo vizioso. Più io mi chiudevo, più gli altri mi ignoravano ,più io diventavo introverso, e mi convincevo che questa sarebbe stata la mia unica possibilità nella vita. Diventare un medico come mio padre. Sapevo alla perfezione che i rapporti umani non sarebbero mai stati il mio forte. Adesso semplicemente hanno perso ogni attrattiva” concluse. Non lo guardava più, ora tutta la sua attenzione sembrava essere rivolta al pavimento. Lorenzo non si avvicinò, sapeva che ora ogni suo movimento, ogni contatto che avesse cercato di stabilire con lui, l’avrebbe preso come pietà. Per cui si limitò a parlare, a bassa voce.
“Non ci riesci vero? Dopo tutto quello che è successo non riesci ad amare te stesso, per quello mi hai risposto così quella sera.” vide Noah annuire debolmente e si avvicinò, aveva paura che un solo movimento sbagliato potesse farlo fuggire per cui lo fece lentamente, senza che se ne accorgesse.
Prosegui: “Penso che tu abbia ragione. Non si può amare sé stessi, non si riesce a trovare i lati migliori di noi, perché non sappiamo come fare. Non sappiamo dove cercare e quando ci proviamo brancoliamo del buio, perdendoci. Ecco perché hai bisogno degli altri… perché loro possono trovarli per te. Solo quando qualcuno ti guarderà e ti amerà così, stronzo per come sei, allora ti sembrerà di riuscire ad amarti un po’. Di riuscire a perdonarti.”
Noah scosse la testa, aveva gli occhi lucidi e respirava a fatica ma stava cercando in tutti i modi la forza di non piangere, aggrappandosi ostinatamente al proprio orgoglio, per quello non lo guardava. Sapeva che se ci avesse provato sarebbe crollato. Lorenzo si era avvicinato ulteriormente e ora era così vicino da poter quasi sentire il calore della sua pelle attraverso la maglia. Chiuse gli occhi, strizzandoli forte, quell’istante era così intenso da far male.
Lorenzo allungò una mano verso di lui e quando la posò sul viso vide distintamente il corpo di Noah tremare a quel contatto. Si erano toccati molte volte ma mai così, mai con la consapevolezza di volerlo fare davvero, che sfiorare delicatamente il viso di Noah era quello che desiderava più di tutto, mai pensando che se ne fregava se era pallido e aveva due occhiaie viola che nemmeno Dracula, mai pensando che nonostante tutto per lui era perfetto. Mentre percorreva i lineamenti con la punta dei polpastrelli, quasi a volerli memorizzare, sentì Noah trattenere bruscamente il fiato e poi rilasciarlo tutto d’un tratto. Vederlo tremare leggermente sotto le sue dita, vedere come cercava di respirare ad ampie boccate presumibilmente per non morire soffocato, vedere come sporgeva lievemente il viso per andare incontro alle sue mani, era tenerezza pura. Tanto che rischiava seriamente di ucciderlo.
Non fu delicato quando gli posò la mano sulla nuca per attirarlo a sé e baciarlo, non poteva essere delicato perché quella era una cosa che lo aveva tormentato per notti intere, sentire che sapore avessero le sue labbra, gustare a fondo il sapore della sua bocca e accarezzargli finalmente la schiena, insinuando le mani sotto la maglia e percorrendo la pelle morbida. Si soffermava su ogni cicatrice, senza smettere un attimo di baciarlo, ogni volta che le dita percorrevano per intero ogni sfregio Noah sospirava più forte sulle sue labbra, facendolo impazzire e costringendolo a baciarlo nuovamente. La lingua si intrecciava alla sua con una naturalezza tale da stordirlo, i corpi erano incastrati e non c’era davvero niente di più da chiedere a quell’attimo. Si staccò posando la fronte sulla sua e lo guardò, serio. “Mi stai seriamente mettendo in pericolo tutti i neuroni residui, dovresti essere dichiarato illegale” Noah si lasciò scappare un risolino e gli diede uno scappellotto leggero sulla nuca, imbarazzato. “Ma smettila!” replicò correndo a nascondere la testa sull’incavo del suo collo, per non essere costretto a guardarlo in faccia.
“Devo andare al lavoro” mormorò Lorenzo dispiaciuto, massaggiandogli la nuca con una mano, mentre l’altra rimaneva saldamente ancorata alla sua schiena, non era davvero pronto a staccarsi dal calore confortante della sua pelle.
“Vai allora, che fai ancora qui?” sbottò Noah che tuttavia non si mosse, smentendo così l’acredine che voleva mettere nella frase.
“Il tuo romanticismo mi commuove” commentò Lorenzo ridacchiando, stava facendo scorrere la mano lungo la schiena, strappando brividi e piccoli mugolii involontari a Noah. Vedere quanto sorpreso fosse il ragazzo a ogni reazione spontanea avesse il suo corpo, gli dava l’esatta percezione di quanta dovesse essere la sua esperienza precedente: nulla.
Era bello sfiorarlo in quel modo, lievi carezze che stuzzicavano senza arrivare a provocare, era bello perché poi la reazione lo incantava. Noah sembrava totalmente incapace di resistere a quel tipo di attenzioni, come un gatto selvatico che non aveva mai ricevuto carezze ed era estremamente diffidente verso chiunque, ma nel momento in cui qualcuno guadagnava la sua fiducia e si avvicinava, scopriva che non era che non le volesse, anzi. Ne era affamato il doppio, quasi dovesse compensare il tempo perso. Si affezionava a quella persona e solo a lei, creava un rapporto totalmente esclusivo dove solo lei poteva avvicinarsi a lui o toccarlo, agli altri riservava unghiate e sguardi diffidenti. Era bello sapere di essere colui che era riuscito a penetrare le sue difese, era bello vedere come si fidava delle sue mani e come si lasciava andare con lui. Gli accendeva dentro il desiderio di non smettere mai, di dargli sempre di più, fino a riempirlo di ogni sorta di attenzione perché non le aveva mai avute e invece le meritava.
“Devo andare davvero” sussurrò, staccandosi suo malgrado dal corpo caldo dell’altro e guardandolo dispiaciuto. Aveva i vestiti scomposti, le labbra dischiuse e un gonfiore inequivocabile nei pantaloni. Il tutto unito a uno sguardo perso e un espressione confusa. Cosa lo stesse trattenendo non lo sapeva davvero. Il suo senso del dovere probabilmente. Che si fottesse anche lui, cazzo.
“Domani sera non lavoro… ceniamo assieme e stavolta cucino io.” e questo fu di nuovo un ordine. Lorenzo era consapevole di essere il solo che poteva permettersi di parlare così a Noah senza venire sbranato e ne era decisamente orgoglioso.
“Vuoi avvelenarmi per togliermi di mezzo e fregare la mia eredità?” Lorenzo spalancò gli occhi, il concetto era così simile a quello che aveva espresso la sorella poco tempo fa, che rabbrividì. Quei due erano più simili di quanto si pensasse. Anzi forse era la sorella il vero genio del male e Noah solo un imitatore. Dio sapeva se quella ragazzina sapeva essere perfida.

Il giorno dopo si ripeté un copione che si era già svolto la prima sera che Lorenzo e Noah si erano avvicinati. Noah si svegliò all’alba, preparò la colazione alla sorella, si vestì con la solita noncuranza afferrando i primi vestiti che gli capitarono sotto mano, e fortuna che il suo guardaroba era composto esclusivamente da abiti neri, altrimenti gli abbinamenti di colore che il caso avrebbe potuto proporgli sarebbero stati davvero raccapriccianti, e uscì in tutta fretta, senza aspettare Lorenzo che aveva lezione con lui al mattino.
Per tutta la mattina si sforzò di seguire le lezioni senza pensare a nient’altro, intento lodevole ma assolutamente infruttuoso visto quanto facilmente gli occhi azzurri di Lorenzo si infilavano nella sua testa. Era stressante cercare di capire quello che il professore stava spiegando e ritrovarsi la mente invasa dall’azzurro assolutamente disturbante dei suoi occhi. La prima volta che era successo era sobbalzato sulla sedia e alle occhiate curiose dei suoi compagni aveva risposto con un dito medio e uno sguardo incazzato come pochi. Nessuno gli si era avvicinato quel giorno, era evidente quanto fosse di mal umore e sebbene fosse uno scricciolo senza nessun’accenno di muscoli da nessuna parte, circolava una leggenda sul suo conto. Riguardava le notti di luna piena e lupi ululanti alla luna, ma nonostante la follia di tutto ciò, tutti sembravano crederci ciecamente. Come tutte le leggende aveva un fondo di verità derivato da uno scontro senza precedenti lungo i corridoi dell’università. La leggenda narrava che un Incauto Ragazzo un giorno tentò di prenderlo in giro riguardo al suo aspetto, niente di nuovo se non fosse che il Temerario aveva osato nominare i suoi genitori, sbeffeggiandoli per non aver fatto altro, quel giorno lontano di 21 anni fa, anziché procreare un simile abominio. La leggenda parlava di una partita a monopoli ma qui le voce erano discordanti, alcune infatti giurarono che si trattava di un poker. Ebbene, coloro che erano presenti raccontarono a lungo lo sguardo grondante rabbia pura che si accese negli occhi neri di Noah, come si soffermarono a descrivere la smorfia di odio che contorse i suoi lineamenti. Dopodiché ci fu soltanto una furia senza precedenti, il Povero Ragazzo si ritrovò aggredito da una specie di Cerbero assatanato, lo sbigottimento fu tale da impedire qualunque reazione, e gli esperti duellanti che assistevano assicurarono che fosse stato decisamente meglio così. Il risultato fu che il Povero Sventurato esibì per un mese un occhio nero, svariati graffi sul volto e segni di morsi in giro per il corpo. Zoppicava anche. I più maligni sostenevano che nessuna ragazza ormai volesse andare con lui perché non erano del tutto certe che la cosa potesse funzionare ancora. Si portò dietro lividi ed escoriazioni per almeno un mese, tuttavia quello che davvero non sbiadì mai furono due cose: il soprannome del ragazzo che ormai tutti chiamavano Il Ragazzo Sopravvissuto Per Puro Culo, e l’assioma che tutti gli studenti più anziani poi avevano trasferito alle matricole, che poi era anche la ragione per cui, a parte lievi prese in giro e risatine, nessuno torceva un capello a Noah. Mai, mai, mai, per nessuna ragione al mondo, farlo arrabbiare. Per questo motivo quella giornata molti sguardi terrorizzati si levarono dai corridoi al suo passaggio, aveva uno sguardo che grondava odio, se qualcuno lo avesse distillato ci avrebbe ricavato un veleno mortale che avrebbe steso un drago. In mensa ormai la voce si era estesa a tutti gli studenti presenti nell’edificio e non appena entrò tutti tacquero di colpo, un silenzio di tomba calò sulla stanza e gli studenti terrorizzati si strinsero l’uno all’altro, per non correre il rischio di fare qualcosa di stupido come inciampargli davanti o dire la cosa sbagliata nel momento sbagliato. Solo quando Noah si sedette e cominciò a sbocconcellare il suo pranzo tutti tirarono un sospiro di sollievo. Quando Lorenzo si sedette accanto a lui con estrema noncuranza e ammirevole sprezzo del pericolo, tutta la stanza trattenne il fiato aspettando la reazione di Noah. Quando fu chiaro che il ragazzo non aveva intenzione di avere nessuna reazione, Lorenzo si guadagnò la stima e l’ammirazione imperitura di tutta l’università.
“Sai che stai terrorizzando tutti, vero?” chiese divertito, inclinando appena la testa per cercare di agganciare il suo sguardo.
Noah sbuffò un sorrisetto: “Se lo meritano se sono così idioti da credere che io sia un lupo mannaro che ulula alla luna nelle notti di plenilunio” sentenziò, incrociando le braccia al petto e guardandolo ridere.
“Lily mi ha appena scritto chiedendomi il permesso per dormire da Stella. Tu ne sai qualcosa?” chiese Noah guardandolo truce.
“Io non so assolutamente niente, sono innocente fino a prova contraria… spero comunque che tu quel dannato permesso glielo abbia dato, altrimenti avrò sputtanato venti euro per nulla. Tua sorella è diabolica.”
E l’espressione assolutamente angelica con cui ammise tutte le sue macchinazioni, non poté fare a meno di strappare una risata a Noah e un commento ironico:
“E’ stata buona, io te ne avrei chiesti trenta” per poi continuare a mangiare decisamente con più gusto.
Adesso che ce l’aveva davanti tutta la tensione che aveva accumulato in una serata infernale, seguita da una notte insonne e una mattinata altrettanto infernale, si era sciolta come d’incanto. Pensava che sarebbe stato più difficile, più imbarazzante, più… più, vederlo dopo il bacio, invece sentiva che tutto era finalmente andato al suo posto, che stava bene come non era mai stato. Era una di quelle sensazioni che costringevano a rivedere tutta la tua posizione sulla tua vita, perché se fino a quel momento avevi pensato di aver raggiunto una certa serenità e di poterti dire in un certo senso felice… ecco scoprivi che invece non avevi capito niente, perché quella era la felicità. E se lo avesse saputo prima, che vederlo sarebbe stato così, si sarebbe risparmiato se non altro quella mattinata da incarnazione quadrupla dei guerrieri dell’Apocalisse.
Fu quando Lorenzo allungò una mano verso di lui come se fosse la cosa più normale di questo mondo, che Noah spalancò gli occhi guardandolo come se avesse improvvisamente cominciato a ballare nudo per la stanza.
“Che. Stai. Facendo” sibilò tentando di sottrarre la mano che Lorenzo aveva preso in ostaggio.
“Stai buono” lo rabbonì Lorenzo continuando a tenergli la mano, sordo ai lamenti di Noah che persero forza improvvisamente non appena l’altra mano salì sul viso, a contenergli la guancia per intero, il pollice scivolava sulla mandibola in lente carezze. Ecco in quel momento il cervello di Noah si spense e buona parte del patrimonio neurale che il suo encefalo si affannava a mantenere, andò perduto.
L’aveva già notato la sera prima ma ora ne ebbe la conferma. Quando Lorenzo lo toccava, lo toccava con l’intenzione di toccarlo, non per sbaglio, lui andava da un’altra parte. Sentiva brividi in tutto il corpo e un calore assurdo nell’esatto punto in cui la sua mano si era posata, ritrovandosi incapace di infilare due parole di senso compiuto o ragionare compitamente.
Era stressante non riuscire a reagire o ragionare come una persona senziente non appena Lorenzo gli metteva le mani addosso.
Sapeva che nessuno stava prestando particolare attenzione a loro, eppure l’idea che Lorenzo lo stesse accarezzando in modo inequivocabile proprio in mezzo alla sala mensa, gli piacque in un modo perverso e preoccupante. Gli diede una sensazione di potere strana, era come affermare in modo violento e prepotente quello che era, la sua intera essenza, senza doversene vergognare. Lui era brutto, stronzo e contorto e andava bene così. Questo gli stava dicendo Lorenzo toccandolo, e il modo in cui lui arrivò a capirlo istantaneamente lo preoccupò un tantino. Gli era già entrato dentro fino a quel punto?
Ma doveva pur recuperare l’intelletto prima o poi, se non altro per riuscire a sostenere l’esame che avrebbe avuto fra due settimane, quindi di sforzò di articolare un discorso di senso compiuto.
“Si può sapere come farai a preparare la cena se hai lezione anche il pomeriggio?” Il sorriso che gli rivolse Lorenzo fu la copia del sorriso che gli aveva rivolto la prima sera, quando si era quasi fatto investire per
lui.
Il sorriso che lo sconfiggeva sempre.
“Ma io non ho lezione al pomeriggio” rispose con tutta calma, guardandolo sornione mentre inarcava un sopracciglio.
“E allora perché ti sei fermato a…” iniziò, ma poi si interruppe passandosi una mano sul viso. “No non dirmelo, non voglio saperlo” e nemmeno le risate di Lorenzo riuscirono a coprire i suoi borbottii.

Non aveva lezione quel pomeriggio, ma rimase in biblioteca a studiare per il prossimo esame e tornò a casa piuttosto tardi. Sapeva perfettamente che sarebbe stato difficile riuscire a concentrarsi con il pensiero alla cena, a quello che avrebbe combinato Lorenzo, se sarebbe sopravvissuto ai piatti opinabili che gli avrebbe propinato, e, soprattutto, a cosa significava quella cena.
Ne aveva un terrore folle perché intuiva dove voleva andare a parare Lorenzo. Non si organizzava una cena a qualcuno che ti volevi scopare e basta. E poi, ma andiamo! Chi mai avrebbe voluto scoparselo e basta? Non era una persona che attirava un certo tipo di attenzioni, questo era innegabile.
Se Lorenzo lo aveva baciato era perché lo aveva voluto, ci aveva creduto e non aveva più sopportato l’idea di non farlo.
Ma lui cosa voleva? Era tutto così dannatamente serio e spaventoso da lasciarlo stordito. Lorenzo andava per gradi, non lo forzava mai e sembrava sapere esattamente quanto in là potesse spingersi per non terrorizzarlo definitivamente. In ogni caso non era certo ormai di riuscire a fare a meno di lui, quindi tutto questo pensare era perfettamente inutile. Si era sempre fidato di Lorenzo, era la prima persona a cui aveva affidato una parte così grande di sé stesso senza che se ne fosse mai pentito. Poteva fidarsi anche stavolta. Con quel pensiero in mente sperava di riuscire a concentrarsi sullo studio, finalmente, ma si accorse che invece l’aver deciso di continuare a fidarsi di lui gli faceva venire in mente molti pensieri poco casti e per niente puri.
Il risultato fu che si portò avanti della metà del programma che aveva stillato, e questa cosa lo innervosì enormemente.
Quando tornò a casa e sentì l’odore di bruciato che lo investì non appena mise piede nell’ingresso, fu tentato di riconsiderare tutta la questione del fidarsi.
Sperava ardentemente che Lorenzo gli lasciasse ancora un tetto sotto cui vivere e non facesse esplodere la cucina come fosse il laboratorio di un chimico.
“Lori… tutto bene?” chiese preoccupato, facendo cenno di voler entrare in cucina. Sentì un tramestio terribile, condito da bestemmie e imprecazione colorite, poi una testa bionda arruffata e un viso arrossato fecero capolino dalla porta della cucina, lasciata socchiusa.
“Sì, sì… non entrare! Mi rovini tutta la sorpresa!” si affrettò ad aggiungere preoccupato.
“La sorpresa sarebbe ritrovarmi un buco sul soffitto della cucina, così che io possa guardare romanticamente il cielo alzando lo sguardo?” chiese, il tono grondava sarcasmo da ogni lato lo si volesse guardare, ma Lorenzo non ne parve particolarmente colpito. Ci era abituato, in fondo.
Gli posò una mano sulla fronte, spingendo delicatamente per allontanarlo, ed esclamò: “Piantala di fare il coglione e fila in camera tua finché non ti chiamo. E’ quasi pronto” poi sembrò ripensarci e intimò: “E non entrare in salotto eh!”
Noah alzò gli occhi al cielo, sospirando, non voleva davvero mostrare come questa cosa lo imbarazzasse. Una cena romantica lui? E per di più con un uomo? Ma andiamo non c’era scritto da nessuna parte, non era prevista da nessuna convenzione internazionale! Anzi era quasi certo che fosse vietato da qualche statuto, era semplicemente un’idea troppo assurda e troppo irreale. Fu rimuginando su questo che entrò in camera; quasi gli venne un colpo vedendo dei vestiti ordinatamente riposti su letto, con un biglietto posato sopra. Si avvicinò e non appena riconobbe la scrittura di Lily alzò gli occhi al cielo per l’ennesima volta. Gli sarebbe venuta una paresi facciale prima o poi. Meglio, così non avrebbe neppure dovuto faticare per vedere il cielo dal buco sul soffitto che Lorenzo gli avrebbe lasciato in cucina.
Il biglietto diceva: So che ora sbraiterai che non hai intenzione di fare nulla del genere, ma tu invece ti cambierai e non accetto repliche! Non chiederti da dove vengono questi vestiti, non vorresti saperlo.
Lily
P.S. e per l’amor di Dio, pettinati quei capelli e cerca di dargli una forma umana!

Si passò le mani sul volto, sua sorella era pazza. Aveva rubato quei vestiti chissà dove e pretendeva che adesso lui pure si cambiasse. Ma perché diavolo avrebbe dovuto farlo? Era da idioti. Poi gli sovvenne il modo in cui gli occhi azzurri di Lorenzo lo avevano scrutato prima, quasi a voler saggiare il suo umore, e il modo in cui la voce era uscita fuori, preoccupata che lui non vedesse, né lo aiutasse in alcun modo, perché era una sorpresa. Per lui. Si sentì uno stupido ma non poté fare a meno di allungare una mano verso i vestiti e, sbuffando, cominciare a cambiarsi.
Lui non si era mai interessato di moda, vestirsi in modo da valorizzarsi o anche in modo da piacere agli altri, per lui era inconcepibile. Non era il fatto di non esserci portato, cosa indubbiamente vera, era più il fatto che non gliene fregasse nulla. Era solo perdita di tempo e non capiva perché mai un vestito dovesse avere tutta questa importanza, era quasi allergico all’idea di sistemarsi i capelli e rendersi carino (che già solo quella parola gli faceva venire i brividi) per qualunque essere umano, compreso sé stesso.
Infilò i pantaloni neri, pesanti e morbidi ma dalla linea impeccabile, che scivolavano sulle gambe molto meglio dei jeans sformati che indossava di solito. Osservò dubbioso la maglia, era grigio perla. Lui non aveva mai indossato niente che non fosse rigorosamente nero, non perché avesse una fissa con questo colore, ma si sentiva più a suo agio indossandolo, ecco.
Sospirando indossò anche quella, era di cachemire e aveva uno scollo a barca che lasciava scoperto tutto il collo e una parte delle spalle. Si sentiva vagamente ridicolo però doveva ammettere che suo sorella era andata per gradi, presentandogli una maglia grigia invece di una maglia verde o rossa. Sarebbe stato molto più traumatico.
Si guardò i capelli, erano sparati in tutte le direzioni, sostanzialmente il problema era che ne aveva troppi ed erano troppo lunghi. Cosa pretendeva che facesse sua sorella, miracoli? Borbottò afferrando la spazzola, mentre continuava a ripetersi che non sapeva assolutamente perché stesse facendo una cosa del genere, così ridicola e stupida , non bastava certo un vestito diverso per renderlo meno stronzo o meno acido. Poi sentendo dei passi veloci dirigersi verso la camera di Lorenzo e la porta sbattere, si disse che il perché lo sapeva e smise di farsi domande a cui non voleva davvero avere una risposta.
La frangia era riuscito più o meno a sistemarla, sua sorella gli aveva lasciato anche un tubetto di gel e con quello aveva cercato di modellare i ciuffi affinché ricadessero sulla fronte in una maniera accettabile dal resto dell’umanità e dalle necessarie leggi gravitazionali, ma del resto proprio non sapeva che fare. Afferrare un paio di forbici e tagliare gli sembrava la soluzione più veloce, ma aveva idea che il risultato sarebbe stato anche peggiore, per cui cercò un elastico che era sicuro dovesse esserci da qualche parte, e li fermò in un codino che almeno li teneva ordinati. Doveva ammettere che il suo aspetto ne aveva tratto decisamente giovamento, anche se aveva ancora la pelle pallida come un membro della famiglia Adams, e le occhiaie violacee che testimoniavano il suo amore per lo studio. Ma per quelle non poteva fare nulla, quindi alzando le spalle uscì dalla camera, non aspettò che Lorenzo lo chiamasse, si era stufato di stare chiuso lì dentro e, che fosse pronto o no, ora sarebbe andato in salotto.
Sperando di trovarlo ancora al suo posto.

Noah non riuscì davvero a non trattenere il fiato quando vide la tavola. Perché si era aspettato tutto ma non questo. Era semplice, in fondo, ma curatissima. La tovaglia era di lino ricamata, i bicchieri erano di cristallo, i preferiti di sua madre, quelli che tirava fuori nelle occasioni speciali e proprio per questo perfetti, su quella tavola. Poi i piatti gli strapparono una risata, erano blu, che non sarà stato elegante ma sapeva perché Lorenzo li aveva usati. Erano i preferiti di suo padre, insisteva per usare sempre quelli quando si riusciva a mangiare tutti assieme. Non si stupì nel notare che il centrotavola era la bomboniera di nozze che i loro genitori avevano regalato ai testimoni, e di cui si erano tenuti un pezzo. Tutto quello puzzava di complotto con Lily, se li poteva immaginare quei due a parlottare e Lily a tirare fuori dalla scatola le cose preferite dai suoi genitori. Non osava immaginare quanto difficile potesse essere stato, per sua sorella, e l’idea che l’avesse fatto per lui lo costringeva a distogliere gli occhi e deglutire.
“Non ero sicuro che fosse una buona idea” quando Lorenzo parlò, era perso in un mondo tutto suo, impegnato a frenare la commozione, così sobbalzò e si voltò di scatto.
“Vuoi uccidermi, Lorenzo?” sbottò tenendosi una mano sul petto e bloccandosi non appena vide com’era vestito il compagno.
Jeans scuri gli fasciavano le gambe, avvolgendogli le cosce, una camicia di varie gradazioni di blu esaltava i suoi capelli biondi e la pelle leggermente abbronzata.
Deglutì, e stavolta per frenare l’impulso di saltargli addosso seduta stante.
Lorenzo parve avere le sue stesse difficoltà a proseguire il discorso, il suo sguardo vagava sul suo petto, soffermandosi sul collo che il maglione lasciava ampiamente scoperto, arrivando infine al viso e lì si impigliò. Ci mise un eternità a parlare, sembrava che non riuscisse a staccare gli occhi da lui, totalmente sorpreso dal cambiamento che aveva avuto. Quasi facesse fatica a riconoscerlo e quel che vedesse gli piacesse moltissimo.
“Beh?” lo apostrofò Noah sgarbatamente, quell’esame lo stava mettendo a disagio molto più di quello che voleva ammettere e per lui era una novità. Non gliene era mai importato del giudizio della gente, era uscito conciato in modi improponibili ma degli sguardi degli altri, onestamente, non se ne faceva nulla, per cui era una sorpresa per lui ritrovarsi a sperare di piacere a qualcuno, e che quel qualcuno fosse proprio Lorenzo.
Il compagno si riscosse e sbatté le palpebre più volte, poi continuò il discorso: “Volevo solo dirti che va bene. Così come sei, voglio dire…” Noah lo interruppe perché non era certo di riuscire a sentire il resto e comunque l’aveva capito lo stesso, quindi andava bene così.
“Ho capito” sussurrò, alzando una mano per bloccarlo e dirgli di non continuare.
Si riscosse e lo guardò in tralice “La cucina è ancora in piedi? Non c’è nessun buco sul tetto?” Lorenzo lo guardò storto prima di imbronciarsi ed esclamare: “Hai una visione orribile delle mie capacità!” e con quello la cena iniziò.
Non fu terribilmente imbarazzante come Noah aveva temuto. Si punzecchiavano come al solito, inframmezzando i loro battibecchi a discorsi più seri o discussioni infinite dove nessuno dei due riusciva a prevalere. Mentre le portate scorrevano, Noah si stupiva immensamente nel realizzare che erano mangiabili. Oddio il risotto coi frutti di mare sapeva troppo di vino, tanto che quando aveva infilato in bocca il primo boccone gli erano venuti gli occhi lucidi, e Lorenzo l’aveva guardato preoccupato. Noah allora aveva scosso la testa come a dire che andava tutto bene e con espressione encomiabile aveva commentato con un : “Va benissimo” che non sapeva proprio da dove gli fosse uscito. Non se lo chiese per il famoso discorso di non fare domande di cui non vorresti avere risposta, ma anche perché in fondo era vero, nonostante il sovradosaggio di vino il riso era davvero meglio di quello che aveva previsto.
Poi fu il turno del salmone, un po’ stoppaccioso e con un retrogusto di bruciato che, assieme all’odore che aveva sentito entrando, gli fece supporre fosse stato dimenticato in forno. Insomma, forse la cena non era una delizia per il palato, ma Lorenzo sì. Lo guardava con quell’espressione ansiosa, come a sincerarsi che non morisse avvelenato e che gli piacesse tutto, che lui semplicemente non poteva deluderlo facendo facce strane o commenti caustici.
“Ho fatto anche il dolce! La crema catalana!” Noah sbiancò scattando in piedi e slanciandosi verso la cucina, era impossibile che fosse ancora in piedi con quelle premesse. Lorenzo scoppiò a ridere placcandolo al volo e stringendoselo addosso per impedirgli ulteriori fughe, solo che lo stringeva così forte che Noah poteva quasi sentire la linea dei muscoli tendersi e percepire i nervi sotto la pelle. Avrebbe voluto togliergli quella dannata camicia per percorrerla tutta e al diavolo la cucina e il buco sul soffitto.
“Non ho usato la fiamma ossidrica scemo! Ho fatto col forno… viene bene lo stesso” esclamò ridendo Lorenzo, continuando a stringerlo. Erano in una posizione strana a dire il vero, il coinquilino era ancora seduto e stringeva Noah per la vita, se lo era sistemato in mezzo alle gambe e aveva posato la testa sul suo stomaco, in silenzio.
Dopo il primo momento di imbarazzo, Noah si era rilassato nella sua stretta e ora guardava la sua testa bionda posata su di lui, osservava la schiena sollevarsi e abbassarsi lievemente, al ritmo del suo respiro, e non poteva fare a meno di sorridere, vagamente intenerito. Non aveva saputo cosa aspettarsi da quella cena, si era interrogato in mille modi decidendo alla fine di smetterla e di fidarsi e basta, per la prima volta. Ora si rendeva conto che aveva fatto bene, che Lorenzo aveva organizzato tutto quello solo per stargli un po’ vicino e l’idea che qualcuno avesse avuto un pensiero così carino per lui, gli stringeva lo stomaco. Era strano, ecco.
“Dobbiamo restare incollati in questo modo per tutta la vita o dici che possiamo staccarci se non altro per mangiare il dolce?” borbottò Noah, essere abbracciato era una cosa nuova per lui e restare abbracciato a un’altra persona così a lungo era ancora più strano. Non ci era abituato e un certo imbarazzo persisteva ancora, nonostante tutto.
Lorenzo sbuffò una risata e alzò la testa per guardarlo, rispondendo: “Sei davvero un orso tu, rilassati” Noah scrollò la testa, guardando ostinatamente in un’altra direzione per sfuggire all’imbarazzo che quella situazione gli creava.
“Non voglio fare nulla… solo stare così… dovrai abituarti prima o poi ad interagire con un altro essere umano senza sbranarlo” disse Lorenzo strofinando leggermente la guancia sulla stoffa morbida del maglione. Improvvisamente il desiderio di sentirlo sulla pelle parve soffocarlo, era qualcosa capace di soffocare tutto il resto, una voglia così impellente da costringerlo a stringere le mani a pugno per impedirsi di toccarlo.
Lorenzo osservò le unghie affondate nella pelle tenera del palmo, sorrise e disse, lieve: “Puoi toccarmi, se vuoi” Lorenzo non si aspettava davvero una reazione del genere alle sue parole, Noah riusciva a sorprenderlo ancora, dopotutto. Come quando aveva visto come si era preparato per quella cena, il modo in cui i vestiti gli cadevano addosso sottolineando il suo fisico snello ed esaltandolo, invece di infagottarlo. Il modo in cui il grigio della maglia facesse sembrare la sua pelle meno cadaverica e soprattutto come avesse sistemato i capelli. Quello gli aveva dato il colpo di grazia, lasciavano scoperti il viso che sembrava meno spigoloso e smunto, la frangia gli accarezzava la fronte invece di litigarci contro e lui era rimasto senza fiato perché non se l’aspettava. Non che fosse diventato improvvisamente il ragazzo più bello del mondo, ma senza dubbio ne aveva guadagnato. Forse per questo si stupì così tanto nel sentire le sue mani sfiorarlo, perché già quel cambiamento era straordinario, non si aspettava davvero che si lasciasse ulteriormente andare fino a quel punto.
Noah gli accarezzava la schiena e i capelli, inizialmente le sue erano carezze impacciate e timide, ma man mano che proseguiva diventavano sempre più decise e affamate. Era come se avesse scoperto quanto bello fosse sentire la sua pelle rabbribvidire sotto la camicia in cui si erano intrufolate le sue mani, come se i mugolii che sfuggivano dalla bocca di Lorenzo fossero qualcosa che lo incantava e di cui non avrebbe potuto fare a meno.
Sembrava un bambino che stesse esplorando il potere che poteva esercitare su un’altra persona. Lorenzo teneva la testa premuta sul suo stomaco e mordeva il maglione per impedirsi di ribaltarlo sul tavolo. Le sue mani che lo toccavano in quel modo gli stavano accendendo brividi che partivano dalla punta dei polpastrelli di Noah per scorrere veloci assieme ai sui nervi e al suo sangue, ad incendiargli direttamente il cervello. Non avrebbe resistito ancora a lungo, lo sapeva, ma voleva dare a Noah il suo tempo, voleva concedergli tutto quello che voleva e se Noah voleva accarezzarlo in quel modo tutta la notte e basta, lui l’avrebbe lasciato fare. Si rendeva conto che questo significava che aveva il cervello fottuto, più di quello che aveva immaginato, ma questo non riusciva davvero a spaventarlo.
Quello che lo spaventava davvero era l’idea di doversi trattenere così per tutto quel tempo, era dotato di un autocontrollo niente male, era vero, però non poteva negare che le carezze di Noah stessero accendendo il suo corpo come non mai.
Poi finalmente il ragazzo si fermò, gli aveva sbottonato la camicia quasi del tutto e ora si era fermato a guardarlo quasi perso, incantato, come se fosse la cosa più bella che avesse visto dopo molto, molto tempo.
“Io non…” cominciò a parlare con voce quasi tremante, Lorenzo lo interruppe subito, aveva capito dove voleva andare a parare e voleva risparmiargli l’imbarazzo di doverglielo dire.
“Lo so, va bene così. Qualunque cosa tu voglia fare, davvero” il sorriso che ricevette di risposta lo esaltò incredibilmente.
Era davvero fottuto.
Si spostarono sul divano, con la crema in mano e due cucchiaini che non vennero usati per niente. Sembrava che Noah trovasse molto più divertente immergere le dita dentro la crema e poi porgergliela, tremando quando la bocca di Lorenzo si chiudeva sulla sua pelle e la lingua la ripuliva. Il ragazzo aveva ancora la camicia slacciata e la maglia di Noah era scivolata del tutto da un lato, lasciando scoperta una spalla che stava facendo impazzire Lorenzo. Tutta quella situazione lo stava facendo impazzire, ma si stava imponendo con tutto se stesso di non fare gesti sconsiderati. Tanto più che gli piaceva quella lentezza, quel languore, lo stare vicini a stuzzicarsi e basta, sapendo che non ci sarebbe stato altro per quella sera ma con la consapevolezza che andava bene così. Era quello che volevano tutti e due, conoscersi prima, guadagnarsi totalmente la fiducia dell’altro. Quando la crema fu terminata Lorenzo non ebbe nemmeno il tempo di pensare a come dovesse comportarsi adesso, che Noah lo decise al posto suo.
Avvicinò bruscamente la testa alla sua, afferrandolo per la nuca e tenendolo inchiodato a sé, mentre i denti mordevano le sue labbra e poi venivano sostituiti dalla lingua. Fu lì che Lorenzo perse il controllo e affondò nella sua bocca, divorandolo quasi, mordendolo e cozzando i denti contro i suoi, sfogando tutta la tensione del doversi trattenere fino a quel momento. Le mani corsero sulla sua schiena, sotto la maglia, a percorrere, frenetici, centimetri di pelle morbida, sempre più avidamente, mentre Noah sospirava sulla sua bocca e non voleva dargliela vinta, lottava con la sua lingua, tirando il labbro inferiore con i denti e poi lenendo la ferita che vi si apriva con la lingua.
Era da impazzire.
Quando Lorenzo lo stese sul divano, sovrastandolo, ebbe chiaro il fatto che non doveva esagerare. Noah sembrava aver perso il controllo ma non voleva approfittarsi del fatto che il suo cervello andasse in black out ogni volta che lui lo toccava. Voleva che fosse lucido quando avrebbero fatto l’amore, voleva che ne fosse consapevole.
Quindi si chinò a mordergli il mento e poi il collo, mentre le mani, impazienti, si insinuavano sotto la maglia, torcendogli un capezzolo e facendo gemere Noah. Era pura follia pensare di doversi fermare.
Ma forse un compromesso lo si poteva trovare.
Fu pensando a questo che slacciò velocemente i pantaloni di Noah, senza toglierglieli, in modo che Noah fosse consapevole che non voleva spingersi oltre, non quella sera.
Lo sfiorò da sopra i boxer e lo sentì mugolare e stringere la stoffa del divano sotto di sé, il modo in cui perdeva il controllo era devastante.
Slacciò velocemente anche i suoi jeans e si perse appena un attimo ad osservare le guancie di Noah, ora arrossate, la bocca socchiusa e gonfia per i baci e l’espressione stravolta. Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa con lui, adesso, lo sapeva bene. Si limitò a spostare i boxer e strofinare la virilità con la sua, in un contatto che fece perdere il fiato e la ragione ad entrambi, costringendoli a gemere indecentemente, singhiozzando il nome dell’altro mentre i fianchi si spingevano cercandosi e strofinandosi a più non posso. Fu come perdere totalmente ogni punto di riferimento con il mondo reale. Quando Noah venne, molto prima di Lorenzo che aveva un autocontrollo decisamente maggiore e voleva godersi fino all’ultimo quel momento, si lasciò andare sul divano, osservando come la tensione dei muscoli sul corpo di Lorenzo lo rendesse ancora più bello. Aveva un espressione persa e così eccitante, da fargli rimpiangere, per un attimo, la decisione di non andare fino in fondo. Era quello che voleva, ma in quel momento, mentre Lorenzo si spingeva contro il suo corpo e la mano di Noah andava ad afferrarlo, per aiutarlo, sentì che sotto le sue mani si sarebbe davvero fatto fare di tutto.
Vide gli occhi di Lorenzo spalancarsi di scatto, non si aspettava una mossa del genere probabilmente. Mosse la mano e rimpianse di non averlo fatto prima perché il gemito che si lasciò sfuggire Lorenzo era spettacolare. Non dovette aspettare molto prima di sentirlo venire, i muscoli si tesero fino allo spasmo e la bocca si spalancò in un urlo che Lorenzo soffocò sulla sua bocca, prima di lasciarsi andare sopra di lui.
“Cazzo” disse solo, mentre ancora ansimava.
“Sono d’accordo” esalò Noah, ancora senza fiato.
Risero flebilmente e si strinsero contro all’altro, preparandosi a passare la notte esattamente in questo modo. Non avevano intenzione di alzarsi da quel divano per nessuna ragione al mondo.

La mattina dopo Lorenzo aveva previsto con esatta precisione quale sarebbe stata la mossa di Noah, perciò giocò d’anticipo.
Si sforzò di aprire gli occhi per primo e osservò il compagno incastrato a lui, il divano era grande e Noah piccolino, ma dormirci in due comunque era la cosa più scomoda del mondo, considerato soprattutto che avevano dei letti comodissimi ad appena due metri.
Ma Noah sembrava avere un espressione serena mentre dormiva, aveva appoggiato la testa sulla sua spalla e le gambe si erano intrecciate alle sue in un nodo stretto. Non avrebbe voluto scioglierlo per nulla al mondo.
Non dovette aspettare molto, ad ogni modo, Noah aprì gli occhi poco dopo e come prima cosa corse a scrutare l’espressione di Lorenzo, per accertarsi che stesse ancora dormendo.
Trovarlo sveglio annullò tutte le sue intenzioni e si ritrovò spiazzato, a guardarlo con i grandi occhi neri spalancati e un espressione di puro imbarazzo in viso.
“Non credevi davvero che ti avrei permesso di scappare, vero?” esclamò allegro Lorenzo, esibendo un sorrisone enorme e disincastrandosi da Noah, per stirare i muscoli mugolando dal dolore.
“Cristo… la prossima volta in un letto eh?” borbottò alzandosi in piedi e continuando la seduta di stretching.
“La… prossima volta?” balbetto Noah, ancora ammutolito di fronte alla prospettiva di doverlo affrontare subito, e non solo nel pomeriggio come aveva sperato.
Lorenzo gli lanciò uno sguardo obliquo e sorrise.
“Ma certo. Perché non vuoi che ci sia una prossima volta?”
Il viso di Noah raggiunse una tonalità di rosso che sfuggiva da tutti i precedenti storici, tanto da far venire voglia a Lorenzo di iniziare tutto daccapo, ma si trattenne, voltandosi verso di lui e mettendosi le mani sui fianchi, aspettando una risposta.
“Ma Dio Santo, vuoi anche una risposta, adesso? Fila a fare il caffè almeno! Renditi utile!” sbraitò Noah, aveva ritrovato il suo solito tono burbero e scortese, ma questo non sembrò offendere Lorenzo, anzi, gli strappò una risata di cuore e lo spinse a commentare: “Oh ma io ieri sera mi sono dimostrato molto utile!” non poteva davvero fare a meno di guardare il viso di Noah andare a fuoco dopo una frase del genere, e la sua mano scattare ad afferrare il primo cuscino disponibile per tirarglielo addosso.
Erano sempre loro, con i loro battibecchi e la naturalezza che sapevano mostrare uno accanto all’altro. Tanto bastava a Lorenzo.

La mattinata era passata in modo quantomeno anomalo. Lorenzo non aveva detto una parola riguardo la loro situazione, di questo Noah gli era molto grato, tuttavia non poteva nascondere del tutto una punta di delusione che non lo lasciava davvero tranquillo.
Sì, d’accordo, era imbarazzante da morire ma in fondo lo desiderava. Voleva davvero che Lorenzo gli dicesse perché, cosa ci trovava davvero in lui, gli parlasse insomma. Le elucubrazioni di Noah e le conclusioni a cui era arrivato da solo, non gli bastavano davvero. Ma certo non avrebbe iniziato il discorso per primo, era troppo dannatamente orgoglioso e, in fondo, spaventato, per farlo.
In ogni caso anche se non ne parlava, Lorenzo non mancò di dargli parecchie dimostrazioni pratiche sul suo desiderio di replicare quella notte.
Non perdeva occasione per spingerlo in ogni anfratto, lui quella mattina non aveva lezione ma con un sorrisone angelico gli aveva detto che sarebbe andato con lui, per studiare tranquillo in biblioteca. Il fatto che anche a casa fosse tranquillo visto che non c’era nessuno, non lo turbò più di tanto.
Il risultato fu che a ogni cambio di aula, a ogni ora buca, a ogni momento morto, Lorenzo si presentava davanti a lui, con un sorrisone enorme, e con una scusa qualunque lo trascinava in qualche aula deserta o in qualche anfratto nel corridoio, per baciarlo fino a fargli mancare il fiato.
Fu nella pausa pranzo che la situazione degenerò.
Lorenzo doveva andare al lavoro, un collega si era ammalato e il titolare l’aveva chiamato per sostituirlo. Noah stava mangiando al tavolo in totale e soddisfatta solitudine, quando una ragazza bionda si avvicinò a lui.
Assottigliò gli occhi, cercando di ricordarsi dove l’aveva vista; capelli biondo platino tenuti fermi da un enorme fiore rosso, viso tutto sommato gradevole ma niente di eccezionale.
Non appena parlò a Noah fu subito chiaro chi fosse.
“Posso sedermi vero?“ chiese con noncuranza la ragazza, scivolando a sedere con un sorriso svenevole.
Noah inarcò un sopracciglio ma non disse nulla, Ilenia, ecco chi era, la compagna di corso di Lorenzo che gli moriva dietro.
La ragazza osservò attentamente i suoi vestiti, i jeans che non erano sformati come al solito ma aderivano alle gambe, la felpa insolitamente blu e della sua taglia, e non nera e sformata, i capelli legati in un codino e sistemati decentemente.
Noah incrociò le braccia attorno al petto, guardandola malevolo. Era uno sguardo beffardo quello di lei, sembrava voler dire che nonostante i suoi sforzi non sarebbe mai riuscito ad avere un aspetto decente. Non si lasciò smontare, in ogni caso, da una che andava in giro con un enorme fiore di plastica nei capelli non accettava certo lezioni di stile.
“Volevi qualcosa?” chiese freddamente Noah, infastidito dalla sua sola presenza.
“In realtà sì” cominciò lei, sfacciata e per nulla intimorita dallo sguardo corrucciato e infastidito che aveva sfoggiato lui, evidentemente non credeva alla leggenda del lupo mannaro. Oppure il suo amore per Lorenzo superava ogni terrore ancestrale insito in lei. Noah era pronto a scommettere, non senza una punta di divertito sarcasmo, che nascondesse un pugnale d’argento in borsetta. Era il tipo di ragazza da fare una cosa del genere, totalmente idiota.
“Volevo dirti che hai un segno sul collo” Noah nascose abilmente la sorpresa, non si era curato di guardarsi allo specchio quella mattina, l’aveva vestito e pettinato Lorenzo con un ghigno soddisfatto sul volto, e ora aveva anche capito perché.
Lo stronzo.
“E allora?” rispose lui, il sopracciglio ormai inarcato a livelli impossibili da raggiungere per un qualsiasi altro essere umano.
“E allora volevo congratularmi con te, perché a quanto pare sei riuscito a diventare l’ennesimo nome nella lista di Lorenzo. Io non avrei lo stomaco che hai tu, onestamente, dopo tutte quelle che si è fatto avrei paura di beccarmi minimo qualche malattia, ma in ogni caso riconosco che dev’essere una bella soddisfazione, per uno come te”
Non gli diede modo di rispondere, si alzò subito dal tavolo andandosene, piuttosto velocemente a dire il vero, dava l’idea di una fuga più che di una dignitosa uscita di scena, ma Noah aveva ancora la mente impigliata sui mille sottointesi che Ilenia era riuscita a inserire in una sola frase, per notarlo.
Il suo viso si incupì e la sua espressione si tese, doveva immaginarsela una cosa del genere, non avrà davvero pensato che Lorenzo si interessasse a lui sinceramente? Probabilmente era solo uno stupido trofeo che si era messo in testa di collezionare, un motivo per ridere con gli amici, un passatempo o sapeva solo lui cosa.
Dannazione.
Non pensava davvero che la sola idea di essere solo uno dei tanti lo potesse far stare così male, era già così fottutamente preso da lui?
Le unghie che si stavano conficcando nel palmo delle mani gli risposero che, sì, era davvero stato così fottutamente stupido da innamorarsi.
Dio che coglione.
Si alzò di scatto dalla sedia e uscì con calma dalla mensa, l’orgoglio prima di tutto, non avrebbe mai dato a nessuno la soddisfazione di vederlo distrutto.
Non dubitò nemmeno per un istante della veridicità delle parole di Ilenia, semplicemente perché confermavano un dubbio che aveva fin dall’inizio e andavano a conficcarsi in mezzo alle mille incertezze e insicurezze che aveva su se stesso. Non poteva davvero dubitare del fatto che nessuno potesse amarlo, che amarlo era impossibile a chiunque se non alla sua famiglia.
E guarda poi cos’era successo a loro.
Scosse la testa, scacciando rabbiosamente le lacrime che inondavano gli occhi e non si accorse davvero di aver lasciato l’università e di stare devastando casa con una precisione metodica che avrebbe fatto invidia a Voldemort.
Si gettò sul letto rifiutandosi di piangere ancora, si sentiva così stupido che gli stava quasi mancando il respiro.
Era proprio quella la sensazione, nessuno avrebbe mai potuto credere davvero che uno come Lorenzo potesse interessarsi a lui, eppure ci era cascato con tutte le scarpe, non aveva dubitato neppure per un secondo che Lorenzo fosse meno che sincero, e queste ne erano le conseguenze.
Affondò la testa nel cuscino e si rifiutò di fare altro che non fosse respirare affannosamente, per calmare le lacrime che ancora premevano per uscire.

Quando Lorenzo tornò a casa, per cena, trovò una Lily preoccupata davanti alla porta della camera di Noah. Si mordeva le labbra e parlava alla porta, cercando di convincere il fratello a uscire e raccontargli cosa diavolo fosse successo, piantandola di farla preoccupare in quel modo.
Lorenzo, prima di precipitarsi a sua volta alla porta, si guardò attorno e capì immediatamente la preoccupazione di Lily.
La casa era semplicemente devastata. Nessun mobile era come prima, tutto era ribaltato e l’intera casa messa a soqquadro.
Spalancò gli occhi correndo alla porta e cominciando a battere i pugni su di essa.
“Noah se non apri questa cazzo di porta la sfondo”
Silenzio.
“Cristo santo stai facendo preoccupare Lily, non te frega un cazzo?” sbottò alla fine, preoccupato da morire almeno quanto Lily.
A quanto pare doveva aver usato le parole giuste perché la porta si spalancò e un infuriato Noah comparve, in condizioni disastrose, sull’uscio. I capelli neri sfuggivano alla coda andando da tutte le parti, gli occhi erano gonfi e rossi e le labbra martoriate da quanto le aveva morse, dal tentativo di non piangere avrebbe scommesso Lorenzo.
E avrebbe vinto.
Non ebbe tempo di stupirsi di nulla, tuttavia, che Noah lo aggredì.
Si gettò su di lui a capofitto, tempestando di pugni qualunque parte del corpo gli capitasse sottomano.
Stava anche urlando qualcosa, ma Lorenzo era troppo impegnato a pararsi dai colpi per ascoltarlo, e in ogni caso non erano altro che insulti, uniti a suoni disarticolati che servivano a Noah per esprimere tutta la sua rabbia.
Prima che Lorenzo riuscisse a bloccarlo, Noah era riuscito a fare dei danni niente male, un labbro era spaccato e sicuramente sarebbe comparso un grosso livido sullo zigomo. Ora capiva appieno la leggenda: quando Noah si infuriava diventava una belva!
A fatica riuscì ad afferrargli i polsi e bloccargli le gambe con le sue, ansimavano tutte e due e prima di fare o dire qualunque cosa, Lorenzo si voltò verso Lily che aveva assistito alla scena, più divertita che sconvolta a dire la verità, e ringhiò: “Fila in camera tua!” la ragazza, seppure a malincuore, obbedì.
La faccia di Lorenzo non prometteva niente di buono.
Quando Lily chiuse la porta Lorenzo finalmente poté voltarsi e osservare per bene il viso di Noah: era stravolto dalle lacrime e dalla furia, non sembrava nemmeno più lui.
“Si può sapere cosa ho fatto?” sibilò a un millimetro dalle sue labbra, allontanandosi velocemente quando Noah diede segno di volergliele mordere.
“Cazzo Noah, sei un animale! Vuoi piantarla?”
Ringhiò trascinandolo di peso dentro la stanza e chiudendo la porta.
Noah rise, facendolo rabbrividire, sembrava la risata di un folle,
“Ma certo, immagino quanto dev’essere stato schifoso per te piegarti a scoparmi, hai vomitato dopo? Spero almeno che il divertimento sia valso la pena”
gli urlò addosso, però la voce, nonostante tutta la rabbia che ci aveva messo, era incrinata e sembrava sul punto di spezzarsi.
Lorenzo lo guardò, sconvolto, sputò per terra un grumo di sangue che gli aveva invaso la bocca e disse la prima cosa che aveva attraversato la sua mente.
“Ma non abbiamo scopato!”
Che fosse la cosa sbagliata da dire gli fu subito chiaro, soprattutto quando Noah riprese a muoversi come un anguilla, per sfuggirgli.
Rafforzò la sua presa e lo gettò nel letto, premendosi addosso a lui per immobilizzarlo meglio e potergli parlare.
Noah girò la testa dall’altra parte e alla vista delle lacrime che avevano ripreso a scorrere, gli si strinse un attimo il cuore.
Poi riascoltò nella sua mente le parole che aveva sputato fuori Noah, e improvvisamente gli fu tutto chiaro.
Gli afferrò il mento con due dita e lo costrinse a guardarlo. Gli occhi neri, ancora rossi e lucidi, gli rimandarono una sofferenza così spropositata e fuori luogo, da dargli l’esatta dimensione di quanto quella paura andasse a risvegliare in realtà molto altro.
Imprecò.
“Si può sapere chi cazzo ti ha messo in testa una bestialità simile?”
Chiese, arrabbiato quasi quanto lui ora.
Noah strinse le labbra e non disse nulla, non ce la faceva ancora a parlare, aveva già spinto al massimo il limite di parole che poteva dire senza scoppiare a piangere, e scoppiare a piangere era l’ultima cosa che voleva fare.
“Noah, è una cagata. Non puoi davvero crederci!” era quasi disperato ora e se avesse scoperto chi aveva insinuato il dubbio in Noah, lo avrebbe ucciso, letteralmente.
“Perché non dovrei?” sussurrò il ragazzo, guardandolo ora non più con rabbia, ma con una quieta disperazione che era molto peggio di tutte le parole che gli aveva vomitato addosso prima.
“Perché mi piaci, mi piaci davvero. Non dico che non avrei mai scopato con te altrimenti, perché sarebbe una cazzata, ma non ti avrei sicuramente preparato la cena, Cristo! Io non ho cucinato nemmeno per mio padre, renditi conto.” Lorenzo aveva cominciato a parlare, l’ansia che aveva nella voce diede a Noah la dimensione esatta del panico che doveva averlo colto all’idea che lui non gli credesse.
Fu questo, più che altro, a calmarlo e a dargli la certezza che era stato un completo idiota.
Così si sporse a baciarlo, e fu un bene altrimenti Lorenzo avrebbe continuato a sproloquiare molto a lungo, minando la già labile sanità mentale del compagno.
Quando le lingue si intrecciarono con foga, quasi a voler rimarcare il concetto che aveva espresso Lorenzo e la paura che avevano avuto entrambi, un sospiro si sciolse fra le loro labbra, subito trasformato in un gemito di dolore.
Noah si staccò, mortificato, sfiorando il labbro di Lorenzo con la punta delle dita, non era capace di scusarsi, non era nel suo DNA e non l’aveva mai fatto con nessuno quindi non aveva idea di come avrebbe dovuto fare, ma qualcosa la doveva dire, ne era consapevole.
“Scu…scusa” buttò fuori, a disagio “Non avrei dovuto crederci, sapevo che era una stronzata, ma mi sembrava così logico nella mia testa… sono andato in Berserk e non ho più capito un cazzo”
Lorenzo rise leggermente, sfiorandogli le labbra con le sue e nascondendo poi il viso nell’incavo del suo collo.
“Solo tu potevi usare Berserk per scusarti… vedi che sei perfetto per me?” sussurrò sulla sua pelle, per poi mordicchiarlo leggermente, il languore stava scivolando nelle vene per prendere il posto dell’adrenalina, ed era la sensazione più bella del mondo, stare così su Noah e sentire la sua pelle, e basta.
“Non sono perfetto… questo penso che sia stato a mandarmi in crisi, non sono perfetto e non lo sarò mai, sono la cosa più lontana che si sia dalla perfezione” borbottò Noah, stringendo forte Lorenzo a sé e appoggiando la guancia sulla sua testa.
La dolcezza di quell’attimo non l’avrebbe mai scordata, perché era vero: non era perfetto e per un attimo l’avrebbe voluto, solo per lui, avrebbe voluto esserlo perché Lorenzo se lo meritava. L’aveva pestato quasi a sangue vomitandogli addosso tanta di quella rabbia ingiusta da far scappare chiunque altro, ma lui non lo aveva fatto. Lui era rimasto e questo andava ben al di là di qualunque perfezione potesse mai sperare di poter raggiungere.
“Nemmeno io lo sono” rispose il compagno, sommessamente.
“Ma non importa. Non me ne frega niente della perfezione onestamente, non pensi che sia molto meglio quello che abbiamo adesso?” Naoh non rispose perché altrimenti il nodo che aveva minacciato di togliergli il fiato sarebbe scoppiato, si limitò ad annuire stringendolo ancora più forte.
“E’stata Ilenia, vero?” chiese poi Lorenzo, con estrema noncuranza, quasi stesse parlando del tempo. Noah era così rilassato e preso dal momento che non si rese davvero conto di quello che la domanda implicava.
Si limitò a sussurrare un “Sì” svogliato, per trovarsi improvvisamente senza Lorenzo addosso.
Si alzò imprecando: “ Cazzo Lorenzo, torna qui! Non voglio cadaveri sulla coscienza io!” niente da fare, era già alla porta di casa e aveva indossato la giacca.
“Almeno cerca di non lasciare tracce per l’amor del cielo, non pretenderai che ti venga a trovare in prigione, spero?”
E mentre lo diceva già si stava mettendo la giacca a sua volta, pronto a seguirlo e aiutarlo, la mente tesa a ideare piani malefici e contorti.
Sicuramente non erano perfetti in assoluto, ma l’uno per l’altro sì, ed era la cosa migliore che si potesse sperare di trovare.