SUBMISSION
Avevo un ideale.
Tu lo sai cosa
significa vivere per portare avanti un idea? Sempre con quel pensiero
fisso nella mente, ogni volta che cammini, che mangi, che respiri,
ogni volta che fai l’amore con qualcuno, ogni volta che piangi o
che ti senti uno stronzo.
Ogni volta.
La mente
partorisce figli malati ed osceni che straziano il mondo e squartano
quello che ne resta; dolore e sofferenza, amore e morte, angeli e
demoni…
tutto questo
racchiuso in un mondo che è troppo piccolo per contenerlo,
troppo indifferente a quello che vi succede, mondo malato che
distrugge le sue creature e ride della loro rovina, esseri umani che
non riescono ad andare avanti e si aggrappano alla pallida ragnatela
delle loro finzioni e dei loro sogni e quando tutto va giù,
quando non c’è che il nero a cui aggrapparsi… per che cosa
vale la pena vivere?
Donne straziate
e uccise nel tragico silenzio che è già condanna e
morte, qualcuno decide che tu non sei degna di respirare e con un
battito di ciglia ti tolgono anche il diritto di chiedere pietà
mentre ti stanno ammazzando, perché tu sei solo questo ormai,
carne da macello.
E il mondo
guarda.
Il mondo guarda
e si chiede distrattamente se per caso può fare qualcosa,
chiusi nelle loro vite e nella frenetica ricerca della felicità
dedicano solo un pensiero ad ascoltare notizie date con falso dolore
e subito portate via dalla nuova fiamma di Tom Crouise, un pensiero e
poi tutto è già sbiadito, dimenticato, capisci?
La tua anima è
fatta a pezzi, il tuo corpo distrutto, urli il tuo dolore
silenziosamente in modo da non disturbare, preghi disperatamente che
qualcuno salvi quello che è rimasto di te e loro dimenticano,
a loro non interessa nulla del dolore e della sofferenza, tu muori in
qualche parte del mondo e loro si limitano a pensare distrattamente
che forse te la sei cercata.
E solo il nero
accoglie la tua supplica, solo il demonio che ride della tua
sofferenza e inneggia al sangue.
Alle volte
questo pensiero mi è insopportabile, non riesco a vivere tra
la gente normale col pensiero che loro sanno cosa succede, sanno come
sei trattata eppure non ti dedicano neppure una lacrima.
Una lacrima
capisci? Spesso basta soltanto quella e forse tu riusciresti ad
aggrapparti a qualcosa per non morire semplicemente in silenzio e chi
se ne frega, spesso basta un fiore, una carezza, un abbraccio.
Perché
allora non lo fanno?
Ho tanta di
quella rabbia dentro che potrei scoppiare e non me ne importerebbe;
non riesco a camminare per strada e parlare tranquillamente con la
stessa gente che ti ignora totalmente, non riesco a sorridere e fare
complimenti ipocriti, ho paura che tra un po’ non riuscirò
neppure ad uscire di casa.
E loro mi
propongono una scorta.
Ma te ne rendi
conto? Io voglio urlare al mondo la mia rabbia, voglio che mi
sentano, voglio sporcare le loro vite perfette, voglio salvarti, e
loro mi dicono che il mio ultimo film ha fatto scalpore, che gli
integralisti non lo accetteranno, che mi hanno già minacciato
di morte e che non scherzano e quindi è meglio proteggermi.
Ma cosa vuoi che
me ne importi?
Che cosa?
Santo cielo io
sto cercando di salvarti e loro invece di fare qualcosa per te si
preoccupano per me, perché invece la mia morte di scalpore ne
farebbe e questo peso graverebbe sulle loro coscienze, è
incredibile come la gente sappia essere incredibilmente ipocrita alle
volte.
Mi viene da
ridere, chi vuoi che si interessi a me? Io sono solo un povero
scrittore che cerca di fare qualcosa per te, sono solo un pagliaccio
che non arriverà mai a nulla e ne sono consapevole.
Non mi
uccideranno mai perché ho troppa poca importanza, non sono un
uomo politico, non sono un attore famoso, il mio nome è
conosciuto solo in relazione al genio del mio parente illustre, non
mi ascolteranno mai.
Ma io urlo lo
stesso.
Urlo perché
questa è l’unica cosa che posso fare ormai, urlo perché
se te non ti ascolteranno forse lo faranno con me.
Questa è
la mia idea.
È per
questo che io mi sveglio ogni mattina e cammino, respiro, mangio e
faccio l’amore, solo per questo pensiero che ormai non riesco a
scacciare dalla mia mente, si è insinuato come un punteruolo e
qualunque cosa io faccia non riuscirò a dimenticare.
Perché è
giusto così, perché almeno qualcuno deve raccogliere il
tuo grido silenzioso e custodirlo per sempre nel cuore e adesso io
uscirò e porterò questo peso nel mondo, forse non
riuscirò a salvarti ma se almeno qualcuno mi ascolterà
vorrà dire che la speranza non è morta.
Questo penso
mentre pedalo sulla mia bicicletta osservando distrattamente le
vetrine di Amsterdam, lo penso sempre, in maniera quasi ossessiva, e
ormai quando prendo la bici per fare un giro è diventato un
rito perdermi nei miei pensieri e parlarti, come se tu potessi
rispondermi, come se tu avessi voce e non fossi invece soltanto
sottomessa, ti parlo perché tu rappresenti tutte le donne
schiave e straziate del tuo mondo.
Che mi uccidano
pure.
Ti chiedo solo
di non arrenderti mai.
Ed è con
questa frase quasi d’addio nella mente che sento un bruciore
improvviso alla schiena, mi manca il fiato e perdo il ritmo, fermo la
bici barcollando e riesco solo a pensare confusamente che non è
possibile.
Non l’ho mai
creduto veramente, non ho mai pensato che potessero sul serio farmi
del male, anche se mi ero preparato a questo, o almeno così
credevo.
Ma ora che cado
sul marciapiede capisco perfettamente quello che provi, non si è
mai preparati vero?
Non ci si abitua
mai all’orrore ed in fondo questo è un bene.
Sorrido amaro
mentre cerco di mettere a fuoco la strada, perfino in questo momento
non riesco a pensare ad altro che a te, la mia maledizione. Le
persone si fermano a guardarmi incredule, è accaduto tutto
così in fretta che non si sono nemmeno rese conto di quello
che sta succedendo, sento il sangue fluire e le forze abbandonarmi ma
cerco di tenere gli occhi aperti, se cedo adesso è la fine,
non avranno il coraggio di finirmi qui, con tutti questi testimoni,
in una delle vie più trafficate di Amsterdam, non avranno il
coraggio di uccidermi proprio in Olanda, terra libera; questo mi
ripeto per farmi forza e cercare di rialzarmi, ma poi vedo un uomo
arrivare, o meglio lo intuisco perché i pensieri si stanno
confondendo e non capisco bene cosa è realtà e cosa
solo finzione, forse tutto questo è stato messo in scena da un
burattinaio sadico che si diverte a sentirsi implorare pietà,
forse il marocchino che si sta avvicinando a me con una pistola in
mano non è reale ma solo frutto delle mie paure.
Forse ho più
paura di quello che credevo.
Un terrore che
mi paralizza e mi spinge a fare quello che non vorrei, alzare le mani
e urlare pietà.
Te ne rendi
conto? Avevo sempre pensato che quando sarei morto l’avrei fatto
senza dire una parola, senza dare alcuna soddisfazione ai miei
assassini, eppure solo nel momento della morte devo scoprire la
semplice verità che in fondo tutti siamo uguali, tutti abbiamo
paura delle stesse cose e ci rifugiamo negli stessi sogni, tutti
abbiamo bisogno di una mano amica quando soffriamo e tutti vorremmo
che la morte non arrivasse mai? E allora perché mi sta
uccidendo?
Perché
sento gli spari colpirmi ripetutamente e il pensiero sbiadire in un
turbine di sofferenza? Ormai non sento neppure più le urla dei
passanti che non riescono a fare nulla per salvarmi, non sento le
parole di disprezzo che l’uomo mi dice, non mi interessa niente, se
avessi ancora del fiato lo userei per pregarlo di risparmiarmi perché
la cosa a cui tengo di più è poter continuare a urlare
al mondo la mia idea e adesso non potrò più farlo.
Non potrò
più vederti in ogni volto, in ogni sguardo, in ogni chador, in
ogni frase sussurrata in arabo.
Non esisterò
più e la cosa mi terrorizza ancora di più del dolore
che ormai sta svanendo; nelle orecchie solo il suono della pistola
che improvvisamente si ferma.
Ed è in
questo momento, nel momento della morte, che sento la vita più
forte e chiara che mai, sento il cuore pompare disperato sempre più
lentamente e il sangue lasciare il mio corpo, posso sentire ogni
vena, ogni arteria, posso sentire il suono del mio respiro e posso
quasi percepire la mia anima che mi sussurra parole di conforto e di
vita eterna.
Non sono mai
stato tanto attaccato alla vita, alla sua musica come di violini che
si alzano vibranti e commoventi proprio nel momento di maggior
agonia, cerchi nell’acqua e aquile nel cielo, musica che mi spacca
i timpani e quando sta per arrivare il momento di maggior lirismo
sento una lama fredda sulla gola e tutto perde un senso.
Svanisce tutto
nel nero e non sento più né dolore né paura ma
solo il suono dei violini che è diventato dolce e insinuante,
un requiem che strappa l’anima e la rigira nel petto per tirarne
fuori tutta la poesia.
Io muoio ma tu
non dimenticare mai che non sei sola e che ti amerò per sempre
in qualunque luogo io finisca.
Io muoio ma tu
ricorda che tu sei eterna e importante e con uguale dignità a
qualunque altra creatura.
Io muoio ma tu
continua a lottare per farti sentire e far diventare quelle grida
silenziose urla di gioia.
Ma se io sto
morendo perché allora tu sei qui a sorridermi dolcemente e
tendermi la mano?
IL FOGLIO
“Non lo
fare, pietà”. Poi la scarica di colpi, infine la lama taglia
la gola del regista “come una pagnotta”
“L’autore
del delitto ha agito per convinzione islamica radicale”. L’Olanda
ha più paure
Da Rushdie a
Pim, a un foglio coi versetti infilzato sulla pancia
Amsterdam.
Ormai non ci sono più dubbi. Theo van Gogh, il regista,
giornalista e polemista olandese ammazzato martedì mattina, è
rimasto vittima di un assassinio rituale di matrice islamica, di un
omicidio multiculturale.[…]
Quando van Gogh,
già ferito e caduto dalla sua bicicletta, tenta di fuggire,
inciampa e cade a cavallo tra il marciapiede e la corsia per i
ciclisti. Si avvicina il suo assassino, un uomo smilzo, alto circa un
metro e settanta, vestito in un abito marocchino tradizionale. Il
regista alza le mani in un gesto disperato e urla: “Non lo fare!
Pietà!”. L’altro invece punta la pistola e spara otto,
nove colpi. Poi tira fuori dal suo abito una specie di spada con la
quale comincia a tagliare la gola della vittima agonizzante “come
una pagnotta”, secondo un testimone terrorizzato. E’ il rituale
dello sgozzamento, praticato dalla setta degli Assassini, dai
guerriglieri islamici algerini, dai terroristi in Iraq, e ora anche
dai loro seguaci in Europa. Dopo i primi tagli, lascia stare e tira
fuori un coltello più piccolo con il quale, pungendo, sulla
pancia di van Gogh fissa un foglio con scritto su qualcosa. Il
contenuto non è ancora reso pubblico, ma probabilmente si
tratta di versetti del Corano, come risposta alla “blasfemia” di
van Gogh, che aveva osato dipingere corpi nudi di donne con testi
presi dal libro sacro. Alla fine, l’omicida si mette in fuga con la
pistola in mano, ma, avendo perso tempo, sarà presto
catturato, anche se soltanto dopo uno scontro a fuoco con la polizia.
[…]
E così
sta finendo l’era dell’ideale multiculturale e dell’“integrazione
conservando la propria identità”, che dagli anni Settanta in
poi sono state alla base della politica olandese nei confronti delle
minoranze etniche, culturali o religiose. Di questa tendenza si rende
perfettamente interprete Hugo Borst, columnist del quotidiano
nazionale Algemeen Dagblad, commentando furiosamente un episodio
successo sul luogo del delitto: “Quanto siamo maledettamente
politically correct in questo paese è illustrato da una
testimone che ha assistito alla trasformazione di Theo da porco
infedele in bacheca coranica. A un giornalista che le chiedeva
l’identikit del boia, ha detto soltanto che portava un cappello e
occhiali, ma non ha voluto dire che aveva anche un vestito
tradizionale arabo. Non che avesse paura, no, questa sostenitrice
fanatica della società multietnica non voleva stigmatizzare,
nemmeno davanti al cadavere ancora tiepido di Theo…”.
4/11/2004