AVVERTIMENTI:
Slash, one-shot, paranoie di Gerard, fluff (sì è un avvertimento per
me:P)
NOTE:
Beh, questa fic parte da un fatto reale. Gerard, nel 2008 se non
sbaglio, è stato visto entrare e uscire da varie cliniche private, in
più sia suo fratello che Ray sono stati visti soggiornare a casa sua
per alcuni giorni, senza le loro metà. A questo punto mi sono chiesto…
cosa sarà mai successo di così grave? Ecco tutto il resto è inventato
:P.
Quello
che mi ha sorpreso è stata la figura di Lindsey che è emersa da questa
storia, è sempre stata una donna piuttosto controversa nella mia testa,
invece in questa fic è un personaggio molto particolare che ho
apprezzato tanto. Io sinceramente non avrei avuto la forza di fare
quello che fa lei. La fic ha una struttura particolare, ve ne accorgere
leggendo, a un certo punto c’è un pezzo molto strano, un tipo di
scrittura che non avevo mai sperimentato ma che mi piace molto e che
credo riutilizzerò più spesso! Bene. Detto questo buona lettura! (E
spero che i concorsi che mi richiedono di scrivere su una canzone
tragica siano finiti, voglio scrivere qualcosa di allegro su di loro
adesso >_<)
THE
FINAL CUT
Lenti
a occhio di pesce occhi bagnati di pianto
Riesco
a malapena a dar corpo a quel momento esatto
E
ben lontano dall'innalzarmi verso cieli azzurri e puri
Cado
a spirale nel buco sottoterra e mi nascondo
-Gee-
la voce di Lindsey risuonò forte e autoritaria nella stanza. Erano
appena entrati in casa, Lindesy aveva chiuso la porta dietro di sé con
delicatezza, quasi come se un rumore più forte del solito potesse far
esplodere il silenzio teso che si era mantenuto per tutto il viaggio in
macchina.
-Sono
stanco Linz- il tono di Gerard era così teso da far ammutolire Lindsey
all’istante. Era tanto tempo che non sentiva più quell’inclinazione
stanca nella voce, quel tono sconfitto.
Aveva
sperato di non risentirlo mai più.
-Gerard,
il medico ha detto…- cominciò cauta, guardando impotente le spalle di
Gerard scuotersi, il corpo tendersi e le mani contrarsi.
-Vado
a dormire- tagliò corto lui, i capelli neri scivolarono davanti agli
occhi mentre lui voltava appena la testa, per darle l’illusione di
parlare con lei, quando invece le stava mostrando ancora la schiena e
poteva scorgere solo il suo profilo, i suoi occhi verdi coperti dalla
frangia e la bocca tremante. Avrebbe voluto dirgli che qualunque cosa
fosse l’avrebbero affrontata assieme, che poteva uscirne, che il medico
aveva detto che non era maligno, che c’erano ottime probabilità che lui
si riprendesse alla perfezione dopo e che tornasse a cantare. Tuttavia
lo conosceva abbastanza da sapere che nessuno di quegli argomenti
avrebbe fatto presa su di lui in quel momento. L’irrazionalità aveva
preso il sopravvento divorando poco a poco il suo cervello, con una
velocità nettamente superiore a quella del tumore che gli mangiava la
gola. Doveva dargli tempo, lo sapeva. Doveva dargli tempo e lasciare
che la consapevolezza superasse il terrore, doveva lasciare che si
rintanasse nel suo dolore da solo. Solo dopo avrebbe potuto parlargli.
Sperava che a quel punto non fosse troppo tardi.
Il
rumore della porta di camera loro che si chiudeva la fece sospirare e
sorridere mestamente.
Almeno
non si era rintanato nel seminterrato.
Si
avviò verso la cucina, trattenendo l’istinto di accendere lo stereo a
tutto volume. L’avrebbe aiutata a rilassarsi e non pensare, la musica
lo faceva sempre, però questo avrebbe dato a Gerard l’esatta misura
della paura che anche lei, in fondo, aveva. Quindi si limitò a posare
le mani sul piano in marmo della cucina, lasciando andare il sospiro
che da tutta la mattina le si era strozzato in gola.
Non
erano più ragazzini impauriti, erano adulti ormai, avevano affrontato
assieme la depressione di Gerard dopo il tour della Black Parade,
avevano affrontato il vuoto di Gerard quando la band si era
allontanata, avevano affrontato il peso di decisioni prese troppo alla
leggera e tuttavia mai rimpiante. Avevano affrontato troppo per poter
dire di non sapere come reagire, come risollevarsi. Tuttavia questo era
diverso e lo sapeva bene. Questo minacciava di portare via tutto quello
che per Gerard contava, questo minacciava di distruggere suo marito in
un modo molto più profondo e minuzioso. Non era sicura che se le paure
più cupe di Gerard si fossero avverate, poi sarebbero riusciti ad
andare ancora avanti. Aveva il feroce sospetto che sarebbe finito tutto
lì.
Cosa
quel tutto potesse rappresentare Lindsey non se lo chiese.
Sperava
solo che Gerard a un certo punto uscisse da quella dannata camera e la
guardasse, la guardasse e basta, la guardasse davvero e le permettesse
di risollevarlo come aveva sempre fatto.
----
Non
accadde.
Quando
passarono due settimane e Gerard ancora non reagiva, Lindsey cominciò a
preoccuparsi seriamente. Non usciva dalla camera se non per mangiare e
per andare in bagno, la notte si voltava dall’altra parte e si
rannicchiava su se stesso, in un chiaro messaggio. Lei aveva rispettato
la distanza di cui Gerard sembrava aver bisogno, l’aveva sempre fatto e
Gerard alla fine usciva sempre dal buio della sua testa e le parlava,
vomitandole addosso tutto il suo fottuto terrore, ed era quello il
momento su cui lavorare, era l’attimo in cui suo marito tendeva la mano
e lei l’afferrava, tirandolo in piedi e combattendo assieme a lui. Ma
se lui non la guardava nemmeno lei non sapeva cosa fare. Non ci era mai
voluto così tanto tempo prima, non era mai rimasto in silenzio così a
lungo. Cristo, suo marito odiava il silenzio, soprattutto quello fra
due persone, soprattutto quello fra loro, non riusciva a capire cosa
fare, non riusciva a capire cosa stava succedendo nella sua testa e non
era mai successo. Era la cosa che la terrorizzava maggiormente. Gerard
la guardava con sguardo vacuo, gli occhi verdi acquosi e lucidi, gonfi
e rossi, e sapeva che piangeva, ma piangeva sempre da solo, mai davanti
a lei, mai con lei. Non sapeva se aveva parlato con Mikey e non avrebbe
davvero voluto essere lei a dargli la notizia in caso contrario, ma
Gerard mangiava a malapena, non dormiva, sapeva che non dormiva,
contava i suoi respiri durante la notte, ed erano sempre troppo rapidi
e contratti.
Quando
cominciò a non alzarsi nemmeno dal letto, Lindsey si arrabbiò.
Sapeva
che non avrebbe dovuto ma forse invece era la cosa giusta da fare,
forse era l’unica cosa da fare, arrivati a questo punto.
Entrò
nella camera spalancando la porta, il rumore strappò un lamento a
Gerard che tuttavia non alzò la testa dal cuscino.
-Gerard,
sono le due del pomeriggio. Penso che tu debba alzarti.-
Gerard
alzò appena la testa, guardandola di sfuggita prima di lasciarsi
scivolare nuovamente nel suo torpore.
-Cazzo
Gee, non stai morendo! Mettitelo bene in quella fottuta testa che ti
ritrovi!-
E
ancora non parlava. L’unica reazione era solamente un sottile tremito
del corpo. Avrebbe voluto correre da lui e abbracciarlo, ma per la
prima volta il terrore che lui l’avrebbe respinta la afferrò,
prepotente.
Non
le aveva detto una parola da quando erano tornati dall’ospedale.
-Non
sopporto vederti così okay? Piantala, devi piantarla perché sono
spaventata esattamente quanto te ma possiamo affrontarla. Possiamo
farcela assieme, ma devi finirla di fare la testa di cazzo!-
Stava
urlando. Non era la prima volta che si arrabbiava con lui, Cristo aveva
perso il conto del numero di volte che aveva perso la pazienza, ma era
la prima volta che Gerard non reagiva alle sue lacrime. Si copriva la
testa con le mani mordendosi furiosamente le labbra, ma non urlava, non
piangeva, non le parlava. Dio non ce la faceva, non ce la stava
facendo, era una cosa più forte di lei. Si lasciò andare contro il
muro, nascondendo la testa contro le ginocchia. Era suo marito e
l’amava più di qualsiasi altra cosa, ma a quanto pare non era
sufficiente.
------
-Non
so cosa fare Linz.-
La
voce cupa e tirata di Mikey si abbatté su di lei. Poteva quasi sentire
il peso di quelle parole schiantarsi sulle sue spalle e toglierle via
il respiro. Mikey era la sua ultima speranza, Mikey riusciva sempre
dove lei falliva.
-Ti
ha parlato?- chiese lei, divorando quasi le parole dall’ansia. Mikey
sospirò, facendole cenno di seguirla. Erano ancora davanti a camera
loro, Mikey era rimasto dentro per delle ore.
-No.-
rispose infine, sprofondando nel divano.
-Non
mi aveva detto niente Linz- riprese poi a parlare, dopo una breve
esitazione. Non c’era bisogno che continuasse.
-Ha
pianto?- chiese lei, una strana ansia le divorava la testa, aveva
quest’assurda convinzione che finché non si fosse lasciato andare con
qualcuno, finché non avesse mostrato il terrore che provava, questo non
l’avrebbe lasciato mai, uccidendolo molto prima che lo facesse il
cancro.
Mikey
scosse la testa, un’espressione desolata e persa in viso. Non sapeva
quanto fosse stato giusto chiedere aiuto proprio a lui. Prima almeno
era l’unica a preoccuparsi, adesso la vista di Mikey che si torturava
le mani e la guardava spaventato era solamente un peso in più da dover
portare.
-Mikey,
non morirà, il medico l’ha escluso categoricamente- disse in fretta,
prima che l’espressione del ragazzo si spezzasse ulteriormente.
-Lo
so- sussurrò lui, stringendosi le mani in grembo -Ma a lui questo non
importa davvero. Non so se… se tu lo sai, tutto quello che ha passato.
Tutte le crisi che… Linz, lui odia la morte, ne ha una paura fottuta e
al tempo stesso ne è incredibilmente affascinato, la ama visceralmente.
È come un ossessione per lui ed è stato sull’orlo così tante volte… non
penso di essere in grado di affrontarlo ancora.-
La
quieta disperazione che poteva percepire nella voce di Mikey la fece
tremare ulteriormente. Lo sapeva. Sapeva del passato di Gerard, lui
gliene aveva parlato come del periodo più brutto della sua vita e la
voce che aveva avuto mentre glielo diceva l’aveva scoraggiata
dall’indagare più a fondo. Forse avrebbe dovuto.
-Ma
ne siete usciti. Sei riuscito ad aiutarlo Mikey, sei l’unico che…-
Si
interruppe quando vide Mikey scuotere la testa, desolato.
-Non
sono stato io Linz.-
Se
passate oltre il campo minato sulla strada
Se
scampate ai cani e ingannate il freddo occhio elettronico
E
se riuscite a evitare il fucile nell'entrata
Usate
la combinazione, aprite la cassaforte
Se
ci sarò vi dirò che c'è dietro il muro
C'è
un ragazzo che ha avuto una grande allucinazione
Facendo
all'amore con ragazze sulle riviste
Si
chiede se dormite con la vostra nuova fede
Qualcuno
può amarlo
O
è solo il sogno d'un pazzo?
Gerard
aveva ricreato la notte e gli piaceva. Tutte le tapparelle erano
abbassate, le luci spente, solo una candela era accesa, posata sul
comodino. La sua luce flebile accendeva riflessi dorati sulle pareti,
spostandosi a seconda di come il suo respiro la colpiva. Era ipnotico
guardarla, era la sua panacea. Guardava la fiammella e tutto
scompariva, il suo tumore, la possibilità di non tornare più a cantare,
di morire perfino, di fottere la band, di perdere i suoi amici, che
Lindsey lo lasciasse, che Lindsey non capisse.
Anche
se non era solo una possibilità quella.
Lindsey
non capiva. Non capiva tutto il casino che c’era nella sua testa, non
capiva il buio che minacciava di inghiottirlo intero, non capiva che la
candela era l’unica cosa che teneva il buio lontano. Ma non gliene
faceva una colpa, non avrebbe mai potuto capire, perché era lui che non
glielo permetteva. Aveva innalzato barriere fatte di campi minati pieni
di bombe pronte ad esplodere, c’erano cani feroci a proteggerlo e
fucili pronti a sparare a vista per nascondere la sua essenza più
preziosa. Non era più disposto a concedere niente a nessuno, nemmeno a
Lindsey, nemmeno se questo significava tenerla fuori dalla sua testa.
Non voleva che nessuno ci entrasse più, non voleva che nessuno spiasse
la sua oscurità e si lasciasse inghiottire dal suo mondo rivoltante.
Non voleva che nessuno più lo guardasse, non voleva essere responsabile
della discesa all’inferno di altre persone. Quelle che ci aveva fatto
finire in passato erano più che sufficienti. Sapeva che così facendo
giocava sporco, sapeva che Lindsey sarebbe sempre stata esclusa da una
parte di lui piuttosto importante, quasi essenziale, ma sapeva anche
che lui Lindsey l’amava davvero. Nonostante tutto quello che gli altri
pensavano, lui l’amava disperatamente e non voleva che lo lasciasse,
non voleva che guardasse la sua oscenità e si allontanasse per sempre,
era la cosa che lo terrorizzava di più al mondo. Nessuno aveva capito
quanto davvero tenesse a sua moglie, nessuno avrebbe dato un dollaro
sul loro matrimonio, celebrato da una pazza alcolizzata dopo appena due
mesi che stavano assieme. Solo Mikey aveva capito quanto profondamente
l’amasse, perché era suo fratello. Lui sapeva cosa c’era dentro la sua
testa, lui aveva pieno accesso a tutto, ma non bastava quello. Non
bastava e Mikey lo sapeva bene, per quello non lo aveva forzato a
parlare. Non bastava saper osservare l’oscurità, comprenderla e
abbracciarla. Serviva la candela, serviva la sua fottuta candela, solo
che quella non era abbastanza. Riusciva a malapena a salvarlo dal
baratro, non sarebbe riuscita a tirarlo fuori dalla sua testa. L’aveva
ignorata troppo a lungo, convincendosi che con sua moglie era felice,
che non serviva sconfiggere il buio, che poteva conviverci, che ce
l’avrebbe fatta. Che non serviva che nessuno sapesse delle lamette
premute sulla pelle, mai affondate davvero, però sempre lì, a
ricordargli che era in bilico su un filo di nylon, indistruttibile ma
sottile. Sarebbe potuto cadere da un momento all’altro.
Era
stato felice; quel periodo con Lindsey era stato il suo piccolo
paradiso, un paradiso formato da una persona che non sapeva quanto
orribile lui fosse, che credeva in lui, che lo amava appassionatamente
e sinceramente. Un paradiso che non voleva perdere assolutamente.
Eppure ecco che qualcosa era arrivato a chiedere il conto, ecco che la
sua parte oscura si risvegliava e minacciava di mandare a puttane tutto
quello per cui aveva lottato. Avrebbe dovuto saperlo che non sarebbe
mai potuto essere davvero felice. Arrivava sempre qualcosa a chiedere
il conto. Elena moriva, Eliza lo lasciava, Frank non voleva più saperne
di continuare a vivere in quel modo ambiguo. Arrivava sempre qualcosa e
stavolta era arrivato il cancro. Non era davvero sorpreso, prima o poi
sapeva che la vita doveva scoprire le carte, che erano fottutamente
migliori delle sue. Non voleva che Lindsey sapesse, ma se Lindsey non
sapeva non poteva aiutarlo e doveva tirarsene fuori da solo. Il
problema sussisteva quando si rendeva conto che lui non era per niente
bravo a tirarsene fuori da solo. Quindi si rannicchiava su se stesso e
guardava la fiamma. Bruciava ancora, bruciava sempre. Finché continuava
a bruciare lui sarebbe stato salvo.
------
La
casa era in fermento quel giorno, solo che Gerard era troppo stanco per
chiedersi cosa stava succedendo, anche solo per alzare la testa e
guardare. Non dormiva più da giorni, stava solo in silenzio con gli
occhi spalancati, occhi divorati dal nero. Sentiva Mikey parlare a voce
piuttosto alta con qualcun altro che gli rispondeva invece a voce
bassa, quindi non riusciva a capire chi fosse. Forse Ray. Erano stati
lì entrambi, avevano dormito nella camera degli ospiti e si erano
fermati per giorni interni, ma nessuno dei due era riuscito davvero a
scuoterlo. A volte, quando la realtà tornava a fargli visita, gli
dispiaceva. Vedeva le loro facce distrutte, vedeva le lacrime di
Lindsey, e avrebbe voluto asciugarle e dire a tutti loro che lui stava
bene, che sarebbe stato bene, che era passata. Ma questo non era un
graffio che il bacio della mamma poteva guarire.
Le
voci si calmarono e lui sospirò, contento. Amava il silenzio con cui
Lindsey ammantava la casa, sembrava tappezzare i pavimenti di velluto
perché i suoi passi non facessero rumore. Stava dimostrando una
delicatezza che non credeva davvero che lei possedesse.
Poi
la porta si aprì. Serrò gli occhi, perdendo il contatto con la candela.
Non avrebbe voluto ma era stato un riflesso incondizionato; nessuno
apriva la porta così violentemente, conosceva solo una persona che
l’avrebbe fatto.
Fu
quello a costringerlo a spalancare gli occhi e guardare verso la porta.
Dio
santo, Lindsey doveva essere disperata per aver chiamato proprio Frank.
Si
guardarono per un lungo istante, il respiro di entrambi era rapido e
leggero, quasi affannato, gli occhi spalancati come fossero cerbiatti
spaventati pronti a fuggire al primo movimento sbagliato.
Era
dal matrimonio che non si guardavano più in quel modo. Certo, c’erano
stati dialoghi chiarificatori, c’erano stati altri concerti, scherzi e
sigarette fumate assieme. Ma nessuno dei due amava illudersi che le
cose fossero come prima, che quello strappo non esistesse e che
potevano continuare come niente fosse. Gerard non l’aveva più toccato e
Frank non l’aveva mai cercato. Non si erano più guardati davvero a
fondo, come stavano facendo in questo momento. Era quasi doloroso.
Gerard
poteva vedere tutta la confusione di Frank, tutta la sofferenza nel
ritrovarselo davanti dopo mesi di silenzio, ritrovarselo davanti non
per una nuova canzone o per fare casino come sempre, no, ritrovarselo
davanti per tentare di salvarlo.
Gerard
allungò una mano, lentamente. Non voleva spaventare Frank, ma
soprattutto non voleva spaventare se stesso.
Non
sapeva perché lo stava facendo, sapeva solo che in questo modo gli
stava accordando molta più fiducia di quanta ne avesse accordata
perfino a suo fratello. Gli stava concedendo le chiavi della cassaforte
nella sua testa, del suo cuore e della sua fottuta sanità mentale.
Sperava solamente che Frank fosse abbastanza agile da scavalcare il
muro e che quando ce l’avrebbe fatta, lui ci sarebbe stato ancora.
Non
sapeva perché lo stava facendo, ma sapeva che di qualcuno doveva
fidarsi per non impazzire. Frank sembrava l’unico che non lo guardava
come se si stesse chiedendo che diavolo fare con lui. Lo guardava e
basta, abbracciando tutta la sua figura e sentendosi sperso e desolato
quanto lui.
Fu
per questo che spense la candela.
Sperava
che Frank fosse sufficiente.
---------------
Frank
aveva uno strano modo di affrontare la cosa. Gerard lo conosceva da una
vita intera, eppure niente lo aveva preparato a quello. Pensava che
avrebbe cominciato a urlare, litigando con lui, pensava lo avrebbe
preso a calci in culo, pensava tante cose che non si erano verificate.
Frank
passava le sue giornate nel letto assieme a Gerard, steso accanto a
lui, il respiro pesante e il corpo rilassato. Non diceva nulla, non
faceva nulla, si limitava a fissare il muro nella stessa direzione in
cui lo fissava Gerard. Si alzava per andare in bagno quando lo faceva
Gerard e mangiava quando Lindsey gli portava un vassoio con il pranzo o
la cena. Nessuno dei due parlava, si guardavano a malapena. Aveva visto
Lindsey spalancare gli occhi alla vista della candela spenta. Sapeva
perché. Quando lei ci aveva provato Gerard si era limitato a
riaccenderla, fissandola rabbioso.
Passava
perfino la notte con lui. Il primo giorno aveva lasciato il letto a
Lindsey, salutandolo con una carezza leggera nei capelli, ma quando
Gerard aveva allungato una mano afferrandogli il braccio, allora sua
moglie l’aveva guardato, desolata, e se n’era andata dalla camera.
La
presenza di Frank sostanzialmente non cambiava nulla nella casa,
sembrava quasi che non ci fosse. Faceva la differenza nella testa di
Gerard però. Era come la candela, ma molto più forte. Lo fissava,
fissava le sue labbra sottili e ben disegnate, fissava i suoi occhi
nocciola, fissava i suoi tatuaggi, e qualcosa scattava nella sua testa.
Qualcosa si accedeva, il baratro era più lontano. Non sapeva perché la
sua sola presenza avesse questo potere ma tremava all’idea del momento
in cui Frank avesse deciso di parlare. Avrebbe fatto fottutamente male,
anche se Gerard sapeva che era la sua unica speranza.
Non
sapeva che un essere umano potesse avere tanta pazienza e tanta
costanza. Sapeva che doveva averla avuta in passato, sapeva che era
stato gran parte merito suo se era uscito dall’alcolismo, ma allora non
era stato così lucido da capire quanto Frank si fosse spinto oltre con
lui.
Nessun’essere
umano avrebbe potuto sopportare questo silenzio, questa pazzia, nessuno
sano di mente avrebbe potuto stargli accanto in questo modo. Eppure lui
era sempre lì. Qualcosa doveva significare.
La
sua mente si incartava in pensieri strani quando cercava di capire il
perché. Alle volte pensava che fosse amore, doveva esserlo, nient’altro
avrebbe dato a Frank la forza di stare lì a guardarlo distruggersi
senza poter fare niente. Altre volte invece si mordeva le labbra fino a
farle sanguinare perché era impossibile. Aveva perso Frank nel momento
in cui aveva detto sì a Lindsey, e non se n’era mai davvero pentito.
Non si era mai pentito nemmeno di un istante della sua vita con
Lindsey. Tuttavia.
Tuttavia
si chiedeva come sarebbe stato avere anche Frank, si chiedeva che vita
avrebbero avuto, se Frank avrebbe mai lasciato Jamia per lui, si
torturava con pensieri inutili. Non avrebbe mai scoperto quanto Frank
tenesse a lui, per il semplice fatto che lui non era disposto a
lasciare Lindsey, l’amava e non l’avrebbe mai abbandonata. Sarebbe
stato un’inutile strazio costringere Frank a venire allo scoperto per
poi negarsi ancora.
Eppure
quanto lo voleva.
La
pelle bruciava dalla voglia di abbracciarlo, di avere un contatto che
non si era mai concesso nemmeno quando Frank si avvicinava a lui la
notte. Sapeva di amare Lindsey disperatamente, ma sapeva di amare
altrettanto intensamente Frank.
Alle
volte invece si chiedeva solamente se qualcuno potesse davvero amarlo,
se qualcuno fosse in grado di vedere l’oscenità che dimorava in lui,
potesse guardarla dritto negli occhi e annusare il suo fetore, e amarlo
ugualmente. Qualcuno poteva o era solo il sogno di un pazzo?
-Gee-
una voce spezzo l’assoluto silenzio che ammantava la stanza da giorni
interi. Nemmeno Lindsey parlava più quando gli portava la cena.
Gerard
voltò la testa, così lentamente da aver paura che nel frattempo Frank
se ne fosse andato, come uno di quei sogni che fai al mattino e che poi
cerchi di afferrare una volta sveglio, quelli che rimangono nell’angolo
cieco del tuo occhio e che puoi continuare a guardare solo in questo
modo, quelli che quando volti la testa scompaiono.
Ma
Frank era ancora lì e lo stava fissando, aspettando che lui gli facesse
capire che ascoltava.
Gerard
annuì piano. Ascoltava.
-Gee,
ho paura-
Confessò
piano, quasi fosse un segreto orribile o qualcosa di prezioso da
proteggere.
La
reazione di Gerard fu istantanea quanto inaspettata. Si gettò su di
lui, abbracciandolo forte, le mani aggrappate alla sua maglietta e il
corpo totalmente premuto contro il suo.
Singhiozzava
e lo stringeva, senza dire una parola.
Sentì
le braccia di Frank stringerlo a sua volta e un sospiro di sollievo
uscire dalla sua bocca.
-Non
permetterò che ti accada niente Gee. Dio santo, non potrei mai
lasciarti andare, non potrei mai permettere che tu muoia o smetta di
cantare. Non ti lascerò mai Gerard. Cazzo non ti lascerò mai-
Mormorava
Frank disperatamente, affondando la testa nei capelli neri di Gerard, i
singhiozzi scuotevano anche il suo corpo e la voce era così spezzata da
risultare quasi incomprensibile.
Era
questo che alla fine l’avrebbe salvato, realizzò Gerard
improvvisamente. Non aveva mai capito perché si era fidato di Frank,
fino a quel momento. Frank non pretendeva di essere forte per lui,
Frank non lo riempiva di parole inutili, lui aveva paura e soffriva,
piangeva con lui e gli diceva che senza di lui sarebbe morto.
E
se ti mostro il mio lato oscuro
Mi
stringerai a te comunque stanotte?
E
se t'apro il mio cuore
E
ti mostro il mio lato debole
Che
farai?
Venderai
la storia a Rolling Stone?
Porterai
via i bambini
E
mi lascerai solo?
E
sorriderai per rassicurarmi
Mentre
telefoni sottovoce?
Mi
farai fare le valigie
O
mi porterai a casa?
Frank
sentì Lindsey spalancare la porta, spaventata dall’improvviso rumore
nella stanza. Alzò appena gli occhi da Gerard, ancora stretto a lui.
Non voleva allontanarlo, non voleva perdere il contatto con Gerard
ancora una volta.
Era
troppo fottutamente terrorizzato per permettersi ancora una volta di
lasciarlo andare, soprattutto perché quando l’aveva fatto la prima
volta l’aveva ritrovato a pezzi.
Sapeva
che non era colpa di Lindsey, sapeva che era stato Gerard a escluderla
per proteggerla, sapeva che lei non avrebbe potuto realmente fare
nulla, ma sapeva anche che quando aveva visto Gerard rannicchiato nel
letto, mentre fissava quella dannata candela, aveva sentito uno strappo
proprio al centro del suo petto. L’aveva lasciato felice, distrutto
dopo il tour ma felice, e lo ritrovava sull’orlo di un baratro che non
attraversava per pura forza di volontà, e nessuno che allontanasse quel
baratro per lui.
Sapeva
che non era colpa di Lindsey, ma non l’avrebbe mai realmente perdonata
per questo.
La
vide lanciare uno sguardo sorpreso al letto, a Gerard che ancora
piangeva tra le sue braccia, un pianto stanco e sfinito non più forte e
disperato come prima. Vide la gelosia balenargli negli occhi e poi la
tristezza e la sofferenza. Quello che lo convinse che in fondo Gerard
aveva scelto bene, scegliendo lei, fu la felicità che comparve poi nel
suo viso. Suo marito stava piangendo fra le braccia di un altro, non
l’aveva mai guardata, non aveva mai neppure considerato l’idea di farlo
con lei, eppure adesso piangeva fra le braccia di Frank. E questo la
rendeva felice perché se piangeva con qualcuno voleva dire che era
disposto a farsi salvare, indipendentemente di chi fosse quel qualcuno.
Questo gli dava l’esatta dimensione di quanto Lindsey amasse Gerard.
Richiuse
la porta delicatamente, lasciando Frank e Gerard nuovamente soli.
Quella
notte la passarono così, Gerard rannicchiato sopra Frank, Frank che lo
abbracciava, respirando piano per non spaventarlo, carezzandogli la
schiena dolcemente e sorridendo dei mugolii soddisfatti di Gerard.
Quella
notte finalmente dormirono entrambi.
------------
-Mi
ha chiamato Linz. Ha risposto Jam e le stava per venire un colpo quando
le ha detto che voleva parlare con me. So che loro si sentono spesso,
ma non è storia che tua moglie chieda di parlare con me. Quando mi ha
detto cosa stava succedendo le ho riso in faccia.
So
che è stata una strana reazione, ma sai che io sono il re delle
reazioni di merda. Sono quello che nel mezzo di un funerale ride
proprio nel momento in cui devono calare la bara. Jam dice che è una
reazione isterica, proprio come il pianto, ma io non ne sono convinto.
Forse sono solo pazzo e per questo riesco a capirti così bene. Dio
santo, forse siamo tutti e due in manicomio e questa è solo una fottuta
allucinazione, ti immagini? Oddio mi sono perso… dicevo?-
-Sproloquiavi
su tua moglie e la mia. Magari sono amanti e non ce l’hanno mai detto,
ti immagini?-
-Cazzo
Gee, il cancro ti ha mangiato i neuroni, non solo la gola sai. C’è
qualcosa di perversamente malato in questo.-
-Grazie
per la comprensione.-
-Quando
vuoi.-
-Continua
cazzone!-
-Sì,
dunque. Ecco, mi ha detto che dovevo venire qui immediatamente, che tu
stavi male, che non sapeva cosa fare e che Mikey ha detto che io ero
l’unico che potevo fare qualcosa. Tua moglie quando è nervosa è un
fottuto gendarme, Cristo! Mi ha spaventato!-
-Sì,
immagino la scena. Tu rannicchiato sotto la gonna di tua moglie a
tremare terrorizzato e pretendere che Jam ti salvasse da un telefono-
-Fottiti
Gee! E senza di me stronzo! Lo sai bene che tua moglie fa paura quando
vuole. E al telefono voleva. Probabilmente pensava che non avrei mai
preso quel fottuto aereo altrimenti. Ma sai che mi ha anche prenotato
il volo? C’è qualcosa di malato anche in questo, cazzo.-
-Perché?-
-Andiamo
Gee! Non è storia che una moglie chiami l’ex perché lei non è in grado
di capire il marito.-
-Tu
non sei l’ex.-
-Ah
no? L’ultima volta che ho guardato…-
-Non
ti ho mai davvero lasciato.-
-Fottiti
Way. Sul serio sta volta.-
-Dico
davvero. Non pretendo che tu…-
-Continua.-
-No,
hai ragione. Sono uno stronzo-
-Sì,
lo sei, ma se tu potessi alzare quel dannato gomito dal mio sterno…
ecco grazie. Sì comunque, sei uno stronzo. Ma nemmeno io ti ho mai
davvero lasciato, quindi ho capito quello che vuoi dire.-
-Perché
sei venuto Frank?-
-Pensavo
di averti appena risposto.-
-Non
era una vera risposta, era un modo di eludere la risposta.-
-Ti
preferivo quando ti deprimevi Gee.-
-Tutti
mi preferiscono quando mi deprimo. Ho il mio fascino sai.-
-Sì,
la principessina degli emo.-
-E
poi sono io lo stronzo?-
-Te
la sei cercata.-
-Dai
Frank. Ho bisogno di sentirtelo dire.-
-Sei
uno stronzo.-
-Non
quello. E non sospirare!-
-Non
mi ha mai attraversato il cervello l’idea di non venire Gee. Non
serviva nemmeno che Linz mi facesse il biglietto. Non ti avrei mai
lasciato in quelle condizioni.-
-Non
è la risposta che volevo-
-No,
ma avevi bisogno di sentirtelo dire.-
-Hai
ragione.-
-Lo
so. In ogni caso… beh Gee, cosa vuoi sentirti dire? Che ti amo? Che sei
l’unica persona della mia vita che amerò sempre? Non sarebbe vero. È
Jam la donna della mia vita. E non azzardarti a dirmi che se Jam è la
donna tu puoi essere l’uomo!-
-…-
-Anche
se è vero. Dio Gee, tu non hai idea… non sai quello che ho provato
vedendoti lì. E non dico quando sono arrivato qui, dico quando Linz mi
ha chiamato. Ti vedevo, mi vedevo la scena nella mente, ed era una cosa
spaventosa, ero così terrorizzato che Jam ha dovuto darmi del valium
per calmarmi. Mi sono reso conto che mi ero preso per il culo tutto
questo tempo, che non era vero che non ti amavo più, che eravamo solo
amici. Mi sono reso conto che non si può mai davvero smettere di amare
una persona, te, che il desiderio di raggiungerti era più forte di
quello di proteggere Jam, e stando così le cose non era giusto mentirmi
ancora. Non sono mai stato il tipo, lo sai, ti ho spinto io fra le
braccia di Linz, non pensare che non lo sappia. Io volevo che tu
ammettessi di amarmi e stessi solo con me, tu non eri pronto. Quindi
quando mi sono reso conto che non avevo mai smesso, a quel punto sono
venuto. Restare sarebbe stato nascondersi sotto la sabbia per avere un
piccolo mondo felice senza scossoni, una bolla perfetta di nulla.-
-Le
bolle perfette sono belle a volte.-
-Ma
sono false Gee. Lo sai che non accetterei mai una cosa del genere. Sono
questo, e amo Jam ma amo anche te. Spero che lei l’accetti, altrimenti…-
-Altrimenti
cosa? La lascerai?-
-Sì
Gee. Perché sei così sorpreso? Dovresti conoscermi. Non potrei mai
vivere dimenticandoti ancora Gerard. Sei la cosa più bella della mia
vita, assieme a Jam. Non posso semplicemente scordamene di nuovo.-
-Mi
chiedo come tu faccia.-
-A
far cosa?-
-CAZZO
FRANK! COME COSA? Guardami. GUARDAMI CAZZO! Non vedi? Sono orribile!
Come fai a stare lì davanti e dire di amarmi? Non mi vedi davvero! Non
sai! Se ti mostro il mio lato oscuro, mi stringerai comunque, stanotte?
Se mi mostro debole e stupido, tu che farai?-
-Penso
che tu abbia già avuto la tua risposta.-
-È
la seconda volta che mi rispondi in questo modo.-
-Perché
non meriti altre risposte Gerard.-
-Non
baciarmi! Non è una risposta questa.-
-Gee
piantala okay? Mi hai già mostrato il tuo lato oscuro, sono sceso
all’inferno con te, non c’è niente che io mi sia rifiutato di vedere.
Sono qui lo stesso. Questo dovrebbe dirti qualcosa.-
-Cosa,
che sei uno psicopatico? Che l’amore è più forte della dannata morte?-
-Non
è l’amore a essere più forte della morte, Gee. Siamo io e te ad
esserlo.-
-Finiscila-
-Non
piangere, dai-
-…-
-Dico
davvero Gee. Sai che poi lo faccio anche io e Linz ci farà internare
perché si convincerà che abbiamo avuto uno scambio di corpo con due
ragazzine quindicenni-
-Idiota.-
-Solo
tu riesci a piangere e ridere contemporaneamente.-
-Solo
tu riesci a tirarmi fuori ogni volta dalla mia testa. Pensavo davvero
che nessuno potesse capire Frank. Ero su quel dannato orlo e non sapevo
perché non mi buttavo dentro. Dio, l’ho visto tante di quelle volte in
vita mia! Ormai siamo amici io e lui. Ero convinto che tutti mi
avrebbero confermato che ero pazzo, che se l’avessi detto a Linz lei
avrebbe sussurrato che mi amava mentre sottovoce chiamava un taxi per
portarla via. Ero convinto che se l’avessi detto a te mi avresti
lasciato solo.-
-…-
-Mi
lascerai solo Frank? Mi farai fare le valige o mi porterai a casa?-
-Sei
a casa.-
-Sai
quello che intendo.-
-Perché
mi fai questo Gee?-
-Perché
anch’io non ho mai smesso di amarti Frank. Anch’io amo Linz più di me
stesso ma amo anche te. Amo lei perché è perfetta, perché mi ricorda
che anche io posso essere perfetto per lei, posso essere forte. Amo te
perché tu non mi trascini via dal burrone. Tu trascini via il burrone
da me. Tu mi guardi, vedi il mio io orribile, eppure mi ami lo stesso.
Ti amo perché se lei è perfetta tu sei pieno di difetti e di errori,
esattamente come me e con te posso essere io, brutto e imperfetto ma
bello lo stesso. Meritevole d’amore lo stesso.-
-Cazzo
Gee.-
-Ora
sei tu che stai piangendo però.-
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Non
uscirono subito dalla camera da letto. Frank non sapeva esattamente
cosa stessero facendo, dove stessero andando, ma sapeva che non c’era
nessun posto in cui non avrebbe seguito Gerard. Non lo avrebbe mai più
lasciato solo.
Gerard
era appoggiato sopra il suo petto, la testa affondata nell’incavo del
suo collo. Erano ore che stava in quella posizione, ma Frank non aveva
mai pensato davvero di muoversi. Il mondo avrebbe potuto sparire, lui
si sarebbe limitato a posare una mano sopra la testa di Gerard per
impedire che i frammenti lo ferissero.
Baciò
i capelli neri, ripetutamente, sfiorando piano la spalla nuda di Gerard.
-Dovremmo
vestirci sai. Non voglio sapere cosa farà Linz se ci trova così-
mormorò Frank suo malgrado. Avere di nuovo la pelle di Gerard che
scivolava sopra la sua, umida e liscia, era una sensazione che non
aveva mai smesso realmente di desiderare e aveva sempre disperatamente
cercato di non cancellare dalla memoria.
-Non
entrerà in camera finché non usciremo noi- rispose Gerard, la voce
impastata e roca. Frank aggrottò la fronte, poi arrossì violentemente.
Ma certo. Non erano stati esattamente silenziosi e se Linz non era
entrata immediatamente brandendo un mattarello o una cosa del genere,
poteva essere ragionevolmente certo che non l’avrebbe fatto adesso.
-Cosa
farai adesso?- chiese Frank dopo un po’, continuando ad accarezzare la
spalla nuda di Gerard.
L’aveva
detto con estrema leggerezza ma poteva sentire il silenzio arricciarsi
attorno a loro e si morse le labbra in attesa della risposta di Gerard.
-Penso
che chiamerò una delle cliniche che mi ha consigliato il medico-
rispose dopo un po’.
Frank
sorrise. Non importava davvero cosa sarebbe successo fra loro adesso,
non era lì per quello. Era lì per mettersi fra Gerard e il burrone, era
lì per tirarlo fuori dal buio, strattonandolo per i capelli se era
necessario. A quanto pareva Gerard aveva fatto un passo indietro, per
il momento.
-Vieni
con me?- chiese poi, la voce incerta.
Frank
immerse la mano nei suoi capelli neri, sentendo chiaramente il mugolio
soddisfatto di Gerard. Adorava quando lo coccolavano, lo sapeva bene.
-Certo.-
sussurrò. Se Gerard lo voleva lì lui sarebbe rimasto, e sia lui che
Lindsay sapevano che questo era l’unico modo per impedire che
sprofondasse di nuovo. Si sarebbe ucciso pur di non lasciarlo solo
proprio in quel momento. Perché non era affatto finita, non era quella
la parte peggiore. La parte peggiore sarebbe stata affrontare tutto
quello che sarebbe venuto adesso, e probabilmente loro in quel momento
non avevano fatto altro che complicare le cose.
-Quanto
puoi fermarti?- chiese poi Gerard, dopo un silenzio interrotto solo dai
loro respiri, sempre più lenti.
-Quanto
sarà necessario- rispose immediatamente, senza nemmeno pensare di poter
dare una risposta diversa. Non riusciva a immaginare un mondo dove
Gerard non cantava più, figurarsi uno in cui non esisteva.
-Ho
davvero paura Gee.- mormorò poi, affondando le mani sui fianchi,
tirandolo ancora più vicino a sé.
-Anche
io. Penso che sia quella che mi stava fottendo la mente prima. Non
riuscivo a capire, non riuscivo nemmeno a parlare, era orribile.-
Quando
lo sentì tremare leggermente contro di lui, Frank gli alzò il mento con
due dita, costringendolo a guardarlo negli occhi.
-Sono
qui adesso. Ed è qui anche Linz. Per te. Penso che sia una donna
fottutamente fantastica ad accettare una cosa del genere solo per te,
perché ti ama. Con noi vicino non puoi davvero riuscire a deprimerti
ancora.- mormorò dolcemente, chiedendosi cosa avesse fatto Gerard per
meritarsi tanta lealtà, tanto fottuto amore da tutte le persone che lo
circondavano. Quando spalancò gli occhi verdi, avvicinandosi a lui per
baciarlo lentamente, pensò di capirlo. Non era davvero necessario fare
qualcosa per meritarsi l’amore delle persone che ti stavano accanto.
Forse aveva solo a che fare con il suo modo di essere, con la passione
bruciante che metteva in ogni cosa, con la facilità con cui cadeva e
poi si graffiava la pelle fino a ridurla a brandelli per rialzarsi.
Questo pensiero era stranamente confortante.
Gerard
aveva ragione. Non bisognava essere perfetti per essere amati, l’amore
non era qualcosa che dovevi meritare.
-Dovremmo
andare giù da Linz- mormorò Gerard, baciandogli piano la mascella.
Frank sospirò. Non gli dispiaceva davvero condividerlo con Lindsey, non
se era quello di cui aveva bisogno Gerard.
-Dovresti
alzarti allora- rispose divertito, scuotendolo leggermente.
-Cinque
minuti- borbottò l’altro, tornando ad accoccolarsi su di lui.
Altri
cinque minuti per essere solo loro due, cinque minuti prima di
affrontare il mondo esterno.
-Non
morirai Gee.-
-Lo
penso anch’io.-
Pensavo
di dover mettere a nudo i miei nudi sentimenti
Pensavo
di dover strappare il sipario
Tenevo
il coltello con mani tremanti
Pronto
a farlo ma poi ha suonato il telefono
Non
ho mai avuto la forza di dare il colpo finale
E
ora stavano lì, di fronte al medico, tutti e tre assieme. Lindsey
stringeva la mano a Gerard e Frank si muoveva nervoso sulla sedia.
Non
parlavano molto fra di loro, ma sembrava esserci un muto accordo di non
belligeranza, forse anche una muta accettazione e un riluttante
rispetto. Gerard si mordeva le labbra nervoso. Se non scappava urlando
dalla stanza era solo per la loro silenziosa e incrollabile presenza.
C’era stato un momento in cui pensava seriamente che si sarebbe
spogliato da se stesso, strappando via la carne e mettendo a nudo tutto
quello che provava, vomitando addosso a Lindsey tutta la sua rabbia,
tutta la sua paura. C’era stato uno spaventoso e preciso momento in cui
era pronto a strappare il sipario e mollare tutto, arrendendosi e
lasciandosi andare, premendo quel fottuto coltello nella carne, fino in
fondo questa volta. Non aveva mai avuto la forza di dare il colpo
finale, e ora, mentre le mani di Frank si poggiavano sulle sue spalle
costringendolo a smettere di tremare, ora sapeva anche il perché. Il
loro era un castello tremante e contorto forse, osceno e orrendo visto
dall’esterno. Ma era quello di cui lui aveva bisogno, era quello che lo
manteneva in piedi e non avrebbe permesso a nessuno di farlo crollare.
Loro due erano i suoi amori, nessuno doveva toccarli, nessuno doveva
fargli del male. Li avrebbe protetti con tutta la sua forza, anche da
se stesso, anche dal suo cancro.
Per
questo era sicuro che non sarebbe morto, dopotutto.