Forse
ancora poesia
\Athene
2006\
“I
momenti più terribili da passare sono le notti.
Quelle
sono eterne, le ore non passano mai.
La
solitudine è ancora più acuta e nonostante la
forzata vicinanza con altri tre uomini ,è come se fosse nel
deserto.
O
nei ghiacci sconfinati della Siberia.
Buio
assoluto, dentro e fuori di lui.
Le
cicatrici lasciate da chi lo ha tormentato nei primi giorni di vita
lì dentro non sono nulla in confronto a quelle che hanno
lasciato gli occhi dubbiosi di colui che era il suo migliore amico.
Alexander.
Anche
lui ha dubitato.
Anche
lui lo ha creduto colpevole.
Risente
nelle orecchie ancora la sua voce che, con una nota di disperazione,
gli chiedeva di difendersi.
Di
dire la verità.
E
al suo silenzio il ghiaccio è sceso dentro di lui.
E
nel suo sguardo.
Harish
ascolta la vita che ricomincia a nascere anche in questo inferno.
Un'altra
notte è passata.
Un
altro pezzo della sua anima è rimasto in quel giaciglio.
Chissà
che colore ha il cielo oggi?
Non
potrà più rivederlo, mai più.
Ed
è quando cerca di far passare il suo tempo riordinando un
angolo già perfettamente ordinato che lo mandano a chiamare.
C'è
una visita per lui.
Il
suo avvocato.
Sono
cinque anni che non lo vede, da quando è lì
dentro.
Una
strana sensazione lo invade, deformando per un attimo la
realtà.
Si
guarda attorno, aspettandosi di vedere il nulla al posto delle
familiari quattro mura.
Niente.
E'
ancora lì.
Non
è un sogno quello, nè un incubo.
E
quella sensazione aumenta davanti al suo avvocato.
Si
ingigantisce alle sue parole:
“
Il suo...amico (la piccola inflessione gli stringe il cuore per un
infinitesimo di secondo) ha confessato l'omicidio.
E'
libero.
E'
solo questione di ore...”
Non
sente più niente.
Tutto
cessa dentro di lui, il sangue rallenta la sua corsa, il respiro si fa
lieve, lieve...fino a fermarsi.
E
l'oscurità scende finalmente.
Misericordiosa
e clemente.”
\Harish\
\Patrasso
2008\
Quando
la porta del negozio si apre per far entrare l'ennesimo cliente sono
nei guai fino al collo.
Letteralmente.
Le
campanelline che indicano appunto la porta che si apre mi sorprendono
mentre uno scaffale, miracolosamnete vuoto, mi rovina addosso.
E
tutto per non farmi aiutare da mio fratello.
La
prossima settimana ha un esame importante e non voglio distrarlo con il
negozio.
Il
risultato è questo.
Potevo
almeno chiedere a Johannis un aiutino, accidenti.
No...sono
forte io...posso fare da solo...le imprecazioni devono essere giunte
anche al cliente che, con voce preoccupata, chiede se può
essere d'aiuto.
Mi
blocco con le mani che stanno cercando di sollevare lo scaffale, (che
minacciava questa fine già da qualche tempo, in effetti )...
questa voce...io la conosco.
Dopo
pochi secondi il viso sempre uguale di Alexander compare sulla porta
della stanza.
Alexander,
qui.
Non
è possibile.
Si
avvicina a me e con apparente facilità solleva il pesante
legno, facendomi respirare di nuovo.
Non
riesco a parlare, osservo il suo viso, quei lineamenti che dopo sette
anni sono sempre impressi dentro di me.
Come
se ci fossimo visti un minuto fa.
Mi
tende una mano e se ne sta lì, in silenzio, ad aspettare che
io la prenda.
Per
un attimo il ricordo del gelo dei suoi occhi, quando io mi sono
rifiutato di difendermi, torna a tormentarmi.
Ma
è cancellato dal calore che leggo adesso.
Dalla
gioia che anima il suo sguardo.
Che
avrei fatto io al suo posto?
Questa
domanda ha tormentato i miei pensieri per cinque lunghissimi anni.
E
adesso che l'ho qui davanti a me scopro che non mi interessa
più la risposta.
Non
è importante.
L'unica
cosa che conta è quella mano che si tende verso la mia.
E
che io afferro stringendola con forza.
Ci
troviamo in piedi, uno davanti all'altro, mentre con lo sguardo osservo
ogni suo più piccolo lineamento.
Allora
era un ragazzo, anche se soltanto all'anagrafe.
21
anni ed un fratello che non lo aiutava di certo ma anzi, gli dava
soltanto preoccupazioni e dolori... erano la ricetta migliore per
crescere velocemente.
Adesso,
a 28 anni, il suo sguardo è fermo, caldo, adulto.
Anche
allora lo era ma adesso c'è una serenità tale da
scaldare immediatamente chi ha la fortuna di poterci affondare dentro.
Come
sto facendo io adesso.
Mi
domando come lui possa vedermi, in che maniera il suo sguardo mi stia
osservando.
Che
cosa sta pensando di me?
Ma
tutto si annulla davanti alla sua voce, davanti a quelle parole che
lavano via, come per incanto, sette anni di solitudine tremenda:
<<
Perdonami >>
...
tutto qua.
Soltanto
quella piccola parola che cerca un perdono che io ho già
dato.
Così
metto il cartello con su scritto “ torno subito”
sulla porta del negozio e ci sediamo nelle due sedie sgangherate che ci
sono sul retro.
Mi
aiuta prima a rimettere a posto lo scaffale e, mentre lavoriamo vicini,
i corpi che si sfiorano, il nostro calore che ci avvolge, sembra che il
tempo non sia passato affatto.
Che
si sia fermato là, ad Olimpia.
Nella
piccola città che ci ha visti nascere e crescere.
Dove
ci siamo allenati perchè volevamo andare alle olimpiadi come
velocisti.
I
100 e i 200 metri erano la nostra specialità.
Adoravo
il vento in faccia, la polvere rossa che ti restava ovunqe, il sudore
che ti faceva sentire vivo.
Credevo
che dovesse durare per sempre.
Così
come adesso.
Come
questo attimo che sembra eterno, perfetto.
Beviamo
due Ouzo mentre le parole scorrono piano, lente.
Non
c'è nessuna premura.
Abbiamo
tutta la giornata a disposizione.
Tutta
quanta.
\Alexander\
Osservo
l'insegna del negozio con curiosità, guardando ancora una
volta l'indirizzo che mio zio mi ha procurato.
E'
qui, non ci sono dubbi.
Nella
parte antica di Patrasso, lontano dal porto.
“
Forse ancora poesia “ , questo è il nome del
negozio.
Suggestivo,
davvero suggestivo.
Così
come il negozio.
Appena
apro la porta sono accolto dal suono di molte campanelle che
tintinnano, argentine.
Mi
piace quest'atmosfera d'altri tempi che...un frastuono terribile
intorrompe i miei pensieri!
Qualcuno
si è fatto parecchio male dietro quella porta
socchiusa...quella del retro evidentemente.
Sento
delle imprecazioni ,molto trattenute del resto, (nulla a che vedere con
quelle di Niki o di Angelo) e capisco che, chiunque sia di
là, forse ha bisogno di una mano.
Ed
è per questo che vado al di là del banco e mi
affaccio sul retro.
In
effetti c'è qualcuno di là.
Haralabos.
Harish.
Ma
l'emozione del ritrovo viene, per il momento, messa in disparte dalla
strana posizione che Harish ha...assunto.
E'...è
steso a terra, con un pesante scaffale sopra.
E
sta tentando di alzarlo con molta fatica, visto che deve aver preso
anche una bella botta:
<<
Posso essere d'aiuto?>>
Non
mi ha ancora visto, non sa che sono io quello che è entrato.
E
fino a che non parlo non se ne rende conto...ma appena la mia voce lo
raggiunge si blocca lì, dov'è, con le mani che
tentano di alzare quel peso che lo tiene bloccato a terra.
Mi
guarda, smarrito, per un istante .
I
suoi occhi mi osservano, attoniti.
Fino
a che la mia mano, come armata di vita propria, lascia il mio fianco e
si ferma davanti a lui.
In
una muta offerta d'aiuto.
Che
farà?
L'accetterà?
L'Harish
che io conoscevo l'avrebbe afferrata immediatamente...ma quell' Harish
è stato deluso da colui che si professava suo migliore amico.
E'
stato lasciato solo, nel dubbio di una colpevolezza in cui non credevo
pienamente .
Solo
il cielo sa quello che ha dovuto passare là dentro, tacendo
per una forma di onore molto antica e molto radicata in lui, la
verità.
Quella
verità che l'avrebbe scagionato definitivamente.
E
mentre la mia mano comincia a pesare sotto lo sguardo delle mie
colpe egli allunga la sua e me la stringe con forza.
Gli
alzo così lo scaffale (che pesa in effetti...) e in breve
siamo uno di fronte all'altro.
Il
tempo ha scavato rughe in lui che prima non c'erano eppure...eppure il
suo sguardo è sempre fermo e caldo.
Adulto.
Le
sofferenze patite non sembrano averlo indurito ma soltanto maturato.
In
una maniera che ti arriva diritta al cuore.
<<Perdonami>>.
Tutto
è racchiuso in questa parola.
Non
lo credevo colpevole ma non riuscivo a credere che non si difendesse.
Come
poteva permettere che infangassero così il suo nome e quello
di suo fratello?
Come
poteva permettere alla gente di accusarlo?
“Perdonami”.
Quante
volte avrei voluto dirlo.
I
suoi occhi si allargano impercettibilmente...e si fanno ancora
più scuri.
Mi
attira bravemente verso di sé e mi abbraccia.
Così,
semplicemente.
Dandomi
quel perdono che non mi ha mai negato.
Ero
soltanto io a farlo.
Ci
ritroviamo a mettere su lo scaffale caduto lavorando vicini come un
tempo.
Come
se gli anni passati fossero soltanto un sogno, o uno specchio di cose
mai avvenute.
O
ancora da accadere.
Poi
tira fuori una bottiglia di Ouzo e mentre iniziamo a parlare sento,
distintamente, che ogni cosa sta andando al posto giusto.
Tutto
quanto.
In
quella maniera così perfetta che soltanto nei miei sogni
più nascosti provavo.
Quei
sogni che tu soffochi appena sveglio, per impedirti di illuderti.
Per
non continuare a soffrire.
Chiedo
anche di Hari, suo fratello.
E'
all'università, torna stasera.
E
così glielo dico.
Gli
dico di Niki, di quello che ha fatto.
Di
come l'ho ritrovato.
E
del legame che c'è fra noi.
E
le sue parole sono quelle che, sapevo, lui avrebbe pronunciato.
<<Tutti
se n'erano accorti di quello che provavi.
Soltanto
lui ha dovuto sbatterci sopra.>>
E
mentre le ore passano tra confidenze e sorrisi gli dico il motivo che
mi ha spinto fin qui.
La
“scusa” ufficiale.
<<Fra
un mese esatto sarà il nostro compleanno. Vorrei avervi a
casa nostra, tutti e due.>>
<<
Dimmi una cosa, Alexander, che scusa avresti trovato senza il
compleanno?>>
Sorride
come solo lui sa fare e io alzo le spalle con noncuranza:
<<
Oh beh... avrei inventato sul momento...>>
Scuote
la testa, ridendo...quanto mi era mancata la sua risata.
Dio...quanto
mi era mancato lui.
\Hari\
E'
la prima volta che volo... e chiaramente è la prima volta
che vado in Italia.
Non
avrei creduto possibile un viaggio del genere, e non avrei creduto
possibile che Alexander potesse fare...quello che ha fatto.
Evidentemente
il ragazzino che ero lo vedeva come una persona tutta d'un pezzo, che
non mostrava pietà ne debolezze.
Con
mio fratello non ne aveva avute... ma questo Alex ha stupito anche me.
Sul
momento non ho voluto vederlo.
Mi
sono, semplicemente, rifiutato.
Non
so come poteva Harish perdonarlo, ma io mi rifiutavo categoricamente di
farlo.
Ma
sotto lo sguardo acuto di colui che mi ha aspettato per cinque
lunghissimi anni ho abbassato la testa, sconfitto nel mio orgoglio.
Anche
io ce l'avevo con lui, anche se per motivi diversi dagli altri.
Io
non ho mai dubitato della sua innocenza, ma ero offeso a morte
perchè non si difendeva.
Mi
stava facendo soffrire in maniera terribile.
Mi
aveva lasciato solo con mio zio, un parassista che mi teneva con
sé per mangiarsi tutti i soldi che la mamma ci aveva
lasciato.
Ricordandomi
sempre che ero fratello di un assassino e che stavo con lui per
carità.
Fratello
di un assassino.
Questo
mi dicevano tutti.
E
lui lasciava dire, senza difendersi e difendermi.
C'è
voluta tutta la pazienza e l'amore di colui che credevo mi avesse
abbandonato per lasciarmi andare di nuovo.
Per
credere ancora nel mondo.
Quando
ho visto Alex a casa nostra gli ho voltato le spalle e me ne sono
andato.
Semplicemente.
Come
sempre, Harish ha saputo prendermi per il verso giusto.
E
mi ha messo su questo aereo.
Ci
ha messo su questo aereo.
Alex
abita in Italia e ci ha invitato a casa sua.
In
un albergo in montagna.
Osservo
le nuvole al di là del vetro mentre il respiro si fa
più profondo...sto per addormentarmi.
Appoggio
la testa sulla spalla di mio fratello e mi lascio andare al sonno.
Andrà
tutto bene, in qualsiasi posto io sarò.
Perchè
Harish sarà con me.
Sempre.