FORSE ANCORA POESIA

2° Capitolo

\Javier\
Questo posto è semplicemente meraviglioso.
C'è una tale bellezza , nascosta agli occhi di chi cerca soltanto la lussuosa comodità dei grandi Hotel, che arriva diritta al cuore.
Il lavoro che ho dovuto fare per liberarmi e poter venire così qui almeno per una settimana valeva davvero, fino all'ultima goccia di sudore.
Metaforico chiaramente.
Ho bisogno di stare con loro.
Non mi è mai pesata la mia solitudine, ma ultimamente sentivo grande, in me, il desiderio di qualcosa di più .
Anche a Granada ho degli amici.
Sia del Fioretto che del museo.
Ho anche qualche amico d'infanzia.
Eppure questa parola, usata troppo spesso a caso, assume un significato diverso quando penso ad Alex, a Niki, a Mika.
Un significato molto più profondo.
La realtà è che non mi manca un luogo a cui tornare ma...una persona che mi accolga con la sua semplice presenza.
Che non debba vivere per me, ma che debba vivere con me.
Assieme a me.
Ed è la prima volta che penso ad una cosa del genere.
In fondo sono giovane, non ho nemmeno 30 anni... perché questa malinconia così grande?
Mika ha rispettato il mio silenzio e, per tutta la strada dall'aereoporto a qui, non ha aperto bocca, limitandosi a mettere su della musica a basso volume senza fiatare.
Ma adesso, quando scendiamo, mette una mano sul mio braccio e mi ferma prima che io apra la portiera della macchina.
<< Ti ha mai parlato di Harish, Alex?>>
Il cuore manca un battito.
Certo che me ne ha parlato.
Quando mi è rimasto accanto nei mesi terribile dall'incidente in poi.
<<Harish è qui?>> chiedo attonito...
Non risponde, fa un cenno affermativo con la testa e scende con un mezzo sorriso che la dice lunga sui suoi pensieri.
Che cosa sta mai archittetando questo Svedese pericoloso?
Credo che lo scoprirò molto presto.
Nei lunghi mesi della degenza, la storia di Harish mi ha tenuto compagnia, il dolore che c'era nella voce del mio amico mi stringeva il cuore.
Un dolore troppo grande per poter essere spiegato a parole.
Entriamo nell'albergo e Mika mi conduce direttamente al bar,
E', come sempre, pieno di amici e, per un attimo, mi fermo ad osservarli, un
po' distante.
Niki e Milos stanno tenendo banco, come al solito.
Fanno una confusione dell'accidente stuzzicando Angelo che però non gli sta dando corda, ingorandoli come si fa con i bambini troppo invadenti, per scoraggiarli.
Quello che in effetti loro sono.
Alexander sta parlando con un giovane uomo che, fisicamente, deve essere più o meno della sua età.
Ha dei capelli abbastanza chiari per essere un Greco, più castano che neri.
Non sono troppo lunghi e sembrano ordinati.
Anche i suoi vestiti lo sono.
Ordinati e semplici.
Lo sguardo non riesco a vederlo perchè sono troppo distante ,ma dalla confidenza con cui Alex gli sta parlando deve essere Harish.
Mi aspettavo di vedere Niki in mezzo a loro per mantenere le distanze, ma non è così e mi rilasso impercettibilmente... forse è cresciuto un po' dall'ultima volta che ci siamo visti.
<< Finalmente siete arrivati...non ho capito perchè sei voluto andare da solo a prenderlo...>>
La voce seccata di Angelo interrompe la mia...osservazione.
Volevo osservarli senza essere visto per sentire il desiderio di vederli che veniva colmato dalla loro presenza.
Istante appagante e perfetto.
<< Per potermi appartare con lui chiaramente...>> dice coraggioso Mika e chiaramente riceve una coltellata con lo sguardo, coltellata che non disdegna nemmeno me.
Ridendo Alex si avvicina a noi e mi abbraccia brevemente.
E' Greco e in questi gesti si vede subito.
Anche la mia gente è espansiva, ma io non ho preso questo lato del mio carattere, però con lui è normale lasciarsi andare.
E bellissimo.
<<Javier... non vedevo l'ora di rivederti...>> e questa frase di pragmatica nella bocca di chiunque detta da lui è profondamente sincera perchè egli lascia che lo sguardo parli al suo posto.
E che la sincerità illumini i suoi occhi.
Si fa da parte e mi presenta Harish.
Castani.
I suoi occhi sono castani con pagliuzze verdi attorno all'iride,
Mi tende una mano con un sorriso sincero, fermo.
Non è un giovane uomo, mi sbagliavo.
E' un uomo.
Fatto e finito.
Con un abisso dietro i suoi occhi.
Afferro la mano, è grande e piena di cicatrici.
Non sono calli, ma tagli cicatrizzati e per un attimo un'ombra oscura il mio sguardo.
Gli hanno fatto molto male.
In quella prigione ha sputato sangue.
Ma non è riuscita a spezzarlo.
Ad un certo punto tutti tacciono e l'attenzione generale viene rivolta alla porta d'entrata.
Mi volto anche io mentre sento l'aria che si fa più sottile.
Come...come se,all'improvviso, ci fosse più ossigeno.
E così che lo vedo.
Un Harish più giovane, altrettanto forte fisicamente.
Con i capelli più lunghi.
Ed uno sguardo che si pianta nei miei occhi immediatamente.
Spalanca un po' di più i suoi prima di essere invitato ad entrare dalla voce calda di Alex.
<<Hari, vieni, ti presento un mio amico.
Forse lo conoscerai...è stato un campione di fioretto e so che a te piace molto questo sport...>>
Avanza lentamente e mi ritrovo ad osservare qualcuno come mai in vita mia ho fatto.
Devo darmi una regolata, accidenti.
Non sono mica un ragazzino !
Adesso capisco lo sguardo che mi ha lanciato prima Mika.
Accidenti di uno Svedese, mi conosce così bene?
 
\Hari\
Bel posto però.
Ho fatto un giro abbastanza lungo, il lago è molto grande e credo che mi rilasserò davvero molto.
Una bella differenza dal mare dove ho passato gli ultimi anni della mia vita.
Vorrei esplorare anche l'altra parte, ma bisogna prendere la macchina, è abbastanza grande ed abbraccia tre comuni, così ci hanno detto Alex e Niki, quando sono venuti a prenderci.
Non avevo mai conosciuto Nikolas.
Senza dubbio è un uomo particolare, pericoloso.
Non so perchè, ma dietro la sua scanzonata allegria ho visto un'oscurità latente, che egli trattiene molto bene,certo.
Ed è unicamente la sua volontà che la tiene a bada.
La sua volontà che si chiama Alexander.
Suo fratello ha un'influenza incredibile su di lui.
Se un domani dovessero essere separati ( e la vita mi ha insegnato che non esistono cose impossibili ) credo che si farebbe sommergere da questa sua...parte così pericolosa.
E non mi piacerebbe essere nei dintorni quando questo accadrà.
Davanti all'albergo è parcheggiata una macchina che prima non c'era.
Blu, sembra nuova.
Forse l' amico che doveva arrivare è alla fine giunto a destinazione.
Se non sbaglio è spagnolo...ma non hanno detto altro di lui, nemmeno il nome.
Le porte sono aperte, i clienti normali a quest'ora stanno esplorando il luogo e nel bar ci sono soltanto gli amici dei gemelli.
Che strano chiamarli così.
Gemelli...indicano dei bambini.
Invece questi due non lo sono da tanto tempo.
Nulla in loro è “bambino”.
Proprio nulla.
Mi fermo con un piede sulla grande porta a vetri .
Mio fratello sta parlando ad un uomo.
Dev'essere l'amico Spagnolo che aspettavano.
Si volta lentamente e avverto uno strano formicolio che parte dalla nuca e si propaga, velocemente, nel resto del corpo.
Sembra addirittura che l'aria si faccia più... leggera.
Che accidenti sta succendo?
Alex mi chiama e io mi avvicino a loro.
E' alto, più di me.
Il corpo agile, per niente massiccio.
Classico Spagnolo, capelli scuri e carnagione ambrata.
<<Hari, vieni, ti presento un mio amico.
Forse lo conoscerai...è stato un campione di fioretto e so che a te piace molto questo sport...>>
Ecco dove l'ho visto.
Accidenti.
<< Dos Santos. Javier dos Santos...>> mormoro stupito.
Non mi sono perso una sua gara da quando ho la fortuna di ricordarmi... come ho potuto non riconoscerlo subito?
Beh... nei due anni che sono passati da quando ha lasciato il fioretto sono accadute diverse...cose e la mia vita è stata stravolta.
E anche lui è cambiato in effetti.
Però, nonostante l'incidente e il forzato stop non si è appesantito e non ha messo su nemmeno un etto.
Al pensiero dell'effeto che mi faceva mentre guardavo le sue gare un sospetto calore mi sale al viso.
Il mio sogno era quello di andare in Spagna per vederlo dal vivo...e adesso che è qui davanti a me non riesco a fare altro che guardarlo come uno scemo, senza dire una sola parola.
E' lui che fa alcuni passi in avanti e mi tende la mano con un sorriso.
Un sorriso che lo illumina.
Faccio altrettanto, ma non riesco a dire una sola parola, mi sento così idiota adesso.
Alex mi offre un bicchiere di vino bianco secco come aperitivo e la situazione si sblocca un po'.
Io lo rifiuto con una battuta e finalmente mi sblocco.
Non bevo nulla, dopo che un ragazzo che conoscevo è morto falciato da un ubriaco non ho più toccato un goccio di alcool, ma basta questo momento per alleggerire la mia tensione, così riesco a parlare con più tranquillità e riesco a notare anche che Javier mi guarda con attenzione.
Spero che non sia compassione la sua ,ma da quello che so di lui non è certo il tipo.
Attorno a me gli altri riprendono a parlare, suona il cellulare di qualcuno e sento le battutine di Nikolas quando sente il nome “Michel” che viene pronunciato.
Mika parla con Alex e mio fratello mentre Angelo ascolta senza intervenire, dando l'impressione di voler essere altrove.
Una parte di me nota tutto questo.
L'altra è completamente concentrata da Javier che fa la stessa cosa con me.
E' educazione la sua, visto che lo sto guardando, oppure è davvero interessato a me?
<< Hari, hai un mome molto simile a quello di tuo fratello, affascinante come nome>> prendo l'aperitivo analcolico che mi porgono e inizio a parlare con lui, la mente azzerata e la gola secca.
Accidenti, mi sembra di avere 12 anni e di essere alla mia prima cotta.
E mentre rispondo cercando almeno di non essere banale un fugace pensiero prende vita in me.
Un pensiero che si cristallizza...chiaro, preciso.
Questo è l'attimo che ho atteso da tutta la vita.
Questo.
Qui.
Adesso.
 
\Alexander\
30 Maggio.
Alzo il foglio del calendario mentre mi appresto ad uscire dall'ufficio per andare a fare colazione.
Alla fine siamo rimasti a parlare fino a tardi, anche Javier, Haris e Hari, nonostante la stanchezza per il viaggio, sono rimasti con noi a chiacchierare.
Come sempre le battute si sono sprecate e anche gli scherzi.
Mi siedo nel mio solito tavolo davanti alla grande finestra che dà sul lago e il cameriere si avvicina sorridendo, portandomi la colazione.
Il caffè nero, il pane fresco e la marmellata di lamponi.
Un sole splendido illumina le acque calme.
Anche oggi la giornata si prospetta splendida e calda.
Alle sei e mezza del mattino tutti dormono ancora, amici e clienti e io non riuscirei a rinunciare a tutto questo per nulla al mondo.
A questa pace, a questa tranquillità.
I miei pensieri si azzerano e io mi riconcilio con il mondo.
Così come ho fatto con Harish.
Ho dovuto azzerare i miei pensieri per rivederlo, per trovare la forza di oltrepassaare quella parte di me che avevo chiuso con molta cura, quella parte di me che tutt'ora non capisce e si sente ancora ferita.
Ed è mentre addento una fetta di pane con la marmellata che lo vedo.
Esce dall'ascensore e si ferma un attimo, per capire dove andare.
E mi fermo anch'io, non visto, per osservarlo.
Mi sale alle labbra la frase “ non è cambiato”, ma sarebbe una bugia.
All'apparenza non è cambiato davvero.
Forse ha meno muscoli, dubito che si sia allenato ancora là dov'era e quando è uscito ha dovuto fare tutt'altro che correre ma, nonostante questo, il suo fisico è perfetto.
Più allungato forse, ma è ancora un bel vedere.
I capelli sempre folti, tanti, pieni di riccioli che sono stati lasciati un po' più lunghi di come ricordavo.
Ma è quello che non si vede a renderlo affascinante.
Quella calma che sembra fare parte di se stesso.
E' come se nascesse dal suo profondo ed ha radici così solide che nessun terremoto ne maremoto potranno mai più scalfirla.
E, come richiamato dai miei pensieri, si volta e mi vede.
Ma forse dovrei dire “mi vede e si volta”.
Perchè si muove prima ancora che i suoi occhi riescano a guardarmi.
Alzo una mano in segno di invito e lui si avvicina a me.
Immediatamente arriva il ragazzo di prima e mi chiede se deve portare la stessa cosa.
Harish guarda il mio piatto e dice di sì.
Poi allunga una mano e stringe la mia che è posata sul tavolo.
Per un brevissimo attimo.
<< Non fartene un pensiero, Alexander, non più.>> immediatamente sento un calore avvolgermi e le lacrime che pungono gli occhi.
Devo esercitare un ferreo autocontrollo su me stesso per allontanarle.
Ha toccato una corda profonda in me, una corda che ancora mi tiene legato.
Ho dovuto scioglierla per poter andare da lui e varcare quella soglia.
Ma non l'ho tolta, non si è mossa.
E' sempre qui e soltanto lui può liberarmi.
Ed è quello che sta facendo.
Toglie la mano quando il cameriere arriva e beve il caffè.
<< Attento, questo non è il nostro caffè, è caffè Italiano espresso>> lui sorride e si porta la tazzina alle labbra senza neanche metterci lo zucchero.
<< Buono... ottima miscela, mi piace>> sorride leggermente ed io scuoto la testa.
E' cambiato, sì, in questi anni, è diventato un uomo.
<< Alexander, hai fatto quello che sentivi, non hai finto, non l'hai mai fatto.
Non incolparti di non essermi stato vicino.
Era qualcosa che dovevo portare da solo, in solitudine. E così ho fatto. >>
Porto alla bocca quello che resta del mio caffè.
E' freddo ormai e faccio una leggera smorfia, ma lo finisco tutto.
Poi sospiro piano, mentre quello che mi legava al fondo si sta, semplicemente, disintegrando.
E io posso sentire il rumore nonostante le parole.
Nonostante me.
<< Non ho mai capito perchè lo hai fatto.
Se davvero eri innocente perchè coprivi così il colpevole?
Perchè ti sacrificavi per qualcuno che non si voltava nemmeno indietro?
Così mi tradisce...pensavo.
Mi lascia solo...>>
Il suo sorriso è così malinconico che, per un momento penso, seriamente, di smettere di parlare.
Di fermarmi.
Che senso ha soffrire in due in questa maniera?
Ancora?
Ma qualcosa in me è più forte.
Ormai gli argini si sono rotti e la voce esce, le parole diventano le padrone della mia mente.
Parole che si legano tra di loro, che diventano frasi.
Che diventano quel passato che mi ha piegato così.
<< Non posso dire che adesso capisco.
Ma adesso so che tu sei questo.
Tu sei colui che si sacrifica e dice di sì, colui che non si piega al dolore.
Tu sei quello che ha una concezione dell'onore così profonda da risultare incomprensibile per molti.
E io ti voglio bene per quello che sei, in ogni tua sfumatura.
Grazie per avermi permesso di chiederti perdono, e per essere qui.>>
Si passa la mano sugli occhi e scuote la testa, con un mezzo sorriso.
<< Grazie a te per aver varcato il mio negozio anche se non capivi.
Mi sei mancato tanto, Alexander>>.
Il mio sorriso si vela di lacrime, ma riesco a non farle scendere, allungo una mano e lo aiuto ad asciugare le sue stringendo quelle dita calde per un attimo.
Il tempo di fargli sentire quello che provo.
La pendola della sala batte i sette rintocchi.
Ci alziamo insieme e ci dirigiamo verso l'uscita.
C'è un luogo che voglio fargli vedere e i primi clienti si alzeranno soltanto fra un'ora.
Un luogo che avevo scoperto con mio nonno e che era diventato il mio rifugio.
Ho sempre voluto farglielo vedere, sono felice di poterlo fare adesso.
 
\Harish\
Quando usciamo dall'albergo per andare al lago sto ancora lottando con le mie emozioni che hanno deciso di non restarsene dentro di me.
Da quando è venuto nel mio negozio un mese fa mi sono reso conto che gli argini si sono rotti e che le mie emozioni ormai non sono più solo mie ma anche, sopratutto, di chi le procura
Non riuscivo a dormire.
Stamattina mi sono svegliato alle sei e non riuscivo più a chiudere occhio.
Il cielo si stava schiarendo e l'alba stava lasciando il posto al sole, promettendo una giornata splendida.
Allora ho capito che, fino a che io e Alexander non ci fossimo chiariti, io non sarei riuscito a dormire serenamente.
Il suo sguardo, quando mi osservava, era comunque velato e una parte di sé lottava perchè non riusciva a perdonarsi.
Ed a perdonarmi.
Così sono sceso rendendomi conto che, in effetti, non avevo idea di dove fosse.
Fu mentre ponderavo seriamente l'idea di chiedere ad un cameriere (appena l'avessi incontrato chiaramente...) che ho sentito i suoi occhi su di me.
Li ho visti chiaramente, e mentre mi voltavo sapevo già che lui era là che mi stava fissando.
Alzò una mano per invitarmi al tavolo e io mi diressi là.
Ero intenzionato a togliere quella ruga che solcava la sua fronte, era ora di finirla.
E come prima cosa gli strinsi la mano, calda, confortante.
Andai da lui forte della mia serenità interiore.
Certo che solo essendo chiaro avrei potuto aiutarlo.
Invece furono le sue parole a spalancare in me le porte della mia coscienza.
Mi ringraziava per avergli fatto chiedere perdono.
Forse lui e la nostra ritrovata amicizia è la ricompensa del cielo per aver protetto Janish.
O forse, semplicemente, è arrivato il momento di aprire le mani e di ricevere, finalmente.
Arriviamo in un luogo appartato, dietro l'albergo, a 10 minuti di cammino.
C'è un piccolo pontile dove è legata una barca.
Proprio una piccola barca a remi, di quelle dove due persone ci stanno giuste giuste.
Si volta e mi guarda con un sorriso radioso che lo illumina completamente, come quello che ci scambiavamo da ragazzi appena uno di noi due registrava un tempo importante...
<< Questo è il mio posto “segreto”. Lo scoprimmo io e mio nonno quando venivo a passare le vacanze qui da lui.
Mi comprò questa piccola barca perchè diceva che, quando hai pensieri, nulla è come una bella remata per lasciarli liberi di andare.
Per aprirgli le porte della mente dove li imprigioniamo.
Come te la cavi a remare?>>
Hem... credo che siano più o meno 20 anni che non metto piede su una barca...per quel che riguarda i remi poi...
<< remare? E che cosa è?>>
Sorride con ironia, divertito: << è quell'attività che si fa con i remi...hai presente?>>
<< No...ma temo che adesso tu mi illuminerai, vero?>>
Piego le labbra all' insù mentre ci avviciniamo a quella minuscola imbarcazione...
<< Non dirmi che un Greco come te ha paura delle barche >>
Scuoto la testa in segno di diniego
<< No, io non ho paura delle barche, io ho paura di finire in acqua, è diversa la cosa...>>
Scoppia a ridere, divertito e gli uccelli si alzano in volo, spaventati.
<< Ecco perchè avevi scelto l'atletica leggera...così stavi lontano dall'acqua eh....>> continua a prendermi in giro con leggerezza, mentre scioglie il nodo che la teneva ferma al pontile e, con eleganza, ci va sopra.
Io guardo dubbioso quel pezzetto di legno che dovrebbe reggerci e metto un piede nel suo interno...con molta meno eleganza.
Mi tende una mano e mi aiuta a salire.
E mentre inizia a remare vedo il suo sorriso completamente felice, rilassato.
Qualsiasi pensiero che lui avesse da lasciar libero... adesso non c'è più.
Ne sono certo.
Così come non ci sono più i miei.
Avanziamo nelle acque tranquille del lago, mentre continua a prendermi ancora un po' in giro, ridendo dolcemente.
Nel tranquillo vento del mattino.