\\Fic per concorso Akane 3° classificato\\

L'ultima pagina del mio libro

Certe volte vorrei che la mia vita fosse un libro vergine, mai aperto da nessuno.
Ed avere ancora la possibilità di sfogliarlo.
Di leggerlo.
Di farlo mio.
Ascoltare la notte mi fa sempre questo effetto.
Sentire i mille rumori soffocati che ci sono qui dentro, la solitudine assoluta e la disperazione che prende forma, come un ragno gigantesco che è pronto a ghermire chiunque si fa trovare impreparato, scatena in me un istinto primordiale e assoluto.
Qualcosa che non riesco a controllare e a gestire.
Annullarmi completamente nell'oscurità e rinascere vergine, puro, immacolato.
Come un libro mai aperto da nessuno.
Implodere in me stesso, annullarmi e lasciare, di me, solo una minuscola particella che pulsa lo stesso.
E che cresce lentamente.
Di nuovo.
Tutto si riduce in questo, alla fine.
Avere un'altra possibilità.
Ho vissuto la mia vita senza voltatarmi indietro, mai.
Non ho mai messo in dubbio le mie azioni, i miei gesti.
I miei pensieri non esistevano, perchè quello che pensavo diventava subito azione.
Non avevo desideri perchè mi prendevo tutto quello che volevo.
Senza pormi domande, senza chiedermi se quello che stavo facendo era giusto o sbagliato.
In una minuscola parte di me stesso c'era qualcosa che si domandava : "perchè".
Perchè divoravo ogni cosa che mi passava accanto.
Perchè vivevo ogni giorno come se fosse l' ultimo.
Ogni alba, come se il sole non dovesse sorgere mai più.
Ma veniva immediatamente messa a tacere.
Nemmeno ignorata.
Oh no.
Proprio messa a tacere.
Come se avessi paura di avere una risposta.

\\Domani è il giorno.
Domani l'assassino di mio padre pagherà il debito che ha verso la società e verso di me.
Mi ha strappato l'unico uomo che mi abbia mai amato.
Lo ha ucciso senza nessuna pietà, con  una pallottola nel cuore.
Per cinquanta, miseri, dollari.
E' da quando è accaduto che aspetto questo momento.
L'unica cosa che mi ha tenuto in piedi, giorno dopo giorno, è stato, unicamente, questo pensiero.
Io l'ho visto bene, quel bastardo.
L'ho guardato in viso mentre ci minacciava per avere i soldi e la sua espressione neutra, quasi indifferente, mentre puntava la pistola su mio padre, non la dimenticherò mai.
La pendola della sala batte i quattro rintocchi.
Sono le quattro di mattina, fuori è ancora buio,  ho cinque ore prima di uscire di casa.
E io non riesco ad approfittarne per cercare di dormire almeno un po'.
Le ultime notti che ho passato in bianco, con lo sguardo al soffitto, nell'oscurità della stanza, risalgono a prima della sentenza di morte di quell'assassino.
Appena la sentenza fu emessa... ripresi a dormire.
Il mio desiderio di giustizia fu appagato e riuscii a trovare la pace, quella pace che il colpo di pistola mi aveva tolto.
Dalla finestra aperta mi giungono i rumori della notte.
E' estate e fa troppo caldo per dormire con la finestra chiusa ma non mi ha mai dato fastidio addormentarmi con i mille rumori che ci sono di notte.
Anzi... hanno cullato  le mie notti troppo solitarie.
Da quando sono rimasto solo non sono riuscito ad avere uno straccio di rapporto con nessuna donna.
Non sono mai riuscito a legarmi seriamente, ogni volta che uscivo per due volte di seguito con qualcuna tornavano gli incubi... e io lasciavo perdere, consapevole che la paura di soffrire di nuovo era più forte del desiderio di amare.
Della necessità di sentirmi amato.
Gli incubi... l'incubo!
Uno soltanto, sempre quello.
Quegli occhi che mi guardavano, gelidi.
Quello sgaurdo di ghiaccio che scivolava su di me, si fermava su mio padre.
E, con la massima calma, gli sparava.
Perchè lui non voleva dargli quel maledetto portafoglio.
Per salvare 50 miserabili dollari.
Non l'ho mai perdonato, a nessuno dei due.
Il perchè mi risparmiò non l'ho mai capito e avrei tanto voluto avere la possibilità di chiederglielo.
Avrei voluto fare tante cose, invece mi limitai a urlare e urlare, convinto di sentire lo sparo di nuovo e di trovarmi in un lago di sangue.
La pendola batte un rintocco.
Le quattro e mezza.
Fra poche ore morirà anche lui.
Fra poche ore avrò giustizia.
Perchè questo pensiero non riesce a darmi pace allora?
Mi alzo improvvisamente e vado nella camera di mio padre.
Accendo la luce guardandomi attorno.
Il suo letto vuoto, con la coperta che aveva comperato la mamma prima di morire.
Almeno le è stato risparmiato questo dolore immenso.
"Tutto quello che ci accade è per un motivo ben preciso, mai per caso".
Le sue parole risuonano nella mia mente ancora una volta.
-Ma allora, papà, perchè ti è accaduto questo?
Perchè ti sei fatto uccidere per pochi dollari?-
La mia domanda resta senza risposta mentre il tormento si fa sempre più grande.
Mi stendo sul suo letto e rimango li, il viso premuto sul cuscino e il vuoto nel cuore.
Un vuoto che ha il sapore della disperazione.
- Non andare domani... non farlo-.
So che è questo che mi sta dicendo, so che è questo che grida alla mia anima dal luogo dove egli è adesso.
Qualsiasi esso sia.
Ma so anche che non gli darò retta.
Questa è l'unica consapevolezza che ho.
Andrò domani a vedere la vita che cessa guardando negli occhi colui che gliel'ha tolta.
Ma... quanto è amara questa consapevolezza.
Dio mio...quanto è amara.\\

Avrei potuto scappare con quei soldi e non farmi beccare.
Lo avevo fatto tante volte.
Che cosa è cambiato allora?
Risento ancora nelle orecchie il grido di quel ragazzo, rivedo la sua disperazione.
Ma non era la prima volta che facevo una cosa del genere.
Ed ero convinto che non sarebbe stata neppure l'ultima.
Perchè sono rimasto li, con la pistola in mano, a guardare quel ragazzo che stringeva il corpo dell'uomo che avevo appena ucciso, chiamandolo per nome e gridando come un pazzo?
Non lo so...e nelle notti eterne passate qui dentro me lo sono chiesto tante volte.
E, ogni volta, la paura di andare a fondo mi ha fermato.
A fondo di me stesso.
A fondo della mia vita e di quella di mio padre.
Quell' uomo che non ho mai conosciuto e che mi ha sempre riservato una indifferenza glaciale.
Giace, nel fondo di me stesso, un ricordo che ho nascosto con una cura così precisa da risultare quasi... introvabile.
Quasi, appunto.
Specialmente per un ragazzo che non voleva trovarlo.
Lo studio di mio padre aveva la porta socchiusa, e da li venivano dei rumori soffocati.
Ero piccolo e andai a ficcare il naso dove non dovevo.
Quella stanza era off-limits per me e io lo avevo sempre rispettato.
Quella notte non ci riuscii.
E quello che vidi mi terrorizzò a tal punto da farmi fare la pipì addosso.
Mi ritrovai con il pigiama bagnato e le lacrime che mi rigavano il volto, mentre mio padre stava stringendo le mani sul collo di mia madre.
Accanto a loro una donna seminuda che rideva.
Non so come riuscii a tornare in camera senza urlare.
E non so nemmeno come riuscii ad addormentarmi.
Qualcuno,  forse, aveva avuto pità di me.
O forse, semplicemente, la mia mente fece calare un velo pietoso sul mio passato.
Mi svegliai, al mattino, per il trambusto provocato dalla polizia che mio padre aveva chiamato.
Venne a svegliarmi, sbrigativo.
Mamma stava male, mi disse.
E io andavo dalla zia.
Che mi richiuse in un istituto.
Istituto da dove scappai tre anni dopo.
Avevo cancellato tutto dalla mia mente.
Chiuso in una cassaforte che avevo sepolto con molta cura, negli abissi di me stesso.
Venne tutto a galla la prima sera che mi rinchiusero qui dentro.
La mattina sta arrivando, e, con essa, le ultime ore della mia vita.
Non ho paura di morire, l'unica mia paura è quella di andarmene senza scontare, effettivamente, quello che ho fatto.
Vedere quel ragazzo a terra, terrorrizzato, sconvolto per la morte del padre ha scardinato le mie difese e mi ha fatto capire che non è vero che il sangue richiama altro sangue.
Quella folle danza della morte doveva finire, prima di fare altre vittime.
Prima di trasformare altri ragazzi innocenti in criminali bastardi e spietati, come me.
Con la mia morte non dimenticheranno il dolore che ho inflitto.
Forse lo pensano ma...non è così.
Io so che la morte non fa cessare tutto quanto, ma lo amplifica mille e mille volte.
Sento i rumori di chi mi sta venendo a prendere.
Ecco.
E' arrivato il momento.
Ogni pensiero e considerazione adesso cessa, improvvisamente.
E mentre mi portano via mi rendo conto che il ragazzo sarà al di là del vetro a guardarmi.
Con la convinzione che, così facendo, il suo dolore cesserà.
Non sono sicuro che ci sia un Dio a guardarmi.
E non so nemmeno se lo desidero.
Ma se così fosse gli rivolgo il mio ultimo pensiero:" Aiutalo. Aiuta quel ragazzo a non diventare come me. Aiutalo a dimenticare."
Non spreco altri pensieri per chiedere un perdono che non voglio.

Il quattordici Luglio 1983  fu giustiziato Mark Capcom.
Aveva 32 anni e, nella sua vita, partecipò a 23 rapine e uccise 4 persone.
Tutte a sangue freddo.
Eppure, il suo ultimo pensiero in punto di morte non fu verso se stesso, ma verso qualcuno che, come lui, aveva subito un lutto terribile, una perdita incolmabile.
Fu un pensiero d'amore, e questo gli salvò l'anima più di mille richieste di perdono.
Ivan Bradshow, il figlio dell'uomo che aveva ucciso, non entrò a guardare la sua morte.
Rimase fuori, davanti a quella porta, insieme ai pacifisti che protestavano contro la pena di morte.
Questo gli permise di confondersi con loro e di sfuggire ai giornalisti che lo stavano cercando.
Ricomnciò da capo da quella mattina.
Dopo 4 anni si sposò ed ebbe tre bellissimi bambini.
Vivono tutt'ora felici e sereni,in California.
Forse...forse la preghiera di un condannato a morte è salita su, fino al cielo.
Portando quel frutto che, in vita, non era stato in grado di portare.

FINE