AVVERTIMENTI: E' una fic difficile da scrivere, l'unico avvertimento che mi sento di dare è che...non tutto quello che sembra è reale e non sempre la realtà è quella che conosciamo noi.
E' una AU, più alternativo di così non poteva essere questo universo ^^''
PS: cliccate sul titolo della fic e ascoltate la canzone che dà il nome alla fic...

\Prefazione\
Ci sono luoghi, sospesi nel tempo, dove la vita non scorre e ogni cosa sembra attendere, immobile, nell'infinito.
Li si rifugia la nostra anima assieme ai ricordi che l'hanno accompagnata in vita quando è troppo stanca per continuare a vivere ma non ancora così stanca da andarsene per sempre.
Ma per fare questo prima bisogna esorcizzare l'incubo che le impedisce di vivere.
O di morire.
Ed è qui che si trova Genzo una mattina.
Convinto di essersi addormentato come sempre, quando si risveglia si trova in mezzo a una nebbia così fitta da poterla tagliare con un coltello.
Quasi sospeso nel nulla.
E quando cerca di scoprire che ci fa li e, sopratutto, perché, che iniziano i problemi.
Quelli veri.
O finiscono.

L'ANNO IL POSTO L'ORA

finale

L'anno è il 2012, di questo sono sicuro.
Il posto un luogo dalle acque immobili, immerso nella nebbia.
L'ora...che senso ha in mezzo a questo nulla?
Potrebbe essere l'alba, mezzogiorno o pieno pomeriggio.
O sera per quel che ne so.
Sembra che l'incontro di ogni giorno con l'immensità debba finire qua, in questo nulla.
Non riesco a sentire il mio corpo, è come se mi avessero tagliato le gambe!
Le guardo immediatamente e un sospiro mi allarga il torace: ci sono ancora, tutte e due.
Mi tocco il tendine destro e lo sento duro sotto le dita, nessuna cicatrice, nessun taglio.
Questo pensiero strano mi fa corrugare la fronte... perché ho pensato al tendine d'Achille?
Sembra che la nebbia in cui sono avvolto abbia fermato ogni cosa, anche la mia mente e i miei ricordi.
Nonostante qualche certezza resista ancora, come l'anno.
Non so perché sono sicuro che siamo nel 2012 ma è così e potrei scommetterci sopra.
Non sapere che ci faccio qua è davvero fastidioso però.
E seccante.
Odio non avere risposte, specie se sono io stesso a non darmele.
Mi guardo ancora attorno, non ci sono remi in questa barca e nemmeno una vela, anche se sarebbe perfettamente inutile visto che non c'è un filo di vento.
Alzo di nuovo gli occhi al cielo, la nebbia è fitta e compatta e ho la sensazione di essere solo, completamente solo in questo luogo, qualsiasi esso sia.
Di una cosa sono sicuro però: non posso certo essere arrivato qui dal nulla.
Ieri sera sono andato a dormire come sempre, ricordo bene che ero solo perché Karl, ormai, non dorme più da me da quando io...
Karl non dorme più da me.
Il primo nome che attraversa la nebbia è il suo.
Karl.
Il mio compagno nella squadra e nella vita.
Perché non dorme più da me?
Una fitta improvvisa alla gamba destra mi toglie il respiro per un momento, la mia mano vola di nuovo sulla caviglia all'altezza del tendine e, sotto le dita, sento improvvisamente un taglio profondo lungo circa 15 centimetri.
Ecco perché prima mi è venuto in mente, non è stato un caso.
Il dolore si affievolisce un po' mentre una parte dei ricordi torna prepotente e con loro l'incubo che mi ha accompagnato in questi ultimi mesi.

\\ Un infortunio di gioco.
Uno stupido fottuto infortunio di gioco durante gli allenamenti.
Ero con Karl e stavamo facendo la nostra solita serie supplementare di esercizi dopo gli allenamenti con gli altri.
Di solito, dopo la prima serie di rigori tirata da lui in maniera impeccabile ( e parata da me in maniera altrettanto impeccabile) ci scambiavamo i ruoli ed era lui a parare i rigori che tiravo io, perché sosteneva sempre che soltanto se vestivi i panni di un' altro potevi capire perfettamente come agiva e pensava per poterlo così superare.
Io lo assecondavo divertendomi un mondo, in una sfida che non aveva ne vincitori ne vinti.
E fu quando terminò l'ultimo rigore mio ( che lui, stranamente, parò) che scattò verso di me con uno dei suoi dribbling ubriacanti, come se davanti avesse almeno 4 o 5 difensori pronti ad ostacolarlo e non me che però non volevo certo farmi cogliere di sorpresa.
Lo affrontai con spavalderia, determinato a fermarlo con ogni mezzo ed invece...invece fu lui a fermare me.
Anche se involontariamente.
Ricordo con perfezione che era una giornata splendida e gelida, come sempre d'Inverno.
Ero sudato e stanco ma non lo avrei ammesso nemmeno sotto tortura, tanto meno a lui chiaramente.\\

Come ho potuto dimenticare quel momento?
In questo istante sospeso nel nulla, qui, in mezzo alla nebbia la folla delle immagini, vertiginosamente e in un attimo, passano ed incidono nella mia mente, marchiandola a fuoco.
Ancora.
E ancora.
Suoni di vento e d'acqua si muovono accanto a me che mi ritrovo catapultato in un passato che non vorrei, in un tempo che è mio ma che vorrei rinnegare.
Dio come lo vorrei.

\\ Mi accasciai con la caviglia in fiamme e il viso stravolto dal dolore, un dolore che si propagava su lungo tutta la gamba, incendiandola.
Ma quello che mi preoccupò di più fu il viso di Karl chino su di me, non l'avevo mai visto con quell'espressione sconvolta, nemmeno quando si infortunò lui stesso.
“Allora è grave se mi guarda così”.
Fu l'unica cosa che riuscii a pensare mentre venivano i soccorsi chiamati dal mister che non si perdeva uno solo dei nostri allenamenti supplementari.
La corsa in ospedale, le lastre, la tac e la voce del medico che confermava i nostri timori furono un ulteriore supplizio che si aggiungeva al dolore.
“Rottura del tendine d'Achille”.
Con un'operazione avrei potuto recuperare l'uso della gamba ma per quel che riguardava il tornare a giocare era un' altro discorso.
Almeno un anno, se rispondevo bene all'operazione prima e alla fisioterapia poi.
Mi sentii annientato.
Da che io avevo memoria nella mia vita avevo sempre giocato a calcio, fin da quando ero bambino.
Il calcio era riuscito a farmi superare tutto quanto, ogni dolore, ogni dispiacere, ogni delusione, compresa l'indifferenza dei miei.
Come avrei fatto adesso senza poter giocare per un anno intero, se andava bene?
Come?
E la società mi avrebbe aspettato?
Certo, avevo un contratto di ferro che mi proteggeva ma la vita mi aveva insegnato che nulla è impossibile e chi ti è amico nell'abbondanza è pronto a scaricarti quando sei nella merda.
Sarebbe bastato un portiere in gamba al posto mio ( mai io ho avuto dubbi del genere...questo dimostra quanto ero fuori di me) per non fargli sentire la mia mancanza.
E più pensavo a queste cose più scivolavo giù, nel mare nero dentro me stesso.
Dove la luce non arrivava mai.\\

Una folata di vento improvvisa mi riporta al presente.
Mi guardo attorno, stranito.
Del vento qui, per la prima volta da quando mi sono svegliato in questo posto dimenticato da Dio.
Questa frase mi fa accapponare la pelle e mi riporta di nuovo indietro, là dove la mia vita stava cambiando.

\\Dimenticato da Dio.
E' così che mi sentii quando capii che la mia carriera aveva subito un brusco arresto.
Così come i miei sogni, i miei desideri.
E più precipitavo più mi chiudevo a tutti quelli che venivano a trovarmi, compresi Tsubasa e Taro.
Vennero dal Brasile e dalla Francia per me e io gli rivolsi, a stento, una frase ciascuno.
Forse.
E a Karl nemmeno quella.
Non riuscivo a dimenticare che era stato lui a fermarmi.
Non gli imputavo alcuna colpa, giocavo a calcio da troppo tempo per poter fare una cosa del genere.
Quanti infortuni avevo visto nella mia carriera?
Quante botte, volute e non, mi ero beccato dagli attaccanti?
E quante volte ero stato io a darle?
Sapevo che faceva parte del gioco e che, appena la partita finiva, tutto era dimenticato e messo via.
Ma io vedevo Karl ogni giorno, giocavamo nella stessa squadra.
Viveva con me.
E se non avevo nulla da perdonargli non riuscivo ugualmente a dimenticare.
Ogni mattina lo vedevo uscire di casa per allenarsi e io, invece, andavo in quel maledetto centro per il recupero della gamba desiderando, con tutto me stesso, andare con lui.
Non andavo allo stadio a vedere le partite, nemmeno quelle interne, perchè questo voleva dire andarci con le stampelle e non sarei riuscito a sopportarlo.
Mi rendevo conto, almeno con una parte di me, che il mio era un atteggiamento infantile e che la mia reazione era, a dir poco, esagerata ma questa era, appunto, solo una parte di me.
La più piccola.
L'altra si alimentava di rabbia e di disperazione.
Ma, sopratutto, di paura.
Una paura strisciante che si stava allargando dentro me prendendo il posto di ogni altro sentimento.
Ma questo non lo avrei ammesso con nessuno, tanto meno con me stesso, perchè farlo equivaleva a mettere in discussione tutto ciò in cui avevo creduto fino ad ora.
Quindi continuavo ad andare avanti imperterrito, consapevole di andare contromano a centocinquanta all'ora in piena autostrada ma impossibilitato a fare altrimenti.\\

Il vento attorno a me aumenta mentre la barca ondeggia leggermente nell'acqua, che comincia ad agitarsi.
La nebbia si fa meno fitta e lassù, alto nel cielo, la nera ombra di una rondine è un punto quasi fermo, goccia d'inchiostro inerme in un foglio bianco-sporco...o grigio chiaro.
Il paesaggio sta cambiando ma questo non porta nessun sollievo in me perchè la forza dei ricordi è come un uragano che sta per arrivare e tu sai, con una chiarezza assoluta e disarmante, che nulla poi sarà più come prima.
Ma non puoi fare niente per fermarlo.
Come si può fermare un uragano?
Se sono qua, sospeso in questo luogo dove il tempo sembra non esistere, è perchè devo ricordare...ricordare qualcosa che ho voluto dimenticare con tutte le mie forze, a costo di ritrovarmi...qui.

\\ Iniziai a non farmi trovare a casa quando tornava dagli allenamenti e a non guardare nemmeno in TV una sua (loro) partita, anche se non riuscivo a fare a meno di comperare i giornali sportivi l'indomani, per leggere che cosa dicevano della squadra, i loro progressi e...le parate del portiere di riserva.
Non riuscivo a gioirne, sentivo solo rabbia verso quella gamba ferma che faceva progressi piccolissimi mentre quell'altro si faceva un nome nella MIA squadra, tra i MIEI compagni.
Appena ne ebbi la possibilità ripresi a guidare.
Era un rischio, certo, ma almeno avevo la possibilità di uscire e sfogarmi un po' lasciando stare Karl, smettendo di tormentarlo con i miei silenzi e i miei scatti di rabbia.
Ormai contavo i giorni che mancavano al momento in cui mi avrebbe mandato a farmi fottere.
Certamente io, al posto suo, l'avrei già fatto da un pezzo visto che ero diventato insopportabile perfino a me stesso, ma questo non era ancora sufficiente, non riusciva a fermarmi.
Ci pensò Karl a farlo, quando tornai a casa alle sei di mattina con una buona dose di alcool in corpo e un ragazzo rimorchiato in un locale qualunque attaccato al braccio.
Fu grande quella sera, grande e spietato ma con me, ormai, funzionavano soltanto quei mezzi e quella sera se ne rese conto anche lui.
Dopo aver buttato fuori il ragazzo che era con me con una freddezza glaciale (io, al posto suo, lo avrei scaraventato giù dalla finestra...) aspettò che mi fossi seduto nel divano, poi mi diede le stampelle appoggiandole accanto a me, stando ben attento a non toccarmi.
Infine si sedette sul tavolino a pochi centimetri dal mio viso, cosa che non aveva mai fatto e da qui capii che quello che doveva dirmi era davvero importante.
Mi venne la pelle d'oca e sentii, chiaramente, il cuore che mancava un battito per poi riprendere furiosamente.
Solo lui sapeva ridurmi in quello stato.
Soltanto lui.
- Da adesso in poi tu ti muovi con quelle li, con tutte e due, così come ti ha detto lo specialista. La smetti di fare il coglione ( anche da questo insulto capii che era arrivato al suo limite estremo) e ti curi seriamente, facendo tutto quello che ti dicono.
Ogni cosa, anche quella che ritieni idiota ed inutile, tu non sei un medico, sei un calciatore quindi lascia che siano loro a curarti e smettila.
So che fino a che io resterò qui accanto a te tu non farai un solo passo in avanti, l'ho capito immediatamente ma speravo che tu ti facessi aiutare.
Ancora una volta, invece, mi hai dimostrato che non ho la chiave per arrivare a te.
Quindi me ne vado.
Non ti sto lasciando, non mollo... vado via affinché tu possa venir fuori dalla melma in cui ti stai cacciando e l'unico modo che ho per aiutarti, l'unico che con te possa funzionare è questo.
Tu sai che odio sprecare le parole e non credo di averne mai usate così tante con nessuno...-
Io non fiatavo nemmeno, ascoltavo tutto quello che mi stava dicendo con l'animo che urlava, impazzito, mentre una vena sulla tempia pulsava sempre più veloce:
- Non azzardarti a continuare così se no torno e ti ammazzo io. Sul comodino in camera c'è l'agenda con tutti gli appuntamenti del fisioterapista e delle varie visite di controllo, insieme alle pomate per la caviglia, non si sta cicatrizzando bene, non trascurarla.-
Alzò una mano e me la passò sul viso tirato, sentivo che i muscoli stavano per cedere e quel gesto così inusuale in lui mi diede il colpo di grazia:
-Abbi cura di te per favore .-
Si alzò e andò via così, senza prendere nulla.
Capii che aveva già fatto la valigia e portato via le cose sue quando andai in camera e la vidi spoglia di tutto.
Sul mio comodino c'erano le cose che aveva detto e sul suo la sua chiave.
Aveva detto che non mi stava lasciando ma mi aveva restituito la chiave.
Incominciai a gridare con tutto il fiato che avevo in gola, ancora e ancora mentre maledivo tutto ciò che mi veniva in mente.
Cielo, terra, persone, Dio.
Tutto quanto, ogni cosa.
Compreso me stesso.
Aveva ragione, aveva maledettamente ragione.
Con lui accanto io avrei continuato a distruggermi perchè in mè c'era qualcosa di sbagliato.
Forse i geni marci dei miei genitori o forse, semplicemente, il mio fottutissimo egoismo ma da qualsiasi cosa venisse... stava facendo il vuoto fuori e dentro di me.\\

L'aria ha terminato di spazzare il cielo che adesso è azzurro, limpido e pulito.
Ma non io, io non mi sento affatto così.
E' come se fosse venuta a mancare una parte di me stesso, quella più importante.
Le sue parole vorticano dentro di me sempre più veloci mentre la sua voce, chiara e precisa, crea echi nella mia mente.
E' vero, con lui accanto non sarei riuscito a venirne fuori.
Adesso toccava me, soltanto a me, perchè l'operazione era riuscita e anche se la cicatrice faceva fatica a chiudersi non c 'era nulla che ostacolava la mia riabilitazione completa.
Nulla se non me stesso.
Era come se una parte di me gioisse di quello che mi era accaduto e non volesse affatto venirne fuori, quella parte che non era cresciuta e che si aggrappava al calcio per sostituire la mancanza di una vera famiglia.
E Karl mi ricordava in ogni istante, con la sua sola presenza, che la vera forza non risiede nel tuo passato ma nel presente, in ciò che sei diventato.
In ciò che vivi.
E in come lo vivi.
Adesso ai miei ricordi manca ancora una cosa, una cosa soltanto: come sono arrivato fin qui.
Mentre cerco con lo sguardo la terra, che si intravede all'orizzonte, sento il rombo potente di una macchina lanciata a folle velocità.
La mia macchina.
E ricordo tutto, tutto quanto.
Mi metto le mani nei capelli mentre il corpo esplode nel dolore più terribile che abbia mai provato in tutta la mia vita.
Come ho potuto?
Come ho potuto fare una cosa del genere?

\\Cenere.
Mi sentivo come cenere spenta in un vecchio caminetto ormai in disuso da una vita.
La reazione che Karl voleva suscitare in me non arrivava e le ombre, ormai, mi avevano divorato con apparente facilità.
Non so nemmeno se mi resi pienamente conto di quello che stava accadendo in quella macchina, sei giorni dopo quella notte allucinante.
Volevo dimenticare.
Dimenticare lo sguardo di Karl, la delusione nei suoi occhi.
Le sue spalle che se ne andavano e la camera vuota.
Dimenticare l'incidente, lui che mi veniva incontro con la palla al piede, il dolore lancinante alla caviglia e il gonfiore immediato.
E quando la curva si mise davanti alla mia strada tirai dritto.
Restai con le braccia tese davanti a me e lo sguardo fisso nel buio, la mente piena di ricordi che volevo soltanto cancellare.
Dovevo immaginarlo che non ci si separa dai ricordi e che la vita ti presenta sempre il conto.\\

Ho le lacrime agli occhi...allora anche qui si può piangere?
Qui...dove sono qui?
E' chiaro che sono morto e che...
- Genzo..-
la sua voce ferma immediatamente i miei pensieri.
Karl qui... ma dove... mi guardo attorno e lo vedo li, davanti a me, sulla barca.
Lo fisso, attonito.
Dove prima non c'era nulla adesso c'è lui ed è vero e reale come la barca, l'acqua del lago
e il cielo attorno e sopra di noi:
- Karl... che ci fai tu qui? Non dirmi che anche tu sei...-
-No, non sono morto e nemmeno tu-
il suo viso è serio e fermo, continua con voce chiara e precisa:
-Sono venuto a prenderti -
Sento chiaramente un vento leggerissimo che accarezza il mio viso e spettina i capelli, mi tendo per un attimo, un attimo infinitesimale... per poi scuotere la testa, deciso a fare almeno una cosa utile, in tutta la mia vita:
- No Karl, questa volta io resto qua, qualsiasi sia questo... qua. Per il tuo bene è meglio così, credimi...-
Non mi fa terminare e con voce non più gelida ma comunque determinata continua, come se io non avessi parlato affatto:
- Ho capito ogni cosa quando ho visto i tuoi genitori in ospedale. Ho capito perchè non riuscivi a venirne fuori, perchè avevi paura di non riuscire a giocare più nonostante la rassicurazione di tutto lo staff medico. -
Scuoto la testa mentre il vento continua ad aumentare, sembra alimentato dai miei pensieri, dai miei ricordi e...dal mio dolore:
- Era come guardare due attori in un film...due pessimi attori direi. Hanno finto preoccupazione per tutto il tempo mentre tuo padre ha ricevuto circa venti telefonate in dodici ore e tua madre ha letto riviste di moda per tutto il tempo.-
Nuvole scure si avvicinano nel cielo, alimentate dalla sua voce.
Anche se non vorrei la voce di Karl penetra in me e mette il pezzo che mancava nel puzzle che ho cominciato a costruire da quando sono qui:
- L'unico mezzo che avevi per farti rispettare da loro era diventare un portiere famoso ed affermato, per potergli sbattere in faccia la loro indifferenza e la loro superbia e quando tutto il mondo che ti eri costruito ha vacillato sei crollato. -
E' così, ha ragione, ha perfettamente ragione e mentre la barca si agita paurosamente sulle acque diventate nere come il cielo Karl continua alzando la voce per farsi sentire nonostante tutto, attorno a noi, stia peggiorando:
- Ma tu non sei soltanto questo Genzo, tu sei molto di più. Tu sei più del portiere del Bayern Monaco e della Nazionale Giapponese, sei l'uomo più complicato e folle del mondo.
Sei un amico incredibile e un compagno insostituibile ed io non voglio nessun' altro nella mia vita. Lascia tutto questo e torna da me.-
Una cosa di quello che ha detto è rimasto impresso nella mia mente e mentre dimentico tutto quello che c'è attorno a noi e la precarietà del mezzo su cui siamo seduti glielo dico, stupendo me stesso per primo:
- dodici ore... hai parlato di dodici ore in ospedale, io sono in ospedale da dodici ore e tu...sei stato con me per tutto il tempo?-
I miei genitori non esistono più, restano soltanto le sue parole e il loro reale significato :
- E' una settimana che sei in coma in ospedale Genzo, una settimana che io non mi muovo da li. Credi davvero che possa lasciarti andare? -

Dio mio... non posso crederci, una settimana... sono in coma da...
- e adesso come fai ad essere qui?-
I suoi occhi brillano sempre più determinati e decisi e sono loro a convincermi molto più di mille parole:
- Qui dove? Dove credi che siamo Genzo? -
Ma che sta dicendo? Come dove credo che siamo? Se è lui che è venuto...mi guardo attorno e la barca non c'è più così come il lago, torno a guardarlo e...
Mi ritrovo sospeso per un attimo infinitesimale.
Sospeso nel nulla in questo luogo dove le leggi della fisica non esistono, dove io non sono più nessuno, né un portiere né il figlio di mio padre...e mi sta bene così.
La leggerezza che provo è così grande che sento, fortissimo, il desiderio quasi folle di lasciarmi andare per sempre.
Annullarmi in questo momento perfetto, dove non devo dimostrare niente a nessuno, dove la mia vita non esiste più e...
- Genzo torna ...-
ma tutto questo dura un attimo, giusto il tempo di sentire la voce di Karl che mi chiama. Un sospiro profondo brucia i miei polmoni e mi fa capire che sono tornato, che sono di nuovo dentro me stesso.
E che continuerò a vivere e a lottare ancora.
Accanto all'unico che ha saputo superare ogni barriera per venire a prendermi.
Apro gli occhi mentre il suono dei macchinari al quale sono attaccato rimbombano nella mia testa stanca, guardo la testa bionda di Karl appoggiata sulle mie gambe, sta dormendo.
Ecco come ha fatto ad entrare nel luogo dove ero andato...forse.
O forse, semplicemente, soltanto la sua ferrea determinazione poteva tirarmi fuori da me stesso.
Non lo so e, onestamente, non mi interessa affatto saperlo.
Stringo la sua mano che è sulla mia e lui apre immediatamente gli occhi confusi all'inizio, quasi velati, per farsi via via sempre più vivi.
Quanto mi era mancato, quanto mi erano mancati i suoi occhi su di me appena sveglio, mentre il sonno ancora lo teneva con se.
Alza il viso e lo avvicina al mio mentre un sorriso piccolo piccolo gli fa incurvare le labbra verso l'alto in un inequivocabile sorriso:
-Sapevo che saresti tornato-
-Sapevo che non mi avresti lasciato là-
E le sue labbra sulle mie sono il saluto migliore che potevo ricevere.

Epilogo

- La partita che si sta giocando è di quelle determinanti.
Bayern Monaco - Barcellona, semifinale di Champions.
L'altra semifinale è appena terminata e anche i giocatori in campo sono stati informati, con il solito tam tam personalizzato, che il Milan ha battuto il Real Madrid per 3 a 2 ai supplementari, quindi chi vincerà dovrà vedersela con loro.
Ed è quando i novanta minuti regolamentari sembrano scivolare sulla vittoria del Bayern per 1 a 0 su gol del solito Schneider che accade l'irreparabile signore e signori: Messi sguscia via dai difensori e per fermarlo devono buttarlo giù al limite dell'area da rigore.
Per i giocatori del Bayern è caduto fuori, per quelli del Barcellona dentro.
L'arbitro è d'accordo con questi ultimi e assegna il rigore contro il Bayern Monaco.
Ad un minuto dal termine.
A nulla valgono le proteste e volano alcune ammonizioni prima che il capitano Karl Heinz Schneider riesca a calmare gli animi e anche noi telecronisti, qui, siamo molto perplessi, il fallo, in effetti, sembrava fatto proprio al limite ma fuori dall'aerea da rigore ma ormai la decisione è stata presa.
E così Messi si posiziona davanti al portiere Genzo Wakabayashi e mette la palla nel dischetto degli 11 metri.
Occhi negli occhi i due si fissano per un istante, poi lo sguardo di Wakabayashi vola verso il capitano e compagno di squadra Schneider.
Torna a guardare Messi e poi il suo compagno per alcune volte, fino a quando l'arbitro dà il fischio decisivo e Messi, dopo una breve rincorsa, tira con la sua solita classe...e Wakabayashi para gente, e che parata!
Un tuffo perfetto, un volo incredibile intuendo la traiettoria della palla che stava andando ad infilarsi nell'angolino in alto a sinistra.
E l'arbitro, dopo questa prodezza, fischia la fine dell'incontro vinto dal Bayern Monaco con due prodezze eccezionali dei loro numero uno: capitano e portiere.
Chi l'avrebbe detto che, dopo il terribile infortunio avuto in allenamento da Wakabayashi con la rottura completa del tendine d' achille, che il portiere Giapponese avrebbe recuperato così bene?
Questa partita è stata vinta sopratutto da lui con le sue incredibili parate, culminate dal rigore .
E mentre il portiere e il capitano si abbracciano felici, attorniati dai loro compagni, che termina qui questa telecronaca.
Dall'Allianz Arena di Monaco è tutto, il telecronista Bjorn Fischer vi saluta e vi augura buona serata, dandovi appuntamento qui fra un mese esatto, dove, in questo stesso stadio, ci sarà la finalissima Milan - Bayern Monaco.
Da qui è tutto.-

FINE

Notina finale: Un appunto...tecnico, per così dire: la finale della Champions sarà davvero giocata a Monaco, sono andata ad informarmi chiaramente e mi è sembrato davvero un caso...incredibile ^_- (visto che avevo già scritto tutto quanto ormai :P)
Baci.