AVVERTIMENTI:
E' una fic difficile da scrivere, l'unico avvertimento che mi sento di
dare è che...non tutto quello che sembra è reale e non sempre la realtà
è quella che conosciamo noi.
E'
una AU, più alternativo di così non poteva essere questo universo ^^''
PS: cliccate sul titolo della fic e ascoltate la canzone che dà il nome alla fic...
\Prefazione\
Ci
sono luoghi, sospesi nel tempo, dove la vita non scorre e ogni cosa
sembra attendere, immobile, nell'infinito.
Li
si rifugia la nostra anima assieme ai ricordi che l'hanno accompagnata
in vita quando è troppo stanca per continuare a vivere ma non ancora
così stanca da andarsene per sempre.
Ma
per fare questo prima bisogna esorcizzare l'incubo che le impedisce di
vivere.
O
di morire.
Ed
è qui che si trova Genzo una mattina.
Convinto
di essersi addormentato come sempre, quando si risveglia si trova in
mezzo a una nebbia così fitta da poterla tagliare con un coltello.
Quasi
sospeso nel nulla.
E
quando cerca di scoprire che ci fa li e, sopratutto, perché, che
iniziano i problemi.
Quelli
veri.
O
finiscono.
L'anno
è il 2012, di questo sono sicuro.
Il
posto un luogo dalle acque immobili, immerso nella nebbia.
L'ora...che
senso ha in mezzo a questo nulla?
Potrebbe
essere l'alba, mezzogiorno o pieno pomeriggio.
O
sera per quel che ne so.
Sembra
che l'incontro di ogni giorno con l'immensità debba finire qua, in
questo nulla.
Non
riesco a sentire il mio corpo, è come se mi avessero tagliato le gambe!
Le
guardo immediatamente e un sospiro mi allarga il torace: ci sono
ancora, tutte e due.
Mi
tocco il tendine destro e lo sento duro sotto le dita, nessuna
cicatrice, nessun taglio.
Questo
pensiero strano mi fa corrugare la fronte... perché ho pensato al
tendine d'Achille?
Sembra
che la nebbia in cui sono avvolto abbia fermato ogni cosa, anche la mia
mente e i miei ricordi.
Nonostante
qualche certezza resista ancora, come l'anno.
Non
so perché sono sicuro che siamo nel 2012 ma è così e potrei
scommetterci sopra.
Non
sapere che ci faccio qua è davvero fastidioso però.
E
seccante.
Odio
non avere risposte, specie se sono io stesso a non darmele.
Mi
guardo ancora attorno, non ci sono remi in questa barca e nemmeno una
vela, anche se sarebbe perfettamente inutile visto che non c'è un filo
di vento.
Alzo
di nuovo gli occhi al cielo, la nebbia è fitta e compatta e ho la
sensazione di essere solo, completamente solo in questo luogo,
qualsiasi esso sia.
Di
una cosa sono sicuro però: non posso certo essere arrivato qui dal
nulla.
Ieri
sera sono andato a dormire come sempre, ricordo bene che ero solo
perché Karl, ormai, non dorme più da me da quando io...
Karl
non dorme più da me.
Il
primo nome che attraversa la nebbia è il suo.
Karl.
Il
mio compagno nella squadra e nella vita.
Perché
non dorme più da me?
Una
fitta improvvisa alla gamba destra mi toglie il respiro per un momento,
la mia mano vola di nuovo sulla caviglia all'altezza del tendine e,
sotto le dita, sento improvvisamente un taglio profondo lungo circa 15
centimetri.
Ecco
perché prima mi è venuto in mente, non è stato un caso.
Il
dolore si affievolisce un po' mentre una parte dei ricordi torna
prepotente e con loro l'incubo che mi ha accompagnato in questi ultimi
mesi.
\\
Un infortunio di gioco.
Uno
stupido fottuto infortunio di gioco durante gli allenamenti.
Ero
con Karl e stavamo facendo la nostra solita serie supplementare di
esercizi dopo gli allenamenti con gli altri.
Di
solito, dopo la prima serie di rigori tirata da lui in maniera
impeccabile ( e parata da me in maniera altrettanto impeccabile) ci
scambiavamo i ruoli ed era lui a parare i rigori che tiravo io, perché
sosteneva sempre che soltanto se vestivi i panni di un' altro potevi
capire perfettamente come agiva e pensava per poterlo così superare.
Io
lo assecondavo divertendomi un mondo, in una sfida che non aveva ne
vincitori ne vinti.
E
fu quando terminò l'ultimo rigore mio ( che lui, stranamente, parò) che
scattò verso di me con uno dei suoi dribbling ubriacanti, come se
davanti avesse almeno 4 o 5 difensori pronti ad ostacolarlo e non me
che però non volevo certo farmi cogliere di sorpresa.
Lo
affrontai con spavalderia, determinato a fermarlo con ogni mezzo ed
invece...invece fu lui a fermare me.
Anche
se involontariamente.
Ricordo
con perfezione che era una giornata splendida e gelida, come sempre
d'Inverno.
Ero
sudato e stanco ma non lo avrei ammesso nemmeno sotto tortura, tanto
meno a lui chiaramente.\\
Come
ho potuto dimenticare quel momento?
In
questo istante sospeso nel nulla, qui, in mezzo alla nebbia la folla
delle immagini, vertiginosamente e in un attimo, passano ed incidono
nella mia mente, marchiandola a fuoco.
Ancora.
E
ancora.
Suoni
di vento e d'acqua si muovono accanto a me che mi ritrovo catapultato
in un passato che non vorrei, in un tempo che è mio ma che vorrei
rinnegare.
Dio
come lo vorrei.
\\
Mi accasciai con la caviglia in fiamme e il viso stravolto dal dolore,
un dolore che si propagava su lungo tutta la gamba, incendiandola.
Ma
quello che mi preoccupò di più fu il viso di Karl chino su di me, non
l'avevo mai visto con quell'espressione sconvolta, nemmeno quando si
infortunò lui stesso.
“Allora
è grave se mi guarda così”.
Fu
l'unica cosa che riuscii a pensare mentre venivano i soccorsi chiamati
dal mister che non si perdeva uno solo dei nostri allenamenti
supplementari.
La
corsa in ospedale, le lastre, la tac e la voce del medico che
confermava i nostri timori furono un ulteriore supplizio che si
aggiungeva al dolore.
“Rottura
del tendine d'Achille”.
Con
un'operazione avrei potuto recuperare l'uso della gamba ma per quel che
riguardava il tornare a giocare era un' altro discorso.
Almeno
un anno, se rispondevo bene all'operazione prima e alla fisioterapia
poi.
Mi
sentii annientato.
Da
che io avevo memoria nella mia vita avevo sempre giocato a calcio, fin
da quando ero bambino.
Il
calcio era riuscito a farmi superare tutto quanto, ogni dolore, ogni
dispiacere, ogni delusione, compresa l'indifferenza dei miei.
Come
avrei fatto adesso senza poter giocare per un anno intero, se andava
bene?
Come?
E
la società mi avrebbe aspettato?
Certo,
avevo un contratto di ferro che mi proteggeva ma la vita mi aveva
insegnato che nulla è impossibile e chi ti è amico nell'abbondanza è
pronto a scaricarti quando sei nella merda.
Sarebbe
bastato un portiere in gamba al posto mio ( mai io ho avuto dubbi del
genere...questo dimostra quanto ero fuori di me) per non fargli sentire
la mia mancanza.
E
più pensavo a queste cose più scivolavo giù, nel mare nero dentro me
stesso.
Dove
la luce non arrivava mai.\\
Una
folata di vento improvvisa mi riporta al presente.
Mi
guardo attorno, stranito.
Del
vento qui, per la prima volta da quando mi sono svegliato in questo
posto dimenticato da Dio.
Questa
frase mi fa accapponare la pelle e mi riporta di nuovo indietro, là
dove la mia vita stava cambiando.
\\Dimenticato
da Dio.
E'
così che mi sentii quando capii che la mia carriera aveva subito un
brusco arresto.
Così
come i miei sogni, i miei desideri.
E
più precipitavo più mi chiudevo a tutti quelli che venivano a trovarmi,
compresi Tsubasa e Taro.
Vennero
dal Brasile e dalla Francia per me e io gli rivolsi, a stento, una
frase ciascuno.
Forse.
E
a Karl nemmeno quella.
Non
riuscivo a dimenticare che era stato lui a fermarmi.
Non
gli imputavo alcuna colpa, giocavo a calcio da troppo tempo per poter
fare una cosa del genere.
Quanti
infortuni avevo visto nella mia carriera?
Quante
botte, volute e non, mi ero beccato dagli attaccanti?
E
quante volte ero stato io a darle?
Sapevo
che faceva parte del gioco e che, appena la partita finiva, tutto era
dimenticato e messo via.
Ma
io vedevo Karl ogni giorno, giocavamo nella stessa squadra.
Viveva
con me.
E
se non avevo nulla da perdonargli non riuscivo ugualmente a dimenticare.
Ogni
mattina lo vedevo uscire di casa per allenarsi e io, invece, andavo in
quel maledetto centro per il recupero della gamba desiderando, con
tutto me stesso, andare con lui.
Non
andavo allo stadio a vedere le partite, nemmeno quelle interne, perchè
questo voleva dire andarci con le stampelle e non sarei riuscito a
sopportarlo.
Mi
rendevo conto, almeno con una parte di me, che il mio era un
atteggiamento infantile e che la mia reazione era, a dir poco,
esagerata ma questa era, appunto, solo una parte di me.
La
più piccola.
L'altra
si alimentava di rabbia e di disperazione.
Ma,
sopratutto, di paura.
Una
paura strisciante che si stava allargando dentro me prendendo il posto
di ogni altro sentimento.
Ma
questo non lo avrei ammesso con nessuno, tanto meno con me stesso,
perchè farlo equivaleva a mettere in discussione tutto ciò in cui avevo
creduto fino ad ora.
Quindi
continuavo ad andare avanti imperterrito, consapevole di andare
contromano a centocinquanta all'ora in piena autostrada ma
impossibilitato a fare altrimenti.\\
Il
vento attorno a me aumenta mentre la barca ondeggia leggermente
nell'acqua, che comincia ad agitarsi.
La
nebbia si fa meno fitta e lassù, alto nel cielo, la nera ombra di una
rondine è un punto quasi fermo, goccia d'inchiostro inerme in un foglio
bianco-sporco...o grigio chiaro.
Il
paesaggio sta cambiando ma questo non porta nessun sollievo in me
perchè la forza dei ricordi è come un uragano che sta per arrivare e tu
sai, con una chiarezza assoluta e disarmante, che nulla poi sarà più
come prima.
Ma
non puoi fare niente per fermarlo.
Come
si può fermare un uragano?
Se
sono qua, sospeso in questo luogo dove il tempo sembra non esistere, è
perchè devo ricordare...ricordare qualcosa che ho voluto dimenticare
con tutte le mie forze, a costo di ritrovarmi...qui.
\\
Iniziai a non farmi trovare a casa quando tornava dagli allenamenti e a
non guardare nemmeno in TV una sua (loro) partita, anche se non
riuscivo a fare a meno di comperare i giornali sportivi l'indomani, per
leggere che cosa dicevano della squadra, i loro progressi e...le parate
del portiere di riserva.
Non
riuscivo a gioirne, sentivo solo rabbia verso quella gamba ferma che
faceva progressi piccolissimi mentre quell'altro si faceva un nome
nella MIA squadra, tra i MIEI compagni.
Appena
ne ebbi la possibilità ripresi a guidare.
Era
un rischio, certo, ma almeno avevo la possibilità di uscire e sfogarmi
un po' lasciando stare Karl, smettendo di tormentarlo con i miei
silenzi e i miei scatti di rabbia.
Ormai
contavo i giorni che mancavano al momento in cui mi avrebbe mandato a
farmi fottere.
Certamente
io, al posto suo, l'avrei già fatto da un pezzo visto che ero diventato
insopportabile perfino a me stesso, ma questo non era ancora
sufficiente, non riusciva a fermarmi.
Ci
pensò Karl a farlo, quando tornai a casa alle sei di mattina con una
buona dose di alcool in corpo e un ragazzo rimorchiato in un locale
qualunque attaccato al braccio.
Fu
grande quella sera, grande e spietato ma con me, ormai, funzionavano
soltanto quei mezzi e quella sera se ne rese conto anche lui.
Dopo
aver buttato fuori il ragazzo che era con me con una freddezza glaciale
(io, al posto suo, lo avrei scaraventato giù dalla finestra...) aspettò
che mi fossi seduto nel divano, poi mi diede le stampelle appoggiandole
accanto a me, stando ben attento a non toccarmi.
Infine
si sedette sul tavolino a pochi centimetri dal mio viso, cosa che non
aveva mai fatto e da qui capii che quello che doveva dirmi era davvero
importante.
Mi
venne la pelle d'oca e sentii, chiaramente, il cuore che mancava un
battito per poi riprendere furiosamente.
Solo
lui sapeva ridurmi in quello stato.
Soltanto
lui.
-
Da adesso in poi tu ti muovi con quelle li, con tutte e due, così come
ti ha detto lo specialista. La smetti di fare il coglione ( anche da
questo insulto capii che era arrivato al suo limite estremo) e ti curi
seriamente, facendo tutto quello che ti dicono.
Ogni
cosa, anche quella che ritieni idiota ed inutile, tu non sei un medico,
sei un calciatore quindi lascia che siano loro a curarti e smettila.
So
che fino a che io resterò qui accanto a te tu non farai un solo passo
in avanti, l'ho capito immediatamente ma speravo che tu ti facessi
aiutare.
Ancora
una volta, invece, mi hai dimostrato che non ho la chiave per arrivare
a te.
Quindi
me ne vado.
Non
ti sto lasciando, non mollo... vado via affinché tu possa venir fuori
dalla melma in cui ti stai cacciando e l'unico modo che ho per
aiutarti, l'unico che con te possa funzionare è questo.
Tu
sai che odio sprecare le parole e non credo di averne mai usate così
tante con nessuno...-
Io
non fiatavo nemmeno, ascoltavo tutto quello che mi stava dicendo con
l'animo che urlava, impazzito, mentre una vena sulla tempia pulsava
sempre più veloce:
-
Non azzardarti a continuare così se no torno e ti ammazzo io. Sul
comodino in camera c'è l'agenda con tutti gli appuntamenti del
fisioterapista e delle varie visite di controllo, insieme alle pomate
per la caviglia, non si sta cicatrizzando bene, non trascurarla.-
Alzò
una mano e me la passò sul viso tirato, sentivo che i muscoli stavano
per cedere e quel gesto così inusuale in lui mi diede il colpo di
grazia:
-Abbi
cura di te per favore .-
Si
alzò e andò via così, senza prendere nulla.
Capii
che aveva già fatto la valigia e portato via le cose sue quando andai
in camera e la vidi spoglia di tutto.
Sul
mio comodino c'erano le cose che aveva detto e sul suo la sua chiave.
Aveva
detto che non mi stava lasciando ma mi aveva restituito la chiave.
Incominciai
a gridare con tutto il fiato che avevo in gola, ancora e ancora mentre
maledivo tutto ciò che mi veniva in mente.
Cielo,
terra, persone, Dio.
Tutto
quanto, ogni cosa.
Compreso
me stesso.
Aveva
ragione, aveva maledettamente ragione.
Con
lui accanto io avrei continuato a distruggermi perchè in mè c'era
qualcosa di sbagliato.
Forse
i geni marci dei miei genitori o forse, semplicemente, il mio
fottutissimo egoismo ma da qualsiasi cosa venisse... stava facendo il
vuoto fuori e dentro di me.\\
L'aria
ha terminato di spazzare il cielo che adesso è azzurro, limpido e
pulito.
Ma
non io, io non mi sento affatto così.
E'
come se fosse venuta a mancare una parte di me stesso, quella più
importante.
Le
sue parole vorticano dentro di me sempre più veloci mentre la sua voce,
chiara e precisa, crea echi nella mia mente.
E'
vero, con lui accanto non sarei riuscito a venirne fuori.
Adesso
toccava me, soltanto a me, perchè l'operazione era riuscita e anche se
la cicatrice faceva fatica a chiudersi non c 'era nulla che ostacolava
la mia riabilitazione completa.
Nulla
se non me stesso.
Era
come se una parte di me gioisse di quello che mi era accaduto e non
volesse affatto venirne fuori, quella parte che non era cresciuta e che
si aggrappava al calcio per sostituire la mancanza di una vera famiglia.
E
Karl mi ricordava in ogni istante, con la sua sola presenza, che la
vera forza non risiede nel tuo passato ma nel presente, in ciò che sei
diventato.
In
ciò che vivi.
E
in come lo vivi.
Adesso
ai miei ricordi manca ancora una cosa, una cosa soltanto: come sono
arrivato fin qui.
Mentre
cerco con lo sguardo la terra, che si intravede all'orizzonte, sento il
rombo potente di una macchina lanciata a folle velocità.
La
mia macchina.
E
ricordo tutto, tutto quanto.
Mi
metto le mani nei capelli mentre il corpo esplode nel dolore più
terribile che abbia mai provato in tutta la mia vita.
Come
ho potuto?
Come
ho potuto fare una cosa del genere?
\\Cenere.
Mi
sentivo come cenere spenta in un vecchio caminetto ormai in disuso da
una vita.
La
reazione che Karl voleva suscitare in me non arrivava e le ombre,
ormai, mi avevano divorato con apparente facilità.
Non
so nemmeno se mi resi pienamente conto di quello che stava accadendo in
quella macchina, sei giorni dopo quella notte allucinante.
Volevo
dimenticare.
Dimenticare
lo sguardo di Karl, la delusione nei suoi occhi.
Le
sue spalle che se ne andavano e la camera vuota.
Dimenticare
l'incidente, lui che mi veniva incontro con la palla al piede, il
dolore lancinante alla caviglia e il gonfiore immediato.
E
quando la curva si mise davanti alla mia strada tirai dritto.
Restai
con le braccia tese davanti a me e lo sguardo fisso nel buio, la mente
piena di ricordi che volevo soltanto cancellare.
Dovevo
immaginarlo che non ci si separa dai ricordi e che la vita ti presenta
sempre il conto.\\
Ho
le lacrime agli occhi...allora anche qui si può piangere?
Qui...dove
sono qui?
E'
chiaro che sono morto e che...
-
Genzo..-
la
sua voce ferma immediatamente i miei pensieri.
Karl
qui... ma dove... mi guardo attorno e lo vedo li, davanti a me, sulla
barca.
Lo
fisso, attonito.
Dove
prima non c'era nulla adesso c'è lui ed è vero e reale come la barca,
l'acqua del lago
e
il cielo attorno e sopra di noi:
-
Karl... che ci fai tu qui? Non dirmi che anche tu sei...-
-No,
non sono morto e nemmeno tu-
il
suo viso è serio e fermo, continua con voce chiara e precisa:
-Sono
venuto a prenderti -
Sento
chiaramente un vento leggerissimo che accarezza il mio viso e spettina
i capelli, mi tendo per un attimo, un attimo infinitesimale... per poi
scuotere la testa, deciso a fare almeno una cosa utile, in tutta la mia
vita:
-
No Karl, questa volta io resto qua, qualsiasi sia questo... qua. Per il
tuo bene è meglio così, credimi...-
Non
mi fa terminare e con voce non più gelida ma comunque determinata
continua, come se io non avessi parlato affatto:
-
Ho capito ogni cosa quando ho visto i tuoi genitori in ospedale. Ho
capito perchè non riuscivi a venirne fuori, perchè avevi paura di non
riuscire a giocare più nonostante la rassicurazione di tutto lo staff
medico. -
Scuoto
la testa mentre il vento continua ad aumentare, sembra alimentato dai
miei pensieri, dai miei ricordi e...dal mio dolore:
-
Era come guardare due attori in un film...due pessimi attori direi.
Hanno finto preoccupazione per tutto il tempo mentre tuo padre ha
ricevuto circa venti telefonate in dodici ore e tua madre ha letto
riviste di moda per tutto il tempo.-
Nuvole
scure si avvicinano nel cielo, alimentate dalla sua voce.
Anche
se non vorrei la voce di Karl penetra in me e mette il pezzo che
mancava nel puzzle che ho cominciato a costruire da quando sono qui:
-
L'unico mezzo che avevi per farti rispettare da loro era diventare un
portiere famoso ed affermato, per potergli sbattere in faccia la loro
indifferenza e la loro superbia e quando tutto il mondo che ti eri
costruito ha vacillato sei crollato. -
E'
così, ha ragione, ha perfettamente ragione e mentre la barca si agita
paurosamente sulle acque diventate nere come il cielo Karl continua
alzando la voce per farsi sentire nonostante tutto, attorno a noi, stia
peggiorando:
-
Ma tu non sei soltanto questo Genzo, tu sei molto di più. Tu sei più
del portiere del Bayern Monaco e della Nazionale Giapponese, sei l'uomo
più complicato e folle del mondo.
Sei
un amico incredibile e un compagno insostituibile ed io non voglio
nessun' altro nella mia vita. Lascia tutto questo e torna da me.-
Una
cosa di quello che ha detto è rimasto impresso nella mia mente e mentre
dimentico tutto quello che c'è attorno a noi e la precarietà del mezzo
su cui siamo seduti glielo dico, stupendo me stesso per primo:
-
dodici ore... hai parlato di dodici ore in ospedale, io sono in
ospedale da dodici ore e tu...sei stato con me per tutto il tempo?-
I
miei genitori non esistono più, restano soltanto le sue parole e il
loro reale significato :
-
E' una settimana che sei in coma in ospedale Genzo, una settimana che
io non mi muovo da li. Credi davvero che possa lasciarti andare? -
…
Dio
mio... non posso crederci, una settimana... sono in coma da...
-
e adesso come fai ad essere qui?-
I
suoi occhi brillano sempre più determinati e decisi e sono loro a
convincermi molto più di mille parole:
-
Qui dove? Dove credi che siamo Genzo? -
Ma
che sta dicendo? Come dove credo che siamo? Se è lui che è venuto...mi
guardo attorno e la barca non c'è più così come il lago, torno a
guardarlo e...
Mi
ritrovo sospeso per un attimo infinitesimale.
Sospeso
nel nulla in questo luogo dove le leggi della fisica non esistono, dove
io non sono più nessuno, né un portiere né il figlio di mio padre...e
mi sta bene così.
La
leggerezza che provo è così grande che sento, fortissimo, il desiderio
quasi folle di lasciarmi andare per sempre.
Annullarmi
in questo momento perfetto, dove non devo dimostrare niente a nessuno,
dove la mia vita non esiste più e...
-
Genzo torna ...-
ma
tutto questo dura un attimo, giusto il tempo di sentire la voce di Karl
che mi chiama. Un sospiro profondo brucia i miei polmoni e mi fa capire
che sono tornato, che sono di nuovo dentro me stesso.
E
che continuerò a vivere e a lottare ancora.
Accanto
all'unico che ha saputo superare ogni barriera per venire a prendermi.
Apro
gli occhi mentre il suono dei macchinari al quale sono attaccato
rimbombano nella mia testa stanca, guardo la testa bionda di Karl
appoggiata sulle mie gambe, sta dormendo.
Ecco
come ha fatto ad entrare nel luogo dove ero andato...forse.
O
forse, semplicemente, soltanto la sua ferrea determinazione poteva
tirarmi fuori da me stesso.
Non
lo so e, onestamente, non mi interessa affatto saperlo.
Stringo
la sua mano che è sulla mia e lui apre immediatamente gli occhi confusi
all'inizio, quasi velati, per farsi via via sempre più vivi.
Quanto
mi era mancato, quanto mi erano mancati i suoi occhi su di me appena
sveglio, mentre il sonno ancora lo teneva con se.
Alza
il viso e lo avvicina al mio mentre un sorriso piccolo piccolo gli fa
incurvare le labbra verso l'alto in un inequivocabile sorriso:
-Sapevo
che saresti tornato-
-Sapevo
che non mi avresti lasciato là-
E
le sue labbra sulle mie sono il saluto migliore che potevo ricevere.
Epilogo
-
La partita che si sta giocando è di quelle determinanti.
Bayern
Monaco - Barcellona, semifinale di Champions.
L'altra
semifinale è appena terminata e anche i giocatori in campo sono stati
informati, con il solito tam tam personalizzato, che il Milan ha
battuto il Real Madrid per 3 a 2 ai supplementari, quindi chi vincerà
dovrà vedersela con loro.
Ed
è quando i novanta minuti regolamentari sembrano scivolare sulla
vittoria del Bayern per 1 a 0 su gol del solito Schneider che accade
l'irreparabile signore e signori: Messi sguscia via dai difensori e per
fermarlo devono buttarlo giù al limite dell'area da rigore.
Per
i giocatori del Bayern è caduto fuori, per quelli del Barcellona dentro.
L'arbitro
è d'accordo con questi ultimi e assegna il rigore contro il Bayern
Monaco.
Ad
un minuto dal termine.
A
nulla valgono le proteste e volano alcune ammonizioni prima che il
capitano Karl Heinz Schneider riesca a calmare gli animi e anche noi
telecronisti, qui, siamo molto perplessi, il fallo, in effetti,
sembrava fatto proprio al limite ma fuori dall'aerea da rigore ma ormai
la decisione è stata presa.
E
così Messi si posiziona davanti al portiere Genzo Wakabayashi e mette
la palla nel dischetto degli 11 metri.
Occhi
negli occhi i due si fissano per un istante, poi lo sguardo di
Wakabayashi vola verso il capitano e compagno di squadra Schneider.
Torna
a guardare Messi e poi il suo compagno per alcune volte, fino a quando
l'arbitro dà il fischio decisivo e Messi, dopo una breve rincorsa, tira
con la sua solita classe...e Wakabayashi para gente, e che parata!
Un
tuffo perfetto, un volo incredibile intuendo la traiettoria della palla
che stava andando ad infilarsi nell'angolino in alto a sinistra.
E
l'arbitro, dopo questa prodezza, fischia la fine dell'incontro vinto
dal Bayern Monaco con due prodezze eccezionali dei loro numero uno:
capitano e portiere.
Chi
l'avrebbe detto che, dopo il terribile infortunio avuto in allenamento
da Wakabayashi con la rottura completa del tendine d' achille, che il
portiere Giapponese avrebbe recuperato così bene?
Questa
partita è stata vinta sopratutto da lui con le sue incredibili parate,
culminate dal rigore .
E
mentre il portiere e il capitano si abbracciano felici, attorniati dai
loro compagni, che termina qui questa telecronaca.
Dall'Allianz
Arena di Monaco è tutto, il telecronista Bjorn Fischer vi saluta e vi
augura buona serata, dandovi appuntamento qui fra un mese esatto, dove,
in questo stesso stadio, ci sarà la finalissima Milan - Bayern Monaco.
Da
qui è tutto.-
FINE
Notina
finale: Un appunto...tecnico, per così dire: la finale della Champions
sarà davvero giocata a Monaco, sono andata ad informarmi chiaramente e
mi è sembrato davvero un caso...incredibile ^_- (visto che avevo già
scritto tutto quanto ormai :P)
Baci.