Sotto la maschera

\\Solo una volta, vorrei sapere cosa vuol dire essere amati
Anche sotto questa maschera terribile
Sono nato in questo mondo senza sapere che cos'è l'amore
Sono inghiottito dalle tenebre
Devi scegliere! Vieni con me!\\ (Asagi)

1 Capitolo.
Louis


La sera stava promettendo bene, altro che se stava promettendo bene.
Loius era caricato a mille, la sua voce non aveva avuto nessun calo nonostante l'influenza che lo aveva messo K.O. per una settimana almeno e, anche se le sue forze sembravano leggermente più...come dire...appannate, nessuno se ne stava accorgendo.
Il suo gruppo lo sosteneva bene, il pubblico reagiva alla grande e, dentro di se, tutto reggeva benissimo.
Non era vero che senza quel microfono in mano lui era una nullità, anzi.
Senza quel microfono lui era un grande lo stesso e questa non era vanità o superbia ma un dato di fatto.
Lui era nato per comandare.
Fin da piccolo lo aveva sperimentato con tutti quelli che gli vivevano accanto, partendo dalla sua famiglia.
Era l'ultimo di tre sorelle, adorato chiaramente da tutte loro e bastava un suo sguardo per farle capitolare.
Così continuò anche a scuola, sia materna che elementare.
Era un angelo fisicamente parlando, con i capelli biondi che si inanellavano attorno ad un viso dai lineamenti dolcissimi, dove spiccavano due occhi di un azzurro intenso, screziato di blu.
Alle medie subentrò la passione per la musica e il nuoto.
Così anche il suo fisico si modellò, vasche su vasche, ogni giorno.
Non gli importava di far parte di una squadra, di diventare un nuotatore professionista.
Lui l'acqua l'adorava perchè non lo costringeva a fare qualcosa ma, al contrario, l'accompagnava nei movimenti, l'avvolgeva come un'amante.
Silenziosa, gentile, amica, sensuale, esperta.
Gli facilitava i movuimenti senza ostacolarlo e modellava il suo corpo già longilineo.
Avrebbe potuto diventare vertamente un campione ma, a pari passo, cresceva in lui anche l'amore per la musica.
Volle fare il conservatorio per imparare a suonare perfettamente ogni strumento a corde, fin dall'età di sei anni,e anche se poi scelse il Rock tutti i suoi pezzi risentivano di questa impronta classica, diventando così struggenti e particolari da segnare un'impronta ben precisa nel mondo della musica.
Così in ogni città dove lui andava per fare un concerto, il suo albergo doveva essere vicino ad una piscina.
Anche piccola, non importava.
Era essenziale perchè lui scaricava ogni cosa nell'acqua.
E così fu anche quella sera.
Quando conobbe Etienne.
Aveva saltato la piscina quell'ultima settimana per forza di cose, visto che era stato bloccato da quell'accidenti di influenza che aveva messo a letto metà popolazione mondiale.
Sette giorni chiuso in una stanza della sua villa che divideva con il suo fedele cane e con una delle sue sorelle, quella che aveva 4 anni più di lui.
Era lei che scriveva, con lui, tutti i testi delle sue canzoni e ne curava l'arraggiamento, in una complicità che difficilmente raggiungi con qualcuno che non abbia respirato, con te, la tua stessa aria.
Ariel era la sua preferita, voleva un gran bene anche alle altre ma con lei l'affinità era completa e quando era stato il momento di andarsene l'aveva portata con se.
Lei accettò a patto che lui la buttasse fuori nel momento in cui sarebbe diventata una rompi...scatole (anche se usò un'altro termine, meno fine), di   quelle insopportabili.
Questo gli fece capire che stava facendo la cosa giusta, chiaramente.
Ariel e Rocki, il suo pastore tedesco, lo curarono facendo il vuoto attorno a se, senza invadere il suo spazio ma facendo attenzione a non lasciarlo solo.
Perchè uno come lui non era felice se restava solo.
Uno come lui, che amava la luce e la vita, temeva la sua parte in ombra.
Quella parte che nascondeva con molta cura dentro se stesso.
Non si trattava di aver paura di perdere il controllo e fare del male agli altri.
La sua era una paura diversa.
Sentiva nettamente che, dentro se stesso, un'ala nera lo copriva oscurando, quando glielo permetteva, la luce.
Non diventava cattivo in quei momenti ma aveva paura di guardare in faccia che cos'era.
Ne era, semplicemente, terrorizzato.
Ormai Ariel lo sapeva bene e cercava di non lasciarlo mai solo.
Quando era in concerto lei non lo seguiva ma sapeva che la stanchezza immensa lo faceva crollare, sfinito.
Anche se una luce rimaneva sempre accesa nella sua camera.
Tutta la notte.
Così, coccolato dagli unici esseri ... viventi che lo conoscevano come se stesso,la sua ripresa fu quasi totale.
Fu quando si sedette al piano per suonare il suo pezzo preferito, il primo che l'aveva portato al successo, che si rese conto di quanto fosse stanco.
Paul, che suonava la batteria ed era con lui dall'inizio, gli portò dell'acqua con dentro sciolto un po' di Guaranà e un asciugamano.
Il tutto mentre il palco pimbava nel buio completo.
Il consueto tuffo al cuore mentre il sapore forte della sua bevanda preferita gli accendeva di nuovo il sangue.
L'asciugamano sul volto e tra i capelli biondi.
E poi la luce che si accendeva li, sul piano, dove lui si era seduto nel frattempo.
Le sue dita che correvano dolci sulla tastiera di quello che fu il suo primo pianoforte e la sua voce che accompagnava quella melodia che accese, nell'oscurità, tante piccole lucciole.
La sterminata platea di ragazzi, nel silenzio più totale, aveva acceso gli accendini accompagnandolo anche con le loro voci.
Un momento che aveva vissuto infinite volte e che gli regalava, sempre, la stessa identica emozione.
Fu li che qualcosa accadde.
Lui aveva l'orecchio assoluto.
Tante volte ci avevano scherzato su perchè nulla sfuggiva al suo udito perfetto.
Poteva ascoltre un'intera orchestra e riusciva a sentire chi aveva steccato nel preciso momento che questo accadeva.
E così era anche per le voci.
Come quella sera, quando udì una voce accanto alla sua, che usciva dalle altre.
Acuì il suo udito e si rese conto che era vicino a lui.
Veniva dal retro del palco.
Accompagnava la sua canzone senza steccare di un attimo, con una dolcezza infinita.
Non era una delle solite, non era  uno dei suoi.
Assolutamente.
Quando terminò di cantare e le luci si accesero cercò il proprietario  di quel timbro così particolare, allora ricordò: aveva dato il permesso a un ragazzo disabile di venire sul palco, alla fine del concerto, per ascoltarlo da vicino.
Aveva scelto il ragazzo quel posto.
Quando gli chiesero un biglietto sotto il palco per un ragazzo su una carrozzina, lo diede senza esitazioni...ma lo stupore degli altri fu grande quando lui disse che lo voleva sul palco all'inizio di quella canzone.
Aveva agito d' impulso chiaramente, senza pensare a nulla.
Non certo per farsi pubblicità.
Aveva avuto un amico malato di sclerosi multipla bilaterale, Stefan.
Sapeva che voleva dire stare su una carrozzina, per questo lo aveva voluto li, con lui.
Tutto qui.
E che i giornalisti scrivessero pure quello che volevano, non gliene imprtava nulla.
Lo aveva visto di sfuggita prima di inizare il concerto, sotto il palco.
Lo aveva anche salutato.
Un ragazzo piegato quasi su una carrozzina.
Così gli era parso.
Adesso quella voce aveva cambiato ogni cosa.
Non era piegato più sulla carrozzina.
Aveva la schiena dritta, il viso pieno di malinconia, un corpo piccolo e magro.
E una voce splendida che gli era entrata nel cuore.
Il concerto finì tra le ovazioni, come sempre.
Non aveva presentato il ragazzo al pubblico perchè gli aveva fatto cenno di "no" con la testa.
E lui aveva capito.
Quando salutò tutti quanti e lo cercò per parlargli...lui non c'era più.
Erano venuti a prenderlo e chiaramente nessuno sapeva dove fossero andati.
La delusione fu grandissima...quasi pari alla sua stanchezza.
Andò nella piscina che sua sorella gli aveva trovato per fare le solite vasche più giù del solito, e non soltanto per la serata e i postumi dell'influenza, ma anche per la delusione.
Perchè se n'era andato così?
Per quale motivo?
Come poteva esistere una persona così schiva?
Voleva soltanto salutarlo, ascoltare ancora quella voce meravigliosa.
Notò, con una piccolissima parte di se, che c'era qualcun'altro.
E questo lo stupì per un breve attimo.
Qualcuno che, come lui, era così malato da fare delle vasche a quell'ora indegna?
E, se non sbagliava, la piscina era aperta soltanto per lui.
Cioè... sua sorella gli aveva fatto avere le chiavi visto che, di solito, nessuno era ancora aperto a mezzanotte.
Era così ovunque, dietro pagamento chiaramente, nessuno faceva qualcosa gratis.
Era la prima volta che non era solo.
Ma questo non lo infastidì troppo.
Chiunque fosse era discreto e, sopratutto, doveva essere amico del proprietario.
Tutto questo lo pensò con quella piccola parte del suo cervello che non riusciva a mettere a tacere.
Il resto si stava annullando nella magia dell'acqua che lo avvolse, amica.
Silenziosa.
Abbracciandolo completamente.
Iniziò a fare la prima vasca in totale relax, buttando fuori ogni contrasto, ogni cosa che non andava.
Ogni pensiero oscuro.
Tutto quanto.
Continuò così per gli altri trecento metri...fu quando si appoggiò al bordo, indeciso se farne ancora qualcuna o uscire per quella sera, visto anche l'influenza appena passata, che vide qualcosa che lo gelò li, sul posto: una carrozzina.
Era li, sul bordo, a pochi metri da lui.
Doveva essere sconvolto davvero per non averlo notato appena arrivato.
Sconvolto dalla stanchezza e dalla debolezza, certo.
E dalla delusione.
Ma...una carrozzina avrebbe dovuto vederla.
Voltò la testa di scatto...aveva "sentito", prima di entrare e mentre nuotava, la presenza discreta di qualcuno ma non si era reso conto di chi fosse.
Non fino a quel momento.
Etienne era li, a pochi metri da lui, appoggiato anch'esso al bordo-vasca, davanti alla carrozzina.
Non lo stava guardando, era intento a raccogliere le sue forze per issarsi sulle braccia ed uscire da li.
Abbracciò con lo sguardo la sua figura, incapace di fare qualsiasi movimento.
Era magro si, incredibilmente magro, anche se le spalle e le braccia erano muscolose, indice di esercizio continuo in piscina.
Vide la sua fatica ma non l'aiutò, ricordando come il suo amico Stefan non sopportava di essere aiutato, odiando quella che chiamava "carità pelosa".
E fu questo che colpì Etienne più di qualsia altra cosa.
Più del suo fisico prestante, dei suoi occhi indaco, della sua voce calda.
Fu il rispetto che ebbe per lui, quel suo lasciarlo fare.
Quel suo riconoscere , in lui, un essere umano che aveva il suo stesso diritto di fare da solo.
Di vivere senza nessun aiuto che non fosse richesto.
Come tutti gli altri.
Quando Etienne fu fuori Louis lo vide sedersi su un asciugamano già pronto e disteso, avvolgendosi in esso.
Notò le gambe magre, piene di cicatrici e comprese: Un incidente.
Alzò lo sguardo sul suo volto, anch'esso pieno di cicatrici, nella parte destra.
Sul palco, con quelle luci sul viso, era stato ingannato e non le aveva notate.
Poi Stefan lo salutò e  lui riconobbe la sua voce.
Tutto il resto perse d'importanza.
Ogni cosa.
Compresa l'acqua che lo stava ancora avvolgendo.
Capì di essere perso.
Completamente perso.
Mentre sentiva la sua stessa voce che ricambiava il saluto usci anche lui con facilità, avvolgendosi nell'accapatoio blu e sedendosi sulle piastrelle accanto a colui che, per la prima volta nella sua vita, lo aveva colpito profondamente.