2 capitolo:
Etienne

" Un giorno credi di essere giusto
e di essere un grande uomo
poi in un'altro ti svegli e devi
cominciare da zero" (E. Bennato)

Ognuno ha un sogno nella sua vita ed Etienne non era certo da meno.
Il suo era quello di ascoltare, dal vivo, la canzone che l' aveva fatto svegliare dal coma, quasi dieci anni fa.
Maggio 2003.
Louise cantava già da qualche anno e " Sotto la maschera" era stata la canzone che l'aveva portato al successo.
Una canzone meravigliosa, intrisa di malinconia e disperazione.
E piena d'amore.
Etienne se ne innamorò, come milioni di ragazzi.
Ascoltava quel CD dalla mattina alla sera, imparando a memoria tutte le canzoni, per la disperazione di suo fratello, che divideva la camera con lui.
Per non parlare di sua madre, che fingeva di farsi una flebo ogni volta che l'ascoltava...almeno cinque volte al giorno!!
Quando ebbe l'incidente la stava cantando a voce spiegata, come faceva ogni volta.
Era il 24 Maggio e quell'anno, un anticipo d'estate aveva fatto la gioia di quelli come lui, che vivevano bene soltanto al caldo.
Aveva 17 anni e stava andando al mare in macchina con suo fratello.
Finalmente il sabato era arrivato, la scuola, per un giorno, poteva esssere accantonata.
Erano le tre del pomeriggio e stava per raggiungere gli amici , per trascorrere là il fine-settimana.
Era arrivato nel pezzo che più gli piaceva e anche adesso, quando gli tornava in mente, non sapeva se fu perchè lui distrasse suo fratello cantando in quel modo o perchè, semplicemente, doveva accadere.
Non era poi così importante saperlo.
Non da una carrozzina.
L'urto fu tremendo.
Una macchina era uscita da uno stop e li prese in pieno.
Banalissimo.
Se non fosse stato distratto dalla canzone, Jean forse l'avrebbe evitata ?
Forse.
O forse doveva ringraziare il cielo se non erano morti.
L'impatto fu tremendo e venne coinvolta anche un'altra macchina, che stava sopraggiungendo dalla parte opposta.
Come si salvò?
Come?
Se lo chiese mille e mille volte, durante i mesi eterni di ospedale.
Durante gli anni di riabilitazione.
Quasi inutili.
Gli tolsero più di cento schegge di vetro dal viso e questo bastava guardarlo in faccia per capirlo.
Così come bastava guardare le sue gambe per spegarsi il perchè della carrozzina.
I vigili del fuoco dovettero tirarlo fuori dai rottami dell'auto, dov'era rimasto incastrato.
Dicono che arrivò in coma in ospedale ma lui ricordava ogni cosa di quel giorno.
Tutto quanto.
Ricordava il sole caldo che bruciava la piccola macchina e che lo riscaldava divinamente.
La canzone che stava cantando.
L'urlo di suo fratello.
E l'urto tremendo.
Ricordava tutto con incredibile lucidità, attimo dopo attimo.
Il buio scese soltanto quando arrivarono in ospedale.
Solo allora una mano, clemente, venne a spegnere la sua mente.
Suo fratello fu sbalzato fuori dalla macchina e andò a finire in un campo che costeggiava la strada.
Il suo brutto vizio di non allacciarsi le cinture gli salvò la vita.
Curiosamente qualcosa che tutti condannavano era stata la sua salvezza.
Cadendo si fratturò tre costole e un braccio.
Tutto qui.
La prima cosa che tutti gli chiesero (a parte i medici...) quando fu uscito dal coma fu:" Hai visto qualcosa di strano?".
Bè...lui non aveva visto assolutamente nulla!
Niente luci bianche, niente visioni, niente di niente.
Soltanto buio totale e assoluto.
Nessuna percezione se si eccettuava ... per la musica.
Suo fratello, giorno dopo giorno, gli faceva ascoltare "Sotto la maschera", la sua canzone.
Usciva dal lavoro alle 5 del pomeriggio, veniva li in ospedale e la prima cosa che faceva era mettere su quella canzone.
Fino a quando lui aprì gli occhi.
Quella musica era l'unica cosa che gli faceva capire che era vivo.
Che non era scivolato in nessun nulla...se mai esisteva un "nulla".

La macchina sembrava divorare l'asfalto, correva veloce verso lo stadio dove, finalmente, avrebbe visto il concerto della sua vita, dove arebbe realizzato quel sogno rimandato troppe volte.
Quante volte ci aveva provato!
Quando ebbe l'incidente stava per farcela, aveva messo via i soldi per il biglietto e già si vedeva sotto il palco, mentre cantava a squarciagola le canzoni del suo cantante preferito.
Poi...bè, poi iniziò il calvario della riabilitazione e solo quando decise di finirla e arrendersi iniziò a vivere di nuovo.
Vedere un suo concerto fu il primo passo verso la sua nuova vita.
Jean fece di tutto per procurargli il biglietto.
Con l'aiuto della comunità che frequentava riuscì a mettersi in contatto con un'associazione per i diritti dei disabili che gli procurò un biglietto in prima fila.
La sorpresa l'ebbero quando Louis disse che lo voleva li, sul palco, con lui.
Mentre cantava la sua canzone.
L'emozione della sua vita, la più grande.
Già stare sotto il palco era immenso.
Aveva cercato il suo sguardo all'inizio, gli aveva sorriso.
Non era una delusione, non era un flop.
Era divino, così come lo aveva sognato.
Non sarebbe mai salito su quel palco, non voleva incontrarlo sotto gli occhi di tutti.
Sotto i rilfettori e i flash dei soliti fotografi.
Non gliene importava niente di tutto questo.
Sarebbe salito, si, su quel palco ma...si sarebbe fatto mettere sul retro.
In quel modo nessuno lo avrebbe potuto vedere e Louis, invece, sarebbe stato tutto suo.
E quando fu lassù, mentre quelle parole entravano nel suo cuore ,per l'ennesima volta si riscoprì a cantarla con lui, a voce bassa.
Piano piano, senza disturbare.
Quelle parole...sembrava che parlassero della sua vita.
"Solo una volta vorrei sapere che vuol dire essere amati...anche sotto questa maschera terribile."
Anche lui aveva una maschera sul volto.
I capelli, lasciati volutamente lunghi, gli coprivano quella parte del volto ancora piena di cicatrici che tanto attiravano l'attenzione della gente.
Non era uno stupido ma, chissà perchè, gli altri pensavano che lo fosse.
Non si spiegava, altrimenti, tutte le occhiate di compassione e di compatimento che gli rivolgevano.
Odiava tutto questo, se soltanto avesse potuto si sarebbe davvero messo una maschera sul viso.
Aveva già subito tre operazioni di chirurgia plastica...quello era il massimo del risultato che mai avrebbe potuto ottenere.
Più di così non potevano fare, troppo profonde le cicatrici.
Cosa vuol dire essere amati da qualcuno che non è la tua famiglia?
Qualcuno che ti ama anche se non ha legami di sangue con te?
Qualcuno che ti bacia senza rabbrividire di disgusto?
Fu quando la canzone finì che si rese conto che stava piangendo.
Aveva cantanto mentre piangeva.
Nessuno, con lui, era mai riuscito a fare una cosa del genere.
Mai.
Nessuno era mai riuscito a scardinare così la cassaforte dove aveva rinchiuso i suoi sentimenti da quando si era svegliato su quel letto.
Con le gambe morte.
E il viso devastato.
In quel momento Louis alzò lo sguardo e lo cercò tra la gente, voleva chiamarlo li, accanto a lui, lo sentiva.
NO!
Non doveva farlo, assolutamente.
Nessuno doveva vederelo così, nemmeno lui.
Fece cenno di "no" con la testa e si voltò a cercare suo fratello, che lo aveva accompagnato fin li.
Lui capì, non c'era bisogno di troppe parole tra loro.
Lo portò fuori, aiutato dai ragazzi del servizio d'ordine.
Jean lavorava in una piscina come istruttore.
Era una strutturta privata e il proprietario era un suo carissimo amico.
L'acqua era la loro passione e suo fratello aveva anche provato a fare il nuotatore professionista, senza riuscirci.
Quella piscina era diventata la "sua" piscina.
Andava li a nuotare ogni giorno, consapevole che soltanto con il nuoto poteva continaure a tenere allenati i muscoli senza danneggiarli.
E poi...poi l'acqua era diventata la sua migliore amica.
Nell'acqua poteva ancora muoversi, poteva nuotare e galleggiare.
L'acqua lo sosteneva, lo accompagnava, lo accarezzava.
Senza nessun secondo fine.
Non lo guardava con pietà.
Non voltava lo sguardo, schifata.
Non lo giudicava.
Ma lo accettava per quello che era.
Anche quella sera andò a rifugirasi li...peccato che qualcun'altro aveva avuto la stessa idea.
Qualcun'altro...Louis.
Louis era li.
Si fece lasciare da suo fratello negli spogliatoi e fece tutto da solo.
La sua carrozzina era silenziosa e lui aveva imparato ad essere veloce.
Mentre il cuore batteva forte nel petto aveva preparato ogni cosa in perfetto silenzio.
Scivolò in acqua mentre Louis faceva già le vasche.
Lo aveva sentito, ne era sicuro.
Si era leggermente irrigidito per un attimo ma la magia dell'acqua aveva avvinto anche lui.
Nuotare insieme era stato meraviglioso.
Vederlo scivolare nell'acqua, sapere che la stava accarezzando anche lui, respirare la sua stessa aria.
Così vicini seppur ancora lontani.
Nemmeno nei suoi sogni aveva mai provato un'emozione del genere.
Mai.
Terminarono nello stesso momento e solo allora Louis si accorse di lui.
Lo aveva sentito all'inizio ma...soltanto in quel momento aveva visto chi c'era realmente, con lui, in piscina.
Glielo leggeva negli occhi.
Facendo forza sulle sue braccia si issò sul bordo della vasca mentre sentiva il suo sguardo che lo stava scrutando.
Ma non gli offrì il suo aiuto.
E questa fu la cosa che lo colpì di più.
Ci aveva sperato.
Certo.
Aveva sperato con tutto se stesso che Louis non fosse come tutti gli altri.
Che non si affannasse ad offrirgli il suo aiuto con la speranza che lui dicesse di no perchè non sapeva dove mettere le mani.
E perchè gli faceva pure schifo farlo.
Oppure come quelli che ti ritengono un caso pietoso da aiutare.
La loro buona azione quotidiana.
Louis lo trattò come se fosse "normale".
Normale.
Con gli stessi suoi diritti.
Con la sua stessa dignità.
Quando camminava e credeva di avere il mondo interamente nelle sue mani adorava Louise il cantante.
Con quella voce da brivido.
Con le canzoni che sembravano essere state scritte apposta per lui.
Adesso stava cominciando a conoscere Louis l' uomo, quelllo che rispettava la volontà di ogni essere umano che incontrava.
Quello che si stava sedendo accanto a lui rispondendo al suo saluto con voce emozionata.
E capì che la sua vita non sarebbe mai più stata come prima.