Note dell'autore: In corsivo ci sono i ricordi, sia di Andrea che di Marco.
Prima del cambio di persona avverto mettendo sopra il nome.
Le
note su Carl Lewis e sull'atletica sono esatte, a scuola anche io ho
fatto Atletica e tutt'ora seguo tutte le gare in TV .
La
fic parte da una storia vera che poi io ho rielaborato per renderla in
una fic come questa. Francesco, mio fratello, ha curato l'ambientazione
e la parte legata alla clinica e alla cura della malattia, con l'aiuto
di Andrea che ha vissuto tutto questo in prima persona.
Grazie a tutti loro per l'aiuto che mi hanno dato.
The Miracle (My miracle)
\\Andrea\\
-A quanti miracoli hai assistito nella tua vita?-
-Aspetta che vivo ancora un po‘, è presto per tirare le somme-
Il
sole, che entra dalla porta della terrazza aperta, mi scalda il volto,
lo sento attraverso gli occhi chiusi come la carezza di un'amante
esperta.
La
posa rilassata del corpo può trarre in inganno chi mi sta accanto ma
Marco mi conosce bene, sa che basta un nonnulla per farmi scattare, o
forse dovrei dire bastava...
La sua voce divertita scende come olio caldo sulle ferite che, ancora aperte, sanguinano un po':
-Bè...sei sopravissuto quando ti ho beccato con Lea ...direi che quello è il primo miracolo!-
-Un braccio rotto e due denti saltati non lo chiamerei "un miracolo"!-
La
sua pronta risposta mi fa capire che si sta divertendo un mondo...io un
po' meno visto i soldi spesi per sostituire quei due famosi denti.
-Ma
sei qui a raccontarlo, non ti ho ucciso come tutti sognavano di fare,
sai quanti nemici cornuti e incazzati ti sei fatto in quel
periodo?-
Già...devo
dargli proprio ragione...e mentre inizio a ricordare torno indietro nel
tempo, gli anni si annullano in un attimo e i ricordi diventano i
padroni della nostra mente.
Avevo
15 anni e, forte della mia personalità schiacciante su tutti quelli che
mi stavano attorno, decisi di prendermi anche le ragazze degli altri.
Il fatto che sentivo di essere omosessuale non mi fermò, chiaramente,
anzi...fu lo stimolo decisivo a farmi tutte le ragazze possibili, così
da cancellare quello che sentivo crescere in me e che non mi piaceva
affatto.
Non
mi piaceva essere attratto dai ragazzi e dover lottare contro mio
padre, uomo tutto d'un pezzo e omofobo; forse mia madre mi avrebbe
aiutato (cosa che poi si rivelò esatta) ma il pensiero delle
discussioni estenuanti che avrei dovuto affrontare con lui mi fece
prendere la decisione di ignorare decisamente la mia vera natura e
iniziai quello che, a tutti gli effetti, era proprio un suicidio.
Credevo
davvero che gli altri si facessero da parte, alla fine ero pur sempre
l'atleta che aveva portato più medaglie in quella scuola perennemente
seconda, dopo l'istituto tecnico Malignani.
Grazie
a me il Marinelli iniziò a vincere gare su gare di atletica e fece
avvicinare tante altre giovani promesse a questo sport dove io,
comunque, dominavo.
Mi sentivo un novello Carl Lewis, il figlio del vento, e come lui ero un velocista e un saltatore.
Grazie
al mio fisico longilineo e, sopratutto, alle mie gambe lunghe vincevo
medaglie su medaglie nei 100, 200 e nel salto in lungo.
Non avevo una grande partenza, appunto per l' eccessiva lunghezza delle gambe, ma le mie rimonte erano storiche.
Alle
medie mi affermai a livello provinciale e alle superiori iniziarono a
farmi pressione per andare alle regionali e poi chissà...il mio
professore di ginnastica e allenatore personale aveva grandi sogni e
progetti su di me e ormai mi aveva contagiato alla grande.
Quindi credevo davvero che tutto mi fosse dovuto, comprese le ragazze degli altri.
Fu Marco a portarmi con i piedi per terra...a farmi precipitare anzi!
-Dov'è che mi beccasti con Lea? Nello sgabuzzino dei bidelli o nei bagni della palestra?-
Scanso
velocemente la sua scarpa che giaceva accanto a lui, in attesa di
essere seppellita tra gli scarti industriali (vista la puzza tremenda
che emanano sempre le sue infernali scarpe) mentre la sua voce mezza
divertita e mezza incazzata risponde :
-Nei
bagni della palestra, imbecille! Solo tu potevi scopare la ragazza di
un'altro in un luogo così accessibile a tutti come quello! Mi chiedo se
l'hai fatto apposta per farti beccare da me...-
La sua domanda, all'apparenza divertita, denota invece un'acutezza non da poco.
Questa
è una domanda che anche io mi sono posto nelle settimane passate a
guardare gli altri che si allenavano, mentre io avevo un braccio
ingessato, la spalla bloccata e dei dolori allucinanti in bocca.
Forse volevo essere punito o ...
-Tu volevi essere fermato...non erano le donne che volevi, ma tra il dire e il fare...-
Non era certo la prima volta che facevo sesso con una ragazza, ma Lea era, senza dubbio, la più bella di tutte.
Un
corpo perfetto, con ogni curva al punto giusto e disinibita quel che
serviva per non farmi annoiare...perché allora fui quasi contento
quando Marco ci scoprì?
Ricordo
perfettamente che eravamo avvinghiati come due polipi e che stavo
proprio per arrivare al dunque quando... la porta si aprì e un tir di
svariate tonnellate si abbatté su di me.
Mi
afferrò per il famoso braccio che si ruppe come un fuscello (non oso
pensare se, al posto del braccio, afferrava la testa...)e dopo,
chiaramente, mi fracassò i denti con un pugno micidiale.
Lì
tutto cessò per me...svenni di botto e mi risvegliai nell'infermeria
della scuola mentre il medico cercava di convincere un carabiniere che
mi ero rotto tutto quanto da solo.
Il
medico della scuola conosceva Marco benissimo e sapeva che io me l' ero
cercata, stava semplicemente cercando di salvare il buon nome del
Marinelli ... cosa che avvalorai anch' io dicendo che inciampai e caddi
contro il muro, rompendomi i denti.
Lea se ne andò alla fine dell'anno e nessuno la vide più mentre io e Marco diventammo amici.
-In effetti sai qual è il primo miracolo a cui ho assistito? La nostra amicizia.
Mentre
me ne stavo in disparte a guardare gli altri allenarsi nelle mie
specialità pensavo a come fare per fartela pagare ...e ogni tortura mi
sembrava inadeguata. Poi tu mi hai affrontato, proprio il giorno in cui
tornai agli allenamenti dopo i mesi di stop a causa del gesso e della
riabilitazione...-
Marco allunga un po' il braccio e mi spettina i capelli mentre i suoi occhi si illuminano a quel ricordo.
Continua lui questa volta a ricordare e la sua voce è quasi felice, mentre io cerco, a fatica, di non piangere.
\\Marco\\
-Guardarti
e capire quello che stavi pensando non è che fu difficile sai...te ne
stavi lì, ad osservare tutti gli altri con uno sguardo così micidiale
che mi aspettavo di vederli cadere stecchiti da un momento
all'altro.-
Ero
uno sportivo anche io, giocavo nella squadra di calcio e capitava
spesso che ci trovassimo fuori ad allenarci insieme, noi nella nostra
parte del campo e loro nella pista di atletica.
Andrea spiccava prepotente su tutti.
Avrei dovuto odiarlo per quello che mi aveva fatto ma non ci riuscivo affatto.
Mi
ripetevo che anche Lea aveva fatto la sua parte perché se teneva le
gambe chiuse lui non poteva infilarci proprio nulla, ma io ero famoso
per il mio carattere esplosivo.
Bastava
un nonnulla per farmi saltare in aria e Andrea aveva acceso la miccia,
già di per sé molto corta. Però mi ero fermato ad un pugno, non avevo
continuato ad infierire e quello che sentivo mentre lo vedevo fermo li,
sul bordo pista, a guardare gli altri allenarsi assomigliava troppo
all'indulgenza.
Io che provavo qualcosa di simile per un ragazzo che mi aveva fregato la ragazza?
Per
fermare tutti questi pensieri, poco adatti ad uno come me, decisi di
tendergli una sorta di agguato e terminare di pestarlo...così almeno
tutto tornava a posto e io non avrei più passato del tempo a chiedermi
perché mi faceva quell'effetto uno che avrei dovuto odiare.
Lo aspettai proprio il giorno che sapevo sarebbe tornato ad allenarsi.
Uno
come lui non perdeva tempo ad aspettare gli altri dopo due mesi che non
si allenava... uno come lui iniziava da solo, per recuperare il tempo
perduto.
Ed infatti lo trovai in palestra che si allenava sugli scatti, cosa in cui difettava, con una caparbietà unica.
Ed una classe senza precedenti.
Che cosa mi accadde in quel momento?
Perché non andai lì a terminare quello che avevo iniziato?
Lo
vidi fare scatti su scatti, lo vidi provare i 200 metri e vedevo la sua
agilità, la potenza di quelle gambe che acquisivano velocità su
velocità man mano che i metri avanzavano. Ne rimasi affascinato.
Quello era un ragazzo con una classe senza precedenti, con un dono che pochi avevano.
L'allenamento
e la sua caparbietà lo avevano portato fino a questo punto, certo, ma
il suo talento era innato e non lo potevi acquisire con nulla se non
nasceva con te.
Lui
mi sentì...altro che se mi sentì...ma visto che io non facevo nulla per
farmi avanti continuò imperterrito ad allenarsi e fece venire voglia di
imitarlo anche a me .
All'improvviso
mi ricordai che l'indomani avevo una partita importante e che avrei
potuto seguire il suo esempio...invece rimasi inchiodato lì a guardarlo
per tutto il tempo.
Fino a che smise e mi passò vicino per andare a fare la doccia.
Guardai
il suo corpo sudato, i capelli biondi che si ostinava a tenere troppo
lunghi per un atleta...e gli occhi azzurri che mi inchiodarono lì, sul
posto.
Non
mi guardò con supponenza o con arroganza, il suo sguardo aveva un
luccichio pericoloso, quasi ... famelico che mi fece accapponare la
pelle.
Sentii fortissima un'attrazione pericolosa che, finalmente, mi fece muovere da li ed andarmene velocemente.
Non lo sentii ridere nè fare altro...soltanto la sua voce che mi diceva:
-In bocca al lupo per domani-
Soltanto questo.
E io seppi, con assoluta certezza, che l'indomani sarebbe stato sul bordo campo a guardarmi mentre giocavo.
Così come avrei fatto io con le sue gare.
Tutte quante, nessuna esclusa.
-Per
quel che mi riguarda il mio primo miracolo fu scoprire che gli uomini
potevano essere più affascinanti delle donne, per me-
Mi
correggo immediatamente, mentre gli occhi di Andrea si velano di
lacrime...da quando è qui dentro è diventato molto più sensibile di
prima...
-Che TU eri più affascinante di tutte le altre donne...per me-
Questa
volta afferro la sua mano e la tengo stretta senza lasciarla andare,
mentre lui mi lascia fare, per la prima volta senza ostacolarmi.
Senza toglierla velocemente.
Mi
guarda negli occhi e la tentazione di baciarlo è fortissima ma, per
ora, mi accontento di quello che sono riuscito ad ottenere.
La
chemioterapia gli ha fatto perdere tutti i suoi splendidi capelli ma il
suo fascino è intatto e non c'è differenza alcuna per me, è soltanto
lui che vede tutti quegli ostacoli invisibili che ha sempre messo tra
noi...da quando poi è entrato qui dentro le sue stupide certezze sono
diventate ancora più grandi.
-Non
capisco una cosa Andrea e vorrei che tu mi illuminassi in proposito...
perché hai iniziato a mettere tutti quegli ostacoli fra noi proprio
quando io cominciavo a capire che cosa stavo provando per te?-
Mi
guarda come se fossi impazzito e tenta di togliere immediatamente la
mano ma io la stringo ancora più forte e non glielo permetto.
Gli
ho lasciato tutto il tempo del mondo, ho aspettato che capisse quello
che stava accadendo, ho atteso che accettasse ogni cosa...e nel
frattempo lui è sparito senza lasciare traccia, senza uno straccio di
spiegazione.
Adesso che l'ho ritrovato non gli permetterò di fare di testa sua.
\\ Andrea \\
-Pensi che sia così facile? Ma tu sai chi è mio padre?
Sai che i gay sono sporchi froci per lui?
Che le persone di colore sono solo negri e che i disabili dovrebbero stare rinchiusi nei ghetti tutta la vita?
Sai
che l'ho sentito dire che Hitler non è stato capito da nessuno? Io sono
cresciuto sentendo dire queste cose per tutta la vita...come pensi che
potevo accettare di essere omosessuale?
Di essere attratto dai ragazzi? Di essere attratto da...-
Non termino la frase ma quelle due piccole lettere rimangono sospese tra noi.
Lo
guardo negli occhi e sento il calore della sua mano nella mia,
consapevole, per la prima volta, che qualcosa di importante sta
accadendo in questo preciso istante.
Qui, nella camera di questa clinica, dove mi sono rifugiato per curarmi lontano dal clamore dei giornali.
Lontano da mio padre.
E lontano da lui, da Andrea.
I
suoi occhi neri si addolciscono senza però perdere la loro sicurezza,
quella certezza granitica che faceva (e fa tutt'ora) vacillare la mia
volontà.
Forse
è vero...giocavo con lui molto pericolosamente, attratto da ciò che
rappresentava per me...da quella libertà di essere me stesso che con
lui avrei potuto avere.
Vedere la luce accendersi nei suoi occhi ogni volta che gli ero vicino mi inebriava e mi atterriva nello stesso momento.
-Quando
te ne andasti così, senza dire nulla, senza affrontarmi per concludere
quello che avevi iniziato nei bagni quando mi beccasti con Lea, quello
funzionò più di mille discorsi o pugni che avresti potuto darmi. -
Restai lì a guardarlo andare via, mentre la tentazione di uscire con lui fu fortissima.
Da quella volta in poi, mentre mi allenavo, sentivo il suo sguardo che bruciava su di me.
Quegli occhi neri sembravano dei pozzi senza fondo e io ci cadevo dentro ogni volta che lo guardavo.
Ed era molto più spesso di quello che avrei dovuto fare.
Lui
iniziò a venire ai miei allenamenti ogni volta che poteva e a chi gli
chiedeva il perché di quell'attrazione improvvisa per l'Atletica
leggera rispondeva semplicemente che gli piaceva guardarmi mentre mi
allenavo.
Non
temeva i commenti degli altri, non gliene importava nulla delle
reazioni della gente e questo aveva, su di me, un effetto
incredibile.
Faceva
quello che avrei voluto fare io accidenti, riusciva a vivere come
voleva senza condizionamenti né paure varie ... mentre io mettevo su
muri su muri anche con me stesso.
La
nostra amicizia nacque lì e fu accettata con naturalezza da tutti i
nostri amici...qualcuno malignò sulla vera natura della stessa ma le
medaglie che vincevo e i tempi strabilianti che facevo registrare ad
ogni gara misero a tacere tutti quanti: ero diventato il numero uno
vincendo i regionali e quando, agli internazionali d'Italia, feci il
secondo tempo assoluto a nessuno importò più chi frequentavo nella vita
privata, solo a me importava.
Ero io l'unico che non permetteva che la nostra amicizia diventasse più profonda e più grande di quello che era.
La sua voce mi precipita in un tempo che speravo fosse sepolto dentro me stesso...che illuso sono stato.
Dal
momento che varcò la soglia della mia camera capii che il coperchio
ormai era saltato e che tutto quello che avevo conservato con cura
nelle mie profondità, sarebbe tornato a galla inesorabilmente.
Come
quando arriva un violento temporale dopo settimane o mesi di siccità e
tu senti l'aria che prima era impregnata di caldo afoso farsi pulita,
leggera...e torni a respirare di nuovo.
-Sapevo che fare l'amore con tè sarebbe stato un errore, non eri ancora pronto ad accettarti, ma io non ce la facevo più.
Forse
adesso, con il senno del poi e dell'età, avrei senza dubbio aspettato
ancora, ma avevo 18 anni e da tre almeno cercavo di tenere a bada i
miei ormoni impazziti e il mio cuore ancora più impazzito di loro...e
ti sbagliavi sai...non abbiamo mai fatto sesso noi due, abbiamo proprio
fatto l'amore. Ne ero e ne sono tutt'ora sicuro.
E' stata l'unica cosa che mi ha sorretto in questi anni senza di te.-
Per un istante non sento niente.
Cado
dentro me stesso, precipito con una velocità tale da provare le
vertigini...per poi rialzarmi alla stretta forte e rassicurante della
sua mano.
Il calore dei suoi occhi è così grande da ridarmi tutti gli anni persi a nascondermi dal mondo.
Da me stesso.
E da lui.
-Mi
ero ripromesso di non farti avvicinare troppo a me...e già li mentivo
spudoratamente perché nessuno mai è riuscito a toccarmi il cuore e
l'anima come hai fatto tu...e questo fu il secondo miracolo a cui
assistetti. E il bello fu che non me ne resi pienamente conto fino a
quando non venni qui dentro.-
Forse è vero...nemmeno quando ci sei in mezzo riesci a vederlo, il miracolo.
Ogni attimo, ogni momento è scolpito nella mia mente come se fosse accaduto ieri.
Pioveva quel giorno come da tanto non accadeva.
Dopo
un periodo di siccità lunghissimo, iniziato verso la metà di Maggio,
finalmente alla fine di Agosto era arrivata la tanto sospirata pioggia
ed eravamo tutti elettrizzati e felici.
Ricordo
le scene esilaranti che vedevo anche per strada, con ragazzi e bambini
che correvano felici sotto la pioggia, perfino qualche genitore li
imitava.
Noi
ci eravamo fatti sorprendere dal tanto sospirato temporale nel campetto
dietro casa sua mentre ci allenavamo giocando a basket ( Marco amava
quello sport e se alla fine aveva scelto il calcio era solo perché era
molto più bravo nei dribbling con una palla al piede che nei suddetti
dribbling con la palla in mano...), trovammo rifugio a casa sua quando
ormai eravamo fradici ma felici.
Lui
adorava il temporale, la furia che la natura scatenava attorno a sé e
avrebbe passato ore a guardarlo affascinato, mentre io ne ero
terrorizzato.
Mi ricordava troppo mio padre e le sue sfuriate e non riuscivo a stare tranquillo quando un temporale era sopra di me.
Così lui, invece di stare affacciato alla finestra a bagnarsi come un bambino, stette accanto a me per tutto il tempo.
Mi
tenne abbracciato mentre il CD della mia musica preferita faceva da
sfondo ai suoi discorsi buttati lì a caso...fantasie senza capo né coda
e tutte atte a farmi distrarre dai tuoni e dai fulmini.
La voce calda di Bono accompagnava le sue mani che mi accarezzavano la schiena, dolci, tenere.
Fino a quando la tensione cominciò a salire.
La sentii chiaramente, come quando ti ammali e la tua temperatura interna comincia a salire.
Sentii i brividi di freddo lungo la pelle, la testa si faceva pesante e le membra erano di piombo.
Ecco...è proprio quello che accadde a me.
A noi.
Iniziarono
i brividi di freddo lungo la pelle, eppure lui mi stava tenendo
stretto, non avrei dovuto sentirli, era assurdo e...ed invece la testa
si fece pesante e le membra si intorpidirono.
Le sue carezze si fecero più profonde e le mani si infilarono sotto la maglia.
I suoi occhi...Dio come bruciavano in quel momento.
Mi mancò l'aria...mi sembrava di impazzire.
Non avevo mai provato una cosa del genere nelle mie numerose avventure di sesso con le ragazze, mai.
Nemmeno una volta.
Attesi
che la sua testa si abbassasse con un'ansia che poi, a mente fredda,
rifiutai di aver provato, sopratutto a me stesso.
E quando mi baciò...quando finalmente annullò la distanza fra le nostre bocche impazzii definitivamente.
Non
ci fu dolcezza né tenerezza...avevamo 18 anni e quello che stavamo
provando superava di gran lunga ogni esperienza e ogni sogno che mai
avremmo potuto fare.
Finii steso sotto di lui mentre mi spogliava con frenesia, divorandomi la bocca con avidità.
Risposi con tutto me stesso, con una foga che avevo tenuto sotto controllo troppo a lungo.
Le frasi sferzanti di mio padre sui gay erano lontane, la sua voce non riusciva a fermarmi, non mi faceva più male.
Tutto
messo a tacere da Marco e dalle sue mani che sentivo ovunque, dalla sua
bocca che non trascurava nemmeno un piccolo pezzetto di me.
Ogni
cosa perse importanza attorno a noi, era come essere trasportati in
un'altra dimensione, una dimensione dove non c'erano due ragazzi che si
amavano ma due anime che si cercavano con disperazione, trovando l'uno
nell'altro, finalmente, la propria casa.
Il proprio luogo dove essere se stessi.
Lo
guardo e ritrovo nei suoi occhi tutte le emozioni che provammo quel
pomeriggio, a casa sua, mentre fuori il temporale devastava ogni
cosa.
Abbiamo gli occhi lucidi tutti e due, anche se i miei sono un po' più...acquosi, vista la malattia.
E
adesso che cerco le mie granitiche certezze...quelle che mi hanno fatto
nascondere qui dentro (perché alla fine è proprio questo che ho fatto)
per allontanarmi sopratutto da lui...scopro che non ci sono più.
Marco si avvicina a me e alza la mano libera per posarla sul mio viso, sulla guancia.
Sfiora
le sopracciglia rade a causa della chemioterapia, la pelle pallida, le
labbra che si schiudono al suo tocco e mormora piano, sulla mia
bocca:
-Credevi veramente che dicendomi quella frase tu mi avresti fermato? Davvero pensavi che bastasse così poco?-
mettendo a tacere ogni mia possibile risposta con un bacio.
Quando la passione si placò però la voce di mio padre tornò e con essa tutte le paure e insicurezze che scatenava sempre in me.
Lo
respinsi alzandomi in piedi, andai in bagno sperando di trovarlo almeno
vestito al mio ritorno ma lui era ancora lì, come l'avevo lasciato, con
un'espressione così intensa da farmi morire... alzai gli occhi al cielo
sperando in un suggerimento forse...non so, so solo che la bocca si
aprì senza che io potessi controllarla e la frase partì veloce,
sferzante, stupida, totalmente stupida:
-Spero che tu non ti faccia illusioni...questo è stato solo sesso, niente di più.
Non cambia assolutamente nulla tra noi...e adesso scusa ma devo tornare a casa, domani ho gli allenamenti presto...-
Non
ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi mentre dicevo quelle idiozie,
negando così quello che avevo provato insieme a lui.
Uscii dalla sua casa e dalla sua vita in quel preciso momento.
Lo evitai come la peste il giorno dopo e quelli a venire...fino a quando non mi ammalai.
Quello
che pensavo fosse soltanto debolezza e poca alimentazione (da quando lo
avevo lasciato non riuscivo più a mangiare decentemente) invece era
leucemia.
Finii
qui dentro volontariamente, per curarmi certo ma, sopratutto, per farlo
lontano dal clamore dei giornali, di mio padre e...di Marco.
Non volevo che mi vedesse in quello stato.
Avevo la leucemia accidenti...in quel momento, più che mai, ero convinto che per noi non ci fosse speranza.
Non volevo che mi vedesse mentre mi spegnevo lentamente.
Tentai un trapianto quando si capì che le cure erano inutili, ma andò male.
Mio padre non volle che mio fratello minore mi desse il suo midollo e questa non fu una sorpresa per me.
Non venne a trovarmi mai, nemmeno una volta.
Senza
dubbio c'era una spiegazione al suo comportamento, suo padre era stato
un soldato, un uomo tutto d'un pezzo che l'aveva cresciuto nella
severità e nella freddezza più glaciale e lui... lui ormai non
conosceva nessun'altro mondo se non quello.
Ma a me non importava più.
Mia madre e Sandro, il mio allenatore, furono gli unici che continuai a vedere...fino ad ora almeno.
Termina
di baciarmi soltanto per guardarmi negli occhi. Dio quanto mi era
mancato, come ho fatto a resistere tutto questo tempo senza di
lui?
-Sai, vero, che adesso non ti lascerò più da solo? Sai che non riuscirai più a nasconderti da me?-
Faccio cenno di sì con la testa mentre le lacrime scorrono sul mio viso, liberatorie.
Forse il mio è soltanto egoismo.
L'egoismo
di un uomo che sta per morire e che non vuole farlo da solo, perché non
è così forte come si immaginava di essere ma ormai non posso più
fermarmi.
Non
posso e non voglio tornare più indietro e non soltanto perché lui non
me lo permetterebbe ma perché sono stanco, sono così stanco di lottare
da solo.
E' arrivato il momento di arrendermi e di farlo insieme a lui.
All'unico che ha saputo andare oltre alla mia facciata, oltre al mio voluto isolamento.
Per arrivare fino al mio cuore, senza accontentarsi di nulla di meno.
E questo...questo si che è un miracolo.
Il mio miracolo.
Epilogo
Olimpiadi di Londra 2012.
Finale
dei 100 metri, fra i campioni che sono arrivati fin lì superando tutte
le batterie di qualificazione spicca Francesco Campo, un ragazzino di
18 anni che ha strabiliato tutti con i suoi tempi e con la sua
velocità.
Il
suo allenatore, un nome conosciuto nel mondo dell'atletica Italiana, è
Andrea Fascini, ritirato dalle gare proprio quando era nel pieno della
sua carriera, a causa di una brutta malattia che però non è riuscito a
piegarlo.
La
gara ha inizio e Francesco parte velocissimo, nonostante la sua giovane
età non si fa intimorire da nessuno dei grandi campioni che sono
accanto a lui e vola sulla terra rossa arrivando terzo.
Il
cuore di Andrea sembra scoppiare nel petto dalla gioia, nulla a che
vedere con quello che provava quando era lui stesso che correva su
quelle piste.
Francesco va a rifugiarsi da lui, impazzito, e la foto di loro due abbracciati mentre ridono felici fa il giro del mondo.
Tre
giorni dopo, nella finale dei 200 metri, il suo secondo posto non è più
una novità e il mondo ha la certezza di assistere ad un miracolo: la
nascita di un nuovo campione.
Quella sera stessa...
In
Italia Marco sta guardando la TV e si ritrova a saltare in piedi
gridando come un pazzo, facendo venire un infarto al loro gatto che
scappa terrorizzato dalla stanza.
Non
è potuto partire con Andrea perché da li a tre giorni deve discutere la
tesi in Ingegneria meccanica, momento importantissimo anche per lui e,
giustamente, tutti e due hanno concordato che non si sarebbe mosso da
casa.
La
telefonata arriva dopo un'oretta circa, quando i clamori si sono
calmati e lui studia davanti ad un toast (la sua cena).
Dopo
i soliti complimenti e sorrisi a trentadue denti, (anche se lui non può
vederli li immagina benissimo) quello che dice Andrea lo lascia di
stucco. Non credeva, onestamente, che potesse accadere ancora ma ormai,
accanto a lui, ha imparato a non stupirsi di nulla:
-Mi ha chiamato mio padre prima per farmi i complimenti per Francesco-
Silenzio assoluto. Davvero non se lo aspettava.
E
mentre Andrea riprende a raccontare con voce emozionata, Marco ricorda
la visita a quell'uomo che aveva rovinato la vita di suo figlio, quando
uscì dalla clinica dopo aver ritrovato Andrea, tre anni fa.
Andò da lui con le foto che il detective che aveva ingaggiato per trovare Andrea gli aveva portato.
Era deciso a scuoterlo, a farlo ragionare con ogni mezzo.
Come poteva rifiutarsi di far donare il midollo del figlio minore al maggiore?
Erano tutti e due figli suoi e lui doveva capirlo una buona volta.
Non gli venne in mente altro che quelle due foto. Avrebbero parlato per lui meglio di qualsiasi parola.
Così fu.
Specialmente
la foto con il primo piano di Andrea, dove gli occhi erano infossati
nelle orbite e la sua pelle quasi grigia sembrava quella di uno
spettro.
O di un ragazzo morente.
E
li asistette al più grande dei miracoli che la sua pur breve ma
movimentata vita gli aveva dato: le lacrime di quell'uomo che sembrava
senza cuore.
Il
suo pianto silenzioso gli aveva fatto capire che anche lui aveva dei
fantasmi dentro e che forse, quelle foto, li avevano allontanati.
Dietro il primo piano c'era l'indirizzo della clinica e il numero di telefono.
Due giorni dopo quello che si era riscoperto un padre era nella clinica con Stefano, il fratello di Andrea.
Ogni
cosa era andata al suo posto e mentre la voce del suo ragazzo
continuava, emozionata, a raccontare, Marco guardò fuori dalla finestra
il temporale che stava infuriando sentendosi proprio come quella
tempesta: forte, alto, imponente.
E fiero.
Fiero di essere un uomo.
Un uomo perdutamente innamorato e ricambiato.
E qui Andrea aveva perfettamente ragione: questo era davvero il loro miracolo.
FINE
Dedicata a tutti gli Andrea del mondo, affinché possano lottare sempre, senza arrendersi mai.