BUONI O CATTIVI

CAPITOLO I:
OTTIMI INCONTRI, PESSIME CIRCOSTANZE

/ A pain that i’m used to - Depeche Mode/
Chiunque fosse stato pratico di quella casa, avrebbe saputo che suonare il campanello sarebbe stato come giocare al lotto.
Non sempre chi ci viveva dentro lo sentiva, dipendeva se gli inquilini erano nel seminterrato oppure ai piani superiori.
Ma lui non era certamente pratico né di quella casa né di quella città.
Era venuto a Washington solo una volta per lavorare ad un caso congiunto, quella era la sua seconda volta e non era certo per piacere.
Sperando solo che a quell’ora indegna gli aprissero, suonò il campanello cercando di reggersi in piedi nonostante traballasse paurosamente.
Si teneva la spalla con la mano ormai tutta spora di sangue, lo stesso che macchiava anche la maglietta attillata e scendeva giù per il braccio, gocciolando a terra.
Ormai quello era insensibile e non lo muoveva, anche solo l’atto del respirare gli provocava delle fitte acute nella zona ferita.
- Dai, dannazione… - Ringhiò a denti stretti fissando torvo la porta. Dopo un paio di secondi ella si schiuse rivelando sull’uscio uno dei visi a lui noto. Provò un moto di sollievo istintivo, quindi senza notare la sua espressione che da sorridente impallidiva di botto nel guardarlo in quelle condizioni, l’udì pronunciare il suo nome sbigottito:
- Don Eppes…?! - Come se avesse davanti un fantasma, o peggio uno zombie!
Il fatto che si ricordasse di lui lo rincuorò anche se al momento non gli venne proprio in mente il suo nome… del resto aveva altre cose per la testa, come ad esempio rimanere saldo in sé prima di… bè, tutto sommato non ci riuscì lo stesso.
Mormorando uno strascicato: - Aiutami… - gli rovinò addosso a peso morto.
Si sentì reggere con prontezza dalle sue braccia e con forza venire trascinato all’interno.
- GIBBS! - Gridò allora l’uomo che l’aveva preso prima ch’egli svenisse. Lo trascinò con fatica verso il salotto quindi lo sistemò alla meglio sul divano.
Don Eppes, l’agente dell’FBI di Los Angeles, era in uno stato a dir poco pietoso!
Quando il suo compagno arrivò chiedendo cosa fosse successo, si fermò immediatamente davanti a quella visione raccapricciante.
- Cosa diavolo… ? - Disse sconcertato.
Don stava lì steso con una grave ferita da arma da fuoco sulla spalla sinistra, il sangue che gli ricopriva tutto il braccio, le mani e tre quarti di maglietta. Come se non bastasse anche il viso aveva alcuni lividi indice di un brutto pestaggio. L’occhio gonfio, labbro e sopracciglio spaccati. Era pallido e sudato, si vedeva quanto male stesse, doveva aver perso molto sangue.
Si chinò subito su di lui chiamandolo a gran voce, non ottenendo risposta capì che doveva aver perso completamente i sensi, quindi spostandolo appena per cercare di vedere l’entità del danno alla spalla, sporcandosi a sua volta, costatò con preoccupazione che la situazione non era da sottovalutare.
- Chiama subito Ducky, digli di precipitarsi qua col suo kit da medico! - Ringhiò pratico a Tony lì in piedi perplesso.
- Non sarebbe meglio l’ambulanza? -
- Se è venuto da noi piuttosto che in un Pronto Soccorso penso che un motivo ce l’abbia! È venuto da Los Angeles! - Non era molto in vena di spiegazioni e risultò piuttosto brusco, ma essendoci lui abituato non ci fece caso e borbottando un ‘giusto’, prese il cellulare per chiamare Ducky.
Gibbs prese allora le forbici e tagliò l’indumento togliendoglielo e lasciandolo a torso nudo. Sul ventre contratto c’erano alcuni altri lividi, segni di lotta che grazie al suo fisico atletico e forte non avrebbero dovuto dare gravi ripercussioni.
Teso e concentrato premette con un canovaccio sulla ferita che ora si vedeva bene, cercando anche di ripulirlo un po’.
Se l’era vista davvero brutta ma lo impensieriva il fatto che da laggiù fosse venuto fin lì per cercare il suo aiuto.
E il suo ragazzo? E suo fratello? Che fosse successo qualcosa a tutti loro?
Il pensiero che potesse essere così lo incupì. Doveva essere stato qualcosa di davvero brutto, Don era un agente in gamba e pronto, sopraffarlo a quel modo non era facile.
- Cosa pensi che gli sia successo? - Chiese altrettanto preoccupato Tony chino sopra di loro ad osservare tutto quel sangue con una smorfia.
- E come faccio a saperlo? - Rispose seccato Gibbs non sapendo che pesci prendere.
- Qualcosa di tosto a giudicare da come è ridotto… - Ma l’ovvietà era il suo forte, a volte. Sentendo il silenzio in risposta, proseguì: - Dovrei chiamare Colby… - Lui e Colby, il ragazzo di Don, erano rimasti in contatto visto il feeling che si era instaurato quando si erano incontrati, mentre con Morgan era addirittura uscito un paio di volte per le solite serate fra amici!
- No! - Sbottò brusco il suo compagno senza spostare lo sguardo.
- Ma dovrebbe sapere che è qua e… -
- Ho detto no! Se è venuto da noi da solo un motivo ci deve essere! Finché non si sveglia non faremo niente se non salvargli la vita! - E questa non era un’opinione ma un ordine. Sapeva come funzionavano certe cose, Gibbs ne era quasi un esperto. Don stava scappando da qualcosa di pericoloso che stava nella sua città, era ovvio che fosse inseguito ma non sapere da chi gli poteva solo far pensare che erano tutti coinvolti.
- Tutto questo mi ricorda un film, Shooter. Mark Wahlberg dopo essere stato incastrato scappa inseguito dalle forze dell‘ordine e si rifugia ferito da Kate Mara, la donna di turno, che naturalmente lo aiuta. - Questa sua intuizione fece quasi prendere un colpo a Gibbs che alzò lo sguardo perplesso. - Non volevo essere inopportuno… - Si scusò Tony a quello sguardo micidiale, eppure si rese conto in un secondo momento che non era di rimprovero, bensì di sorpresa, quasi sconvolto in un certo senso.
Era esattamente quello che gli aveva fatto pensare Don capitato lì in quelle condizioni, da solo.
Doveva essere successo qualcosa di simile, ma non osò esprimersi quindi tornò sull’amico ansimante e sudato che se la vedeva decisamente male.
Il nervoso si fece strada, quella sensazione era ormai familiare.
Stava per succedere qualcosa di grosso.
Ducky ci mise poco ad arrivare e quando Tony lo fece entrare gli chiese se si ricordasse di Don Eppes con cui avevano collaborato un paio di mesi prima.
- Certo, non dimentico mai una persona così simile al nostro Jethro… - Rispose pacato.
- Bene, perché è a lui che devi salvare la vita! - Questa frase lo preoccupò all‘istante quindi vedendo il corpo steso nel divano con la spalla ed il braccio insanguinati, come anche le mani di Gibbs che premevano cercando di bloccare un po’ l’emorragia, impallidì esclamando:
- Oh buon Dio! Cosa è successo? - Gibbs si voltò di scatto, quindi teso e burbero più che mai, ringhiò:
- Bella domanda! -
- Gli hanno sparato. Ci è capitato qua poco fa in questo stato chiedendo il nostro aiuto, non sappiamo altro! - Sarebbe stato superfluo dire di curare la sua ferita...
Ducky ci impiegò esattamente un nano secondo ad ingranare la notizia, nel giro di un istante il suo spirito di medico fu pronto per agire e ragionando con freddezza e professionalità, si inginocchiò davanti a Don sofferente, quindi scostò le mani di Gibbs e dicendo di fargli spazio guardò serio la spalla insanguinata.
- Ferita da arma da fuoco. La pallottola è ancora dentro, gli hanno sparato da lontano. - Con un solo colpo d’occhio si fece subito un idea di quel che era accaduto ma non certo del motivo. - Tony, per favore, portami una bacinella con dell’acqua calda e degli asciugamani. - Disse all’uomo più giovane che osservava ansioso la scena, questi corse subito mentre il medico aprì la valigetta, si infilò i guanti bianchi in lattice e prese gli accessori del caso iniziando a fare il suo dovere.
Quando la ferita fu ripulita si rivelò un buco di limitate dimensioni:
- E’ un piccolo calibro, se si salva sarà grazie a questo. Una pallottola più grande e potente sarebbe andata più in profondità lesionando parti essenziali. Però ha perso troppo sangue, non so davvero come possa essere arrivato fin qua da Los Angeles in queste condizioni! - Naturalmente Don aveva cercato di fermare l’emorragia da solo come aveva potuto, una cosa temporanea, ma non era riuscito a fare un gran lavoro ed alla fine si era comunque ridotto male.
- I ‘se’ non sono contemplati, Ducky! - Borbottò rigido Gibbs. - Salvalo e basta! - Concluse rabbioso cominciando ad andare nervoso su e giù per la stanza.
- Certo, certo, Jethro, ma se smettessi di fare l’anima in pena potrei concentrarmi meglio nel mio lavoro! Sarei più efficace! - L’istinto di Gibbs fu quello di prendere lui a scappellotti per quanto parlava in una situazione simile, ma Tony comprendendo al volo la sua intenzione lo precedette:
- Ducky, ti prego… Don! - Il medico patologo si limitò a sospirare serrando strette le labbra. La pazienza non era il forte di nessuno dei due al contrario di lui che doveva esserne pieno, visto il lavoro che faceva.
Passarono dei minuti interminabili e nessuno seppe dire quanto l’uomo più anziano ci impiegò a fare tutta l’operazione. Quando estrasse la pallottola la consegnò ad un atterrito Tony che fungeva anche da assistente improvvisato; in realtà si limitava ad eseguire le richieste del medico che non erano poi troppo complicate, salvo alcune cose che gli avevano tirato fuori una smorfia inorridita.
Gibbs del resto era troppo nervoso per farlo.
- Non è stato lesionato nulla di importante, nessun nervo o arteria. Ho ricucito tutto, dovrebbe riprendere la funzione completa del braccio in poco tempo, ma dovrà stare il più fermo possibile all’inizio. Deve prendere queste… - disse porgendo a Tony delle pastiglie: - per l’infiammazione e la febbre. Certo delle flebo in ospedale sarebbero meglio, più mirate ed efficaci, ma se insistete nel curarlo qua, ed ignoro l’assurdo motivo, queste dovrebbero bastare lo stesso. - Così dicendo Ducky si occupò del viso e degli altri lividi. Lo ripulì del tutto per bene sporcando diversi asciugamani, gli praticò altri due punti al sopracciglio tagliato e li coprì con l’apposita medicazione.
Al termine di tutto si alzò piano lamentandosi dell’indolenzimento e dei dolori per la posizione scomoda assunta a lungo, quindi lasciando a Tony il compito di mettere in ordine il resto e prendere delle coperte, Ducky si voltò severo verso Gibbs. Dopo averlo guardato un po’ come un padre fa col figlio che ne ha combinata una, disse:
- Mi vuoi spiegare perché non l’hai portato in ospedale, dove doveva stare? Hai chiamato qualcuno dei suoi che possa spiegarti cosa sia accaduto? Non è una situazione normale, questa! - anche lui spesso era il re dell’ovvio e all’altro la cosa dava molto fastidio.
Capiva che Ducky era un medico e da esterno fosse semplicemente preoccupato per una persona che stava male, ma lui ragionava anche da agente, oltre che da amico. Sapeva perfettamente che l’ospedale ed i suoi colleghi sarebbero stati più utili, ma era anche vero che finché Don non si sarebbe svegliato non poteva calpestare la sua decisione di venire lì da solo.
Seccato e accigliato ricambiò malamente lo sguardo e altrettanto malamente, nonostante si trattasse di un suo amico di vecchia data di cui aveva sempre molto rispetto, rispose:
- Non ho chiamato nessuno perché ho dedotto che se è venuto qua, i ‘suoi’ non potessero aiutarlo! E per lo stesso motivo non ho chiamato un ambulanza! Se voleva aiuto da quella gente sarebbe andato da loro, non da me! - del resto lui ragionava così.
Sia Ducky che Tony capirono che quello sarebbe stato il modo di agire di Gibbs nel caso si fosse trovato in una situazione come quella di Don, qualunque essa fosse.
L’amico sospirò paziente capendo che dopo tutto lui aiutava così chi stimava, quindi senza pretendere che cambiasse, decise di lasciarlo fare.
- Non voglio coinvolgerti in questa storia, Ducky. Ti ringrazio del tuo prezioso aiuto, ma qualunque cosa verrà fuori quando si sveglierà non voglio che tu ci entri in alcun modo, così non sarai costretto a mentire. - La risposta più calma e decisa di Gibbs non lo sorprese più di tanto.
- E se mi chiedono se l’ho visto? - La sua espressione in quel momento fu strana, Gibbs con la medesima sul proprio viso l’accompagnò alla porta, quindi rispose con una certa tranquillità sospetta:
- Dì la verità! -
Il medico si fermò sull’uscio aperto, lo guardò serio, poi fece:
- Era proprio quello che intendevo fare. Don Eppes l’ho visto, è ovvio. Mesi fa! - A questa risposta entrambi ebbero un guizzo sui loro volti che sorrisero appena di gratitudine uno e di comprensione l’altro.
Si conoscevano troppo bene.
- Tornerò domani a vedere come sta il paziente. -
Detto ciò Ducky si voltò e se ne andò nella notte, in silenzio e discreto.
Tornato dentro trovò Tony che copriva Don con una coperta, i suoi fremiti indicavano chiaramente che aveva freddo a causa della febbre, tutto quel sangue non gli aveva fatto bene e non ci voleva un medico per sapere che avrebbe dovuto assumere del ferro e del potassio.
Si appoggiò al mobile lì accanto continuando ad osservare la scena corrucciato, si poteva vedere dietro quella fronte aggrottata la sua preoccupazione e tutte le domande che vorticavano nella mente.
Cosa era successo ad Eppes?
Lui così competente e valido come agente venire addirittura a Washington in quelle condizioni…
Suo fratello Charlie ed il suo uomo, Colby, erano persone altrettanto in gamba, avrebbero potuto aiutarlo.
“A meno che…”
L’illuminazione dell’ultimo momento fu espressa a voce alta dal suo compagno, seduto sul bracciolo del divano, ai piedi del loro amico addormentato con ancora una brutta cera.
- Credo che li stia proteggendo. - Gibbs lo guardò non più di tanto sorpreso. Ultimamente aveva preso la mania di completare a voce alta i suoi pensieri! A volte era utile ma altre snervante… si sentiva come uno che non poteva avere segreti, non per lui per lo meno.
Mise da parte questo piccolo sentimento di stizza e rispose pensieroso:
- Potrebbe… - Tony allora continuò ancora una volta anche per lui.
- Suo fratello e Colby non sono sprovveduti, avrebbero potuto aiutarlo di sicuro, se non gli ha chiesto aiuto o è successo qualcosa anche a loro oppure è messo in una situazione così critica che doveva proteggerli allontanandosi da loro. - Queste ipotesi furono esattamente le sue e Gibbs non aggiunse altro in merito, continuando a guardare Don assorto.
- Lo sapremo quando si sveglierà… -
Fu in quello che il campanello suonò e solo allora Tony, battendosi una mano sulla fronte, si ricordò di qualcosa che non avrebbe dovuto dimenticare:
- Dannazione, è vero… avevo dato appuntamento a Derek e Spencer! Anzi, dovevo pure chiederti se ti andava di uscire a bere qualcosa… - Era venerdì e se il sabato non erano di turno, capitava che uscissero anche quella sera della settimana. Ultimamente si vedeva sempre di più coi loro due nuovi amici.
Gibbs, dal canto suo, aveva avuto modo di parlare ancora con Hotchner ma nulla di troppo espansivo e loquace, naturalmente. Ziva al momento continuava a stargli dietro come un mastino, tipico suo, ma senza grossi risultati. Aveva avuto la sensazione che quell’uomo tutto d’un pezzo avesse delle mire super segrete su qualcun altro.
- E te ne ricordi solo ora? - Ringhiò spazientito Gibbs guardando l’ora.
- Hanno fatto tardi… gli avevo detto di passare alle 21.30, ora sono le 22.15! - Borbottò Tony ignorando le lamentele del suo uomo. - Deve essere stata colpa di Derek! - Avrebbe anche ridacchiato se non fosse stato teso. Rimase serio andando ad aprire.
- Mandali via! - Sbottò ancora Gibbs sedendosi a braccia conserte e aria cupa nella poltrona vicino al divano.
- Sono persone fidate, anzi… essendo anche loro dell’FBI magari possono aiutarci! - Osservazione corretta!
L’altro alzò subito gli occhi chiari e rimase a guardare la schiena del suo compagno mentre apriva la porta d’ingresso. Aveva una certa vaga speranza nello sguardo. Magari sapevano davvero qualcosa…
- Ehi, ragazzi! Alla faccia delle 21.30! - Li salutò sorridente Tony. Nonostante quello si sentiva chiaramente, persino senza vederlo in viso, che lo scanzonato uomo non era davvero contento e rilassato come voleva sembrare.
- Scusa, è stata… - Iniziò la voce bassa e sensuale di Derek. Fu interrotto da Spencer la cui voce, invece, era più acuta e frettolosa:
- Colpa sua! Io ero pronto all’ora esatta, ma lui… - Le parole gli morirono in gola quando non si sentì prendere in giro da Tony come normalmente faceva, anzi, notò al volo quella ruga che solcava la sua fronte. Qualcosa lo preoccupava e non ci voleva un profiler per capirlo, tuttavia loro lo erano ed anche bravi, quindi misero al volo da parte i convenevoli e diventando seri chiesero subito:
- Che è successo? -
Tony allora sospirò e tornò definitivamente teso come prima, quindi disse cercando di prepararli:
- Mi spiace anche a me, la nostra serata è saltata… ci è capitato proprio fra capo e collo una sorpresa inaspettata! - Ma capirono subito che non si trattava di qualcosa di positivo. L’osservarono con attenzione senza mettergli fretta, quindi lui continuò mettendo da parte ogni sarcasmo per alleggerire la situazione pesante: - Vi ricordate di Don Eppes, vero? - La domanda era retorica. Senza aspettare risposta si scostò per farli entrare. Mossero titubanti appena pochi passi nella casa, quindi lo videro quasi subito.
Gibbs seduto nella poltrona col nervoso alle stelle e steso nel divano vicino l’agente dell’FBI di Los Angeles a loro noto.
Il tempo fu come se per un momento si fermasse, trattennero i respiri e fissarono esterrefatti ed increduli quel corpo coperto, evidentemente sofferente, di cui si vedeva una spalla fasciata e sotto di lui i cuscini macchiati di sangue. Il volto dai lineamenti decisi e tenebrosi di natura era contratto in smorfie nel sonno, si sforzava di riprendersi ma tutto quel che poteva fare era tremare e rimanere preda di chissà quali incubi.
Non lo conoscevano bene nonostante avessero lavorato insieme, ma si erano fatti un idea precisa di lui, così come di tutti gli altri con cui avevano lavorato per quel caso. Sopraffarlo e ridurlo a quel modo non era di certo facile.
- Ma cosa gli è successo? - Chiese incredulo Morgan avvicinandosi cauto.
- Speravamo poteste dircelo voi! Ci è capitato qua prima con una pallottola sulla spalla, ci ha chiesto aiuto ed è svenuto. Non sappiamo altro! -
- Chi lo ha curato? - Chiese Reid chino anche lui sull’uomo. Il giovane nonostante stesse bene gareggiava perfettamente col pallore di quello che stava male, ma era del tutto normale per lui.
- Ducky, il nostro medico patologo… lo ricordate? - A tenere su la conversazione era Tony dal momento che Gibbs di norma non era in vena ed ora men che meno!
- Come no, il vostro profiler! - Si illuminò il ragazzo dai biondi capelli che arrivavano alle spalle ondulandosi un po’.
- Il proiettile ha fatto danni? - Chiese Morgan con aria preoccupata.
- No, a quanto pare no, era di un piccolo calibro (non chiedetemi quale che non ne ho idea! NdAkane) ed è rimasta in superficie senza lesionare nulla di importante. Però aveva perso molto sangue… - A quelle parole la domanda di Reid sorse più che spontanea:
- Cosa lo ha spinto a venire fin qua in quelle condizioni, da solo? - Ma Morgan parve averne un’altra altrettanto interessante, che pose spostando i suoi penetranti occhi scuri su quelli azzurro chiaro di Tony lì accanto:
- Soprattutto con cosa è venuto fin qua? - Tony e Gibbs si guardarono rendendosi conto che quel particolare non se lo erano domandato nel caos che li aveva preceduti, ma fu il biondino a rispondere con aria professionale e quasi sbrigativa senza alzare lo sguardo:
- Fuori c’è un auto rubata. -
Tutti e tre gli uomini lo fissarono come avesse detto una bestemmia, quindi in coro chiesero sbigottiti e bruschi:
- Dove?! -
L’avrebbero notata se ci fosse stata…
Reid allora si alzò dallo scrutare Don e guardandoli con aria semplice e logica, rispose sminuendo le sue informazioni, come erano nei suoi modi.
- Oh, era nascosta, non l’ha lasciata in bella mostra sul vostro vialetto. Però l’ho notata. Non ci ho dato molto peso ma sapevo che non poteva essere vostra. Ora vedendolo qua deduco che non è nemmeno sua perché non risponde al suo stile. Ergo, è rubata. Classica auto facile da prendere in qualunque momento, che passa inosservata. - La spiegazione professionale terminò e gli altri tre ebbero la sensazione di essere stati giocati da quello scricciolo di ragazzo a cui non sembrava ci fosse niente di strano e allarmante nel fatto che Don avesse rubato una macchina!
Dopo aver controllato dalla finestra, Gibbs prese in mano la situazione burbero e sicuro, cominciando a spartire ordini come fosse il capo anche degli altri due profiler:
- Tony, va con Morgan a controllare l’auto, vedete se trovate qualcosa di utile che ci faccia capire cosa diavolo sia successo. Portala nel nostro garage. - Oltre al seminterrato, la casa era naturalmente provvista di un grande giardino e di un garage chiuso. - Tu! - Sbottò sempre più brusco in direzione di Reid che sussultò intimidito e contrariato al tempo stesso.
Gli altri erano ‘Tony’ e ‘Morgan’, lui era ‘tu’! “Mi sa che non gli piaccio molto…” Pensò al volo rassegnato.
- Si? - Chiese suo malgrado con diligenza mentre gli altri due ragazzi prestanti uscivano svelti con due torce elettriche.
- Sei dell’FBI, vedi se riesci a sapere qualcosa con discrezione su cosa sia successo nella sede di Los Angeles. - richiesta ovvia a cui avrebbe dovuto pensarci lui stesso.
Annuendo ancora si defilò con un certo sollievo per non dover rimanere solo con ‘quell’uomo terribilmente Alfa’ che lo metteva in soggezione, prese il cellulare e chiamò subito Garcia per chiederle uno dei suoi miracoli informatici.
Rimasto solo con Don, Gibbs si sedette di nuovo nella poltrona larga di poco prima. Da lì lo vedeva bene e lo fissò allarmato con la fronte sempre più aggrottata, forse qualche risposta la stava per ricevere ma non era certo delle conseguenze delle stesse. Quanto lieto sarebbe stato di averle?
La sua sensazione era sempre più pessima!

Quando i primi due tornarono l’uomo più grande si rialzò puntando le mani ai fianchi in segno imperativo, allora li guardò torvo e senza dover parlare, gli altri cominciarono pratici:
- Abbiamo messo l’auto in garage e l’abbiamo controllata. Non c’è niente a parte il sangue ed il libretto di circolazione con i documenti del proprietario. Naturalmente non è lui! - Mentre Tony spiegava questo, il giovane dalla pelle scura ed i capelli neri rasati si chinava su Don infilando con delicatezza le mani nella cintola dei jeans, prese subito il distintivo che vi era infilato poi percorse la vita, sfilò la pistola e il cellulare appesi negli appositi spazi sulla cintura e dopo di questo, cercando di essere il più discreto possibile, arrivò alla schiena, da lì spostò le dita più sotto, sul fondoschiena, nelle tasche posteriori, e con agilità gli tolse anche il portafogli coi documenti. Probabilmente se Reid l’avesse visto avrebbe anche potuto avere un comprensibile moto di gelosia per quei suoi tocchi di norma troppo arditi, ma Morgan non ci pensò e continuò l’azione con sicurezza e professionalità consegnando tutto a Tony. Andò allora sui piedi, gli alzò la gamba dei pantaloni e prese infine la pistola di riserva che tutti gli agenti tenevano nascosta.
In contemporanea al compagno, aprì l’arma e controllò i colpi, infine disse evidenziando la gravità della situazione:
- E’ del tutto scarica, ha sparato di recente. -
- Anche questa. - Fece eco l’altro altrettanto impensierito. Questo significava che si era trovato in una sparatoria davvero brutta e pericolosa dove aveva dovuto difendersi da molte persone che gli avevano sparato contro.
- Ma ha ancora tutti i suoi documenti. - Fece di rimando il moro cercando qualche nota positiva: - C’è speranza che non sia stato arrestato. -
Eppure man mano che andavano avanti nello scoprire le cose, la situazione diventava sempre più ben delineata e se da un lato potevano esserne contenti, dall’altro cominciavano a capire quanto grave fosse comunque quello che era accaduto.
- Non ho buone notizie, ragazzi. - Soggiunse Reid più serio e mortificato che mai, come se ambasciator portasse anche pena poiché colpevole, cosa errata. Gli altri lo guardarono e pendendo dalle sue labbra sottili e ben disegnate lo videro prendere un respiro profondo e continuare dispiaciuto:
- Garcia ha detto che è stato inoltrato un mandato d’arresto in tutta Los Angeles e nelle altre sedi dell’FBI solo ed esclusivamente per Don Eppes! -
Questa notizia fu talmente grave da tagliar loro qualunque vaga traccia di speranza. Era peggio di quel che avessero pensato e non potevano ignorare l’intuizione crescente che potesse addirittura essere brutta di così!
Si trovarono senza fiato a fissare shockati Don davanti a loro. Per un attimo il tempo si fermò di nuovo e l’aria divenne rarefatta. La sensazione comune che ebbero fu quella di avere lì un alieno e non un loro conoscente che ritenevano fidato.
Per quell’istante nessuno pensò, ogni cosa si fermò e nessuno osò proferire parola o considerazione. Se non infine, dopo una lunghissima e pesante pausa, Tony che come parlasse con un condannato a morte, disse:
- Ora siamo decisamente in Shooter! - Questa frase cadde fra loro rimanendo sospesa a lungo. Nessuno l’udì o la comprese a fondo se non Gibbs che prima l’aveva sentito spiegarlo. In quel momento aveva pensato fosse il solito inopportuno, poi però aveva solo sperato che non avesse ragione.
Ora compresero tutti e due quanto l’istinto di Tony fosse sviluppato.
E lì, proprio in quell’istante di sbigottimento e gelo, tutti videro chiaramente le palpebre di Don stringersi ed il viso contrarsi in una smorfia, dopo un paio di tentativi finalmente aprì gli occhi. Le sue iridi castane velate misero lentamente a fuoco il mondo circostante e con l’attenzione di tutti su di sé, egli si risvegliò.