CAPITOLO XII:
L’ULTIMA CARTA

“in ogni perdita
in ogni bugia
in ogni verità che neghi
e ogni rammarico
e ogni addio
era un errore troppo grande da nascondere
e la tua voce è tutto ciò che ho sentito
e diceva che ottengo solo ciò che merito “

/New Divide - Linkin Park/
- Tu dovevi per forza provarci con quella! - Borbottò seccato Gibbs mentre avanzava per l’ennesimo quartiere malfamato della grande città. La ricerca dei criminali compromettenti era ancora in atto e ne avevano appena conclusa un’altra.
- Non ci ho provato io… è stata lei! - Puntualizzò Tony alzando gli occhi al cielo. Gli piaceva quando il suo compagno faceva il geloso, ma in quegli ultimi giorni non aveva fatto altro e la cosa cominciava a diventare davvero stancante anche per lui che aveva un ego innaturale.
- Tu ci sei stato! - Replicò sempre più piccato l’uomo più grande che camminava spedito.
- Solo per tirarla dalla nostra parte! Ho fatto bene, è dei nostri anche lei! -
- Ne facevo a meno! - Non lo pensava davvero, ogni ‘aiuto’ era ben accetto, ma non che andasse a proprio discapito.
- Cosa vuoi fare? Spararmi? - Lo disse sperando che capisse quanto esagerato fosse ma lo sguardo che gli lanciò lo fece vacillare… sembrava stesse seriamente contemplando l’idea di farlo.
Tony rallentò incredulo e proprio in quel momento Gibbs notando qualcosa oltre la sua testa, lo prese e lo buttò giù appena in tempo coprendolo istintivamente col proprio corpo.
- Ma che diav… - Giusto con uno sparo che gli sfiorava i capelli!
Una volta a terra si districarono, estrassero subito le pistole e come di riflesso si misero al riparo dietro il primo cassonetto che trovarono cominciando subito a rispondere al fuoco. Individuati facilmente le posizioni avversarie ingaggiarono in meno di un battito di ciglia una sparatoria veloce ed incalzante.
Non erano messi nella posizione migliore, non avevano munizioni infinite e soprattutto erano in considerevole svantaggio numerico.
- Mi sa che con questi non si può trattare! - Esclamò Tony cambiando il caricatore.
- Tu dici? - Fece ironico Gibbs finendo il proprio e nascondendosi per cambiarlo. Ci fu un istante di pausa durante la quale anche gli altri smisero di sparare, allora si guardarono un secondo, spalla contro spalla, piegati dietro al cassonetto in metallo e capendosi al volo senza bisogno di una sola parola fecero un cenno col capo. Quando le dita di Gibbs arrivarono al tre, uscirono dal nascondiglio di fortuna e sparando in due direzioni diverse per difendersi vicendevolmente, corsero insieme più veloci che mai per raggiungere la loro auto.
Arrivati appena in tempo con un paio di pallottole sfiorate davvero da vicino, entrarono al volo e partirono a razzo procurandosi un paio di colpi anche sulla carrozzeria che non ringraziò.
Fortunatamente l’auto non era loro ma una in prestito…
Quando furono al sicuro poterono rilassarsi e con un sospiro ciascuno, il primo a parlare fu Tony con la sua solita faccia tosta e la lingua troppo lunga:
- Ero convinto che avresti lasciato che mi colpisse! Da come mi avevi guardato solo un secondo prima… - Però questo ebbe il potere di far ridere il compagno che sciolse la tensione proprio grazie a questa sparata. Solo lui ci riusciva nel modo più azzardato possibile, chiunque altro si sarebbe beccato un’altra occhiataccia!
Naturalmente Tony era consapevole che non avrebbe mai permesso a nessuna pallottola estranea di conficcarsi nel proprio corpo, al massimo una sua ma di un terzo individuo no di certo.
Soddisfatto nonostante l’esito disastroso dell’ultimo tentativo di dialogo con un altro criminale, si sistemò contro il sedile caricando l‘arma.
- Sembrava la scena di… - E con questo partì a raccontare uno dei suoi soliti film suggellando così una pace senza bisogno di parole specifiche.


Karl Scottish entrò nella stanza degli interrogatori rigorosamente monitorata dove dall’altra parte del vetro stava Morgan insieme a Mark Harrison, l’altro pezzo grosso dell’FBI che insieme a Karl e a Lucas Ford erano dentro al gran giro di corruzione scoperto per caso da Don.
Questi era seduto dietro al tavolino ma dalla parte riservata normalmente ai criminali, aveva ancora le manette come rappresentasse una minaccia.
Per lui stare lì dietro in quelle condizioni era molto strano, specie considerando la furia che stava trattenendo a stento nel trovarsi davanti il vero criminale.
Conosceva Karl da anni ed aveva sempre creduto che dietro al suo essere così severo e fissato con certe convinzioni, ci fosse comunque una brava persona onesta. Non aveva mai dubitato, nemmeno quando ci aveva dato dentro per cacciarlo dall’FBI usando ogni mezzo, persino Charlie.
Scoprirlo ed ora venire interrogato proprio da lui gli pareva la farsa più grande del mondo, specie considerando la fretta che aveva di trovare Colby.
Ogni istante passato seduto lì dietro era una tortura e una perdita di tempo, pensava al suo compagno di cui ancora non sapeva niente e non poteva che trattenersi dal parlare liberamente e gridargli contro tutto quello che aveva in mente.
Karl si sedette dall’altra parte, dove di solito si posizionava lui per gli interrogatori, e dopo un paio di secondi di sguardi significativi, parlò con una profonda soddisfazione nella voce.
Era convinto di avercela fatta, di avere tutto in pugno.
- Che piacere rivederti dopo tutto questo tempo. - Disse con saccenza ed un tono che diede altamente sui nervi.
- Non posso dire altrettanto. - Rispose con astio Don. Se gli sguardi avessero fulminato, Karl sarebbe ormai un pugnetto di cenere.
- Come stai? Vedo che non te la sei passata molto bene… - Fece ancora sulla stessa linea l’altro indicando la spalla ferita per la quale teneva il braccio appeso al collo.
- Non preoccuparti, non è il braccio che uso per sparare! - Si stava però trattenendo a stento ed era evidente, il nervoso cresceva di secondo in secondo e non sapeva proprio come fare per non scaricargli una valanga di insulti liberatori contro.
- Sai che hai ridotto decisamente male Lucas? - Chiese con l’intenzione di innervosirlo ulteriormente e coglierlo così in fallo.
Don sapeva cosa tentava di fare e lo sforzo per non cadere nella sua trappola e rimanere in sé era notevole, non sapeva per quanto ce l’avrebbe fatta. Voleva sapere di Colby. Voleva solo sapere di Colby.
- Mi sono solo difeso. - Doveva stare assolutamente attento alle parole che usava. Respirava a fondo e con calma marcata ma questo lo innervosiva ancora di più.
Karl fece uno dei suoi sorrisetti da damerino tremendamente fastidiosi, poi sullo stesso tono continuò:
- Curioso modo di definire ciò che hai fatto. Sì perché dai filmati di sorveglianza non sembra affatto che la tua sia stata una difesa. - A quel punto si chiese cosa diavolo ci avessero messo in quei dannati filmati dal momento che non potevano apparire davvero come diceva.
- Da che pulpito viene la predica! - Sbottò allora.
- Come prego? - Chiese alzando un sopracciglio e tendendosi verso di lui, appoggiandosi coi gomiti al tavolo.
- Hai capito bene. - Ripeté Don con un’apparente calma gelida che nascondeva un’ira senza precedenti. Dentro di sé tremava ma esternamente sembrava la persona più fredda del mondo. Si tese a sua volta verso di lui e quando furono faccia a faccia l’uno con l’altro Don assunse un sorrisetto inquietante da brivido, poi con occhi carichi di promesse di morte, disse basso e penetrante facendosi sentire solo da lui a pochi centimetri dal suo viso: - Goditi questi momenti perché presto assaggerai la fine. E non ti piacerà. -
- Mi stai minacciando? - Chiese nascondendo a fatica il disagio e la strizza inevitabile che quelle parole e quello sguardo gli provocarono.
- No. Quello non era niente a confronto. - Don sorrise inquietante e Karl inghiottì a vuoto con una gocciolina di sudore freddo che scendeva per assurdo lungo la spina dorsale. Dannazione, si disse, era lui ad avere il coltello dalla parte del manico, perché lo metteva così a disagio? In realtà non aveva nulla, erano solo stupidi tentativi di spaventarlo. Vero?  - Se a Colby viene torto un solo capello giuro che vi pentirete di non avermi ucciso quel giorno. - Completò laconico e minaccioso, un sussurro, una promessa.
Karl sperò vivamente di aver ragione circa il fatto che Don stesse solo bluffando, ma si chiese cosa sapesse che loro ignoravano.
Perché a quel punto era chiaro che qualcosa sapeva e che se era lì era solo perché un piano l’aveva.
Quando ebbe quel pensiero cominciò a vacillare definitivamente e per assurdo, come se le carte fossero già completamente scoperte, cominciò a pensare alla velocità della luce ad un piano di riserva.
Sapeva che ne avrebbe avuto bisogno, oh se lo sapeva…
Karl allora si alzò rimanendo apparentemente impassibile e scoccandogli un’occhiata strana che non prometteva niente di buono, se ne andò senza dire assolutamente niente.
Una volta tornato da Mark e Morgan disse solo platealmente teso:
- Continua tu, devo controllare una cosa. - Al che Morgan ebbe l’istinto di seguirlo mentre lo vedeva defilarsi, ma consapevole che non era il caso di lasciare Don da solo con nessuno di loro, si trattenne.
L’interrogatorio successivo durò più a lungo ma non portò a niente e proprio quando Morgan cominciava a chiedersi dove diavolo fosse andato l’altro e perché fossero così pochi ad occuparsi di questo piano, dall’ascensore in fondo al piano fecero il loro trionfale ingresso Gibbs e Tony accompagnati da due individui.
Nell’istante in cui li vide Morgan sorrise e nello stesso momento tornò Reid con i risultati delle analisi balistiche che aveva seguito per condurre i tecnici nella direzione voluta.
Dall’espressione particolarmente soddisfatta capì che ce l’aveva fatta e con una cartellina piena di dati inconfutabili in mano si scambiarono un’occhiata complice, poi una volta giunti anche i nuovi arrivati si fecero un cenno eloquente per cominciare con la fase successiva.
Allora Morgan e Reid entrarono mentre un Gibbs silenzioso ed un Tony immancabilmente chiacchierone si piazzavano nella saletta dei monitor per assistere al resto tenendo d’occhio i due ospiti.
Dal video lo spettacolo cominciò.
Morgan e Reid entrarono nella stanza degli interrogatori e vedendoli Don capì che ce la dovevano aver fatta, così si raddrizzò trionfante pronto ad entrare finalmente in scena anche lui.
Morgan liberò subito l’amico dalle manette e come lo vide, Mark Harrison, il capo di Don, saltò immediatamente su incredulo e confuso:
- Che diavolo fate? - Fece per alzarsi ma Morgan lo schiacciò bruscamente giù.
- Stia comodo, abbiamo un paio di prove da condividere. - Il tono era deciso e accusatore già di partenza, si capiva che aveva tutto in mano e che stava per calare la mannaia.
Harrison non era un’idiota, visto dove era arrivato. Capì subito che qualcosa non andava e soprattutto che Scottish doveva averlo compreso ancora prima di lui.
- Allora… gli esami balistici del proiettile estratto dalla spalla dell’agente Eppes indicano che non proviene da una pistola di servizio bensì da una registrata a titolo personale a nome di Karl Scottish. - Harrison ancora non capiva se doveva cominciare a sudare oppure no. Rimase sulla difensiva ma non emise un suono, teso ed in attesa. Allora Morgan continuò sicuro come non avesse mai fatto altro in vita sua: - Nella ricerca che abbiamo fatto per collegare il proiettile alla pistola e confermare la vostra versione dei fatti, è risultato che la stessa arma è stata usata in un paio di omicidi irrisolti insabbiati e per la maggior parte censurati. Servendoci dei nostri personali tecnici informatici da Washington DC siamo riusciti a risalire ai dettagli dei casi. - A quello Reid cominciò a snocciolare per filo e per segno i particolari dei vari casi in questione, tutti a che fare con affari loschi che collocavano chiaramente il proprietario dell’arma in ambienti poco puliti ed in posti dove non avrebbe mai dovuto essere.
- Sono prove circostanziali, non provano nulla senza altre prove schiaccianti e testimonianze. E poi io non sono Scottish! - Esordì altero Harrison facendo la voce grossa per intimidirli. Morgan chiuse la cartellina e la sbatté con forza sul tavolo per zittirlo, poi disse con una certa gioia nella voce:
- Si dà il caso che i testimoni li abbiamo. Uno lo vedi davanti a te e se ancora non ti basta perché sostieni che sia stato lui a spararti per primo senza giustificato motivo e che non sia quindi attendibile, permettimi di presentarti delle persone. - Con quello Gibbs entrò con passo deciso e spedito, aveva un’espressione cupa e severa ma non paragonabile a quella di Don che di secondo in secondo pareva sempre più un’animale feroce in gabbia, anche se ora era praticamente libero. - Lui è Leroy Jethro Gibbs, agente federale dell’NCIS di Washington DC. La persona che ha accolto Eppes prima di venire a conoscenza dei fatto svoltisi qua e quindi del mandato d’arresto. Ha prestato i primi soccorsi e gli ha praticamente salvato la vita cominciando come di rito le prime indagini preliminari sul proiettile. Venuto in quel modo a conoscenza di alcuni eventi poco chiari ha voluto accompagnarci qua come supporto. -
Dopo di che Gibbs proseguì mettendosi dietro Harrison e poggiate le mani sulle sue spalle strinse la presa con forza, si piegò, poi parlando piano al suo orecchio con fare inquietante, sussurrò:
- Mi sono per caso imbattuto in un paio di informatori che sanno qualcosa di voi tre, Scottish, Ford ed Harrison. Vuole conoscerli? - Chiese infine con un pizzico di ironia agghiacciante.
L’uomo si sistemò sulla sedia come se improvvisamente si fosse fatta bollente e senza attendere risposta Gibbs con un cenno fece entrare Tony con gli altri due testimoni chiave.
Erano Shade Sheist, il criminale con cui avevano avuto a che fare per primo, e Faith Evans, una bellissima donna sulla trentina che portava con sé argomenti notevoli.
- Che bella riunione di famiglia! Peccato che all’appello manchi qualcuno… - Disse Tony notando subito l’assenza di Scottish che avrebbe dovuto essere lì insieme all’altro che ora si vedeva un ergastolo a vita nel proprio futuro.
Come li vide parve venir trapassato da diecimila proiettili, non aveva idea di come avessero fatto a trovarli e soprattutto a convincerli a parlare, ma ora che c’erano erano dannatamente finiti ed altro modo di vederla proprio non c’era.
Tutti avevano notato l’assenza del terzo ‘papero’ ma prima dovevano esporre ufficialmente l’accusa presentando ogni questione schiacciante.
- Loro sono dei testimoni circa alcuni affari di cui sostengono vi siete occupati. - Spiegò Gibbs breve e conciso con una calma che celava una profonda impazienza, lo si poteva notare dal fatto che evitava di andare nei dettagli. Dovevano solo registrare in modo ufficiale le loro testimonianze per poter fare l’accusa. - Allora, confermate? - Fece poi rivolto ai due ospiti che avrebbero comunque preferito trovarsi da altre parti. - Lui è uno di quelli che avete visto fare affari criminosi? - Il patto era di non mettersi vicendevolmente su un piatto d’argento, ovvero collaborare aiutandosi, quindi doveva usare certe parole invece che altre, ma essendo che stavano cercando di ottenere la giustizia con metodi non molto legali, questo era quanto di meglio ottenuto.
- Sì. - Fece allora la donna sedendosi sul tavolino proprio in modo da guardare Harrison in viso che inghiottì a vuoto. Accavallò le lunghe gambe scoperte e sorrise come una gatta: - E’ lui uno dei tre che ho visto fare affari del terzo tipo con organizzazioni del terzo tipo. - Il modo di parlare fantasioso denotava che era una persona particolare o non si sarebbe mai prestata ad un’operazione così pericolosa.
L’uomo, Shade Sheist, si intromise a sua volta dandole man forte con fare molto più contenuto e freddo:
- Confermo. È stato cliente e lo è tutt’ora del nostro commercio, di cui io sono solo un semplice contabile. - Naturalmente non poteva dire che lui in realtà era il capo, in quel modo, apparendo per l’ultima ruota del carro che si limitava ad eseguire degli ordini di cui non sapeva il fine ultimo, se la sarebbe cavata con poco.
Morgan chiese nei dettagli di quali affari si trattasse e loro spiegarono i commerci illegali nei quali avevano le mani in pasta le organizzazioni in questione, ma soprattutto degli omicidi su commissione. Confessarono anche di aver assistito a delle trattative andate male dove i soggetti accusati avevano attuato delle minacce senza scrupoli arrivando ad uccidere membri dei loro gruppi.
Dopo aver riconosciuto in foto gli altri due membri mancanti, Scottish e Ford, Gibbs fece uscire Tony con i due individui affinché si occupasse di loro come da accordo.
Rimasti in cinque nella stanza, Don si alzò e cominciò nervoso e infuriato a spiegare la propria versione dei fatti che finalmente poteva dire.
Fu registrata e ufficializzata ogni parola e Reid stesso confermò, dopo aver visionato i nastri di sorveglianza davanti a loro, che le parti iniziali erano state tagliate, quelle dove si vedeva che ad iniziare la sparatoria erano stati i tre capi e non Don che invece si era solo difeso.
- Come diavolo avete trovato quelle parti iniziali? Erano state cancellate! - Chiese fuori di sé battendo i pugni sul tavolo, ormai era completamente senza controllo e non ragionava più vedendosi in prigione.
- Le nostre informatiche sono state in grado di recuperare tutto dal momento che nessuna traccia viene davvero cancellata. Basta saper dove guardare. - Rispose con saccenza Reid lieto di aver dato quella risposta, specie per ciò che significava la domanda che gli era stata fatta. Infatti il suo compagno non se la perse.
- E con questa bella domanda tu hai appena confessato e confermato tutto quello che è appena stato detto. - Concluse Morgan con un sorrisetto ironico e soddisfatto.
Harrison si rese conto troppo tardi di ciò che aveva fatto, un errore da principianti poiché senza confessione avrebbe avuto più possibilità di cavarsela in qualche modo, con furbizia e dei buoni avvocati. I nastri di sorveglianza dopotutto mostravano solo che loro tre avevano cominciato a sparare per primi a Don ma senza audio non era assolutamente chiara la motivazione e con intelligenza avrebbero potuto tirare fuori qualunque scusa.
Così, alla fine, si era scavato la fossa da solo.
Gibbs e Morgan si scambiarono un’occhiata trionfante ma non ebbero tempo di fare altro che sentirono un tonfo sordo che li fece sobbalzare.
Don sbatté il pugno sul tavolo e preso per il colletto il suo ormai ex capo cominciò a scuoterlo dimostrando che la rabbia trattenuta a stento gli aveva fatto recuperare tutte le forze perse.
- PARLA, ORA! DOVE SONO KARL E COLBY? -
- Non ne ho la minima idea. - Rispose con amarezza.
Don che non aveva proprio più pazienza, spostò la mano dal colletto alla nuca e gli sbatté la testa sul tavolo schiacciandogli il viso con forza fin quasi a soffocarlo.
- PARLA, DANNAZIONE! AVETE CORROTTO ALTRI TRE AGENTI, DOVE SONO? -
Non aveva più la testa di seguire il piano ma ormai era finita e potevano dire di aver vinto, solo che qualcosa mancava effettivamente all’appello e Don non ce la faceva più. Trattenutosi a stento fin troppo a lungo, ora stava esplodendo.
Fu Gibbs a dover intervenire vedendo Harrison sanguinare dal naso per la botta. Prese Don per la vita, stando attento a non toccargli la spalla che di certo stava già male per conto proprio, e lo alzò spingendolo di forza contro il muro, lo tenne premuto per il petto un paio di secondi e quando lo vide respirare con più calma lo lasciò pronto a riafferrarlo se si sarebbe scagliato di nuovo contro l’altro.
- Non dirò una sola parola di più. - Sentenziò Harrison infatti. E Don capì che così sarebbe stato.
Uscì dalla sala sbattendo la porta e mordendosi furiosamente il labbro, ogni muscolo teso e la voglia di spaccare tutto ciò che incrociava sul suo cammino.
Tony lo beccò e capì che qualcosa dovesse essere andato storto ma dedusse che non fosse il caso di seguirlo.
Lo vide sparire altrove e lo lasciò in pace raggiungendo gli altri.
Morgan stava arrestando ufficialmente Harrison e alla sua muta domanda su cosa fosse successo, Reid fu lieto di fornire un quadro completo e dettagliato di tutta la situazione perdendosi come suo solito in particolari tecnici che allungavano un discorso che avrebbe potuto evitare.
Alla fine Gibbs tagliò corto con la sua solita capacità di sintesi fantastica:
- Ha praticamente confessato ma non parla sugli agenti corrotti e non dice dove sia Colby. Inoltre Karl Scottish è sparito. -
- Mando qualcuno in ospedale da Lucas Ford, ma è ancora in condizioni critiche e dubito che si possa far qualcosa con lui. - Disse Morgan cercando di essere pratico mentre consegnava l’ex agente a chi di dovere.
- In sostanza non è ancora finita. - Sentenziò Tony sospirando senza la forza di scherzare o sdrammatizzare.
La situazione stava diventando davvero pesante e non aveva idea di quanto.
Di lì a poco l’avrebbero scoperto.


Quando il telefono che aveva potuto riattivare gli suonò, Don era in bagno a tirare calci alla porta. Non sapeva più dove sbattere la testa e se nemmeno il piano completo gli aveva dato ciò che voleva, ovvero Colby, non sapeva proprio più che fare.
Cosa diavolo aveva in mente Karl?
Proprio mentre si faceva questa domanda e stava ponderando l’idea di chiedere aiuto a Charlie, qualcuno lo chiamò.
Quando rispose brusco e furioso il mondo si sospese e fu come se del ghiaccio tritato scivolasse sulla sua pelle.
- Scusa se ho interrotto il nostro interrogatorio in modo così brusco, Eppes… - La voce bassa e familiare.
- Karl… dove diavolo sei? - Tuonò Don sentendosi bloccato come in una statua di ghiaccio. Le palpitazioni erano impazzite e la spalla gli faceva di nuovo un male indicibile ma era certo che c’entrasse la conversazione anomala che stava avendo.
Si concentrò con espressione grave e fu come se la mente fischiasse impazzita senza fargli sentire niente.
- Se vuoi rivedere Granger e tuo fratello vieni ora, da solo, nella vecchia fabbrica della XXX. -
Ed il rumore in testa ora era praticamente assordante, voleva sbattere violentemente contro il muro per fermarsi e riuscire a pensare, ma in sé andava tutto veloce e non riusciva ad essere freddo come di solito era quando gestiva i casi. I casi dove non erano coinvolte le persone a cui teneva più di tutti.
- Charlie?! Non è vero! - Non ci avrebbe mai creduto, mai… come aveva fatto a… ma non riuscì di nuovo a pensare che sentì la sua voce chiamarlo.
- Don… sono Charlie… non… - Non gli fece dire una parola di più, conscio che quei due erano capaci di capirsi anche in due parole messe in croce apparentemente insignificanti.
- Ora sai che è qua anche lui. Sappi che a questo punto non ho più il minimo scrupolo. - Poi aggiunse: - Da solo. - E concluse la conversazione.
Don rimase immobile a guardare il telefonino e ancora tutto il suo corpo era preda ad un gelo tremendo mentre dentro di sé andava in fiamme e tutto accelerava; non capiva ancora niente, niente, solo che la voce che aveva sentito era davvero di suo fratello e che stava cercando di dirgli qualcosa.
Non.
Passandosi la mano fra i capelli corti che si spettinò diede un altro calcio alla porta dove lasciò il segno, infine imprecò e scuotendo la testa decise che questa volta avrebbe fatto di testa propria, in suo perfetto stile, come hai vecchi tempi, quando perdeva la testa… cosa che ora era decisamente successo.
Sì, perché toccargli loro due equivaleva a farlo impazzire e quando lui era in quelle condizioni averci a che fare non giovava a nessuno.
Arrivava a fare di tutto.