CAPITOLO
XII:
L’ULTIMA
CARTA
“in
ogni perdita
in
ogni bugia
in
ogni verità che neghi
e
ogni rammarico
e
ogni addio
era
un errore troppo grande da nascondere
e
la tua voce è tutto ciò che ho sentito
e
diceva che ottengo solo ciò che merito “
/New
Divide - Linkin Park/
-
Tu dovevi per forza provarci con quella! - Borbottò seccato Gibbs
mentre avanzava per l’ennesimo quartiere malfamato della grande città.
La ricerca dei criminali compromettenti era ancora in atto e ne avevano
appena conclusa un’altra.
-
Non ci ho provato io… è stata lei! - Puntualizzò Tony alzando gli occhi
al cielo. Gli piaceva quando il suo compagno faceva il geloso, ma in
quegli ultimi giorni non aveva fatto altro e la cosa cominciava a
diventare davvero stancante anche per lui che aveva un ego innaturale.
-
Tu ci sei stato! - Replicò sempre più piccato l’uomo più grande che
camminava spedito.
-
Solo per tirarla dalla nostra parte! Ho fatto bene, è dei nostri anche
lei! -
-
Ne facevo a meno! - Non lo pensava davvero, ogni ‘aiuto’ era ben
accetto, ma non che andasse a proprio discapito.
-
Cosa vuoi fare? Spararmi? - Lo disse sperando che capisse quanto
esagerato fosse ma lo sguardo che gli lanciò lo fece vacillare…
sembrava stesse seriamente contemplando l’idea di farlo.
Tony
rallentò incredulo e proprio in quel momento Gibbs notando qualcosa
oltre la sua testa, lo prese e lo buttò giù appena in tempo coprendolo
istintivamente col proprio corpo.
-
Ma che diav… - Giusto con uno sparo che gli sfiorava i capelli!
Una
volta a terra si districarono, estrassero subito le pistole e come di
riflesso si misero al riparo dietro il primo cassonetto che trovarono
cominciando subito a rispondere al fuoco. Individuati facilmente le
posizioni avversarie ingaggiarono in meno di un battito di ciglia una
sparatoria veloce ed incalzante.
Non
erano messi nella posizione migliore, non avevano munizioni infinite e
soprattutto erano in considerevole svantaggio numerico.
-
Mi sa che con questi non si può trattare! - Esclamò Tony cambiando il
caricatore.
-
Tu dici? - Fece ironico Gibbs finendo il proprio e nascondendosi per
cambiarlo. Ci fu un istante di pausa durante la quale anche gli altri
smisero di sparare, allora si guardarono un secondo, spalla contro
spalla, piegati dietro al cassonetto in metallo e capendosi al volo
senza bisogno di una sola parola fecero un cenno col capo. Quando le
dita di Gibbs arrivarono al tre, uscirono dal nascondiglio di fortuna e
sparando in due direzioni diverse per difendersi vicendevolmente,
corsero insieme più veloci che mai per raggiungere la loro auto.
Arrivati
appena in tempo con un paio di pallottole sfiorate davvero da vicino,
entrarono al volo e partirono a razzo procurandosi un paio di colpi
anche sulla carrozzeria che non ringraziò.
Fortunatamente
l’auto non era loro ma una in prestito…
Quando
furono al sicuro poterono rilassarsi e con un sospiro ciascuno, il
primo a parlare fu Tony con la sua solita faccia tosta e la lingua
troppo lunga:
-
Ero convinto che avresti lasciato che mi colpisse! Da come mi avevi
guardato solo un secondo prima… - Però questo ebbe il potere di far
ridere il compagno che sciolse la tensione proprio grazie a questa
sparata. Solo lui ci riusciva nel modo più azzardato possibile,
chiunque altro si sarebbe beccato un’altra occhiataccia!
Naturalmente
Tony era consapevole che non avrebbe mai permesso a nessuna pallottola
estranea di conficcarsi nel proprio corpo, al massimo una sua ma di un
terzo individuo no di certo.
Soddisfatto
nonostante l’esito disastroso dell’ultimo tentativo di dialogo con un
altro criminale, si sistemò contro il sedile caricando l‘arma.
-
Sembrava la scena di… - E con questo partì a raccontare uno dei suoi
soliti film suggellando così una pace senza bisogno di parole
specifiche.
Karl
Scottish entrò nella stanza degli interrogatori rigorosamente
monitorata dove dall’altra parte del vetro stava Morgan insieme a Mark
Harrison, l’altro pezzo grosso dell’FBI che insieme a Karl e a Lucas
Ford erano dentro al gran giro di corruzione scoperto per caso da Don.
Questi
era seduto dietro al tavolino ma dalla parte riservata normalmente ai
criminali, aveva ancora le manette come rappresentasse una minaccia.
Per
lui stare lì dietro in quelle condizioni era molto strano, specie
considerando la furia che stava trattenendo a stento nel trovarsi
davanti il vero criminale.
Conosceva
Karl da anni ed aveva sempre creduto che dietro al suo essere così
severo e fissato con certe convinzioni, ci fosse comunque una brava
persona onesta. Non aveva mai dubitato, nemmeno quando ci aveva dato
dentro per cacciarlo dall’FBI usando ogni mezzo, persino Charlie.
Scoprirlo
ed ora venire interrogato proprio da lui gli pareva la farsa più grande
del mondo, specie considerando la fretta che aveva di trovare Colby.
Ogni
istante passato seduto lì dietro era una tortura e una perdita di
tempo, pensava al suo compagno di cui ancora non sapeva niente e non
poteva che trattenersi dal parlare liberamente e gridargli contro tutto
quello che aveva in mente.
Karl
si sedette dall’altra parte, dove di solito si posizionava lui per gli
interrogatori, e dopo un paio di secondi di sguardi significativi,
parlò con una profonda soddisfazione nella voce.
Era
convinto di avercela fatta, di avere tutto in pugno.
-
Che piacere rivederti dopo tutto questo tempo. - Disse con saccenza ed
un tono che diede altamente sui nervi.
-
Non posso dire altrettanto. - Rispose con astio Don. Se gli sguardi
avessero fulminato, Karl sarebbe ormai un pugnetto di cenere.
-
Come stai? Vedo che non te la sei passata molto bene… - Fece ancora
sulla stessa linea l’altro indicando la spalla ferita per la quale
teneva il braccio appeso al collo.
-
Non preoccuparti, non è il braccio che uso per sparare! - Si stava però
trattenendo a stento ed era evidente, il nervoso cresceva di secondo in
secondo e non sapeva proprio come fare per non scaricargli una valanga
di insulti liberatori contro.
-
Sai che hai ridotto decisamente male Lucas? - Chiese con l’intenzione
di innervosirlo ulteriormente e coglierlo così in fallo.
Don
sapeva cosa tentava di fare e lo sforzo per non cadere nella sua
trappola e rimanere in sé era notevole, non sapeva per quanto ce
l’avrebbe fatta. Voleva sapere di Colby. Voleva solo sapere di Colby.
-
Mi sono solo difeso. - Doveva stare assolutamente attento alle parole
che usava. Respirava a fondo e con calma marcata ma questo lo
innervosiva ancora di più.
Karl
fece uno dei suoi sorrisetti da damerino tremendamente fastidiosi, poi
sullo stesso tono continuò:
-
Curioso modo di definire ciò che hai fatto. Sì perché dai filmati di
sorveglianza non sembra affatto che la tua sia stata una difesa. - A
quel punto si chiese cosa diavolo ci avessero messo in quei dannati
filmati dal momento che non potevano apparire davvero come diceva.
-
Da che pulpito viene la predica! - Sbottò allora.
-
Come prego? - Chiese alzando un sopracciglio e tendendosi verso di lui,
appoggiandosi coi gomiti al tavolo.
-
Hai capito bene. - Ripeté Don con un’apparente calma gelida che
nascondeva un’ira senza precedenti. Dentro di sé tremava ma
esternamente sembrava la persona più fredda del mondo. Si tese a sua
volta verso di lui e quando furono faccia a faccia l’uno con l’altro
Don assunse un sorrisetto inquietante da brivido, poi con occhi carichi
di promesse di morte, disse basso e penetrante facendosi sentire solo
da lui a pochi centimetri dal suo viso: - Goditi questi momenti perché
presto assaggerai la fine. E non ti piacerà. -
-
Mi stai minacciando? - Chiese nascondendo a fatica il disagio e la
strizza inevitabile che quelle parole e quello sguardo gli provocarono.
-
No. Quello non era niente a confronto. - Don sorrise inquietante e Karl
inghiottì a vuoto con una gocciolina di sudore freddo che scendeva per
assurdo lungo la spina dorsale. Dannazione, si disse, era lui ad avere
il coltello dalla parte del manico, perché lo metteva così a disagio?
In realtà non aveva nulla, erano solo stupidi tentativi di spaventarlo.
Vero? - Se a Colby viene torto un solo capello giuro che vi
pentirete di non avermi ucciso quel giorno. - Completò laconico e
minaccioso, un sussurro, una promessa.
Karl
sperò vivamente di aver ragione circa il fatto che Don stesse solo
bluffando, ma si chiese cosa sapesse che loro ignoravano.
Perché
a quel punto era chiaro che qualcosa sapeva e che se era lì era solo
perché un piano l’aveva.
Quando
ebbe quel pensiero cominciò a vacillare definitivamente e per assurdo,
come se le carte fossero già completamente scoperte, cominciò a pensare
alla velocità della luce ad un piano di riserva.
Sapeva
che ne avrebbe avuto bisogno, oh se lo sapeva…
Karl
allora si alzò rimanendo apparentemente impassibile e scoccandogli
un’occhiata strana che non prometteva niente di buono, se ne andò senza
dire assolutamente niente.
Una
volta tornato da Mark e Morgan disse solo platealmente teso:
-
Continua tu, devo controllare una cosa. - Al che Morgan ebbe l’istinto
di seguirlo mentre lo vedeva defilarsi, ma consapevole che non era il
caso di lasciare Don da solo con nessuno di loro, si trattenne.
L’interrogatorio
successivo durò più a lungo ma non portò a niente e proprio quando
Morgan cominciava a chiedersi dove diavolo fosse andato l’altro e
perché fossero così pochi ad occuparsi di questo piano, dall’ascensore
in fondo al piano fecero il loro trionfale ingresso Gibbs e Tony
accompagnati da due individui.
Nell’istante
in cui li vide Morgan sorrise e nello stesso momento tornò Reid con i
risultati delle analisi balistiche che aveva seguito per condurre i
tecnici nella direzione voluta.
Dall’espressione
particolarmente soddisfatta capì che ce l’aveva fatta e con una
cartellina piena di dati inconfutabili in mano si scambiarono
un’occhiata complice, poi una volta giunti anche i nuovi arrivati si
fecero un cenno eloquente per cominciare con la fase successiva.
Allora
Morgan e Reid entrarono mentre un Gibbs silenzioso ed un Tony
immancabilmente chiacchierone si piazzavano nella saletta dei monitor
per assistere al resto tenendo d’occhio i due ospiti.
Dal
video lo spettacolo cominciò.
Morgan
e Reid entrarono nella stanza degli interrogatori e vedendoli Don capì
che ce la dovevano aver fatta, così si raddrizzò trionfante pronto ad
entrare finalmente in scena anche lui.
Morgan
liberò subito l’amico dalle manette e come lo vide, Mark Harrison, il
capo di Don, saltò immediatamente su incredulo e confuso:
-
Che diavolo fate? - Fece per alzarsi ma Morgan lo schiacciò bruscamente
giù.
-
Stia comodo, abbiamo un paio di prove da condividere. - Il tono era
deciso e accusatore già di partenza, si capiva che aveva tutto in mano
e che stava per calare la mannaia.
Harrison
non era un’idiota, visto dove era arrivato. Capì subito che qualcosa
non andava e soprattutto che Scottish doveva averlo compreso ancora
prima di lui.
-
Allora… gli esami balistici del proiettile estratto dalla spalla
dell’agente Eppes indicano che non proviene da una pistola di servizio
bensì da una registrata a titolo personale a nome di Karl Scottish. -
Harrison ancora non capiva se doveva cominciare a sudare oppure no.
Rimase sulla difensiva ma non emise un suono, teso ed in attesa. Allora
Morgan continuò sicuro come non avesse mai fatto altro in vita sua: -
Nella ricerca che abbiamo fatto per collegare il proiettile alla
pistola e confermare la vostra versione dei fatti, è risultato che la
stessa arma è stata usata in un paio di omicidi irrisolti insabbiati e
per la maggior parte censurati. Servendoci dei nostri personali tecnici
informatici da Washington DC siamo riusciti a risalire ai dettagli dei
casi. - A quello Reid cominciò a snocciolare per filo e per segno i
particolari dei vari casi in questione, tutti a che fare con affari
loschi che collocavano chiaramente il proprietario dell’arma in
ambienti poco puliti ed in posti dove non avrebbe mai dovuto essere.
-
Sono prove circostanziali, non provano nulla senza altre prove
schiaccianti e testimonianze. E poi io non sono Scottish! - Esordì
altero Harrison facendo la voce grossa per intimidirli. Morgan chiuse
la cartellina e la sbatté con forza sul tavolo per zittirlo, poi disse
con una certa gioia nella voce:
-
Si dà il caso che i testimoni li abbiamo. Uno lo vedi davanti a te e se
ancora non ti basta perché sostieni che sia stato lui a spararti per
primo senza giustificato motivo e che non sia quindi attendibile,
permettimi di presentarti delle persone. - Con quello Gibbs entrò con
passo deciso e spedito, aveva un’espressione cupa e severa ma non
paragonabile a quella di Don che di secondo in secondo pareva sempre
più un’animale feroce in gabbia, anche se ora era praticamente libero.
- Lui è Leroy Jethro Gibbs, agente federale dell’NCIS di Washington DC.
La persona che ha accolto Eppes prima di venire a conoscenza dei fatto
svoltisi qua e quindi del mandato d’arresto. Ha prestato i primi
soccorsi e gli ha praticamente salvato la vita cominciando come di rito
le prime indagini preliminari sul proiettile. Venuto in quel modo a
conoscenza di alcuni eventi poco chiari ha voluto accompagnarci qua
come supporto. -
Dopo
di che Gibbs proseguì mettendosi dietro Harrison e poggiate le mani
sulle sue spalle strinse la presa con forza, si piegò, poi parlando
piano al suo orecchio con fare inquietante, sussurrò:
-
Mi sono per caso imbattuto in un paio di informatori che sanno qualcosa
di voi tre, Scottish, Ford ed Harrison. Vuole conoscerli? - Chiese
infine con un pizzico di ironia agghiacciante.
L’uomo
si sistemò sulla sedia come se improvvisamente si fosse fatta bollente
e senza attendere risposta Gibbs con un cenno fece entrare Tony con gli
altri due testimoni chiave.
Erano
Shade Sheist, il criminale con cui avevano avuto a che fare per primo,
e Faith Evans, una bellissima donna sulla trentina che portava con sé
argomenti notevoli.
-
Che bella riunione di famiglia! Peccato che all’appello manchi
qualcuno… - Disse Tony notando subito l’assenza di Scottish che avrebbe
dovuto essere lì insieme all’altro che ora si vedeva un ergastolo a
vita nel proprio futuro.
Come
li vide parve venir trapassato da diecimila proiettili, non aveva idea
di come avessero fatto a trovarli e soprattutto a convincerli a
parlare, ma ora che c’erano erano dannatamente finiti ed altro modo di
vederla proprio non c’era.
Tutti
avevano notato l’assenza del terzo ‘papero’ ma prima dovevano esporre
ufficialmente l’accusa presentando ogni questione schiacciante.
-
Loro sono dei testimoni circa alcuni affari di cui sostengono vi siete
occupati. - Spiegò Gibbs breve e conciso con una calma che celava una
profonda impazienza, lo si poteva notare dal fatto che evitava di
andare nei dettagli. Dovevano solo registrare in modo ufficiale le loro
testimonianze per poter fare l’accusa. - Allora, confermate? - Fece poi
rivolto ai due ospiti che avrebbero comunque preferito trovarsi da
altre parti. - Lui è uno di quelli che avete visto fare affari
criminosi? - Il patto era di non mettersi vicendevolmente su un piatto
d’argento, ovvero collaborare aiutandosi, quindi doveva usare certe
parole invece che altre, ma essendo che stavano cercando di ottenere la
giustizia con metodi non molto legali, questo era quanto di meglio
ottenuto.
-
Sì. - Fece allora la donna sedendosi sul tavolino proprio in modo da
guardare Harrison in viso che inghiottì a vuoto. Accavallò le lunghe
gambe scoperte e sorrise come una gatta: - E’ lui uno dei tre che ho
visto fare affari del terzo tipo con organizzazioni del terzo tipo. -
Il modo di parlare fantasioso denotava che era una persona particolare
o non si sarebbe mai prestata ad un’operazione così pericolosa.
L’uomo,
Shade Sheist, si intromise a sua volta dandole man forte con fare molto
più contenuto e freddo:
-
Confermo. È stato cliente e lo è tutt’ora del nostro commercio, di cui
io sono solo un semplice contabile. - Naturalmente non poteva dire che
lui in realtà era il capo, in quel modo, apparendo per l’ultima ruota
del carro che si limitava ad eseguire degli ordini di cui non sapeva il
fine ultimo, se la sarebbe cavata con poco.
Morgan
chiese nei dettagli di quali affari si trattasse e loro spiegarono i
commerci illegali nei quali avevano le mani in pasta le organizzazioni
in questione, ma soprattutto degli omicidi su commissione. Confessarono
anche di aver assistito a delle trattative andate male dove i soggetti
accusati avevano attuato delle minacce senza scrupoli arrivando ad
uccidere membri dei loro gruppi.
Dopo
aver riconosciuto in foto gli altri due membri mancanti, Scottish e
Ford, Gibbs fece uscire Tony con i due individui affinché si occupasse
di loro come da accordo.
Rimasti
in cinque nella stanza, Don si alzò e cominciò nervoso e infuriato a
spiegare la propria versione dei fatti che finalmente poteva dire.
Fu
registrata e ufficializzata ogni parola e Reid stesso confermò, dopo
aver visionato i nastri di sorveglianza davanti a loro, che le parti
iniziali erano state tagliate, quelle dove si vedeva che ad iniziare la
sparatoria erano stati i tre capi e non Don che invece si era solo
difeso.
-
Come diavolo avete trovato quelle parti iniziali? Erano state
cancellate! - Chiese fuori di sé battendo i pugni sul tavolo, ormai era
completamente senza controllo e non ragionava più vedendosi in
prigione.
-
Le nostre informatiche sono state in grado di recuperare tutto dal
momento che nessuna traccia viene davvero cancellata. Basta saper dove
guardare. - Rispose con saccenza Reid lieto di aver dato quella
risposta, specie per ciò che significava la domanda che gli era stata
fatta. Infatti il suo compagno non se la perse.
- E
con questa bella domanda tu hai appena confessato e confermato tutto
quello che è appena stato detto. - Concluse Morgan con un sorrisetto
ironico e soddisfatto.
Harrison
si rese conto troppo tardi di ciò che aveva fatto, un errore da
principianti poiché senza confessione avrebbe avuto più possibilità di
cavarsela in qualche modo, con furbizia e dei buoni avvocati. I nastri
di sorveglianza dopotutto mostravano solo che loro tre avevano
cominciato a sparare per primi a Don ma senza audio non era
assolutamente chiara la motivazione e con intelligenza avrebbero potuto
tirare fuori qualunque scusa.
Così,
alla fine, si era scavato la fossa da solo.
Gibbs
e Morgan si scambiarono un’occhiata trionfante ma non ebbero tempo di
fare altro che sentirono un tonfo sordo che li fece sobbalzare.
Don
sbatté il pugno sul tavolo e preso per il colletto il suo ormai ex capo
cominciò a scuoterlo dimostrando che la rabbia trattenuta a stento gli
aveva fatto recuperare tutte le forze perse.
-
PARLA, ORA! DOVE SONO KARL E COLBY? -
-
Non ne ho la minima idea. - Rispose con amarezza.
Don
che non aveva proprio più pazienza, spostò la mano dal colletto alla
nuca e gli sbatté la testa sul tavolo schiacciandogli il viso con forza
fin quasi a soffocarlo.
-
PARLA, DANNAZIONE! AVETE CORROTTO ALTRI TRE AGENTI, DOVE SONO? -
Non
aveva più la testa di seguire il piano ma ormai era finita e potevano
dire di aver vinto, solo che qualcosa mancava effettivamente
all’appello e Don non ce la faceva più. Trattenutosi a stento fin
troppo a lungo, ora stava esplodendo.
Fu
Gibbs a dover intervenire vedendo Harrison sanguinare dal naso per la
botta. Prese Don per la vita, stando attento a non toccargli la spalla
che di certo stava già male per conto proprio, e lo alzò spingendolo di
forza contro il muro, lo tenne premuto per il petto un paio di secondi
e quando lo vide respirare con più calma lo lasciò pronto a
riafferrarlo se si sarebbe scagliato di nuovo contro l’altro.
-
Non dirò una sola parola di più. - Sentenziò Harrison infatti. E Don
capì che così sarebbe stato.
Uscì
dalla sala sbattendo la porta e mordendosi furiosamente il labbro, ogni
muscolo teso e la voglia di spaccare tutto ciò che incrociava sul suo
cammino.
Tony
lo beccò e capì che qualcosa dovesse essere andato storto ma dedusse
che non fosse il caso di seguirlo.
Lo
vide sparire altrove e lo lasciò in pace raggiungendo gli altri.
Morgan
stava arrestando ufficialmente Harrison e alla sua muta domanda su cosa
fosse successo, Reid fu lieto di fornire un quadro completo e
dettagliato di tutta la situazione perdendosi come suo solito in
particolari tecnici che allungavano un discorso che avrebbe potuto
evitare.
Alla
fine Gibbs tagliò corto con la sua solita capacità di sintesi
fantastica:
-
Ha praticamente confessato ma non parla sugli agenti corrotti e non
dice dove sia Colby. Inoltre Karl Scottish è sparito. -
-
Mando qualcuno in ospedale da Lucas Ford, ma è ancora in condizioni
critiche e dubito che si possa far qualcosa con lui. - Disse Morgan
cercando di essere pratico mentre consegnava l’ex agente a chi di
dovere.
-
In sostanza non è ancora finita. - Sentenziò Tony sospirando senza la
forza di scherzare o sdrammatizzare.
La
situazione stava diventando davvero pesante e non aveva idea di quanto.
Di
lì a poco l’avrebbero scoperto.
Quando
il telefono che aveva potuto riattivare gli suonò, Don era in bagno a
tirare calci alla porta. Non sapeva più dove sbattere la testa e se
nemmeno il piano completo gli aveva dato ciò che voleva, ovvero Colby,
non sapeva proprio più che fare.
Cosa
diavolo aveva in mente Karl?
Proprio
mentre si faceva questa domanda e stava ponderando l’idea di chiedere
aiuto a Charlie, qualcuno lo chiamò.
Quando
rispose brusco e furioso il mondo si sospese e fu come se del ghiaccio
tritato scivolasse sulla sua pelle.
-
Scusa se ho interrotto il nostro interrogatorio in modo così brusco,
Eppes… - La voce bassa e familiare.
-
Karl… dove diavolo sei? - Tuonò Don sentendosi bloccato come in una
statua di ghiaccio. Le palpitazioni erano impazzite e la spalla gli
faceva di nuovo un male indicibile ma era certo che c’entrasse la
conversazione anomala che stava avendo.
Si
concentrò con espressione grave e fu come se la mente fischiasse
impazzita senza fargli sentire niente.
-
Se vuoi rivedere Granger e tuo fratello vieni ora, da solo, nella
vecchia fabbrica della XXX. -
Ed
il rumore in testa ora era praticamente assordante, voleva sbattere
violentemente contro il muro per fermarsi e riuscire a pensare, ma in
sé andava tutto veloce e non riusciva ad essere freddo come di solito
era quando gestiva i casi. I casi dove non erano coinvolte le persone a
cui teneva più di tutti.
-
Charlie?! Non è vero! - Non ci avrebbe mai creduto, mai… come aveva
fatto a… ma non riuscì di nuovo a pensare che sentì la sua voce
chiamarlo.
-
Don… sono Charlie… non… - Non gli fece dire una parola di più, conscio
che quei due erano capaci di capirsi anche in due parole messe in croce
apparentemente insignificanti.
-
Ora sai che è qua anche lui. Sappi che a questo punto non ho più il
minimo scrupolo. - Poi aggiunse: - Da solo. - E concluse la
conversazione.
Don
rimase immobile a guardare il telefonino e ancora tutto il suo corpo
era preda ad un gelo tremendo mentre dentro di sé andava in fiamme e
tutto accelerava; non capiva ancora niente, niente, solo che la voce
che aveva sentito era davvero di suo fratello e che stava cercando di
dirgli qualcosa.
Non.
Passandosi
la mano fra i capelli corti che si spettinò diede un altro calcio alla
porta dove lasciò il segno, infine imprecò e scuotendo la testa decise
che questa volta avrebbe fatto di testa propria, in suo perfetto stile,
come hai vecchi tempi, quando perdeva la testa… cosa che ora era
decisamente successo.
Sì,
perché toccargli loro due equivaleva a farlo impazzire e quando lui era
in quelle condizioni averci a che fare non giovava a nessuno.
Arrivava
a fare di tutto.