CAPITOLO XIII:
FACCIA A FACCIA FINALE

“E’il momento della Verità,
il momento di mentire,
il momento di vivere,
il momento di morire,
il momento di combattere
il momento di combattere
di combattere
di combattere
DI COMBATTERE!!”

/This is war - 30 seconds to mars/

Salito sulla prima auto che trovò a disposizione già con un uomo dalla parte della guida, Don mostrò il distintivo che aveva appena riavuto insieme alla sua pistola e ringhiò impaziente il luogo dove doveva essere portato. Naturalmente non sarebbe mai riuscito a guidare da solo con la spalla in quelle condizioni, nemmeno con tutta l’adrenalina del mondo a montarlo.
Tuttavia l’uomo al volante in un primo momento rimase sorpreso, dopo di che senza commentare o proferire parola accese l’auto e partì sgommando in una folle corsa che sapeva di terrore.
Don non capì se lo accontentò per il distintivo, il tono brutale e minaccioso o la pistola alla cintura, ma ciò che comunque gli importava in quel momento era che stesse andando nel luogo dell’incontro con Karl.
Spento il cellulare si morse il labbro con frenesia mentre sentiva il sangue fluirgli furiosamente nelle vene ed i battiti aumentare precipitosamente.
Era la resa dei conti.
La dannatissima resa dei conti.
Il momento di vivere o morire, di combattere, di mettere la parola fine a tutto e questa volta l’avrebbe fatto a modo suo.
Questa volta scendeva in campo lui in prima persona, quello che avrebbe dovuto fare dall’inizio invece di scappare per istinto di sopravvivenza.
Se avesse pensato prima alle conseguenze della sua fuga, a tutti i guai che avrebbe comunque causato a chi gli stava accanto, non se ne sarebbe mai andato ma piuttosto si sarebbe fatto mettere dentro placando l’ira di quei bastardi.
Ma l’aveva fatto solo per proteggerli e in quella convinzione non era riuscito a vedere la falla nel piano. Pur di averlo quelle persone erano disposte a tutto.
“Mi vogliono? Bene, mi avranno. Ma dovranno lasciare in pace Charlie e Colby, porca puttana!”
Più furibondo di così Don non ricordava di essere stato.


- Perché avete scelto Sheist? Sembrava quello più ostico… - Chiese Reid cercando di concentrarsi su qualcos’altro per ritrovare la calma per pensare lucidamente e indirizzare con freddezza il proprio cervello nella direzione più utile.
Tutti i membri del gruppo rimasti lo guardarono in contemporanea e come se avesse detto la cosa più assurda del mondo, Tony rispose considerando il fatto che anche lui spesso le sparava apparentemente senza senso ed invece un motivo l’aveva sempre.
- Appunto perché è quello più difficile… è l’unico che pur esponendosi riuscirebbe a tirarsene fuori pulito comunque… - Reid sembrò illuminarsi, quindi come se il suo metodo assurdo avesse effettivamente funzionato, disse:
- Direi che è ora di consultarci con Charlie dal vivo, finalmente… di sicuro sta lavorando a qualcosa di utile… - Morgan allora capì cosa c’entrasse la domanda senza senso di prima:
- Lo fa ogni tanto, quando sente che si sta deconcentrando per il panico, si focalizza su qualcos’altro che non c’entra niente e poi torna lucido e funzionante. -
- Non sono un computer! - Si lamentò piccato Reid mentre si avviava insieme agli altri verso l’ascensore. Mentre Morgan intavolava un divertente botta e risposta con lui circa il fatto che invece lo fosse, Gibbs prese il telefono per chiamare Don ed avvertirlo di raggiungerli ai parcheggi. Il collega era infatti fuori dalla vista in quel momento ed immaginò che fosse andato nel suo ufficio a recuperare degli effetti personali.
Quando trovò il suo cellulare spento si fermò di colpo e corrugò la fronte.
- Che c’è? -Chiese apprensivo Tony notando anche un granello di polvere sul suo viso tanto che non gli staccava più gli occhi di dosso.
- Don ha il cellulare spento. -
- L’aveva appena preso e riacceso sotto i nostri occhi… - Replicò l’altro. Morgan e Reid si girarono ponendo la loro attenzione su di loro.
- Bè, ora è spento! - Sbottò Gibbs esaurendo quel po’ di pazienza rimasta.
Scotendo il capo davanti ad una di quelle intuizioni che ogni tanto avrebbe preferito non avere, si rivolse ad uno ad uno cominciando a dispensare ordini perentori dimenticandosi completamente di essere del tutto fuori dal suo campo di giurisdizione:
- Tu al suo ufficio, tu in ospedale dall’altro agente ferito arrestato e tu da suo fratello. - Dopo di che salì in ascensore per andare a parlare con l’uomo che avevano appena arrestato che stava giusto venendo condotto al penitenziario.
Lo trovò in tempo prima che il furgoncino partisse, quindi lo fece fermare ed entrando come un caccia tirò fuori subito la pistola, prese Harrison per il colletto della camicia e lo spinse contro la parete metallica dell’abitacolo. Gli agenti di scorta rimasero impietriti non sapendo se dovessero intervenire ma ad un’occhiata più attenta dell’espressione furente di Gibbs decisero che quell’ormai criminale se la sarebbe cavata da solo.
Avvicinato il viso al suo fino a pochi centimetri di distanza e con la pistola puntata direttamente sul mento, rimase a fissarlo come se lo stesse già uccidendo, un paio di secondi che parvero secoli ed in seguito disse basso e penetrante, un sussurro fintamente calmo con dietro una tensione pronta ad esplodere e fare danni devastanti.
- Dov’è Karl Scottish? - Nonostante non avesse ancora ricevuto conferme dagli altri e nemmeno Abby e Garcia avevano avuto successo col GPS del cellulare di Don, la sua idea era ormai precisa in mente e non poteva che seguire il suo istinto come faceva sempre, per quanto quella volta gli esponesse l’eventualità peggiore di tutte.
Mark sudava già copiosamente senza riuscire ad inghiottire bene, ma tentò con un ultimo scatto di orgoglio:
- Non ne ho idea! - Gibbs solitamente giocava un po’ con chi voleva terrorizzare per farsi dire ciò che gli serviva, ma in quel momento non perse un solo minuto e schiacciando la canna della pistola contro la gola facendogli male, gridò liberando solo una piccola parte della furia che ora albergava in sé:
- DOVE SI NASCONDE QUEL BASTARDO!? -
Mark sarebbe andato lungo steso a terra se Gibbs stesso non l’avesse retto, ma nonostante non sentisse più niente per concentrarsi sulla pistola contro la gola, si decise a non fare più l’idiota, non a quel punto, non per uno come Karl.
- Ha un suo rifugio segreto in caso di necessità, non l’ha mai rivelato a noi. Tutti ne abbiamo uno, la regola principale era di non fidarsi al cento percento nemmeno fra di noi. Ognuno aveva un piano di emergenza nel caso fossimo rimasti incastrati! -
- In cosa consiste? - Chiese tornando pericolosamente controllato. Mark che ora aveva capito il meccanismo di quell’uomo irascibile, parlò subito senza fargli perdere più la pazienza latitante.
- Dipende, sostanzialmente è un piano di fuga per sparire dalla città, ma abbiamo prestabilito la base insieme. -
- Cioè? -
- A seconda di chi ci incastra, prendere il punto debole dell’interessato, portarlo al nascondiglio che ognuno di noi ha e tiene solo per sé, se possibile richiamare un paio dei nostri bassi contatti e ricattare il soggetto. Se questi cede, farci aiutare a sparire assicurandoci che nessuno ci segua e ci faccia la guerra. -
- E se non cede? - Gibbs era già avanti di tre mosse e stava andando direttamente alla fine dei fatti che ormai era certo si sarebbero presto verificati.
Mark sgranò gli occhi non credendo glielo chiedesse davvero:
- Non è previsto che non ceda, è tutto organizzato al dettaglio. Quando uno ci fa la guerra noi ci informiamo subito su tutto ciò che lo riguarda per colpirlo nel suo punto più debole… -
Gibbs schiacciò di nuovo la pistola ma questa volta la spostò sull’orecchio e sibilò minaccioso con voce da brivido:
- Se sei sordo non ti serve questo orecchio… - Conscio che comunque sparandogli da lì non gli avrebbe solo perforato il timpano ma anche ucciso all’istante.
L’ex pezzo grosso dell’FBI ormai era in uno stato pietoso e si decise a rispondere alla sua domanda precisa:
- Se il soggetto non dovesse cedere in ogni caso e non dovesse presentarsi allo scambio, dovremmo liberarci di tutto il carico superfluo, uccidere quindi l’ostaggio e sparire alla meglio sperando di essere più veloci degli altri che ci cercano. -
Era logico, si poteva sparire in ogni caso ma con una caccia all’uomo senza precedenti come quella che si sarebbe scatenata nel loro caso -e che infatti avevano già fatto partire per Karl- era decisamente più facile e sicuro.
Gibbs aveva un quadro più completo della situazione ma non sembrava di certo più soddisfatto di prima. Dopo di quello aggiunse in un ultimo caso a cui non voleva nemmeno pensare:
- E se il soggetto si presenta allo scambio, finge di stare alle vostre condizioni, libera l’ostaggio ma poi non vi aiuta comunque? -
Domanda idiota, lo sapeva nel momento in cui l’aveva posta, ma aveva voluto comunque farla.
Mark infatti ammise con ovvietà:
- Lo facciamo fuori. -
Ecco, ora il quadro era davvero completo e figurandosi Don alle prese con Karl ed un paio di altri malavitosi mentre dopo aver messo in salvo gli ostaggi sparava al suo nemico primo facendosi uccidere a sua volta, scaricò una breve rata di imprecazioni fra i denti e mollandolo uscì di corsa dal furgone cominciando il giro di telefonate.
Morgan non servì chiamarlo essendo sceso lui stesso per venirgli incontro.
- Non c’è in questo edificio. - Gibbs così non perse tempo nell’informarlo e chiamò subito Tony:
- No, Lucas non si è svegliato ed è sorvegliato, non si è presentato nessuno. -
Sospiro insofferente di chi già sapeva la risposta. Montò dunque in macchina con Morgan e criptico e sbrigativo disse sentendo già il Diavolo corrergli dietro:
- Ci vediamo nell’ufficio di Charlie, dove veniva tenuto d’occhio mentre lavorava. -
- Perché là? -Una domanda a cui Tony stesso sapeva perfettamente la risposta.
- L’hanno rapito. - Dopo di che mise giù la comunicazione e beccandosi lo sguardo stralunato di Morgan che si chiedeva come era arrivato a quella conclusione, si fece raccontare l’illuminante conversazione poco ortodossa appena avuta.
Probabilmente avere idea di che cosa stesse succedendo a chi volevano trovare in quel momento non serviva più poiché aiutava solo a perdere altra lucidità.
- Quello non tratterà mai. Fingerà di aiutarli ed una volta che suo fratello e Colby sarà al sicuro gli risponderà picche! -
La non risposta di Gibbs fu quanto di più eloquente potesse ricevere.
L’orologio aveva cominciato a correre.


Come si poteva pensare di uscirne bene da una situazione simile?
Entrambi disposti a tutto pur di farla finire, entrambi disposti a tutto pur di vincere.
Entrambi spinti oltre ogni limite estremo.
Ormai erano andati troppo oltre per poter provare a ragionare insieme e trovare una soluzione pacifica e decente e a Don non sembrava interessare, non più.
Quando giunse nel magazzino che si trovava in una zona tranquilla ed isolata, capì subito che non era solo poiché riconobbe il luogo. Era il centro smistamento della merce di una organizzazione di quartiere, tutti avevano sempre saputo che lavoravano lì e nessuno era mai riuscito a smascherarli e farli smettere, ora la beffa la vedeva grande come una casa.
Se si fosse preso la briga di far chiudere loro i battenti quando aveva potuto, ora quell’uomo senza scrupoli non avrebbe avuto nessuno a cui appoggiarsi. O magari avrebbe trovato qualcun altro. Ma in ogni caso se non era mai riuscito ad incastrarli ora poteva anche capire perché, visto che erano protetti da uno dei dirigenti dell’FBI.
Si chiese dunque se ci fosse limite a ciò che Karl fosse capace e con quello tirò fuori la pistola puntandola dritto davanti a sé.
Le idee non gli erano mai state più chiare.
Quando entrò si trovò in poco tempo circondato da un paio di quei famosi criminali che avevano sede lì e che evidentemente aiutavano Karl. Non si scompose, rimase con la pistola salda in mano e correndo veloce con lo sguardo individuò i ragazzi più facili ed i punti deboli di quel posto, dopo di che avanzò con calma puntando l’arma contro l’uomo in piedi al centro del magazzino. V’erano casse di legno ovunque che creavano anfratti perfetti dove ripararsi e nascondersi.
- Faccia a faccia parte seconda… - Disse Karl scanzonato. Non teneva nemmeno la pistola in mano, tanta era la sua sicurezza in quel momento.
Sapeva che Don sarebbe venuto solo, lo conosceva troppo bene. Bastava usare la giusta leva.
- Cominciamo col farmi vedere Charlie e Colby. - Non certo una richiesta, il tono perentorio.
Karl sorrise sghembo e senza staccare gli occhi dai suoi, sicuro che la vittoria ormai l‘aveva in pugno, fece un cenno ad un ragazzo lì accanto che senza farselo ripetere trascinò fuori una figura incappucciata e legata.
Don riconobbe subito suo fratello e impazzendo nel non sapere ancora in che condizioni effettive fosse, parlò direttamente a lui. La voce ora gli tremava appena.
- Charlie, sono io… -
- Don, non dovevi venire… - Tentò il fratello, ma la voce gli morì in gola non riuscendo a parlare bene. Don divenne di pietra ed il fuoco si alimentò in lui facendolo apparire come una vecchia caldaia a pressione, quelle che se non calavi il calore a mano poi finiva per scoppiare in un boato tremendo.
La pressione continuava a salire.
- Cosa gli avete fatto!? - Ringhiò basso e penetrante allo stesso modo in cui Gibbs stava interrogando Mark in quello stesso momento.
Karl ridacchiò e gli tolse il cappuccio.
Il viso di Charlie si rivelò a lui pieno di lividi e con del sangue rappreso all’angolo della bocca e al sopracciglio. Un occhio quasi chiuso.
- Non dovevate toccarlo! - Don rimaneva a stento fermo a qualche metro da loro, sempre circondato dai tirapiedi presenti e fece altrettanta fatica a non gridare furioso. Però quel modo di parlare e di guardarlo era forse più inquietante, si vedeva perfettamente la pressione salire, ormai mancava poco.
- I ragazzi si annoiavano… - Si giustificò alzando le spalle e sminuendo la faccenda.- Ma è vivo e vegeto. -
- Dov’è Colby?- Il fatto che non fosse ancora stato tirato fuori cominciò a farlo preoccupare ed in quel momento la preoccupazione equivaleva ad un pericoloso tasso di furia pronta ad esplodere a breve.
Karl lo sapeva ma a quel punto non poteva lavorarselo a dovere, non poteva curarselo come avrebbe dovuto fare. Ormai era al limite anche lui, rimaneva poco.
L’uomo più grande di qualche anno si strinse nelle spalle con finto dispiacere:
- Ecco qua l’equivoco più curioso che si sia creato fra noi… tu ti sei infuriato tanto per Colby facendomi capire che ero alle strette, questo ha fatto sì che io attuassi il mio piano di riserva per la salvezza servendomi del tuo geniale fratellino. Questo, a sua volta, ti ha fatto perdere totalmente il controllo. Ma la vuoi sapere una cosa? - Don l’ascoltava come forse non aveva mai fatto in vita sua, sforzandosi per non perdere la concentrazione e scaricargli tutte le pallottole addosso comunque. Non poteva, prima doveva mettere al sicuro Charlie e scoprire dov’era Colby. Dopo avrebbe potuto dargli quello che si meritava. - Io non ho idea di dove sia Colby. Non l’ho mai preso. -
Don sgranò gli occhi perdendo per un attimo la concentrazione, quindi si impose se non altro di non crederci. Si impose poiché era peggio l’eventualità di non avere ancora la minima idea nemmeno di dove fosse il suo compagno, piuttosto che sapere che era lì. Sperò quasi di poterlo vedere dietro quelle casse malconcio ma vivo e pronto per essere salvato.
- Menti. L’hai già ucciso? - Non urlare, non urlare… si ripeteva questo. Così come di non sparare. Era convinto che ormai non potesse più resistere eppure non si ricordava nemmeno come si pregava, non in quel momento con quel caos che tentava di farlo scoppiare.
Doveva stare saldo ancora per un po’.
- Ma è proprio così, io non ho la minima idea di dove sia Colby. Ho dato ordine di prenderlo… insieme a quell’altro agente federale di Washington che ho notato essere ancora in piena libertà… non ricevendo notizie ho dedotto che qualcosa fosse andato storto, ma onestamente non avevo tempo per rimediare agli errori dei miei sottoposti. Siamo ad un punto in cui tutti pensano per sé. -
Non sapeva minimamente se crederci o no, di solito il suo istinto gli bastava per trovare quel genere di risposte, ma ora era tutto sballato, tutto senza controllo, tutto sull’orlo della follia.
- E questa cos’è, l’ora della verità o della menzogna? Vivere o morire? Che ora è?-
Karl si strinse nelle spalle ammirando la sua forza di volontà che gli permetteva ancora di non impazzire.
Rise beffardo e rispose con quel fare da damerino fastidioso:
- Dimmelo tu, caro Eppes… che ora è, questa? L’ora di collaborare o di contrastarmi ancora? Non sei stufo di venirmi sempre contro? - Su questo poteva essere concorde. Era stufo di andargli sempre contro.
Don cominciò ad accettare la possibilità atroce che con Colby fosse andato tutto nel peggiore dei modi… cominciò ad immaginarsi una scena tremenda che non aveva mai voluto vedersi… lui a tu per tu con quegli agenti e loro che si uccidevano a vicenda.
In quello gli occhi gli divennero lucidi e cercando di tornare in sé per non piangere, non lì, non in quel momento, cercò lo sguardo di Charlie proprio vicino a Karl. Si agganciarono pensando la stessa cosa.
“Non può essere morto.”
Senza crederci davvero. Non più.
Perché ormai tutto era andato nel peggiore dei modi.
Tutto.
E sembrava non ci fosse rimasto un solo colpo di fortuna da nessuna parte.
Con gli occhi di Charlie saldi sui propri che si sforzavano a sua volta di non piangere per il dolore, la paura e il pensiero appena insinuato, Don tornò in sé e la pressione da che si era sospesa per un attimo in quell’esitazione, a che tornò regolarmente a salire.
Regolarmente a vista d’occhio.
- Questa è la guerra e quello è l’ultimo atto. Siamo al momento in cui combattiamo in prima linea l’uno contro l’altro. Eccoci qua.
Ci siamo. -
Le vene del collo e delle tempie pulsavano ed il viso era ormai rosso di rabbia, non tremava solo per avere una mira migliore poiché poteva usare solo un braccio visto che l‘altro era fuori uso.
E non gli sarebbe importato niente di sé in quell’istante se avesse potuto portarsi dietro all’Inferno quel bastardo che aveva davanti, ma Charlie non doveva morire.
Charlie non era ancora in salvo e la pressione fu di nuovo momentaneamente controllata.
- Mi hanno reintegrato in piena regola, ho ogni potere ti serva, tutto ciò che tu non hai più. Cosa vuoi, andartene sano e salvo facendo sparire le tue tracce? Posso farlo. Documenti falsi? Un mezzo? Ti posso dare tutto, anche i soldi se vuoi… ma tu ora farai andare via mio fratello. È un posto isolato, non potrà arrivare dai rinforzi prima che noi finiamo tutto qua. Lascialo andare e sarò tuo. -
Infine usò l’ultimo attimo di lucidità che gli rimaneva con la speranza che servisse a qualcosa, perché almeno suo fratello doveva riuscire a salvarlo.


Giunsero a rotta di collo all’università di Charlie, il tramonto regnava nel cielo colpendo l’edificio ormai quasi del tutto deserto.
Gibbs e Morgan arrivarono un soffio prima di Tony, si limitarono ad uno sguardo eloquente, lo sguardo di chi sapeva che non sarebbero servite a nulla le parole e che era davvero solo il momento di agire.
Eppure anche lo sguardo di chi avrebbe voluto avere del tempo per isolarsi e ricaricarsi a modo loro, da soli.
Raggiunto l’ufficio del professor Epps, ritrovarono Reid immerso nei geroglifici alla lavagna e tale era la sua concentrazione che nemmeno li sentì arrivare.
Il tuono di Gibbs fece venire un principio d’infarto al povero ragazzo che già di suo non vantava di una gran bella cera… voltatosi ne rivelò una ancora peggiore.
Era evidente che non aveva staccato gli occhi dalla lavagna e da qualunque cosa strana ci fosse scritta sopra.
- Cos’hai? -Chiese Morgan più gentile ma sempre sbrigativo cercando di non far più intervenire Gibbs per non fargli prendere un colpo più serio del precedente.
Reid ci mise un po’ a connettersi, quindi stringendo gli occhi cercò di tornare con la mente al punto in cui li aveva lasciati per vedere da dove cominciare a raccontare le sue scoperte.
- Ehm… dunque…- Gibbs mosse un passo accigliato e Tony lo agguantò al volo impedendo di farlo avvicinare eccessivamente a lui, così Morgan lo prese per le spalle e guardandolo da vicino con quel suo fare sicuro che solitamente funzionava da sveglia, Reid tornò attivo allontanandosi per un momento dai calcoli di Charlie.
- Sì, dunque…Charlie non c’è… -
- Grande scoperta! - Ringhiò Gibbs facendo arretrare il più giovane che si nascondeva dalla vista dello squalo bianco sulla via del furore.
- Sì, l’abbiamo saputo. Don è andato a fare lo scambio, pensa di essere Peter Parker riuscendo a salvare tutti ma dovrà scontrarsi con la dura realtà che è un puro suicidio e basta. - Spiegò ironico Tony sperando di alleggerire abbastanza la situazione pensante.
- Sì, ecco…stavo studiando i dati a cui stava lavorando Charlie prima che fosse preso, siccome non sapevo a cosa pensava ho dovuto capirlo da me… -Tutti allora guardarono la lavagna piena di calcoli e con stupore chiesero:
- E ci sei riuscito? -
Gibbs fremeva per sapere qualcosa di utile sotto la mano di Tony stretta sul proprio braccio. Un’ancora sul mondo reale.
- Certo! -Disse Reid con ovvietà come se avessero bestemmiato.
- E? - Ringhiò di nuovo Gibbs fermato per un pelo dal compagno.
- Stava lavorando secondo uno schema di… - Un’occhiata di nascosto a Gibbs al di là della spalla di Morgan che lo difendeva a sua volta cercando di non deconcentrarlo ancora di più.
- Insomma, aveva quasi trovato i rifugi di Harrison e Scottish. Ritenendo Lucas Ford fuori gioco, si è concentrato su loro due. -
- Ci è riuscito? - Chiese Morgan sperando che Gibbs non esplodesse davvero.
- Non del tutto, ma manca poco… -
- Lo puoi fare tu? -
Reid allora smise di tenere d’occhio il famoso squalo bianco ormai troppo vicino a sé e tornò sul compagno che faticava a mantenere lui stesso la pazienza, così scoccandogli uno sguardo completamente trasformato e deciso, rispose punto sul vivo:
- Ovvio che posso! -
- E COSA ASPETTI?! - Alla fine Gibbs non si era più trattenuto e con un salto all’indietro Reid corse alla lavagna immergendosi velocissimo nei calcoli, un mondo decisamente più sicuro di quello da psicopatici là fuori…
Morgan così l’affiancò ridendo per la figura del suo ragazzo e carezzandogli la schiena gli rimase semplicemente accanto per dargli il suo sostegno e fargli sapere che nessuno l’avrebbe disturbato o ucciso.
Sentì nettamente i pochi muscoli tesi del ragazzo rilassarsi ed in quello le dita affusolate cominciarono a scrivere sullo sfondo nero col gesso laddove Charlie ore prima si era interrotto.
Dietro di loro Gibbs e Tony ebbero modo di sospirare e guardarsi cercando quella forza l’uno nell’altro per rimanere ancora un po’ saldi in loro senza perdere di nuovo la testa.
Era questione di tempo e forse era già stato tutto perso, non poteva saperlo, poteva solo immaginarlo, ma conoscendo Don poteva anche sperare e lì Tony diede vita ai suoi pensieri.
- Anche Don è tosto. Resisterà abbastanza per il nostro arrivo. - Senza ironie e sdrammatizzazioni di mezzo, solo un’affermazione di chi ci credeva fermamente accompagnata da un breve e fugace sorriso sicuro, proprio quello che aiutava spesso e volentieri Gibbs a riprendere i propri nervi saltati.
Fu davvero breve il tempo che Reid ci mise a risolvere il problema di Charlie e stupendo i presenti, nel momento in cui disse: - Finito! - dalla porta dello studio entrarono quattro figure maschili che fece venire subito un colpo ai presenti.
Quando li misero a fuoco la sorpresa fu incalcolabile.
Lì davanti a loro, con tre agenti federali di cui uno in condizioni discutibili, c’era Colby.