CAPITOLO XIII:
FACCIA A FACCIA
FINALE
“E’il
momento della Verità,
il
momento di mentire,
il
momento di vivere,
il
momento di morire,
il
momento di combattere
il
momento di combattere
di
combattere
di
combattere
DI
COMBATTERE!!”
/This
is war - 30 seconds to mars/
Salito sulla
prima auto che trovò a disposizione già con un uomo dalla parte della
guida, Don mostrò il distintivo che aveva appena riavuto insieme alla
sua pistola e ringhiò impaziente il luogo dove doveva essere portato.
Naturalmente non sarebbe mai riuscito a guidare da solo con la spalla
in quelle condizioni, nemmeno con tutta l’adrenalina del mondo a
montarlo.
Tuttavia l’uomo
al volante in un primo momento rimase sorpreso, dopo di che senza
commentare o proferire parola accese l’auto e partì sgommando in una
folle corsa che sapeva di terrore.
Don non capì se
lo accontentò per il distintivo, il tono brutale e minaccioso o la
pistola alla cintura, ma ciò che comunque gli importava in quel momento
era che stesse andando nel luogo dell’incontro con Karl.
Spento il
cellulare si morse il labbro con frenesia mentre sentiva il sangue
fluirgli furiosamente nelle vene ed i battiti aumentare
precipitosamente.
Era la resa dei
conti.
La dannatissima
resa dei conti.
Il momento di
vivere o morire, di combattere, di mettere la parola fine a tutto e
questa volta l’avrebbe fatto a modo suo.
Questa volta
scendeva in campo lui in prima persona, quello che avrebbe dovuto fare
dall’inizio invece di scappare per istinto di sopravvivenza.
Se avesse
pensato prima alle conseguenze della sua fuga, a tutti i guai che
avrebbe comunque causato a chi gli stava accanto, non se ne sarebbe mai
andato ma piuttosto si sarebbe fatto mettere dentro placando l’ira di
quei bastardi.
Ma l’aveva
fatto solo per proteggerli e in quella convinzione non era riuscito a
vedere la falla nel piano. Pur di averlo quelle persone erano disposte
a tutto.
“Mi
vogliono? Bene, mi avranno. Ma dovranno lasciare in pace Charlie e
Colby, porca puttana!”
Più furibondo
di così Don non ricordava di essere stato.
- Perché avete
scelto Sheist? Sembrava quello più ostico… - Chiese Reid cercando di
concentrarsi su qualcos’altro per ritrovare la calma per pensare
lucidamente e indirizzare con freddezza il proprio cervello nella
direzione più utile.
Tutti i membri
del gruppo rimasti lo guardarono in contemporanea e come se avesse
detto la cosa più assurda del mondo, Tony rispose considerando il fatto
che anche lui spesso le sparava apparentemente senza senso ed invece un
motivo l’aveva sempre.
- Appunto
perché è quello più difficile… è l’unico che pur esponendosi
riuscirebbe a tirarsene fuori pulito comunque… - Reid sembrò
illuminarsi, quindi come se il suo metodo assurdo avesse effettivamente
funzionato, disse:
- Direi che è
ora di consultarci con Charlie dal vivo, finalmente… di sicuro sta
lavorando a qualcosa di utile… - Morgan allora capì cosa c’entrasse la
domanda senza senso di prima:
- Lo fa ogni
tanto, quando sente che si sta deconcentrando per il panico, si
focalizza su qualcos’altro che non c’entra niente e poi torna lucido e
funzionante. -
- Non sono un
computer! - Si lamentò piccato Reid mentre si avviava insieme agli
altri verso l’ascensore. Mentre Morgan intavolava un divertente botta e
risposta con lui circa il fatto che invece lo fosse, Gibbs prese il
telefono per chiamare Don ed avvertirlo di raggiungerli ai parcheggi.
Il collega era infatti fuori dalla vista in quel momento ed immaginò
che fosse andato nel suo ufficio a recuperare degli effetti personali.
Quando trovò il
suo cellulare spento si fermò di colpo e corrugò la fronte.
- Che c’è?
-Chiese apprensivo Tony notando anche un granello di polvere sul suo
viso tanto che non gli staccava più gli occhi di dosso.
- Don ha il
cellulare spento. -
- L’aveva
appena preso e riacceso sotto i nostri occhi… - Replicò l’altro. Morgan
e Reid si girarono ponendo la loro attenzione su di loro.
- Bè, ora è
spento! - Sbottò Gibbs esaurendo quel po’ di pazienza rimasta.
Scotendo il
capo davanti ad una di quelle intuizioni che ogni tanto avrebbe
preferito non avere, si rivolse ad uno ad uno cominciando a dispensare
ordini perentori dimenticandosi completamente di essere del tutto fuori
dal suo campo di giurisdizione:
- Tu al suo
ufficio, tu in ospedale dall’altro agente ferito arrestato e tu da suo
fratello. - Dopo di che salì in ascensore per andare a parlare con
l’uomo che avevano appena arrestato che stava giusto venendo condotto
al penitenziario.
Lo trovò in
tempo prima che il furgoncino partisse, quindi lo fece fermare ed
entrando come un caccia tirò fuori subito la pistola, prese Harrison
per il colletto della camicia e lo spinse contro la parete metallica
dell’abitacolo. Gli agenti di scorta rimasero impietriti non sapendo se
dovessero intervenire ma ad un’occhiata più attenta dell’espressione
furente di Gibbs decisero che quell’ormai criminale se la sarebbe
cavata da solo.
Avvicinato il
viso al suo fino a pochi centimetri di distanza e con la pistola
puntata direttamente sul mento, rimase a fissarlo come se lo stesse già
uccidendo, un paio di secondi che parvero secoli ed in seguito disse
basso e penetrante, un sussurro fintamente calmo con dietro una
tensione pronta ad esplodere e fare danni devastanti.
- Dov’è Karl
Scottish? - Nonostante non avesse ancora ricevuto conferme dagli altri
e nemmeno Abby e Garcia avevano avuto successo col GPS del cellulare di
Don, la sua idea era ormai precisa in mente e non poteva che seguire il
suo istinto come faceva sempre, per quanto quella volta gli esponesse
l’eventualità peggiore di tutte.
Mark sudava già
copiosamente senza riuscire ad inghiottire bene, ma tentò con un ultimo
scatto di orgoglio:
- Non ne ho
idea! - Gibbs solitamente giocava un po’ con chi voleva terrorizzare
per farsi dire ciò che gli serviva, ma in quel momento non perse un
solo minuto e schiacciando la canna della pistola contro la gola
facendogli male, gridò liberando solo una piccola parte della furia che
ora albergava in sé:
- DOVE SI
NASCONDE QUEL BASTARDO!? -
Mark sarebbe
andato lungo steso a terra se Gibbs stesso non l’avesse retto, ma
nonostante non sentisse più niente per concentrarsi sulla pistola
contro la gola, si decise a non fare più l’idiota, non a quel punto,
non per uno come Karl.
- Ha un suo
rifugio segreto in caso di necessità, non l’ha mai rivelato a noi.
Tutti ne abbiamo uno, la regola principale era di non fidarsi al cento
percento nemmeno fra di noi. Ognuno aveva un piano di emergenza nel
caso fossimo rimasti incastrati! -
- In cosa
consiste? - Chiese tornando pericolosamente controllato. Mark che ora
aveva capito il meccanismo di quell’uomo irascibile, parlò subito senza
fargli perdere più la pazienza latitante.
- Dipende,
sostanzialmente è un piano di fuga per sparire dalla città, ma abbiamo
prestabilito la base insieme. -
- Cioè? -
- A seconda di
chi ci incastra, prendere il punto debole dell’interessato, portarlo al
nascondiglio che ognuno di noi ha e tiene solo per sé, se possibile
richiamare un paio dei nostri bassi contatti e ricattare il soggetto.
Se questi cede, farci aiutare a sparire assicurandoci che nessuno ci
segua e ci faccia la guerra. -
- E se non
cede? - Gibbs era già avanti di tre mosse e stava andando direttamente
alla fine dei fatti che ormai era certo si sarebbero presto verificati.
Mark sgranò gli
occhi non credendo glielo chiedesse davvero:
- Non è
previsto che non ceda, è tutto organizzato al dettaglio. Quando uno ci
fa la guerra noi ci informiamo subito su tutto ciò che lo riguarda per
colpirlo nel suo punto più debole… -
Gibbs schiacciò
di nuovo la pistola ma questa volta la spostò sull’orecchio e sibilò
minaccioso con voce da brivido:
- Se sei sordo
non ti serve questo orecchio… - Conscio che comunque sparandogli da lì
non gli avrebbe solo perforato il timpano ma anche ucciso all’istante.
L’ex pezzo
grosso dell’FBI ormai era in uno stato pietoso e si decise a rispondere
alla sua domanda precisa:
- Se il
soggetto non dovesse cedere in ogni caso e non dovesse presentarsi allo
scambio, dovremmo liberarci di tutto il carico superfluo, uccidere
quindi l’ostaggio e sparire alla meglio sperando di essere più veloci
degli altri che ci cercano. -
Era logico, si
poteva sparire in ogni caso ma con una caccia all’uomo senza precedenti
come quella che si sarebbe scatenata nel loro caso -e che infatti
avevano già fatto partire per Karl- era decisamente più facile e
sicuro.
Gibbs aveva un
quadro più completo della situazione ma non sembrava di certo più
soddisfatto di prima. Dopo di quello aggiunse in un ultimo caso a cui
non voleva nemmeno pensare:
- E se il
soggetto si presenta allo scambio, finge di stare alle vostre
condizioni, libera l’ostaggio ma poi non vi aiuta comunque? -
Domanda idiota,
lo sapeva nel momento in cui l’aveva posta, ma aveva voluto comunque
farla.
Mark infatti
ammise con ovvietà:
- Lo facciamo
fuori. -
Ecco, ora il
quadro era davvero completo e figurandosi Don alle prese con Karl ed un
paio di altri malavitosi mentre dopo aver messo in salvo gli ostaggi
sparava al suo nemico primo facendosi uccidere a sua volta, scaricò una
breve rata di imprecazioni fra i denti e mollandolo uscì di corsa dal
furgone cominciando il giro di telefonate.
Morgan non
servì chiamarlo essendo sceso lui stesso per venirgli incontro.
- Non c’è in
questo edificio. - Gibbs così non perse tempo nell’informarlo e chiamò
subito Tony:
- No, Lucas non
si è svegliato ed è sorvegliato, non si è presentato nessuno. -
Sospiro
insofferente di chi già sapeva la risposta. Montò dunque in macchina
con Morgan e criptico e sbrigativo disse sentendo già il Diavolo
corrergli dietro:
- Ci vediamo
nell’ufficio di Charlie, dove veniva tenuto d’occhio mentre lavorava. -
- Perché là?
-Una domanda a cui Tony stesso sapeva perfettamente la risposta.
- L’hanno
rapito. - Dopo di che mise giù la comunicazione e beccandosi lo sguardo
stralunato di Morgan che si chiedeva come era arrivato a quella
conclusione, si fece raccontare l’illuminante conversazione poco
ortodossa appena avuta.
Probabilmente
avere idea di che cosa stesse succedendo a chi volevano trovare in quel
momento non serviva più poiché aiutava solo a perdere altra lucidità.
- Quello non
tratterà mai. Fingerà di aiutarli ed una volta che suo fratello e Colby
sarà al sicuro gli risponderà picche! -
La non risposta
di Gibbs fu quanto di più eloquente potesse ricevere.
L’orologio
aveva cominciato a correre.
Come si poteva
pensare di uscirne bene da una situazione simile?
Entrambi
disposti a tutto pur di farla finire, entrambi disposti a tutto pur di
vincere.
Entrambi spinti
oltre ogni limite estremo.
Ormai erano
andati troppo oltre per poter provare a ragionare insieme e trovare una
soluzione pacifica e decente e a Don non sembrava interessare, non più.
Quando giunse
nel magazzino che si trovava in una zona tranquilla ed isolata, capì
subito che non era solo poiché riconobbe il luogo. Era il centro
smistamento della merce di una organizzazione di quartiere, tutti
avevano sempre saputo che lavoravano lì e nessuno era mai riuscito a
smascherarli e farli smettere, ora la beffa la vedeva grande come una
casa.
Se si fosse
preso la briga di far chiudere loro i battenti quando aveva potuto, ora
quell’uomo senza scrupoli non avrebbe avuto nessuno a cui appoggiarsi.
O magari avrebbe trovato qualcun altro. Ma in ogni caso se non era mai
riuscito ad incastrarli ora poteva anche capire perché, visto che erano
protetti da uno dei dirigenti dell’FBI.
Si chiese
dunque se ci fosse limite a ciò che Karl fosse capace e con quello tirò
fuori la pistola puntandola dritto davanti a sé.
Le idee non gli
erano mai state più chiare.
Quando entrò si
trovò in poco tempo circondato da un paio di quei famosi criminali che
avevano sede lì e che evidentemente aiutavano Karl. Non si scompose,
rimase con la pistola salda in mano e correndo veloce con lo sguardo
individuò i ragazzi più facili ed i punti deboli di quel posto, dopo di
che avanzò con calma puntando l’arma contro l’uomo in piedi al centro
del magazzino. V’erano casse di legno ovunque che creavano anfratti
perfetti dove ripararsi e nascondersi.
- Faccia a
faccia parte seconda… - Disse Karl scanzonato. Non teneva nemmeno la
pistola in mano, tanta era la sua sicurezza in quel momento.
Sapeva che Don
sarebbe venuto solo, lo conosceva troppo bene. Bastava usare la giusta
leva.
- Cominciamo
col farmi vedere Charlie e Colby. - Non certo una richiesta, il tono
perentorio.
Karl sorrise
sghembo e senza staccare gli occhi dai suoi, sicuro che la vittoria
ormai l‘aveva in pugno, fece un cenno ad un ragazzo lì accanto che
senza farselo ripetere trascinò fuori una figura incappucciata e legata.
Don riconobbe
subito suo fratello e impazzendo nel non sapere ancora in che
condizioni effettive fosse, parlò direttamente a lui. La voce ora gli
tremava appena.
- Charlie, sono
io… -
- Don, non
dovevi venire… - Tentò il fratello, ma la voce gli morì in gola non
riuscendo a parlare bene. Don divenne di pietra ed il fuoco si alimentò
in lui facendolo apparire come una vecchia caldaia a pressione, quelle
che se non calavi il calore a mano poi finiva per scoppiare in un boato
tremendo.
La pressione
continuava a salire.
- Cosa gli
avete fatto!? - Ringhiò basso e penetrante allo stesso modo in cui
Gibbs stava interrogando Mark in quello stesso momento.
Karl ridacchiò
e gli tolse il cappuccio.
Il viso di
Charlie si rivelò a lui pieno di lividi e con del sangue rappreso
all’angolo della bocca e al sopracciglio. Un occhio quasi chiuso.
- Non dovevate
toccarlo! - Don rimaneva a stento fermo a qualche metro da loro, sempre
circondato dai tirapiedi presenti e fece altrettanta fatica a non
gridare furioso. Però quel modo di parlare e di guardarlo era forse più
inquietante, si vedeva perfettamente la pressione salire, ormai mancava
poco.
- I ragazzi si
annoiavano… - Si giustificò alzando le spalle e sminuendo la faccenda.-
Ma è vivo e vegeto. -
- Dov’è Colby?-
Il fatto che non fosse ancora stato tirato fuori cominciò a farlo
preoccupare ed in quel momento la preoccupazione equivaleva ad un
pericoloso tasso di furia pronta ad esplodere a breve.
Karl lo sapeva
ma a quel punto non poteva lavorarselo a dovere, non poteva curarselo
come avrebbe dovuto fare. Ormai era al limite anche lui, rimaneva poco.
L’uomo più
grande di qualche anno si strinse nelle spalle con finto dispiacere:
- Ecco qua
l’equivoco più curioso che si sia creato fra noi… tu ti sei infuriato
tanto per Colby facendomi capire che ero alle strette, questo ha fatto
sì che io attuassi il mio piano di riserva per la salvezza servendomi
del tuo geniale fratellino. Questo, a sua volta, ti ha fatto perdere
totalmente il controllo. Ma la vuoi sapere una cosa? - Don l’ascoltava
come forse non aveva mai fatto in vita sua, sforzandosi per non perdere
la concentrazione e scaricargli tutte le pallottole addosso comunque.
Non poteva, prima doveva mettere al sicuro Charlie e scoprire dov’era
Colby. Dopo avrebbe potuto dargli quello che si meritava. - Io non ho
idea di dove sia Colby. Non l’ho mai preso. -
Don sgranò gli
occhi perdendo per un attimo la concentrazione, quindi si impose se non
altro di non crederci. Si impose poiché era peggio l’eventualità di non
avere ancora la minima idea nemmeno di dove fosse il suo compagno,
piuttosto che sapere che era lì. Sperò quasi di poterlo vedere dietro
quelle casse malconcio ma vivo e pronto per essere salvato.
- Menti. L’hai
già ucciso? - Non urlare, non urlare… si ripeteva questo. Così come di
non sparare. Era convinto che ormai non potesse più resistere eppure
non si ricordava nemmeno come si pregava, non in quel momento con quel
caos che tentava di farlo scoppiare.
Doveva stare
saldo ancora per un po’.
- Ma è proprio
così, io non ho la minima idea di dove sia Colby. Ho dato ordine di
prenderlo… insieme a quell’altro agente federale di Washington che ho
notato essere ancora in piena libertà… non ricevendo notizie ho dedotto
che qualcosa fosse andato storto, ma onestamente non avevo tempo per
rimediare agli errori dei miei sottoposti. Siamo ad un punto in cui
tutti pensano per sé. -
Non sapeva
minimamente se crederci o no, di solito il suo istinto gli bastava per
trovare quel genere di risposte, ma ora era tutto sballato, tutto senza
controllo, tutto sull’orlo della follia.
- E questa
cos’è, l’ora della verità o della menzogna? Vivere o morire? Che ora è?-
Karl si strinse
nelle spalle ammirando la sua forza di volontà che gli permetteva
ancora di non impazzire.
Rise beffardo e
rispose con quel fare da damerino fastidioso:
- Dimmelo tu,
caro Eppes… che ora è, questa? L’ora di collaborare o di contrastarmi
ancora? Non sei stufo di venirmi sempre contro? - Su questo poteva
essere concorde. Era stufo di andargli sempre contro.
Don cominciò ad
accettare la possibilità atroce che con Colby fosse andato tutto nel
peggiore dei modi… cominciò ad immaginarsi una scena tremenda che non
aveva mai voluto vedersi… lui a tu per tu con quegli agenti e loro che
si uccidevano a vicenda.
In quello gli
occhi gli divennero lucidi e cercando di tornare in sé per non
piangere, non lì, non in quel momento, cercò lo sguardo di Charlie
proprio vicino a Karl. Si agganciarono pensando la stessa cosa.
“Non
può essere morto.”
Senza crederci
davvero. Non più.
Perché ormai
tutto era andato nel peggiore dei modi.
Tutto.
E sembrava non
ci fosse rimasto un solo colpo di fortuna da nessuna parte.
Con gli occhi
di Charlie saldi sui propri che si sforzavano a sua volta di non
piangere per il dolore, la paura e il pensiero appena insinuato, Don
tornò in sé e la pressione da che si era sospesa per un attimo in
quell’esitazione, a che tornò regolarmente a salire.
Regolarmente a
vista d’occhio.
- Questa è la
guerra e quello è l’ultimo atto. Siamo al momento in cui combattiamo in
prima linea l’uno contro l’altro. Eccoci qua.
Ci siamo. -
Le vene del
collo e delle tempie pulsavano ed il viso era ormai rosso di rabbia,
non tremava solo per avere una mira migliore poiché poteva usare solo
un braccio visto che l‘altro era fuori uso.
E non gli
sarebbe importato niente di sé in quell’istante se avesse potuto
portarsi dietro all’Inferno quel bastardo che aveva davanti, ma Charlie
non doveva morire.
Charlie non era
ancora in salvo e la pressione fu di nuovo momentaneamente controllata.
- Mi hanno
reintegrato in piena regola, ho ogni potere ti serva, tutto ciò che tu
non hai più. Cosa vuoi, andartene sano e salvo facendo sparire le tue
tracce? Posso farlo. Documenti falsi? Un mezzo? Ti posso dare tutto,
anche i soldi se vuoi… ma tu ora farai andare via mio fratello. È un
posto isolato, non potrà arrivare dai rinforzi prima che noi finiamo
tutto qua. Lascialo andare e sarò tuo. -
Infine usò
l’ultimo attimo di lucidità che gli rimaneva con la speranza che
servisse a qualcosa, perché almeno suo fratello doveva riuscire a
salvarlo.
Giunsero a
rotta di collo all’università di Charlie, il tramonto regnava nel cielo
colpendo l’edificio ormai quasi del tutto deserto.
Gibbs e Morgan
arrivarono un soffio prima di Tony, si limitarono ad uno sguardo
eloquente, lo sguardo di chi sapeva che non sarebbero servite a nulla
le parole e che era davvero solo il momento di agire.
Eppure anche lo
sguardo di chi avrebbe voluto avere del tempo per isolarsi e
ricaricarsi a modo loro, da soli.
Raggiunto
l’ufficio del professor Epps, ritrovarono Reid immerso nei geroglifici
alla lavagna e tale era la sua concentrazione che nemmeno li sentì
arrivare.
Il tuono di
Gibbs fece venire un principio d’infarto al povero ragazzo che già di
suo non vantava di una gran bella cera… voltatosi ne rivelò una ancora
peggiore.
Era evidente
che non aveva staccato gli occhi dalla lavagna e da qualunque cosa
strana ci fosse scritta sopra.
- Cos’hai?
-Chiese Morgan più gentile ma sempre sbrigativo cercando di non far più
intervenire Gibbs per non fargli prendere un colpo più serio del
precedente.
Reid ci mise un
po’ a connettersi, quindi stringendo gli occhi cercò di tornare con la
mente al punto in cui li aveva lasciati per vedere da dove cominciare a
raccontare le sue scoperte.
- Ehm… dunque…-
Gibbs mosse un passo accigliato e Tony lo agguantò al volo impedendo di
farlo avvicinare eccessivamente a lui, così Morgan lo prese per le
spalle e guardandolo da vicino con quel suo fare sicuro che solitamente
funzionava da sveglia, Reid tornò attivo allontanandosi per un momento
dai calcoli di Charlie.
- Sì,
dunque…Charlie non c’è… -
- Grande
scoperta! - Ringhiò Gibbs facendo arretrare il più giovane che si
nascondeva dalla vista dello squalo bianco sulla via del furore.
- Sì, l’abbiamo
saputo. Don è andato a fare lo scambio, pensa di essere Peter Parker
riuscendo a salvare tutti ma dovrà scontrarsi con la dura realtà che è
un puro suicidio e basta. - Spiegò ironico Tony sperando di alleggerire
abbastanza la situazione pensante.
- Sì,
ecco…stavo studiando i dati a cui stava lavorando Charlie prima che
fosse preso, siccome non sapevo a cosa pensava ho dovuto capirlo da me…
-Tutti allora guardarono la lavagna piena di calcoli e con stupore
chiesero:
- E ci sei
riuscito? -
Gibbs fremeva
per sapere qualcosa di utile sotto la mano di Tony stretta sul proprio
braccio. Un’ancora sul mondo reale.
- Certo! -Disse
Reid con ovvietà come se avessero bestemmiato.
- E? - Ringhiò
di nuovo Gibbs fermato per un pelo dal compagno.
- Stava
lavorando secondo uno schema di… - Un’occhiata di nascosto a Gibbs al
di là della spalla di Morgan che lo difendeva a sua volta cercando di
non deconcentrarlo ancora di più.
- Insomma,
aveva quasi trovato i rifugi di Harrison e Scottish. Ritenendo Lucas
Ford fuori gioco, si è concentrato su loro due. -
- Ci è
riuscito? - Chiese Morgan sperando che Gibbs non esplodesse davvero.
- Non del
tutto, ma manca poco… -
- Lo puoi fare
tu? -
Reid allora
smise di tenere d’occhio il famoso squalo bianco ormai troppo vicino a
sé e tornò sul compagno che faticava a mantenere lui stesso la
pazienza, così scoccandogli uno sguardo completamente trasformato e
deciso, rispose punto sul vivo:
- Ovvio che
posso! -
- E COSA
ASPETTI?! - Alla fine Gibbs non si era più trattenuto e con un salto
all’indietro Reid corse alla lavagna immergendosi velocissimo nei
calcoli, un mondo decisamente più sicuro di quello da psicopatici là
fuori…
Morgan così
l’affiancò ridendo per la figura del suo ragazzo e carezzandogli la
schiena gli rimase semplicemente accanto per dargli il suo sostegno e
fargli sapere che nessuno l’avrebbe disturbato o ucciso.
Sentì
nettamente i pochi muscoli tesi del ragazzo rilassarsi ed in quello le
dita affusolate cominciarono a scrivere sullo sfondo nero col gesso
laddove Charlie ore prima si era interrotto.
Dietro di loro
Gibbs e Tony ebbero modo di sospirare e guardarsi cercando quella forza
l’uno nell’altro per rimanere ancora un po’ saldi in loro senza perdere
di nuovo la testa.
Era questione
di tempo e forse era già stato tutto perso, non poteva saperlo, poteva
solo immaginarlo, ma conoscendo Don poteva anche sperare e lì Tony
diede vita ai suoi pensieri.
- Anche Don è
tosto. Resisterà abbastanza per il nostro arrivo. - Senza ironie e
sdrammatizzazioni di mezzo, solo un’affermazione di chi ci credeva
fermamente accompagnata da un breve e fugace sorriso sicuro, proprio
quello che aiutava spesso e volentieri Gibbs a riprendere i propri
nervi saltati.
Fu davvero
breve il tempo che Reid ci mise a risolvere il problema di Charlie e
stupendo i presenti, nel momento in cui disse: - Finito! - dalla porta
dello studio entrarono quattro figure maschili che fece venire subito
un colpo ai presenti.
Quando li
misero a fuoco la sorpresa fu incalcolabile.
Lì davanti a
loro, con tre agenti federali di cui uno in condizioni discutibili,
c’era Colby.