CAPITOLO XIV:
CALCOLO PERFETTO
“E se solo potessi
Fare un patto con Dio
Convincerlo a
scambiarci di posto
Salirei di corsa quella
strada
Salirei di corsa quella
collina
Salirei di corsa quel
edificio
Se solo potessi, oh…”
/Running up that hill
-Placebo/
Charlie si mosse
traballante verso il fratello, non camminava bene ed era profondamente
spaventato, gli occhi rimanevano concentrati su quelli di Don nella
speranza di trovare, come accadeva spesso in condizioni di forte
stress, uno spiraglio di coraggio che ora sembrava sparito per
l’esperienza traumatica che stava passando.
L’aveva
superata solo grazie al pensiero fisso che aveva mantenuto costante.
Cosa avrebbe
fatto Don?
E non gli era
importato niente del fatto che erano diversi, si era concentrato sulle
somiglianze.
Si era detto
che anche se prevalentemente non ne avevano, almeno una alla fine
l’avrebbe tirata fuori.
Il modo di
affrontare i pericoli.
No, era diverso
anche quello ma in un caso estremo, quando la canna di una pistola si
premeva fredda sulla bocca lo cercavi di proposito, quel modo.
Il modo dei
duri, quelli che sopravvivevano sempre grazie alla volontà d’acciaio.
L’aveva cercata
solo per imitazione di Don e alla fine l’aveva trovato quella
somiglianza.
La
testardaggine e la tenacia.
Capendolo aveva
ripreso quella forza per rimanere fermo e saldo in sé e non gridare
istericamente andando nel panico. Aveva fatto di tutto per non cedere
in alcun modo e poi quando aveva visto suo fratello si era sentito come
rinascere.
Non importava
che fosse solo per sostituirsi a lui e suicidarsi, non importava che
poi sarebbe finita male comunque.
Lui l’aveva
trovato e se era lì era certo come lo era delle sue equazioni che in un
modo o nell’altro ne sarebbero usciti vivi ed insieme, fu allora che la
sua mente si riaccese e alla velocità della luce lavorò su una cosa,
naturalmente di matematica, l’unica cosa in grado di rimetterlo in
sesto.
Quando lo
raggiunse gli parve di aver percorso un sentiero di montagna infinito,
quindi gli si aggrappò stringendosi al suo collo.
Due secondi
netti, il necessario per dirgli delle cifre, poi fu strappato da lui
con la forza.
Delle mani
sconosciute l’avevano tolto brutalmente dalle sue braccia confortevoli
e l’aveva trascinato oltre.
- Non è il
momento per gli abbracci strappalacrime! Abbiamo una certa fretta,
sai?- Disse Karl facendo il gesto col capo di portare Charlie fuori ed
assicurarsi che se ne andasse senza rimanere nello stupido vano
tentativo di aiutare suo fratello.
- Charlie, va e
non tornare indietro. Vattene e mettiti al sicuro! Mi hai capito?
-Disse perentorio e brusco Don girandosi a guardarlo mentre se ne
andava continuando a guardarlo preoccupato.
I suoi occhi
terrorizzati sembravano guardare un morto.
Incidendoseli a
fuoco nella mente, pregò che quelli non fossero l’ultima fotografia di
suo fratello, dopo di che furono definitivamente separati.
Una volta che
Charlie ed il suo accompagnatore furono fuori, Don fu preso e disarmato
secondo i patti. Non poteva fare altro, Colby non era lì e la
convinzione che l’avessero già ucciso lo stava affondando come delle
sabbie mobili. Cercava di mantenersi lucido e saldo e non farsi
prendere dal panico di pensieri terribili, ma non era facile.
Colby era da
qualche parte chissà dove in chissà quali condizioni. Se non morto.
Stare positivi in una situazione simile era utopistico.
Decise che si
sarebbe concentrato sull’unica cosa buona che era riuscito a fare,
salvare suo fratello.
Almeno
sostituendosi a lui gli aveva consentito di salvargli la vita, questo
era tutto ciò che contava. Il resto ormai poteva andare per la propria
strada, tutto quello che poteva l’aveva fatto.
Adesso toccava
agli altri.
- Ora è il
turno di salvare te stesso, Eppes. - Disse Karl lieto di avere
finalmente il gran nemico fra le mani e disarmato.
Lo legarono
immediatamente e lo sedettero su una sedia davanti al pezzo grosso che
gestiva l’operazione, colui che cercava una qualche via di salvezza.
Sembrava sicuro
di avercela fatta.
Sapeva che per
farlo collaborare avrebbe dovuto lasciare Charlie, ma non era
altrettanto convinto che avrebbe ottenuto qualcosa da lui, tutto d’un
pezzo com’era.
Ecco perché
guardando i suoi occhi astiosi aveva avuto un’idea lampante.
- So che non
collaborerai… - E se fino ad un momento prima ne era stato sicuro, ora
non poteva che guardare in faccia la realtà. Con crudeltà proseguì
deciso a giocarsi ogni carta in suo possesso, anche quelle che non
stringeva personalmente fra le dita: - Ma penso che tu debba ricordarti
del tuo amico Colby… -
No che non lo
aveva lui, ma Don era ancora convinto di sì e probabilmente ora era
così mansueto grazie a questo fatto. E a quella spalla ferita che gli
limitava fortemente i movimenti.
Gli occhi di
Don si riempirono di un impossibile bagliore rossastro, solo
un’illusione ottica portata dal suo stringerli fino a ridurli due
fessure. Espressivamente parlava come non aveva mai fatto, essendo un
uomo di poche parole.
Karl stesso
rabbrividì e si chiese a quel punto cosa avrebbe fatto.
Avrebbe
finalmente ceduto o si sarebbe fatto uccidere come fino a qualche
istante prima tutti erano convinti?
Don stesso era
in un abisso di incertezze…
“Prima dice che
non sa dove sia ed ora dice il contrario… vuole confondermi, prima
voleva ottenere che mi consegnassi ed ora che collabori… ma qual è la
verità? Ce l’ha o no? Se ce l’ha e non collaboro mi ammazzano e dietro
mi viene subito Colby. Se non ce l’hanno davvero sono libero di fare la
stessa cosa ma senza il pensiero di Colby. Il fatto è che in ogni caso
non so dove sia, sia che l’abbiano loro, sia che non ce l’abbiano. Dove
diavolo sbatto la testa, ora? Ero convinto che fosse qua… dannazione,
dove sei?”
E lì dovette
ammetterlo.
Non era mai
stato tanto preda dell’incertezza più nera come in quel momento.
Probabilmente
non si era mai sentito più guardato di così in vita sua.
Colby capì al
volo che non avevano idea di dove fosse e soprattutto che non sapevano
dove sbattere la testa.
Dedusse anche
al volo che i due fratelli Eppes erano in pericolo e se per Charlie era
una novità poiché tendenzialmente Don riusciva ad evitarglielo, per
quest’ultimo era ormai una prassi.
Sembrava ci si
trovasse bene, nei casini!
Ci fu un breve
momento di fermo generale dove tutti lo fissarono increduli convinti di
avere le visioni, dopo di che il primo a reagire fu Gibbs che nemmeno
camminando si fiondò immediatamente addosso a Colby e senza toccarlo,
limitandosi a guardarlo ad un soffio più inquisitorio che mai, cominciò
col terzo grado. Un terzo grado solo con gli occhi che parlavano più
della sua voce.
Questa si
limitò ad un secco e penetrante:
- Parlami! -
Colby
rabbrividì ed indietreggiò istintivamente, quindi allargandosi il
colletto della maglia si decise a spiegare le cose dall’inizio, sapendo
che brancolavano nel buio almeno per quanto lo riguardavano.
- Quando mi
hanno preso e portato in un rifugio per farmi parlare, ho finito per
convincerli di passare dalla nostra. Dopotutto era esattamente quello
che dovevo fare, parlare con loro, spiegare la situazione e fargli
capire che potevano fidarsi e collaborare con noi. Così hanno capito
che c’era una via d’uscita per loro e si sono aggregati a me. Il
problema è stato che prima di rinvenire ci ho messo un po’, grazie al
colpo ‘leggero’ che mi hanno dato… ed ormai mi avevano disattivato il
cellulare e separato dall’auto… non avevo modo per comunicare con
nessuno, l’unica era farmi vivo di persona. Non avendo notizie di Don e
nemmeno vostre sono venuto di filato da Charlie… ma noto che qua la
situazione non è più rosea… - Gli altri notarono il brutto livido che
aveva sulla tempia e Gibbs cominciò vagamente a calmarsi… finchè non si
ricordò dell’enorme problema che continuavano ad avere.
Charlie e Don.
Doveva
ammettere che Colby l’aveva stupito, ma non c’era da cantare vittoria,
i problemi erano ancora enormi e giganteschi.
Lasciando
perdere in partenza l’idea di spiegarglieli, si allontanò riprendendo a
camminare su e giù nevrotico e dopo aver indicato a Tony di parlare al
suo posto, col dito puntò la lavagna dove Reid si era fermato dal
lavorare per l’arrivo di Colby.
Il giovane non
si fece ripetere l’ordine e tornando a tuffarsi nel quasi concluso
schema matematico, non ascoltò la spiegazione fantasiosa di Tony che
come al solito aveva preso in esame qualcuno dei suoi film.
- E insomma,
hai presente Peter Parker quando si trova a dover salvare la sua bella
da una parte ed il pulmino di bambini dall’altra e si convince di
poterli salvare entrambi? Ecco, Don si trova in una situazione del
genere… con la differenza che in realtà tu non sei nelle mani dei
cattivi come abbiamo pensato fino a questo istante! Lui comunque
penserà di doversi rovinare fin oltre la decenza umana pur di salvarti.
Peccato che non serve perché stai già bene! -
Quando Colby
venne a sapere nei dettagli la situazione, si sentì raggelare nella
colpa che prepotente lo investì.
Non poteva dire
che fosse direttamente sua ma alla fine sì… Don era andato là a
sostituirsi al suo posto invano e non poteva nemmeno avere la certezza
che se non era là con loro era perché era salvo e stava bene.
A questi
pensieri altrettanto catastrofici ma purtroppo realisti, diede voce
Morgan il quale cominciava ad avere mal di testa a fissare la lavagna
nella speranza vana di capirci qualcosa.
- Purtroppo il
punto è proprio questo… lui non sa se stai bene o no. Sa che non sei là
con loro e che non ti trovi da nessuna parte. È naturale credere che ti
abbiano già fatto fuori o che ti tengano chissà dove per essere sicuri
che lui collabori. Ora è tutto un gioco psicologico… - Il loro pane,
per questo riuscivano a capire alla perfezione e al millimetro la
condizione di Don. Sapevano talmente bene cosa stava succedendo in quel
magazzino che era superfluo avere occhi e orecchie là dentro.
Dovevano solo
arrivarci in tempo.
Colby strinse
convulsamente le mani ai fianchi nella speranza di riuscire a tornare
lucido e cacciare quel senso devastante di panico che voleva metterlo
fuori gioco.
Quasi con la
disperazione di un condannato a morte, sibilò:
- Qualunque
gioco psicologico vinca, Don in ogni caso ha una sola via. - Quando lo
disse Gibbs concluse per lui sapendo di cosa si trattava.
E lo sapeva
perché al suo posto avrebbe reagito allo stesso modo.
- Farsi
ammazzare. -
- Perché lui è
convinto che rimanga solo quello per risolvere la questione! - Riprese
Colby, poi seguito da Tony preoccupato quanto loro perché ormai il
livello di gravità era alle stelle.
- Mettere in
salvo Charlie fingendo di collaborare e poi invece rispondergli picche.
In quel momento però non ci sarà più scampo e senza di lui Scottish non
può uscirne in modo sicuro e dignitoso. Ovvero sulle sue gambe. A meno
che non si metta a fare il criminale di terza categoria o il
fuggitivo…e non ce lo vedo lui nei panni di Harrison Ford a sguazzare
nel fango!- Il riferimento ad uno dei suoi film preferiti, ovvero Il
Fuggitivo, fu chiaro e risollevò lontanamente gli animi per un
brevissimo istante, però aveva fotografato alla perfezione la
situazione.
Karl Scottish
aveva una sola occasione per uscirne come voleva, ovvero sulle sue
gambe e bene, senza dover passare la vita a scappare come un criminale
della peggiore specie e a strisciare anche nelle fogne, se necessario.
La sua occasione era Don Eppes.
Il punto era
che lui non avrebbe mai e poi mai collaborato.
- Ma se usa la
leva giusta crollerà anche Don, è un uomo come gli altri! - La frase di
Morgan tornò a raggelare il sangue a Colby che cominciò a sudare freddo
e a respirare lentamente per non andare in panico.
Doveva
mantenersi saldo, fermo ed in sé.
Era vero quello
che dicevano, ma erano vicini al trovarlo, sarebbero arrivati in tempo.
Ce l’avrebbero
fatta.
Non poteva che
ripetersi quello e tirare ogni muscolo per trattenersi dal correre come
un idiota per la città senza meta.
E dover
aspettare che qualche genio trovasse la risposta era sempre la parte
peggiore.
In quel caso
un’autentica tortura.
- E’ chiaro che
la leva sono io, gli faranno credere di avermi chissà dove e di potermi
uccidere. Collaborerà e se non lo farà lo uccideranno. E probabilmente
lo uccideranno comunque dopo. In ogni caso è una situazione di merda
che può finire solo che male! -
Ma il monologo
del condannato a morte disperato fu troncato di netto dalla voce
petulante e saccente di Reid, la quale non fu mai accolta tanto bene
come in quell’istante..
- Non se
arriviamo in tempo! -
Quando lo disse
tutti si voltarono verso di lui e vedendolo correre alla mappa sulla
scrivania affollata di Charlie, trattennero il fiato increduli sul
fatto che ce l’avesse davvero fatta.
Per un momento
a Colby parve di avere lì Charlie e sempre per quel momento si sentì
sicuro che finalmente il momento dell’attesa fosse finito.
E così fu.
- Il rifugio di
Scottish è questo! - Concluse Reid certo come la morte, con un che di
trionfante nel tono e nello sguardo che demolì uno ad uno gli
spettatori stupiti del suo show.
Morgan era
l’unico che ormai era abituato e senza perdere tempo a controbattere su
quanto fosse sicuro e come facesse a dirlo senza rischiare di fare un
buco nell’acqua, li precedette controllando la pistola ed i caricatori
in tasca.
- Ragazzi, è
inutile perdiate tempo a chiedervi se ha sbagliato o no. Lui è Reid.
Non sbaglia mai! -
Di nuovo Colby
sovrappose la figura di Charlie alla sua e si sentì già all’ottanta
percento dell’opera di salvataggio, come tutte le volte che il
professore arrivava e con i suoi schemi matematici forniva
un’importante informazione che non era mai errata. Mai.
Avere lui era
come avere un piede nella vittoria.
Ora lui non
c’era ma capì senza ombra di dubbio alcuno che Reid corrispondeva a
Charlie e ringraziò il Cielo -pur non fosse sicuro di crederci
effettivamente- che gliene avessero fornito uno di riserva!
“Sto
arrivando, Don. Aspetta.”
Pensò mentre
con gli altri si dirigeva alle macchine.
Chi chiamava
rinforzi, chi preparava le armi, chi dava indicazioni tattiche ed
ordini.
Ed infine chi,
come Morgan, diceva al proprio compagno di stargli vicino per non farsi
male.
Oppure chi,
come Gibbs, diceva al suo di stare attento e glielo diceva con quel suo
tono burbero e sbrigativo ma che significava tanto comunque.
A Colby mancò
quello scambio col suo, di compagno. Gli mancò e sperò fortemente di
avere occasioni di farne altri, in futuro.
Lo sperò
rendendosi conto che gli rimaneva solo quello.
La mente per un
momento deragliò e solo la consapevolezza che Don al suo posto sarebbe
riuscito a rimanere saldo -che anzi al suo posto c’era stato molte
volte e saldo ci era sempre rimasto- lo aiutò a non affondare.
Non c’era
spazio per quello, si disse.
Ora doveva
andare a restituire il dovuto e a riprendersi ciò che gli apparteneva.
“Siamo
gente che ha perso la fede
che
vive sotto il tiro di un'arma carica
E
non può essere sconfitta,
Non
può essere superata,
Non
può essere sopraffatta,
Non
può essere sorpassata”
/The
catalyst - Linkin Park/
Poteva sentire
precisamente ogni goccia di sudore colargli lungo la pelle.
Dalla fronte
percorrevano tutto il viso ed il collo per poi confondersi nei vestiti
che andavano via via sempre più macchiandosi. Alcune trovavano la via
della schiena e lo facevano rabbrividire per quello che normalmente
sarebbe stato solletico.
La mascella era
contratta e non muoveva un solo muscolo se non per respirare piano, non
voleva fare il minimo cenno, la minima espressione, non un solo
movimento… niente… voleva solo stare attento ai rumori esterni,
convinto che qualcosa a momenti l’avrebbe sentito.
Qualcosa di
preciso che si aspettava come sapeva sempre che Charlie non sbagliava
mai i suoi calcoli.
Solo con gli
occhi correva sull’orologio al polso di Karl davanti a sé fermo
immobile a fissarlo.
Sembrava non
avesse fretta, sembrava sapesse cosa fare, sembrava sicuro della sua
collaborazione.
Non provava a
convincerlo ulteriormente, era come se l’avesse già fatto.
Ma le lancette
correvano inesorabili mentre lui lo lasciava lì a crogiolarsi nei suoi
dubbi, perché Don sapeva qual era la strategia di Karl, ormai le
conosceva tutte ma soprattutto le sue.
Quell’uomo
aveva una pazienza ed una meticolosità oltre ogni limite umano, sapeva
che con certe persone la fretta non serviva e soprattutto sapeva che
più dubbi e caos riusciva ad immettere negli altri, più le aveva in
mano.
Lasciare tutto
quel tempo a Don per riflettere equivaleva ad assicurarsi la sua
confusione ed una volta che avrebbe avuto la testa piena di domande
senza una sola risposta, avrebbe affondato i denti nella carne.
Don sapeva
tutto come se stesse leggendo un libro per la decima volta.
Erano i suoi
stessi metodi che talvolta usava, sempre perché dipendeva da chi aveva
davanti.
L’aveva proprio
imparato da Karl, uno dei suoi mentori dopotutto.
- Noi non siamo
mai andati d’accordo, questo è vero… personalità troppo forti entrambi,
immagino… però mi hai insegnato tanto e questo lo devo riconoscere.
-Esordì Don come se sapesse perfettamente la controstrategia da
prendere, come se avesse anch’egli tutto il tempo del mondo.
Di fatto era
così.
Karl ebbe un
guizzo di curiosità nello sguardo, come se si stupisse di quel metodo
anomalo e Don corse di nuovo con gli occhi all’ora.
Ancora un po’.
- Vedo che non
sei un ingrato, Eppes. Ne sono felice, davvero. -
- Vedi che
qualcosa l’ho imparata, da te? - Fece con tono sibillino ed
indecifrabile. Sembrava la persona più calma del mondo, quella col
coltello dalla parte del manico.
- La
gratitudine? -
- No, la
pazienza ed i giochetti psicologici… tu sei un asso in questi… - Anche
quello era vero, Don non stava inventando niente.
Karl si
compiacque di quelli che vide come complimenti, ma non capendo perché
reagiva così e dove intendesse arrivare, si mise sul chi vive. Era
sicuro che avesse in mente qualcosa, lui era Don Eppes, non faceva mai
opera di lecchinaggio, nemmeno se rischiava la vita.
Con uno sguardo
rivolto a due dei suoi uomini, gente di un’organizzazione che si era
schierata dalla sua parte invece che da quella di Gibbs, indicò di
controllare l’esterno, quindi questi uscirono. Dentro rimasero solo
loro più altri due uomini armati fino ai denti.
- E’ questo che
stai facendo? Un giochetto psicologico? -
- Con te? Tu li
conosci tutti, non ha senso… - Rispose con un sorrisino sornione
davvero fastidioso.
- Allora cosa
stai facendo, si può sapere? - Don era legato con le mani dietro la
schiena ed aveva ormai superato il dolore alla spalla ritenendo il
problema della sopravvivenza qualcosa di più urgente. Oltretutto ne
aveva sopportati di peggiori… quando l’avevano accoltellato era stato
di certo più male!
- Quello che
sembra… -
- Sembra solo
che stai perdendo tempo. -
Don accentuò
quel suo strano ed inquietante sorriso, lo stesso che metteva a disagio
i sospettati quando li interrogava.
- Sto seguendo
il consiglio di mio fratello. -
Karl cominciò a
capire e col nervoso che infatti saliva, consapevole che quel dannato
professore sarebbe stata prima o poi la sua rovina, ringhiò con la
pazienza che scemava sempre più:
- Ti ha detto
di perdere tempo perché sarebbe arrivato coi rinforzi? Illuso, prima
che trovi anima viva sai quanto tempo passerà? È solo, a piedi e
zoppica perché i ragazzi non ci sono andati leggeri… ci metterà una
vita! -
Don fece fatica
a non scaricargli una valanga di insulti, detestava quando gli facevano
notare le ferite di suo fratello, specie se le aveva contratte per
causa propria. Però con uno sforzo notevole e volontà ferrea riuscì a
sorridere di nuovo.
- Mi ha solo
dato un’ora. -
Karl interdetto
alzò un sopracciglio… lo stava prendendo in giro?
- Un’ora? -
- Sì… - Fece
Don compiaciuto del suo stato sempre più pietoso. - Mi ha dato un
orario preciso… io voglio solo aspettare l’ora che ha detto lui. -
Solo in quel
momento Karl capì cosa stava succedendo, ma pur sapendolo non poté
farci nulla… non aveva contromisure per quello e capendo che era una
volta di più con le spalle al muro -e lui detestava starci- colpì Don
con un manrovescio carico di rabbia. Fu naturalmente incassato senza
problemi e quando tornò a voltare il viso verso di lui, sorrideva
ancora in quel modo strafottente.
- Che orario ti
ha dato, sentiamo! - Chiese Karl sapendo che non glielo avrebbe mai
detto. - Non può sapere quando arriveranno i rinforzi, non possono
sapere dove siamo, nessuno può venire qua ed anche se fosse i miei
uomini li fermerebbero! Sei un illuso se pensi che questa volta la sua
matematica abbia indovinato! -
Don allora
divenne quasi malefico nella sua profonda soddisfazione e con uno
sguardo ammonitore minaccioso, rispose basso e penetrante, quasi che al
posto della lingua avesse un coltello.
- Tu non hai
ancora capito niente di Charlie. Lui con la matematica non indovina.
Lui con la matematica le cose le sa. - E non seppe dire di preciso cosa
fu a farlo uscire tanto di sé, quella volta.
Karl era
l’unico in grado di mantenere sempre la calma anche nelle situazioni
più preoccupanti, non perdeva mai la testa… ma qualcosa in quel momento
scattò in lui, forse la somma di tutte le volte che si era dovuto
trattenere ed usare la testa, forse… forse il tempo stesso che andava
avanti pericolosamente oppure una sensazione, ma fu lì che alzò di
scatto la mano ed impugnando la pistola gliela puntò contro la fronte.
Don era seduto davanti a lui e compiaciuto più che mai rimase a
sorridere a quel modo maledettamente fastidioso e a fissarlo come se
nessuna pallottola gli si stesse per impiantare nel cervello.
Rimase lì
correndo nuovamente un brevissimo millesimo di secondo sull’orologio.
Ormai c’erano.
- Tu non potevi
collaborare e basta, vero? Non potevi semplicemente aiutarmi ad
andarmene da qua e farmi sparire senza farmi dannare. Non potevi per
una maledetta volta piegarti. Perché tu non ti pieghi mai, ti spezzi ma
non ti pieghi mai! Bene, sai una cosa, Eppes? - Fece Karl schiacciando
bene le parole come la canna della pistola sulla sua pelle. Don ancora
immobile. - Ora io passerò dei guai e forse non riuscirò a scappare
solo con l’aiuto di questi inetti qua… però tu all’inferno ci andrai,
perché è una soddisfazione che non posso togliermi. -
Don contava
ormai i secondi, ciecamente fiducioso nell’orario che gli aveva dato
suo fratello.
- Cos’è che ti
brucia di me, Karl? Che ho imparato bene tutti i tuoi trucchetti da
agente ed anche qualcuno in più? - Solo alcuni secondi ancora.
Karl si morse
il labbro, respirava piano e profondamente, tutti i muscoli tesi ed il
dito che gli prudeva per essere premuto sul grilletto.
Cosa?
Magari la
risposta gliela poteva dare, prima di ucciderlo. Perché anche se lui
non ce l’avrebbe fatta ed il suo piano di fuga sarebbe andato a quel
paese, si meritava di riuscire a togliere di mezzo Don Eppes una volta
per tutte.
Dunque poteva
anche dirglielo, alla fine.
- Cosa mi dà
tanto fastidio di te? - Disse con falsa calma, completamente teso e
fuori di sé: - Tutti ti chiamano Eppes ad eccezione dei ragazzi della
tua squadra. Tu invece li chiami tutti per nome. Per te non esiste il
rispetto per nessuno. Ecco cosa mi brucia. Che tu non hai regole, di
nessun tipo. Niente regole d’educazione, niente regole di decenza,
niente regole professionali, niente regole morali, niente regole
legali. Niente regole. A te tutto è concesso perché tu sei Don Eppes.
Ecco cosa mi dà tanto fastidio di te. - Dopo di questo, con un gelo
senza pari, disse proprio mentre premeva il grilletto: - Addio. -
E il grilletto
fu premuto, ma non da lui come a tutti i presenti parve.
Non da lui
visto che qualcuno effettivamente cadde a terra privo di vita ma non
Don.
Karl si
accasciò proprio davanti a lui facendo crollare la pistola, come se gli
avessero tagliato i fili.
Ed i fili
glieli erano stati tagliati.
Don non aveva
chiuso gli occhi e quando vide il colpo preciso in fronte, fra gli
occhi, netto e pulito, capì chi era stato, poi guardò l’ora e con
profonda soddisfazione, come se lui stesso avesse un qualche merito,
sorrise.
Esattamente
quella che aveva detto Charlie.
L’istante dopo
si lasciò cadere a terra sulla spalla sana evitando al volo i colpi di
pistola che volarono appena sopra di lui.
Pochi colpi,
poca confusione, pochi dubbi e gli altri due uomini armati furono messi
fuori gioco ma non uccisi.
L’unico che
quel giorno perse la vita fu Karl Scottish, il corrotto pezzo grosso
dell’FBI.
Quando sentì un
coltello tagliargli via le corde dal polso, imprecò per il dolore nel
muovere il braccio ferito e nel ricordarsi le proprie condizioni, ma la
fitta fu controbilanciata dalla consapevolezza di chi ora, girandosi,
avrebbe rivisto.
Prima ancora
che i propri occhi registrassero il suo viso e la sua figura, lo stava
già abbracciando col braccio sano.
- Questa volta
mi hai fatto davvero prendere un colpo, Colby… - Sentirglielo dire fu
quanto mai una sorpresa visto che normalmente il suo massimo era una
pacca sulla spalla ed un ‘ottimo lavoro’.
Fu così che
anche Colby ebbe la chiara visione dello stato reale di Don e
sorridendo consapevole e sollevato, ricambiò l’abbraccio alzandolo
delicato notando la spalla ferita che non muoveva più.
- Si vede… - A
Don non importava sebbene normalmente gli avesse dato fastidio, ma il
tono di scherno usato dal proprio compagno lo salvò dall’imbarazzo e
lasciandosi andare ad una bozza di sorriso, gli baciò fugacemente il
collo mentre veniva tirato su.
“E’solo
che detesta mostrare come si sente ed è bravo a nasconderlo…questo non
significa che non provi nulla…”
Pensò Colby
tenendosi per sé quel pensiero. Tutto quello che Karl non aveva mai
capito di lui e che in molti, effettivamente, non capivano.
Quando fu in
piedi e si sciolsero, Don gli sembrò di essere rinato seppure con di
nuovo tutti gli acciacchi di prima. L’angolo del labbro cominciava già
a gonfiarsi e la spalla lo stava facendo salire sul soffitto, ma poter
stare di nuovo con Colby e suo fratello era di certo più appagante di
qualsiasi altra cosa.
Proprio a
quella riflessione agganciò Charlie giunto nel magazzino subito dopo la
fine della sparatoria, quindi stretto a Don chiuse forte gli occhi
trattenendo il respiro ed a stento delle lacrime che avrebbero
imbarazzato entrambi.
Però nelle sue
braccia ritrovò tutto il conforto che in esse aveva sempre avuto e
sollevato di poterlo risentire e questa volta da uomo libero, Don disse.
- 20:12
precise! - Charlie che sapeva e poteva saperlo solo lui a cosa si
riferisse, capì e sorrise compiaciuto di aver una volta di più saputo
usare la sua matematica per qualcosa di davvero importate, più
importante di qualunque scoperta che avrebbe potuto trovare se si fosse
messo a fare il ricercatore.
- Mica avrai
avuto dubbi sul fatto che avessi ragione! -
Don si separò e
lo guardò ridendo contento e quasi radioso, così luminoso non lo era
mai stato.
- Mai. - A
Charlie parve di star volando.
Poco dopo
furono raggiunti dagli altri che con varie pacche e abbracci lo
salutarono assicurandosi che fosse ancora tutto intero.
Solo Gibbs non
ebbe alcun contatto con lui se non uno sguardo diretto e significativo
dopo il quale Don chinò appena il capo in segno di ringraziamento:
- Tempismo
perfetto… sapevo che solo un esperto cecchino sarebbe potuto arrivare
in tempo e prenderlo dalla posizione più scomoda di tutte.
-Naturalmente, visto che il tutto si era consumato dietro delle casse
che li avevano tenuti nascosti rispetto alle diverse entrate.
Gibbs mise via
il fucile che aveva preso ad una delle guardie all’esterno messe fuori
combattimento appena arrivati e con un sorriso soddisfatto rispose:
- Ringrazia il
tuo istinto che ti ha fatto credere alla cosa giusta… se avessi
abboccato alla sua minaccia dubito che vi avrei trovato ancora qua.
-Disse alludendo al fatto che Colby per tutto il tempo era stato fatto
passare per rapito da Karl e gli altri.
Don capì e alzò
la spalla sana sminuendo la cosa.
- Non sono
capace di non ascoltarlo… -
E Gibbs lo
capiva perfettamente visto che non c’era verso che lui stesso andasse
mai contro il proprio, di istinto.
- Quello che
interessa a me, piuttosto, è sapere cosa c’entra il fatto dell’ora…
-Chiese Morgan che non si era fatto sfuggire il particolare.
Reid e Charlie
che avevano cominciato a parlare a macchinetta fra di loro sul calcolo
iniziato da uno e concluso dall’altro, si fermarono e con le loro
tipiche arie saccenti cominciarono la lunga e contorta spiegazione con
tanto di termini matematici e di esempi.
Alla fine
Colby, abituato a quei linguaggi e conoscendo Charlie, tradusse per
tutti sentendosi strano a farlo riguardo delle nozioni matematiche…
- Ha solo
capito che Don era qua perché voi ce lo avevate portato, quindi
ricordandosi dove era arrivato con la sua equazione per trovare il
posto e calcolando quanto un altro genio -e Reid nello specifico- ci
avrebbe messo per trovare la soluzione, sommando ciò al tempismo con
cui sarebbero arrivati nel suo studio e a quello della strada per
arrivare fin qua, ha trovato l’ora esatta in cui saremmo arrivati. Come
puoi notare ci ha preso in pieno. Così Don ha dovuto resistere solo
fino a quel momento. -
Charlie e Reid
lo guardarono male per aver ridotto tutto il suo egregio e prestigioso
giro mentale di pochi istanti a quello, però vedendo che Morgan e
Tony-specie Tony- avevano capito, decisero di non polemizzare oltre e
di tornare nel loro mondo di geni usando termini da geni e ragionamenti
da geni.
- Allora,
vediamo chi lo conosce il film che finisce esattamente in questa
maniera? È famoso e c’è un cast di tutto rispetto… - La voce squillante
e allegra di Tony si face sentire distraendo tutti i presenti, ma al
grugnito spazientito di Gibbs che se ne andava imitato a ruota da Don,
Colby e Morgan risero affiancandolo e dandogli delle pacche amichevoli
per la sua espressione delusa nel non essere stato calcolato dal
proprio compagno. - Andiamo, Gibbs, tu lo conosci! L’abbiamo visto
insieme! -
Così dicendo lo
seguì fuori a ruota insieme agli altri mentre gli agenti di supporto
rimasero dentro ad occuparsi del resto, come se tutto quello per loro
fosse normale amministrazione.
In un certo
senso ormai era così.