CAPITOLO XV:
INDAGINE CONCLUSA

“I colori dell'arcobaleno, così belli nel cielo
Sono anche nelle facce della gente che passa
Vedo amici stringersi la mano, chiedendo "come va?"
Stanno davvero dicendo "Ti amo"“

/What a wonderful world - Ramones /
Era come essere già stati in quella casa, come se fosse la loro.
Era la stessa sensazione che tutti avevano avuto entrando in quella di Gibbs e Tony.
Casa di tutti, un luogo sicuro, piacevole, tranquillo e col giusto tocco di qualunque cosa, dall’allegria alla pace al riposo.
Nessuno avrebbe immaginato che casa Eppes sarebbe potuta essere così.
Don abitava in un appartamento suo ma alla fin fine era più lì che nel suo. Quella era casa di Charlie che viveva con suo padre.
Ad ogni fine giornata, specie se dure e faticose come quelle, si riunivano sempre tutti o quasi lì, si mangiava e beveva in compagnia rilassandosi e scrollandosi i pesi della giornata.
A volte c’era qualcuno della squadra, altre erano solo loro tre Eppes.
Ritrovarsi tutti insieme fu strano, un regalo vero e proprio e Alan non avrebbe di certo potuto chiedere di meglio.
- E’ un porto di mare, questa casa… - Fece Tony allegramente dopo aver visto l’ennesimo compagno di squadra di Don arrivare per complimentarsi dell’ottimo lavoro svolto e assicurarsi che stesse bene. - Come lo scantinato di Gibbs! Passano cani e porci! - Lo disse come modo di dire, non perché considerasse effettivamente male le persone che andavano e venivano da quella casa o dalla loro…
- Già, proprio cani e porci! - Fece poi Gibbs ribattendo ironico fissando esplicitamente Tony. Questi tossicchiò e capendo di essere stato considerato lui come uno di quei graziosi animaletti, fece la sua tipica espressione da ’lo stai dicendo sul serio, capo?’ che comunque fece ridere tutti.
Effettivamente anche lì c’era gente in abbondanza che entrava ed usciva a piacimento ed era bello perché ognuno si sentiva accolto e a casa propria.
Era come non essere dall’altra parte degli Stati Uniti ma sempre a Washington DC.
Dalla porta della cucina erano usciti poco prima proprio Alan e Gibbs con un vassoio a testa di carne grigliata e l’uomo più grande aveva richiamato tutti con poca fatica. Ancora prima di finire la frase erano già tutti fiondati a tavola affamati come lupi.
Per una volta Don era seduto a tavola e non trafficava in alcun modo, obbligato a stare finalmente fermo per via della spalla ferita. Non aveva ancora avuto tempo di recuperare, del resto.
- Chuk, prendi un po’ di birra, è già finita! - Disse col suo solito tono perentorio usando di proposito l’odiato soprannome. A questo Charlie che stava parlando con Reid fitto fitto si interruppe e guardando malissimo il fratello cominciò la lunga lamentela secondo la quale non doveva chiamarlo in quel modo.
- Scusa, ma avrà un punto debole sul nome anche lui, no? - Fece Morgan con furbizia divertito. Per lui rispose Colby che conosceva il compagno molto bene:
- No, non gliene importa niente se gli storpiano il nome… in effetti non è permaloso su questo genere di cose… solo Charlie lo è! - Spiegò ironico beccandosi anche lui un’occhiataccia dal soggetto in questione.
- Come vuoi, ma la prendi o no questa birra, Chuk? - Fece di nuovo Don seccante rivolto ancora al fratello.
- Cos’hai, una crisi d’astinenza? - Don ghignò:
- Mi conosci bene! - Vederlo così rilassato era un evento che solo i ristretti del suo giro potevano avere il privilegio di vedere, quindi fu piacevole per i nuovi amici vederlo così sorridente e tranquillo a scherzare.
- Insomma questa birra? - Fece seriamente seccato Gibbs, invece, che dopo aver cucinato la carne pretendeva di gustarsela come si doveva.
Charlie alzò gli occhi al cielo e si decise ad andare a prenderla mentre gli altri ridevano alle spiegazioni fantasiose di Tony:
- E’ colpa mia, l’ho abituato troppo bene a casa! Vedete, lui cucina la carne alla griglia ed io mi occupo sempre delle birre, quindi per quando lui finisce io arrivo con il pacco da sei che ci facciamo fuori in una serata. - Gibbs capendo che se non l’avesse fermato in tempo avrebbe raccontato anche il modo in cui digerivano, lo fulminò scorbuticamente come suo solito.
Ovvero con uno scappellotto sulla nuca:
- Hai finito di raccontare i fatti nostri a tutti? - Fece mentre gli altri ridevano.
- Devo proporlo ad Hotch! - Esclamò allora Reid improvvisamente come se fosse una frase sensata da dire di punto in bianco.
Tutti si fermarono seri e lo fissarono cercando di capire a cosa si riferisse e quando Morgan glielo chiese, egli rispose con la sua aria da professorino:
- Lo scappellotto come metodo di ridimensionamento. Magari la smetti di fare cose avventate dalla mattina alla sera solo per metterti in mostra! -Lo scoppio di risa successivo fu d’obbligo ma con la birra e gli stomaci in via di riempimento chiunque sarebbe riuscito a rilassarsi e ridere divertito.
- Allora non è vero che non te ne importa! - Fece Morgan pronto a punzecchiare il compagno come sempre.
- Non è che me ne importi, è solo che poi dobbiamo subire noi della squadra le sue furie gelide di quando fai una qualche sciocchezza di testa tua. Considerando che ne fai una almeno ad ogni caso, puoi immaginare perché sia invecchiato tanto precocemente! - Non era poi così vecchio come diceva ma l’aria severa era aumentata davvero molto nel corso degli ultimi anni, non certo per colpa di Morgan… era solo che gliene erano capitate troppe.
- Sicuro che invece non sia tu che ti preoccupi troppo? - Fece Morgan divertendosi ancora.
- No ma più che altro, ve lo immaginate lui ad essere colpito con uno scappellotto sulla nuca? - Asserì Colby provando ad immaginarsi la scena senza successo. Quando anche gli altri ci provarono di nuovo il fragore delle risa si levò dal tavolo.
- E’ più facile immaginare Reid fare a pugni! - Rispose prontamente Tony il quale senza McGee prendeva di mira proprio il genio del BAU per tenersi sempre in allenamento.
- Ehi, un momento ma io cosa centro ora? - Ma l’allegria non fu risparmiata nemmeno in quel momento ed andò avanti a lungo anche oltre la cena fra battute e ribattute da parte di tutti, persino i solitamente più contenuti e cupi Don e Gibbs.
Una serata proprio piacevole.

Dopo cena ci fu la gara a biliardo ma avendola organizzata a torneo con squadre da due, alcuni in attesa se ne stavano liberamente dispersi in giro per l’ampia casa Eppes come se fosse propria.
I primi furono Alan e Charlie contro Morgan e Reid.
Erano tutti molto capaci ma la prima cosa che Don e Morgan avevano detto all’unisono era stata di tenere sotto controllo Charlie e Reid visto che con la loro mente dannatamente matematica erano capaci di barare senza che nessuno se ne accorgesse.
A quello i due cervelloni avevano risposto sempre all’unisono con eterna saccenza:
- Ma non è barare, è usare la testa! Si chiama strategia di gioco! -
- Si chiama‘bastardi approfittatori’! - Puntualizzò Colby d’accordo col suo compagno e con l’amico nel dare contro a quei cervelloni che usavano un po’ troppo la materia grigia in un gioco tanto piacevole come il biliardo.
Di nuovo le risa non furono poche.
- Pensa per te che hai un compagno menomato! Voglio proprio vedere come pensi di fare per vincere! - Lo punzecchiò Charlie colpito sul vivo.
- Ehi! Il compagno menomato sarei io?! - Intervenne subito Don seccato.
- Hai una spalla e quindi un braccio fuori uso, tecnicamente parlando sei menomato! - Rispose Charlie con prontezza e senza il minimo intimidimento mentre intanto Reid faceva faville al tavolo verde su grande soddisfazione di Morgan.
- E farò meglio di te lo stesso! - Replicò piccato con aria di sfida puntando il fratello con un dito.
- La tua capacità fisica dimezzata contro il mio cervello per intero? Sei serio?- Rispose scettico Charlie convinto che suo fratello questa volta scherzasse.
Avrebbe dovuto evitarlo ma Don gliela fece passare solo perché al momento e giocare erano Morgan e Reid che stavano andando più che bene insieme contro suo padre e quel Giuda di suo fratello. Ma la rimandò a dopo.
- Guarda che non te la faccio passare liscia! -
Le risa furono il contorno per quella lunghissima sfida -Charlie contro Reid non era di certo una passeggiata- ed anche per tutte le successive, una più esilarante delle altre.

Nel frattempo perso nella cucina alla ricerca di birre, Tony venne raggiunto subito da Gibbs.
- Che diavolo fai? Non è mica casa tua! -
Tony si alzò chiudendo un armadietto.
- Cerco le birre. -
- Non ne hai bevute abbastanza? - Chiese Gibbs appoggiandosi al lavello come se sapesse già che quella conversazione oltre che alle solite cavolate avrebbe portato anche a qualcos’altro di interessante.
- Io sì ma se poi tocca a noi tu giochi meglio con una bottiglia in mano ed io voglio vincere quella gara! Voglio vederti a giocare contro Don con tutte le tue forze. - Una sfida effettivamente interessante tanto quella di Charlie contro Reid.
Gibbs ghignò consapevole già in anticipo che di certo era una cosa simile, poi però rimase serio ad osservarlo frugare in un altro armadio con tanta sfacciataggine da far impallidire una donna di strada!
- Che c’è? -Chiese con leggerezza l’osservato senza fermarsi, come se fra loro due fosse sempre stato tutto a posto e non avessero niente di cui parlare.
- Lo sai bene cosa c’è! - Fece Gibbs secco ma non arrabbiato. Manteneva le braccia incrociate sul petto e l’espressione era risoluta ma non furiosa o severa.
Tony si stupì per un istante ma si compiacque di essere stato quello cercato per il chiarimento, di solito era l’opposto.
Alla fine si rassegnò e smise di cercare, quindi si fermò e con le mani in tasca si appoggiò del tutto tranquillo e rilassato al frigorifero. Distavano qualche metro l’uno dall’altro e rimasero ad osservarsi per un istante come a comunicare prima col pensiero che con la bocca.
Fu ovviamente Tony ad interromperlo per prima.
- Mi sono comportato da stupido… sommariamente parlando… ma solo per quel che riguarda Don e la mia lotta per ingelosirti! - Lo ammise quasi con facilità, per lui non era una vera tragedia ammettere le sue colpe con lui.
- Mica ti starai scusando!? - Fece ironico Gibbs riferendosi alla loro regola di non chiedere mai scusa. Tony allo stesso modo rispose fintamente sulla difesa:
- Per niente, espongo solo un fatto. Ho un po’ esagerato. -
- Un po’? -Rimarcò più seriamente l’altro ora accigliato.
- Va bene, un bel po’. - Così andava meglio, di disse Gibbs trovandosi poi fissato con molta espressività da Tony. I suoi occhi azzurri ora stavano dicendo ‘ora tocca a te!’. Non l’aveva mai pensato, Gibbs l’aveva solo cercato per sentire quelle specie di scuse. Il suo comportamento l’aveva mandato sui gangheri però voleva mettere la parola fine una volta per tutte e godersi al cento percento il resto di quel viaggio fuori programma.
- Che hai? -Fece infatti Gibbs convinto seriamente di non dovergli niente.
Tony ridacchiò.
- Lo sai! -Fece imitandolo volutamente. Al compagno piacque e finì inevitabilmente per divertirsi seppure fu bravo a non darlo eccessivamente a vederlo. Tony comunque aveva un occhio molto allenato e non gli sfuggì che gli piaceva quella conversazione. Certamente in caso contrario non l’avrebbe cercato.
Gli si avvicinò posizionandosi davanti in una perfetta imitazione della sua posa. Giocava col fuoco solo quando erano soli, in pubblico non avrebbe mai osato e Gibbs lo sapeva, quindi si rilassò sciogliendo le braccia dal petto liberando un’aria vagamente ironica.
- Io non ho esagerato! Ho reagito in conseguenza alle tue esagerazioni! - Tony scoppiò a ridere, ci avrebbe giurato che avrebbe detto così, non se ne stupì e prendendolo in contropiede come sempre annullò la breve distanza rimasta rimettendosi le mani in tasca e limitandosi a toccarlo col corpo. Solo così, senza abbracciarlo o fare chissà cos’altro.
Poi ad un soffio dalle sue labbra, con occhi deliziosamente ridenti, disse piano:
- Scuse accettate. - Perché erano esattamente quello e lui ormai lo sapeva.
Gibbs suo malgrado fra un aria truce e l’altra non riuscì a celare dello spontaneo sollievo. Quando riuscì a mostrarlo con un sospiro fugace, il compagno si prese le sue labbra con delicatezza suggellando in quel modo semplice, discreto e non invasivo od esagerato la loro pace. Una pace che tutto sommato avevano già fatto prima quando avevano collaborato.
Gibbs le accolse aprendo le proprie ma al suo contrario non fu non invasivo e quando intrecciarono le lingue con dolcezza, scivolò con le mani sui suoi fianchi e attirandolo a sé ulteriormente fino a sentirlo addosso, provò nettamente la sensazione di liberarsi di uno zaino pieno di massi pesanti.
Ogni volta che litigava o che se la prendevano l’uno con l’altro a vicenda, si sentiva con quello zaino sulle spalle ma l’orgoglio era davvero una brutta bestia perché finchè non vedeva anche solo un vago piccolissimo cenno da parte di Tony di voler aggiustare le cose, lui non faceva il minimo passo.
Quella volta il cenno era stato salvarsi le vite a vicenda quando si erano trovati nei quartieri bassi alla ricerca di collaboratori che incastrassero i capi dell’FBI.
Era stata un’indagine lunga e massacrante ma se potevano trovare il tempo di tirare le somme e fare pace a modo loro significava che era finito tutto bene e per una fine simile avrebbero sempre fatto la firma, viste tutte quelle tragiche che invece avevano dovuto sopportare.
Quando si separarono, appoggiarono la fronte l’uno all’altro e guardandosi da vicino col respiro sul viso, fu Tony come sempre a trovare le parole adatte da dire:
- Non è una questione di buoni o cattivi… - Fece in riferimento a tutta la questione amara che avevano affrontato in quei giorni e che inevitabilmente gli aveva fatto chiedere se loro fossero immuni a certi giochi di corruzione. Sapeva che non era così, da che mondo era mondo quelle cose esistevano ovunque. Il pensiero però lo finì Gibbs come se ci avesse pensato per tutto il tempo.
- E’ una questione di giusto o sbagliato. - Tony sorrise con soddisfazione perché era precisamente quello che aveva pensato.
- E, come disse Silente ad Harry Potter, sono le scelte che facciamo, quelle che contano. La parte da cui scegliamo di stare. - Provò naturalmente ad imitare il vecchio mago di Hogwarts risultando solo più buffo, ma nel dire una cosa in modo comico mosse nell’altro un sentimento di condivisione e compiacimento.
Cavolate a parte, era proprio così.
E loro la propria parte l’avevano scelta già da tempo, così come Don e tutti gli altri di là.

Quando vennero a chiamarli perché toccava a loro avevano appena trovato una birra rimasta in un angolo del frigo e con trionfo Tony andò di là puntando spavaldo ed esaltato Don, asserendo invasato in una perfetta imitazione di un altro famoso personaggio del cinema.
- Ma se io posso cambiare e voi potete cambiare allora tutto il mondo può cambiare! - Ed in coro con Morgan, assolutamente non organizzata: -ADRIANAAA! -
Reid che al cinema guardava solo dei polpettoni pesanti di alta intelligenza e che non conosceva Rocky, lo guardò senza capire come il suo compagno fosse impazzito e mentre gli altri ridevano riconoscendo la citazione, commentò col suo tipico fare da professore:
- Non capisco precisamente cosa c’entri Adriana ma riconosco che per concludere quest’indagine drammaticamente pesante, la frase iniziale era piuttosto indovinata. - A questo perfino Don e Gibbs risero e non composti ma proprio di gusto.
- Allora, chi ci tocca? - Fece quest’ultimo cambiando discorso per non far degenerare la situazione visto che conosceva Tony e sapeva che se gli davano corda finiva per fare imitazioni a ripetizione fino a che non le indovinavano tutte.
- Ecco a voi signore e signori la sfida del secolo! - Annunciò Morgan divertito il quale non aveva visto l’ora di quel momento: - Don e Colby contro Gibbs e Tony! - L’imitatore in questo caso fu lui che si calò nei panni di un cronista di boxe e come se gli leggesse nel pensiero Gibbs puntò il dito contro Tony che aveva già aperto bocca per dirne una.
- Osa dire una qualunque cosa che riguardi il film The Heat e giuro che do forfait ancora prima di cominciare! - La birra però se l’era presa e l’aveva già aperta.
Tony rimase a bocca aperta ma non zitto a lungo ed infatti dopo qualche secondo di stordimento per essere stato preceduto, disse:
- Ma voi due siete perfetti nei panni di De Niro e Al Pacino! - Piagnucolò mentre gli altri facevano una cosa che avevano fatto già per tutta la serata, ovvero ridere.
- E comunque nessuno crederebbe ad un tuo ritiro! - Lo sfidò involontariamente Don. Involontariamente mica tanto, era ovvia nei suoi occhi la voglia di fare quella gara con lui tanto quanto Gibbs stesso.
Furono Colby e Tony allora a guardarsi consapevoli che sarebbe stata molto lunga.
- Che ora è? -Fece il primo enigmatico come se c’entrasse qualcosa.
- Le dieci, perché? - Rispose Charlie.
- Che dici, mezzanotte? - Fece Tony all’amico-rivale.
- Anche l’una!- Replicò l’altro con la stessa identica ironia nello sguardo e mentre non tutti capivano a cosa si riferissero, Morgan ghignando li illuminò capendolo al volo:
- Il tempo che ci metteranno a finire la sfida? -
A questo però intervenne subito Reid:
- Non credo proprio, sono tipi decisi ed istintivi, non rimarranno molto a pensare ad angolazioni e sistemi vari, andranno dritti in buca senza pensarci un istante. Ad occhio e croce direi che ci metteranno… - Fu Charlie a completare per lui avendo già pensato alla stessa cosa:
- Nemmeno un’ora! - Tutti lo fissarono stupiti non credendo a quello che avevano sentito ma non per la stima breve bensì per quanto approssimativa era stato. Charlie capendolo si difese subito stizzito e permaloso: - Che c’è, non giocano mica da soli, ci sono anche Tony e Colby e loro mi sembrano tipi diversi, non riesco ad immaginare su due piedi a come potrebbero giocare e a come inciderebbe la loro parte nella sfida a quattro! -
- Per questo c’è Reid! - Commentò Morgan battendo amichevole la mano sulla schiena del compagno che ovviamente ci stava già pensando.
- Considerando che entrambi sono tipi abbastanza impulsivi e decisi ma che hanno delle varianti considerevoli caratterialmente parlando, ovvero che Tony tende a pensare più di Colby alle mosse perché è più un tipo da maschere mentre l’altro molto più diretto e semplice, secondo me quello che la farà più lunga sarà proprio Tony e sarà lui ad allungare la partita quindi anche la mia stima è intorno all’ora. Mentre se giocassero solo Gibbs e Don il tempo sarebbe addirittura dimezzato. Un Colby contro un’altra copia di sé stesso invece ci impiegherebbe ancora meno e un Tony contro Tony andrebbe avanti tutta la notte! - Tutti catturati, colpiti ed ammirati dalla sua esauriente ed approfondita lezione di caratteri, strategie e tempistiche di gioco, Charlie fu l’unico a reagire nel giro di un istante con un’illuminazione delle sue di quelle che presagivano una catastrofe o qualcosa di simile:
- Ma sai che mi hai appena dato un’idea fantastica? Verrebbe fuori l’elaborazione di una nuova teoria matematico-comportamentale su cui poi ci verrebbe un saggio meraviglioso! - A questo Don, Alan e Morgan si guardarono già con arie consapevolmente esasperate sapendo perfettamente cosa preludeva ciò e sbuffando in anticipo non ne furono delusi…
- Ma sicuro! Ed io potrei aiutarti con le mie conoscenze in ambito comportamentale! Specie se ci mettiamo una parte inerente a… - E da lì i due geni uscirono in soggiorno per parlare della loro nuova collaborazione che di sicuro li avrebbe portati a passare molto, moltissimo altro tempo insieme.
I tre uomini di prima scossero i capi sconsolati preferendo lasciarli perdere e accomodati gli spettatori per gustarsi la sfida del secolo, i quattro protagonisti cominciarono a giocare mettendoci, proprio come previsto da Reid e Charlie, tutti i comportamenti precedentemente rivelati ed esattamente né più né meno il tempo previsto.
La vittoria fu di Gibbs ma solo per colpa della spalla di Don e dell’egregio lavoro di stordimento ed esasperazione colloquiale di Tony che aveva fatto ampiamente e comicamente scocciare ed innervosire i due rivali.
- Chissà perché avevo immaginato che la persona chiave dell’incontro sarebbe stata proprio Tony! - Fece Morgan alla fine ridendo. Tony gongolava non poco mentre Gibbs scuoteva il capo e Colby e Don lo fissavano male.
- Forse perché la persona chiave di un incontro è saputamente la più chiacchierona? -Commentò acidamente Colby il quale gli era rimasto sull’animo la sconfitta.
- Se lui non ci fosse stato non sarebbe andata così! - Esclamò a quel punto Don che non sapeva assolutamente perdere.
Gli altri risero ma solo Gibbs si mise a preparare la stecca e le palline in risposta.
- O mio Dio, non penserete mica ad una rivincita! - Fece Tony che comunque ne aveva abbastanza di giocare a biliardo giostrandosi fra sguardi assassini praticamente uguali di De Niro e Pacino!
- Senza di te!- Esclamò Gibbs deciso a testare anch’egli la forza singola di entrambi.
- Vediamo, Reid aveva detto che nel caso si fossero messi loro due da soli avrebbero messo una mezz’oretta. - Disse Morgan comunque interessato alla cosa come tutti.
Colby e Tony lo raggiunsero appoggiandosi ognuno per lato nelle stesse pose e con le braccia conserte. Li osservarono cominciare con aria seria e risoluta. Eccessivamente seria. Quei due facevano troppo davvero e, capendolo, la conclusione finale dei tre, in perfetta sincronia, fu:
- E come la mettiamo con le rivincite future? -
- Non si sazieranno mai! -
- Staranno davvero tutta la notte! -
- Visto? Che dicevamo noi? L’una? Vedrai se non avevamo ragione! -
Così dicendo i tre dell’Apocalisse decisero di lasciarli perdere per andarsene nell’altra stanza.

“Non ci saranno angeli ad accogliermi
Ci siamo solo tu ed io amico mio
I miei vestiti non mi stanno più
Ho camminato per mille miglia
Solo per cambiare pelle”

/Streets of Philadelphia - Bruce Springsteen/
Alan stesso se ne era andato molto prima e mentre i vari terzetti e duetti se ne stavano in soggiorno e salotto a parlare fitto fitto ognuno di argomenti a loro interessanti, i due uomini del momento, i due eroi al pari di De Niro e Pacino di The Heat, rimasero soli.
L’aria combattiva rimase ma fu marginata dopo i primi tiri.
Era effettivamente molto esaltante confrontarsi l’uno con l’altro, erano persone molto di rilievo dalla forte personalità ma sopra ogni cosa capaci. Dannatamente capaci.
Questo piaceva ad entrambi e capendo che sarebbero anche stati volentieri insieme a sfidarsi per tutta la notte ma non tanto per spirito di gara quando per la qualità del tempo insieme, con medesimi cenni di sorrisetti soddisfatti e sicuri alimentarono la concentrazione dei tiri di stecca con un dialogo che nessuno degli altri impiccioni chiacchieroni avrebbe mai saputo.
Un dialogo che però avrebbero tanto voluto sentire.
- Indagini massacranti. - Esordì Gibbs calmo e sicuro.
- Puoi dirlo! -Rincarò allo stesso modo Don con un cenno di stanchezza in più nella voce. Non sapeva proprio come riuscisse ancora a reggersi in piedi dopo delle giornate simili.
- Come ti senti ora? - E chiedergli se avrebbe mai immaginato di trovarsi in un casino simile sarebbe stato stupido perché Gibbs sapeva perfettamente la risposta, mentre chiedergli come stava era diverso. Immaginava anche quello, erano molto simili, ma Don aveva bisogno di dirlo.
Si fermò, si appoggiò sulla stecca e per un momento dimenticò le palline ed il tavolo da gioco. Sospirò con aria segnata, poi con una strana espressione che seppe decifrare solo Gibbs rispose proprio nel modo in cui aveva immaginato.
- Un sopravvissuto. Ma sai… è strano perché anche se a conti fatti abbiamo vinto e ce l’abbiamo fatta, mi sembra di essere lo sconfitto. - Gibbs sorrise a sé stesso consapevole della risposta, lo capiva perfettamente e tirando in buca una pallina si alzò guardando quelle mancanti senza vederle più nemmeno lui. Sembrava ricordasse eventi per lui dolorosi che però in qualche modo erano collegati a quello che Don aveva passato.
- Conosco la sensazione. - Fece infatti quasi che parlasse a sé stesso. Poi alzò lo sguardo azzurro e penetrante su Don e fu sereno. L’altro ne rimase colpito. - E’ come un passato remoto morto e sepolto che viene a bussarti improvviso e senza pietà. Ti rendi conto che non avevi seppellito niente e che è ancora tutto da fare. E nel riaffrontare tutto ti rendi conto che non avevi risolto un bel niente. -
I due rimasero ad osservarsi con sguardi incatenati, dimenticando il gioco e tutto il resto, concentrati su loro stessi, su cosa provavano e cosa stavano dicendo. E su quanto bene si capissero. Impressionati da questo.
- Tutti hanno il loro zaino carico sulle spalle. Sai qual è il punto? Non è riuscire a scaricarlo a terra. Il punto è trovare qualcuno con cui condividerlo.- E Don aveva potuto capirlo per la prima volta solo in quell’indagine, quando si era ritrovato gente fidata ad aiutarlo su più fronti da più zone del Paese intero.
Non ci aveva quasi creduto ad un certo punto a tutte le persone che l’avevano aiutato e che avevano avuto fede in lui. Non ci aveva creduto, infatti con aria estremamente intensa ed un sussurro che sentì a stento Gibbs, concluse: - Non ce l’avrei mai fatta senza tutti voi. Tutti. Dal primo all’ultimo. -
No, nessuno avrebbe mai pensato che Don dicesse una cosa simile, era incontemplabile visto che il più delle volte con tanta fatica gli strappavano solo un ‘ottimo lavoro’ mentre invece era stato da Premio Nobel!
Ma era un discorso che valeva anche con Gibbs che con un identico sorriso di totale serenità, asserì concorde con lui:
- Nessuno ce la può fare da solo. Ma non lo siamo. Soli. - Criptico ma chiaro, per lo meno a Don che lo capì.
Un dialogo, per l’appunto, sorprendente che tutti avrebbero pagato oro per ascoltarlo ma che nessuno udì.
Rimasero parole dette fra loro, così come il ringraziamento di Don con conseguenti scuse per il tornado che sapeva di aver portato nelle loro vite su più fronti.
- Figurati! -Aveva risposto Gibbs a tal proposito con aria semplice: - Ogni tanto è giusto bastonarlo un po’! - Ovviamente riferito a Tony e al momento di tensione che aveva passato anche con lui.
La risata di Don… bè, anche quella se la godette solo Gibbs, così come la sua se la godette solo l’altro.
Delle gran belle risate.
Luce.


Era stato difficile separarsi da Don, Charlie e Colby ma solo fino ad un certo punto.
Di prospettive per rivedersi ne avevano molte fra i progetti dei due geni all’opera e l’amicizia molto più solida di prima degli altri uomini.
Specie con dei posti vacanti nella sezione centrale dell’FBI di Washington DC e la voglia impellente di Don e Colby di cambiare aria dopo il massacrante scandalo subito in quell‘Unità di Los Angelers.
Reid e Morgan erano seduti nel loro jet per la strada del ritorno insieme a Gibbs e Tony. Una strada molto più vuota dell’andata ma decisamente più leggera e serena.
Ripensando automaticamente a tutto quello che avevano passato e a come si erano sentiti volando fino alla città degli angeli, sentirsi così, così bene e tranquilli e senza un enorme peso sulle spalle, era quasi miracoloso.
I due ragazzi diedero un’occhiata ai due amici che parevano addormentati nei due sedili davanti, rivolti l’uno verso l’altro con le fronti che quasi si toccavano.
Morgan allora tornò rasserenato su Reid ricordando la cupezza che aveva avuto il suo compagno all’andata.
- Te l’avevo detto. - Fece di punto in bianco imitando di proposito il suo tono saccente.
Reid sussultò osservandolo cercando di capire a cosa si riferisse.
Era l’alba, avrebbero potuto fermarsi a dormire ma non avevano voluto disturbare oltre. I festeggiamenti erano stati molti e preferendo fare tutta una tirata fino a casa invece di dormire e cedere le armi metaforiche, erano quasi scappati alla fine.
Reid era molto stanco e segnato ma aveva molte cose a cui pensare, il suo progetto con Charlie per esempio.
- A cosa ti riferisci? - Chiese faticando a capire su due piedi.
Morgan intenerito dalla sua aria insonnolita sorrise addolcendosi in quel suo tipico modo che riusciva ad usare e che manteneva solo con lui. L’altro si sentì immediatamente meglio e non si ribellò alla sua mano che veniva presa dalla sua. Adorava la stretta solida di Morgan. Poi si corresse mentalmente. Adorava tutto di Morgan. Anche i lati saputamente seccanti.
- Ti avevo detto che si sarebbe risolto in qualche modo. E guarda che la situazione era bella negativa e disperata, eh? - Reid capì e si ricordò il loro dialogo nel viaggio d’andata.
Era successo tutto così in fretta che non avevano nemmeno capito quanto di preciso.
- Non ci credevo, onestamente. - Fece senza timore Reid. Come sempre sincero.
Morgan ridacchiò.
- Non ne dubitavo! -
Ma sopra tutte le cose che adorava di lui c’era quel sorriso solare, sicuro e disarmante che gli illuminava tutto il bel viso caldo. Quel sorriso che lo rassicurava di qualunque cosa.
Non essendo uno molto romantico e non sapendo tirare fuori parole che non fossero logiche e razionali e di conseguenza abolendo dal suo dizionario quelle sentimentali e dolci, Reid non seppe far altro che ricambiare quel sorriso con uno timido e arrendevole. Non era bravo nemmeno in quel genere di cose.
Anche Morgan adorava quei suoi modi di fare ma più che di fare quelli di essere.
Reid non aveva comportamenti tipici, Reid aveva dei modi di essere veri e propri e di questi ormai lui ne era dipendente in un modo che non sapeva dire. Però erano quelli che l’avevano portato a voler sbaragliare tutti i suoi incubi che un tempo lo turbavano.
Perso completamente in lui e con quella dolcezza tipica sua di prima, gli prese il viso con l’altra mano e carezzandolo gli posò un fugace bacio sulle labbra. Sapeva che gli piacevano e ne aveva bisogno ma che se non erano completamente soli e al sicuro lo agitavano. Lo sentì rilassato e appoggiando la testa all’indietro la lasciò cadere di proposito sulla sua spalla come spesso accadeva quando tornavano indietro dalle loro indagini in giro per il Paese.
Solo nel silenzio generale e dopo diversi minuti in cui anche Morgan si era appoggiato per dormicchiare, si udì chiara e netta la voce di Tony in una perfetta imitazione di Marlon Brando con l’accento siciliano ne Il Padrino:
- Gli ho fatto una proposta che non poteva rifiutare! -
E sebbene nessuno avrebbe mai potuto capire che diavolo centrasse, tutti loro tre che non dormivano veramente ma erano solo completamente rilassati, ridacchiarono senza aprire gli occhi.
Bè, bastava conoscere Tony.
Semplicemente Il Padrino c’entrava sempre, il padre dei gangster movie.
Uno dei preferiti di Tony convinto troppo spesso che le loro vite a volte fossero come quelle di un film.
Un gangster movie per la precisione, dove a turno aveva fatto interpretare nella sua immaginazione a Gibbs tutti i ruoli principali da Brando a De Niro a Pacino a Ford a Hoffman e a una miriade di altri mostri sacri del cinema.
Perché per lui Gibbs era il suo mostro sacro.
Un gran bel mostro ad ogni modo, per lo meno per lui.


Alla fine nessuno aveva chiuso occhio e nessuno avrebbe mai immaginato che dopo un’indagine simile tanto massacrante sotto più aspetti, sarebbero poi finiti per andare a dormire all’alba dopo aver portato al jet i loro preziosi compagni.
Era stato triste per tutti lasciarsi ma ancora non avevano idea di che cosa gli avrebbe riservato il futuro, sebbene Charlie sapesse che avrebbe rivisto presto e spesso Reid per il loro progetto.
Ma era stato comunque bello per Don riuscire alla fine di tutto ringraziare suo fratello con un semplice gesto della mano. Gli aveva solo scarmigliato i capelli ricci prima di andare a casa propria accompagnato da Colby. Non erano servite parole, fra loro non servivano quando dovevano ringraziarsi. Quello sguardo di gratitudine aveva rivelato molte emozioni fraterne.
Solo a casa i due compagni si resero conto che era finalmente tutto finito e avrebbero solo voluto avere la forza di concedersi un po’ di meritati sentimentalismi fisici di coppia, dopo tanta astinenza sotto più fronti, ma tutto ciò che riuscirono a fare fu di buttarsi nel letto e stremati di lasciarsi cogliere dal sonno.
Un sonno che li vide comunque in grado di abbracciarsi nonostante non fossero gesti da nessuno dei due e che ad ogni modo non gli negò l’uno le labbra dell’altro.
Gli occhi erano già chiusi quando poterono fondere le bocche in un bacio conclusivo semplice ma perfetto. Anch’esso parlava molto bene per loro, entrambi non erano due molto loquaci ma si capivano lo stesso, avevano il medesimo modo di comunicare, per questo andavano d’accordo.
Entrambi sospirarono di sollievo, poi, con Don che non rinunciava a prendersi Colby sulla spalla sana per una sottile paura che non avrebbe mai espresso apertamente, ovvero ciò che aveva faticosamente raggiunto potesse venir spazzato via di nuovo, questi disse piano nel silenzio confortevole della stanza:
- Non darò mai più niente per scontato. - Colby che comunque qualcosa se lo era aspettato, sorrise consapevole e dopo un po’ insonnolito, disse:
- Io non lo faccio mai. -
Di nuovo qualche secondo di silenzio e poi di nuovo Don stanco e piano:
- Grazie per non aver mollato. - Non era scontato che avrebbe resistito, lo sapevano entrambi così come sapevano la risposta conseguente di Colby che non aveva mai avuto un solo dubbio.
- Ti amo, Don. Non avrei mai potuto mollare in nessun modo. -
E Don, con altrettanta profonda e splendida naturalezza…
- Ti amo anche io Colby. -
Il suo ringraziamento.
La sua conclusione.

FINE