CAPITOLO II:
CORRUZIONE

/ What i’ve done  - Linkin Park /
La testa gli pareva dovesse aprirsi in due da un momento all’altro ma nonostante volesse prendersela fra le mani per cercare un po’ di sollievo, non riuscì a muovere un solo muscolo.
Rimase lì fermo steso in un non identificato posto mentre la mente si rifiutava di mandargli delle informazioni utili.
Con gli occhi scorse il soffitto ed alcuni mobili nella stanza che lo circondavano ma non riconoscendoli si chiese dove fosse. Proprio non lo ricordava.
Una fitta alla spalla, però, gli fece tornare alla memoria la sparatoria e abbassando subito gli occhi su di essa, la vide fasciata senza una traccia di sangue. Qualcosa gli tirava anche al sopracciglio che sentiva coperto con una piccola medicazione.
- Ma che diavolo… - Borbottò con voce roca pieno di un dolore evidente. Fu solo allora che Gibbs si fece avanti andando nel suo campo visivo al momento limitato.
Gli altri rimasero fermi coi fiati sospesi ed espressioni ancora sorprese.
L’uomo più grande ora chino su quello steso, invece, aveva subito cancellato lo shock dalla propria per assumerne una straordinariamente gentile e amichevole. Quasi un sorriso.
- Ehi… sono Gibbs. Sei a casa mia. Ti ricordi qualcosa? – Non era certo visto il caos che leggeva nei suoi occhi arrossati e velati. Il pallore regnava ancora nel suo viso cupo e tenebroso, le occhiaie indicavano che comunque non aveva davvero riposato e sicuramente la febbre non gli era ancora scesa.
Il silenzio che regnava era quasi tombale.
Don finalmente spostò i suoi occhi castani su quelli azzurro mare di Gibbs chino su di lui. Osservò come fosse sinceramente sollevato di vederlo sveglio, quindi quando provò a ricordare il motivo per cui fosse lì, una fitta più forte gli esplose nella testa facendolo sussultare, suo malgrado parlò lo stesso cercando di trattenere i lamenti:
- Di te mi ricordo. Abbiamo lavorato insieme. Ma che ci faccio qua? – Eppure nel momento esatto in cui lo disse un flash l’attraversò donandogli un misto fra il sollievo e il dolore più acuto. Per un momento pensò di essere tornato indietro nel tempo.
Rivide tutto ciò che era stato due giorni prima.
Lo rivide con una chiarezza disarmante e sconvolgente. Lo rivide sospendendosi per un momento in cui il mondo circostante si cancellò. Gibbs si allarmò capendo però che aveva ricordato, quindi gli posò una mano sull’altra spalla, quella sana, e stringendo gli trasmise un po’ della sua forza.
Per un momento Morgan e Tony, vedendo quell’espressione smarrita e allucinata, ebbero lo stesso pensiero. Che fosse successo qualcosa a Colby o a Charlie?
Il pensiero fu così catastrofico che vollero annullarlo con decisione. Non poteva essere. Non poteva.
Ma… ma se fosse stato così e se Don fosse stato arrestato per essersi fatto giustizia da solo calpestando le leggi?
Questo pensiero strisciante annodò i loro stomaci lasciandoli immobili a sperare solo che così non fosse.
- Don… - Quella era stata la regola con lui e suo fratello. Chiamarli per nome o non si potevano distinguere.
Lo richiamò allora Gibbs con fermezza senza farsi prendere da nessun panico.
A quello finalmente l’uomo ferito tornò alla realtà scacciando i dolorosi flash che aveva già vissuto in abbondanza prima di arrivare lì.
Con una vena di ansia spostò gli occhi su di lui riuscendo finalmente a vederlo bene.
- Don, sei venuto qua chiedendomi aiuto ma se non mi dici cosa è successo non te lo posso dare. – Domande su domande vorticavano nelle loro teste, domande che esigevano risposte.
L’agente dell’FBI di Los Angeles, allora, prese alcuni respiri profondi e cercando di calmarsi per trovare la lucidità necessaria, mosse il braccio sano strofinandosi il viso. Cercò di scacciare quell’angoscia che ancora lo avvolgeva. Anche lui aveva delle cose importanti che doveva assolutamente sapere, ma per prima cosa, lo capiva bene anche in quelle condizioni, doveva spiegare tutto.
La parte più facile, in fondo, visto che poi non aveva idea di come avrebbero potuto risolvere la situazione.
Quando girò lo sguardo oltre Gibbs per vedere chi altri ci fosse, si accorse di Tony, Derek e Spencer.
Non fece alcun cenno di sorpresa e nemmeno di fastidio, al momento c’era ben altro che lo impensieriva. Cercò di tirarsi su ma senza risultato, allora Gibbs lo prese delicato ma sicuro per il braccio che stava bene e lo aiutò sistemandogli accurato i cuscini dietro la schiena in modo che stesse più comodo. Nessuno, vedendolo così premuroso, l’avrebbe detto capace di quei modi così apparentemente poco da lui!
Del resto pochi conoscevano anche quel suo lato. Tony era fra questi naturalmente.
Capendo che non sarebbe stata una cosa corta, si sedettero tutti da qualche parte per stare più comodi e porre la massima attenzione a quanto stava per dire Don; quando ognuno fu di nuovo immobile e quel silenzio ripristinato totalmente, con un sospiro stanco, egli iniziò e mentre le sue parole basse e piene di tormento si levavano nell’aria, la sua mente riviveva di nuovo tutto con un certo fastidio consapevole.
Così come in un flashback, le immagini fluirono riportandoli tutti concretamente indietro di due giorni, nella sede dell’FBI di Los Angeles, in un racconto a tratti freddo, altri addirittura sbrigativo.

“Era stato un caso particolarmente difficile dove tutta la squadra ci aveva dato dentro per risolverlo nel migliore dei modi. Una volta finito li ho mandati a casa a riposare. Anche mio fratello e Colby nonostante volessero aspettarmi. Io mi sono trattenuto.
Nel caso era stato coinvolto uno dei pezzi grossi dell’FBI che mi è stato particolarmente addosso, quasi come se fossi io il colpevole. Essendo abituato a questi trattamenti da parte loro non ci ho fatto caso, più di una volta hanno tentato di mandarmi via ma non hanno mai trovato appigli.
Insomma, nulla di particolarmente strano, per me.
Ebbene il capo mi ha chiesto di stendere il rapporto in persona e consegnarglielo prima di andare a casa, sembrava quasi che fossi sotto inchiesta ma mio malgrado ho deciso di accontentarlo per togliermelo dai piedi una volta per tutte.
Sono rimasto  oltre l’orario, era la sera di due giorni fa e c’erano pochi ormai in sede.
Quando sono andato di sopra nel suo ufficio per consegnare il rapporto, l’ho trovato a parlare con altri suoi colleghi, tutti pezzi grossi del dipartimento. Vedendoli coinvolti in una fitta conversazioni anche piuttosto importante, sono rimasto fuori ad aspettare senza disturbarli. Mi sono reso  conto che non mi avevano sentito ma non essendoci nessun altro oltre a noi, non potevo lasciare a qualcuno il rapporto. Impaziente ho deciso di entrare ma quando mi sono avvicinato ulteriormente alla porta, ho sentito chiaramente di cosa parlavano.
Ogni parola è scolpita nella mia mente. Non posso dimenticarle.
Parlavano del caso che avevamo risolto quel giorno in cui uno di loro era rimasto coinvolto come apparente vittima.
Dicevano che c’era mancato poco, che questa volta era stato difficile tenere tutto sotto controllo e sviarmi, che probabilmente avevo capito qualcosa lo stesso anche se erano riusciti a sistemare tutto al meglio. Uno di loro voleva trovare immediatamente un modo per sbattermi fuori dall’FBI, un altro ancora parlava di trasferirmi e basta. Il terzo, quello che non mi aveva mollato un secondo, era propenso per un azione più drastica ma naturalmente ben fatta. Diceva che aveva le conoscenze giuste per liberarsi di me.
Non potevano rischiare di essere scoperti ed io, ormai, ero una minaccia troppo grande.
Mi elogiarono addirittura dicendo che fra tutti i vari agenti del dipartimento, io ero quello che in modo assoluto non potevano permettersi di avere addosso.
Poi hanno detto qualcosa che mi ha fatto capire che non erano solo loro in quel giro ma all’interno dell’FBI ce ne erano altri. Non hanno pronunciato i nomi, non sapevo assolutamente di chi si trattava.
Quando mi sono reso conto che avevo appena scoperto uno schifoso giro di corruzione proprio lì, mi è venuto l’istinto di entrare e smascherarli gridando tutto ciò che pensavo di loro, ma sapevo che sarebbe stato stupido., così agii con la testa e cercando di non farmi notare feci per andarmene. Ero a metà strada quando uno di loro mi ha visto e gridando il mio nome, capendo che avevo sentito tutto, hanno cominciato immediatamente a spararmi.
Quei dannati uffici sono abbastanza grandi da contenere un sacco di persone, di giorno, ma quando stanno per chiudere non c’è un cane!
Eravamo in quattro.
Mi sono nascosto subito dietro una scrivania. Abbiamo cominciato a sparare l’uno contro l’altro, mentre premevo il grilletto e cambiavo il caricatore la mia mente lavorava in fretta dicendomi che non potevo ucciderli visto che non avevo prove della loro colpevolezza, che se l’avessi fatto sarei risultato colpevole io; eppure al tempo stesso loro erano lì per uccidere me, se non l’avessi fatto io l’avrebbero fatto loro. Ero in un vicolo ceco, non sapevo cosa fare. Per prima cosa dovevo uscire. Dovevo uscire da quel piano, poi scappare più veloce che potevo e trovare una soluzione.
Niente prove, mi ripetevo, non uccidere.
Ma nonostante tutto alla fine mi sono trovato costretto a cercare come minimo di ferirli per distrarli e poter andarmene.
Ce l’ho fatta.
Ho colpito uno sperando di non aver preso un punto vitale, come previsto si sono distratti quel secondo necessario per permettermi di schizzare verso le scale, consapevole che prendere l’ascensore avrebbe significato intrappolarmi.
Ho varcato la soglia e cominciato a correre come un matto giù per le scale saltando intere rampe. Tutto me stesso rivolto solo a scappare, senza avere idea di cosa fosse il caso di fare.
Volevo solo uscire da lì subito.
Ho poi sentito l’allarme generale scattare e la porta del piano aprirsi sopra di me. Dopo un istante uno sparo dall’alto mi ha colpito la spalla. Mi sono imposto di proseguire, mi sono concentrato sul scappare, sul non fermarmi. Mi sono imposto di non sentire il dolore.
Naturalmente ho sparato a mia volta con l’ultima munizione che avevo, si è ritirato quindi ho dedotto che l’avevo colpito.
Mi sono chiesto se l’avevo anche ucciso e lì per lì non ho saputo nemmeno cosa sperare.
Quando sono arrivato al sotterraneo per la porta di servizio che portava al parcheggio, ero pronto ad una seconda sparatoria.
Avevo solo la pistola di riserva.
Mi sono chiesto se questa volta ce l’avrei fatta.
Bè, non ho perso tempo a ragionare su cosa avrebbero fatto quei tre. Era ovvio che avrebbero fatto passare me per il corrotto traditore.
Facile, no?
Ero capitato a puntino.
Mi ero messo in trappola da solo.
Aperta la porta mi sono ritrovato naturalmente circondato da un paio di agenti pronti ad impedirmi la via di fuga. Ho provato l’istinto di sparare ma guardandoli sapevo che non c’entravano. Non potevo. Così ho abbassato la pistola alzando le mani, arrendendomi.
Quando mi hanno preso girandomi contro il muro, li ho sentiti più incerti ed impauriti che mai. E ho capito. Erano terrorizzati da me. Allora conscio che la mia fama mi precedeva, ho deciso di giocarmi il tutto per tutto cercando di prevalere a modo mio, dando loro conferma che non ero da sottovalutare.
I due che mi tenevano hanno mandato via gli altri ad avvertire che ero stato preso e quando siamo rimasti soli, sentendo le manette solo su uno dei due polsi, prima che potesse concludere l’arresto e fare qualunque altra cosa, mi sono rivoltato contro uno dei due mettendolo fuori gioco in un lampo.
Ho lottato con l’altro in un velocissimo corpo a corpo che mi ha stupito. Dopo tutto era preparato anche lui, mi ha procurato i lividi che ho. Sono riuscito a sopraffarlo, quindi sono corso verso la mia auto ma in quello l’altro si è ripreso e ha cominciato a spararmi.
È stato allora che non ho avuto altra scelta. Poco prima di arrivare mi sono girato e ho mirato al volo ai suoi piedi. Ha continuato a spararmi lo stesso e mentre entravo in macchina, ho continuato a sparargli contro alla cieca, sempre sperando vivamente di non beccarlo. Quando me ne sono andato era ancora intero e ho provato assurdamente del sollievo.
Naturalmente altri agenti mi hanno inseguito ma in quel genere di cose sono bravo, sono riuscito a seminarli ed una volta isolato mi sono fermato per pensare. Sapevo che presto mi avrebbero rintracciato col GPS del mio cellulare o dell’auto, allora sono sceso e allontanato a piedi abbandonando tutto lì.
Ho percorso le strade che conoscevo a memoria consapevole di non essere visto.
Dovevo pensare. Dovevo trovare il tempo di pensare e di agire.
Se fosse stato uno solo avrei potuto affrontarlo apertamente, ma in tre, proprio loro per giunta, non potevo pensare di farcela così come niente fosse.
Mi avrebbero sotterrato in un istante.
Specie ora che avevo ferito due di loro. Bè, per lo meno speravo di averli solo feriti, senza parlare degli altri agenti al parcheggio.
Per giunta c’erano altri dalla loro parte!
Ero nei guai fino al collo ma il lato positivo era che nessuno della mia squadra e della mia famiglia era coinvolta. Nessuno sapeva nulla, non avrebbero passato grossi guai.
È stato allora che mi sono reso conto che non potevo andare da loro e chiedere aiuto.
In quello la ferita alla spalla ha preso a farsi sentire poiché la tensione per scappare dalla sparatoria si era allentata.
Mi sono fatto una veloce medicazione alla buona con quello che potevo e sono tornato a concentrarmi sulla mia situazione critica. Ero nei guai fino al collo e non avevo idea di come tirarmene fuori.
Il dolore alla spalla è stato poi di nuovo cancellato dalla notizia che tutta Los Angeles mi cercava, era stato inoltrato un mandato d’arresto per me.
Sapevo che con la mia fama ben presto non avrei avuto scampo, così ho deciso di andare fuori città per curarmi e pensare ad una soluzione.
Quando ho dovuto decidere la destinazione mi è venuto immediatamente su Washington DC e Gibbs. Non so perché ma lì nella fase critica, dovendo scegliere a chi chiedere aiuto, qualcuno di discreto che avrebbe rispettato le mie decisioni di non coinvolgere le persone a me care e che avrebbe fatto qualcosa per me nonostante tutto, mi è venuto in mente lui.
Ho rubato un auto qualunque assicurandomi che fosse senza GPS (ce ne sono in america senza GPS e quindi irrintracciabili? Non ne ho idea… facciamo di si. NdAkane) e fermandomi solo per fare rifornimento, ho guidato senza interrompermi arrivando fino a qua.
Obbligandomi a non crollare, a rimanere sveglio, a non concentrarmi sul dolore, a non cedere per nessun motivo.
Quando ho visto il suo viso familiare la tensione che mi teneva su si è sciolta del tutto.”

Il silenzio che l’accolse fu ancor più pesante di prima.
La consapevolezza che non si era inventato nulla perché non sarebbe stato da lui, li schiaffeggiò.
Che fosse qualcosa di grave l’avevano capito subito vedendolo lì per di più in quelle condizioni, ma che fosse addirittura un giro di corruzione simile… bè, questo probabilmente superava le loro aspettative.
Per assimilare tutto il significato delle sue parole, ci impiegarono un po’ ed il primo a riuscirci fu Tony al quale uscì spontanea un’esclamazione che ancora poté capire solo il suo compagno:
- Questo è decisamente peggio di Shooter! – E magari finita tutta la storia avrebbero anche potuto ridere a quella che di norma sarebbe stata una perfetta battuta sdrammatizzante .
Ma nessuno ribatté a ciò e rimasero in silenzio ad osservare storditi ed increduli Don che, più serio che mai, si era messo a fissare assente un punto morto davanti a sé.
Fu di nuovo Gibbs a prendere la parola serio e determinato.
- Risolveremo tutto. Non preoccuparti. -
La sua sicurezza fu talmente forte da essere immediatamente trasmessa agli altri che lo guardarono più sorpresi di prima.
Davvero lo pensava?
Era davvero possibile risolvere tutto come diceva?
Su due piedi, a caldo, si resero conto che sarebbe stato molto difficile riuscirci.
Don lo guardò di scatto con un fondo di speranza. Se lui ci credeva forse poteva essere così… assurdamente in quell’istante si sarebbe aggrappato a qualunque cosa.
- Non voglio che vengano coinvolti Colby e Charlie. E nemmeno gli altri della squadra. Saranno già sotto inchiesta per sapere se sanno dove sono e siccome non lo sanno verranno accusati di complicità. Hanno già il loro grattacapo. Dobbiamo… dobbiamo risolvere senza di loro… - però nel momento in cui provò ad azzardare un idea su come fare, la sua testa si svuotò e la sua lingua non trovò più nulla da aggiungere. La sua certezza si ruppe.
Non aveva proprio idea di come fare e la ferita alla spalla gli faceva ancora male nonostante fosse stato curato.
Per non parlare della testa e di quanto si sentiva debole. La sola idea di alzarsi gli faceva venire la nausea.
Lui che di solito era abituato a risolvere tutto da solo, quella volta capì che avrebbe dovuto continuare a chiedere aiuto a quelli che non avrebbe mai creduto di rivedere.
- Ma certo, è naturale. Meno sanno e meno avranno problemi. – Rispose quindi Morgan risultando più convincente di quanto non si sentisse. Era abituato a parti simili, col lavoro che faceva, e sapeva sempre perfettamente cosa dire per far sentire meglio chi aveva davanti. Una dote che non tutti avevano e Reid stesso, nonostante fosse un profiler anche lui, non ne era in grado. Anzi. Lui non sapeva mai dire la cosa giusta al momento giusto. Non se si trattava di consolare e tirare su di morale qualcuno.
Era troppo cristallino per fingere falsi ottimismi o cose simili.
- Allora… - Prese di nuovo la parola Gibbs per tenere in mano la situazione. Si alzò imitato da tutti gli altri, ad eccezione naturalmente di Don, che lo guardarono in attesa che risolvesse tutto. Il suo sguardo sicuro e deciso percorse tutti: - Ormai è tardi e Don deve prima riposare e riprendersi. Qua è al sicuro, nessuno lo troverà e lo rintraccerà, quindi possiamo stare tranquilli. Adesso non possiamo fare nulla, ci ritroviamo domani e mettiamo su un piano di battaglia. Meno persone sanno di questo e meglio è. Che rimanga tutto fra noi. Dovremo cavarcela da soli. Avranno un punto debole o qualche prova che li inchioda! Fornell mi sarà d’aiuto. – Concluse tracciando una vaga linea del piano che sembrava ancora nebuloso.
Nemmeno lui, in realtà, aveva idea di come muoversi ma da qualche parte sarebbe partito e, ovviamente, non poteva far trasparire questo buio nel quale brancolava come tutti loro.
Vedendolo così sicuro e tranquillo, pensarono davvero che avesse tutto in mano, che sapesse come agire e che fosse meglio ritrovarsi l’indomani.
- Ci rivediamo qua solo noi domani mattina presto. Ha bisogno di ferro, vitamine e potassio. Pensateci voi prima di venire. –
Con questo, Gibbs liquidò bruscamente Morgan e Reid ancora scossi dal racconto di Don ma più rincuorati da quell’uomo che sapeva perfettamente ciò che faceva. L’ammirazione per lui salì illimitatamente.
- Certo. Allora ci vediamo domani. – Rispose Morgan assumendo di nuovo quella sicurezza di prima che, sebbene non fosse proprio convinta, era pur sempre qualcosa. Prima di uscire si girò di nuovo e posando lo sguardo penetrante su Don stanco e con una brutta cera, aggiunse con un sorriso d’incoraggiamento: - Troveremo una soluzione. –
Del resto sempre meglio di Reid che, anche lui girato a guardare il ferito, non seppe dire altro che un incerto e mortificato: - Lo spero! - come se avesse davanti a sé un condannato a morte!
Decisamente tirare su gli altri non era il suo forte!
Gli altri lo guardarono rimproverandolo con lo sguardo e Tony disse ancora spontaneo come prima:
- Ricordatemi di non chiedergli mai il suo parere se ho il morale sotto terra! –
Questo ebbe la forza di far sorridere appena Don e Gibbs che scosse anche la testa, pensando che il suo uomo non si smentiva mai nemmeno in certe situazioni.
Anche Morgan ridacchiò dando un’amichevole pacca sulla schiena del suo compagno che, inebetito e contrariato, non capiva che avessero gli altri.
Quando uscirono, Gibbs tornò a cingere il busto di Don per sistemarlo e farlo ridiscendere con una certa insolita delicatezza:
- Ti serve qualcosa? Stai comodo? – Una premura che lo rendeva così diverso eppure al contempo profondamente sé stesso tanto da affascinare una volta di più Tony che si fermò sulla soglia appena chiusa, l’osservò assorto mentre Don rispondeva che stava bene così, ringraziandolo imbarazzato di farsi accudire a quel modo da qualcuno.
“Ma guarda, mi ricorda qualcuno…” Pensò con un vago ghigno compiaciuto all’angolo delle labbra. “Sono davvero molto simili.”
Concluse fra sé e sé Tony seguendo Gibbs su per le scale, lasciando riposare un Don sfinito e pieno di preoccupazioni.
Sapeva che prima del sonno e della stanchezza avrebbe vinto una buona dose di tormenti riguardo Colby, Charlie e tutti gli altri, ma poi sarebbe ovviamente crollato. Ne aveva passate troppe.
Una volta soli nella loro camera intenti a spogliarsi, Tony senza staccargli gli occhi di dosso e continuando a fissarlo insistente e penetrante, dopo un po’ interruppe il silenzio pesante che si era creato:
- Non hai idea di come risolvere questo casino, vero? –
Una domanda delicata e retorica, in effetti, che però fece sentire Gibbs assurdamente capito, quindi bene.
Lo guardò senza sorpresa, consapevole che in lui avrebbe sempre trovato quella comprensione a priori. In pratica la sua cura.
- Domani l’avrò. – Anche questa sua sicurezza avrebbe tratto in inganno chiunque, ma Tony che se lo aspettava sorrise sornione:
- Di solito quando devi pensare lavori alla barca bevendo bourbon! –
In tenuta da notte, i due si sedettero nel letto matrimoniale, quindi prima di stendersi si guardarono con una certa malizia che, nonostante tutto, non riuscirono a trattenere.
- Ora ho qualcosa di meglio che mi aiuta a pensare! – Disse con languida allusione che piacque a Tony: - Ma se vuoi vado giù dalla barca! – Concluse poi facendo un buffo finto tonto. Lui in quei panni era falso quanto una prostituta che si fingeva vergine e al suo uomo quando lui faceva così piaceva da matti.
- No no, mi va benissimo che usi me per pensare! – Si affrettò a rispondere con un sorriso divertito sulle labbra.
Quando finalmente si decisero ad unirle, un netto sollievo li colse portandoli in tutt’altro posto, facendo addirittura dimenticare la brutta situazione in cui un loro amico era.
Le bocche cominciarono a fondersi subito mentre le lingue si mossero all’unisono in una piccola lotta erotica, la sensazione di volare, di poter dimenticare tutto, di stare bene ugualmente, di essere addirittura ottimisti.
La sensazione di avere l’un l’altro per sé e poter fuggire in un sogno insieme, senza pensieri, senza pericoli, senza problemi.
Per il resto della notte, Tony e Gibbs, stettero decisamente bene.