NOTE:
rieccoci qua! La fic si ambienta nell'episodio della seconda serie in
cui Antonio va sotto copertura e Hank alla fine dell'episodio si becca
una pallottola per tirarlo fuori dai consueti guai. Si ferisce al
braccio che lo deve tenere al collo per un certo periodo. E' vero che
con una ferita da pallottola sul bicipite non riesci a muovere tutto il
braccio all'inizio, per cui quanto ho scritto è del tutto plausibile. A
fine espisodio ricorderete il bel dialogo che lui ed Antonio hanno!
Ebbene godetevi la fic! Baci Akane
A CERTI LIVELLI
Lo sguardo di Hank si fece
sottile, pericolosamente sottile. L’interlocutore inghiottì a vuoto
chiedendosi cosa avesse osato dire in quel momento.
- Ci sono problemi se usiamo Antonio Dawson per l’operazione? - Hank indurì ulteriormente i lineamenti del viso.
- Mi chiedi se ho problemi a
mandare sotto copertura il mio uomo per farlo infiltrare in
un’organizzazione pericolosa di criminali che hanno il grilletto
facile? Puoi scommetterci! - Il comandante di Hank, l’unico che poteva
dargli ordini, sospirò e si girò verso il resto del piano, allungò un
braccio verso Antonio il quale alzò la testa e gli indicò di venire.
Questi lo raggiunse e lo aggiornò riguardo l’operazione in questione di
cui era stata richiesta la collaborazione di Antonio per via di alcuni
contatti che lui aveva ancora.
Al termine della spiegazione,
Antonio guardò Hank che lo fissava con la classica aria da ‘non osare’
e lui un po’ divertito per quello strano senso di protezione, annuì ed
accettò.
- Me la sento, non sono
problemi. Sergente, per lei va bene? - Davanti agli altri lo chiamava
formalmente. Hank sospirò scuotendo la testa.
- Se te la senti… - Si limitò
senza nascondere la sua contrarietà. A quello venne stabilito che si
sarebbe fatto ed il comandante li lasciò lavorare per tornare ai propri
doveri.
Hank ed Antonio si fissarono un
istante, poi il primo dei due se ne andò lasciandolo per un momento
solo con l’altro agente che aveva richiesto la presenza di Antonio.
Sospirò e si rilassò.
- E’ così possessivo con tutti i suoi uomini? - Chiese uscendo dall’ufficio di Hank.
- Non esattamente… - Fece Alvin sentendo la domanda ed avendo intuito a cosa si riferisse.
L’agente lo guardò incuriosito mentre Antonio lo fissò torvo.
- Certo, invece! E poi possessivo non è il termine che userei… - Corresse Antonio mentre Alvin ridacchiava divertito.
- Possessivo è il termine
adatto. Hank è possessivo con ciò che gli appartiene e la sua squadra
gli appartiene. Ma con te è particolarmente ossessivo! - Antonio rise.
- Ossessivo addirittura! E poi cosa? -
Alvin si fermò incrociando le braccia al petto, lo fissò con aria di sfida. Come poteva non accorgersene?
- Tiene a tutti noi, Erin più
degli altri. Quello è senso protettivo. Però tu sei più… - Alzò gli
occhi in alto cercando il termine adatto che trovò vittorioso: - Sua
proprietà! - Antonio continuò a ridere.
- Perché vuole avere
l’esclusiva sul torcermi il collo! - Commentò poi convinto che Alvin
l’avesse sparata. Questi scosse il capo e se ne andò lasciandolo lì.
Antonio guardò allora l’altro agente che non capiva di chi dovesse
fidarsi e capendo che poteva crederci davvero, aprì le braccia e
corresse il tiro:
- Sta scherzando! -
- Beh, non so… mi sono accorto
da solo che è particolarmente possessivo, andiamo… quando ho fatto il
tuo nome mi ha fissato come se volesse uccidermi! - Antonio continuò a
ridere. - Ti ha chiamato ‘il mio uomo’ - Voleva che Antonio gli desse
ragione e la smettesse di ridere di lui.
- Ok, forse è possessivo. Ma è
solo perché vuole avere l’esclusiva sull’ammazzarmi! - L’altro lo
guardò inarcando le sopracciglia senza capire cosa intendesse. - Tutti
sanno che l’ho messo dentro io! -
- Allora è vera la storia?
Perché tutti ne parlano, ma non ne sono sicuri visto che ora lavorate
insieme… - Antonio ridendo gli diede una pacca sul braccio ed andò
oltre, alla ricerca di un Hank che stava discutendo con un malcapitato
di turno, più vicino alla morte in quel momento, visto come gli stava
parlando.
- Voight. - Chiamò Antonio. - Posso un attimo? -
Hank lasciò andare il giovane
portavoce e si diresse verso il proprio ufficio da cui erano usciti,
Antonio lo raggiunse e chiuse la porta.
- Hai problemi se lo faccio? -
Chiese nonostante normalmente non si sarebbe mai voltato indietro.
Antonio godeva di privilegi in quanto braccio destro di Hank, era il
secondo in comando e poteva decidere da solo quali operazioni eseguire.
Certo, era consigliabile il permesso di Hank, suo superiore, però
tendenzialmente poteva agire piuttosto facilmente di testa sua.
Spesso se ne era andato od aveva preso permessi senza chiedergli nulla. Se qualcun altro si azzardava a farlo, veniva demolito.
Per cui Antonio aveva molte libertà, in effetti.
Ma ora era lì ad assicurarsi che ad Hank andasse bene.
Hank, appoggiato alla scrivania, braccia conserte e aria dura e corrucciata, lo guardò con attenzione, poi sospirò e disse:
- E se li ho? - Antonio si strinse nelle spalle con fare ovvio:
- Perchè? E’ un’operazione classica, ne ho fatte miliardi prima di venire all’Intelligence. Ed anche qua ne ho fatte. -
Hank voleva ribattere con qualcosa di logico e razionale per smontarlo, ma sospirò e alzò le spalle.
- Non mi piace mandare i miei uomini allo sbaraglio! Non senza di me. - Ad Antonio scappò un sorriso divertito.
- Non posso metterti nel
taschino, ma sono piuttosto sicuro che mi seguirai come le mosche sulla
cacca! - Hank non voleva sorridere, ma alla fine lo fece ed Antonio gli
diede una pacca sul braccio alleggerendo la situazione, trovando strano
quel suo attaccamento che di volta in volta era sempre più forte. A
volte, in effetti, un po’ eccessivo.
Mille volte Hank si assicurò
che Antonio se la sentisse, tutte le volte che l’operazione sembrava
destinata a passare ad un livello più pericoloso.
Antonio lo rassicurò sempre, ma di mano in mano che si procedeva, era sempre più intrattabile, apprensivo ed insopportabile.
tutti arrivarono a sperare che
il tutto si concludesse presto, ma quando persero le tracce di Antonio
per via della trasmittente distrutta, il cielo parve scendere giù su di
loro, per un attimo.
Antonio era solo fra le mani di quei criminali, poteva essere stato scoperto, poteva essere morto.
Come poteva aver permesso una cosa simile?
Se l’era sentita dall’inizio che non andava fatta.
Invece ora era lì ad impazzire
all’idea d’averlo spedito a morire e di non esserci a coprirgli le
spalle, a proteggerlo e difenderlo.
Il mondo per un momento divenne
un posto molto pericoloso per vivere, ma alla fine Hank fu contento
solo nel prendersi una pallottola nel braccio per salvare Antonio.
Ritrovarlo in tempo non sarebbe
stato sufficiente, evidentemente. Era vitale prendere una pallottola
per lui. Per sentirsi meglio nell’averlo mandato quasi a morire. Da
solo.
Non se lo sarebbe perdonato,
quella ferita gli avrebbe ricordato che doveva seguire le proprie
sensazioni ed evitare di consegnare i propri uomini in operazioni non
sue.
Hank si stupì di vedere la sua chiamata, era appena uscito dall’ospedale quando l’aveva ricevuta.
- Che tempismo. - Di solito Antonio non chiamava fuori dal lavoro, specie dopo un caso simile.
- Come stai? - Chiese senza perdere tempo in preliminari.
- Con una ferita da proiettile
sul braccio, quindi vivo. - Rispose schietto, il suo tono poteva
sembrare seccato, ma ormai Antonio lo distingueva.
- Sono alla pista di ghiaccio,
mi fai vedere come stai? - Hank si sentì strano a quella richiesta, non
molto da Antonio, non da Antonio nei suoi confronti, ma fu contento di
realizzare la sua richiesta.
“Evidentemente si sente in colpa. Del resto me la sono presa per lui, in un certo senso.”
Quando lo raggiunse, era fuori dalla pista a guardare con aria serena i suoi figli che pattinavano felici.
Si sentì sollevato nel vederlo così rilassato. Dopo quel che era successo, non era scontato.
Gli chiese del braccio e della
prognosi, Hank disse che avrebbe dovuto portare il tutore per un paio
di settimane, ma che si sarebbe ripreso.
Successivamente, dopo qualche istante di silenzio, si era confidato con lui circa l’andare oltre.
Hank ci andava. Andava sempre oltre.
Antonio non aveva mai capito come potesse farlo, come ci riuscisse.
Durante quel caso era rimasto
colpito dallo sguardo del suo contatto inconsapevole nel gruppo di
criminali, che poi avevano arrestato.
Antonio non si era rivelato un agente sotto copertura fino all’ultimo, lo sguardo del ragazzo era stato accusatore e ferito.
Così aveva capito come si poteva andare oltre i limiti.
- Perché a volte ti dimentichi
chi sei tu e chi sono loro. - Disse aprendosi inaspettatamente con lui
riguardo come si era sentito.
Era rimasto colpito da quello sguardo. L’aveva usato.
- Però sono loro che mi impediscono di andare oltre. - Con questo indicò i suoi figli che pattinavano sulla pista.
Hank sorrise guardandolo.
Felice, dentro di sé, che lui vedesse comunque quel confine e che non
riuscisse ad oltrepassarlo nemmeno impegnandosi.
- E’ quello che mi piace di te. Che vedi quel confine e non lo passi. - Antonio sospirò.
- A volte è dura. Stai a
contatto con gente che devi capire per riuscire a prenderla ed a volte
la capisci troppo. Crei un legame per arrivare fino in fondo. E per
raggiungere l’obiettivo a volte c’è solo un sistema. A volte. Altre
invece puoi trovarne un altro. Oppure tirarti indietro, anche se sai
che poi le conseguenze sono davvero rischiose. Potrebbero valere la tua
vita. -
Hank l’ascoltò parlare a ruota libera, non era tipo da raccogliere confidenze, in realtà. Tanto meno darne.
Ma finì per rispondergli spontaneo, senza quasi pensarci, sentendo di volerlo fare:
- A volte però ti guardi
indietro e vedi quante volte hai passato il limite e ti dici ‘una più
od una meno che differenza fa?’ Perché a quel punto non c’è più
differenza. Se lo fai una volta, non ti fermi più. - Antonio sospirò
guardandolo, dispiaciuto per il livello a cui era arrivato.
- Quanto ci si sente soli, a
quel punto? - Antonio aveva i figli che gli ricordavano perché valeva
la pena fermarsi. Che non lo facevano sentire solo.
Ma lui? Con suo figlio aveva sempre avuto problemi ed ora era nell’esercito. Per il resto era solo.
Per chi, per cosa continuava?
Hank provò un nodo allo stomaco
ed un senso inatteso di tristezza lo colpì come un pugno potentissimo.
Non si era mai fermato a vedere come si sentiva, come stava. Perché
sapeva che stava male, per cui il segreto era non fermarsi a sentire.
- Ti salvi solo se lo ignori. -
- Se ignori come ti senti? - Chiese Antonio con aria malinconica. Hank strinse le labbra ed evitò il suo sguardo impietosito.
- Tutti hanno un motivo per
fare quello che fanno. L’importante è non perderlo di vista. I miei
figli mi ricordano perché non devo andare oltre, ma non faccio questo
lavoro per loro. Perché loro non vorrebbero lo facessi. - Hank si
aggrottò, si voltò di nuovo a guardarlo, curioso di sapere perché lo
faceva.
- E perché lo fai? - Antonio sorrise aperto e sincero.
- Per me stesso. Perché sono
uscito dalla merda e sono diventato qualcuno. Il bene che facciamo ci
definisce, io mi sento utile, la mia vita ha senso perché non sono
sprofondato in quel buio. Ne sono uscito. E faccio del bene. E se non
sempre ci riesco, almeno ci provo. Lo devo al ragazzo che ero. - Hank
piegò la testa di lato e lo guardò stupito di quella risposta, accennò
ad un sorriso di gratitudine e proprio mentre stava per chiedergli
perché lui lo faceva, fu salvato dalla sveglia del cellulare di Antonio
che gli diceva di riportare i figli a casa dalla madre, che era ora.
- Salvato dalla campanella! -
Disse divertito. - Devo riportare i bambini a casa, ti do uno strappo?
- Hank accettò, stava bene con lui, non gli piaceva separarsi da lui
ora, mentre si inebriava di quella sensazione d’avere una delle cose
giuste della propria vita. Antonio, Erin… erano persone che ce
l’avevano fatta, ne erano usciti e meritavano felicità.
Era fiero di loro, aveva provato ad aiutarli, ma loro ce l’avevano fatta da soli. E stava bene con loro.
Ma con Antonio era diverso.
Antonio riportò prima i bambini, poi Hank. Arrivato da lui, spense l’auto e scese accompagnandolo dentro.
- Non mi serve l’assistente,
posso farcela. Ti ringrazio. - Disse non volendo obbligarlo a stare con
lui per un contorto senso del dovere. Antonio fece finta di niente ed
entrò dietro di lui chiudendosi la porta alle spalle.
- Scommetto che non hai mangiato. - Disse come se niente fosse. Hank sospirò.
- Ordinerò qualcosa. -
- Sono un portento con la carne, una bistecca ce l’avrai! - Rispose sempre andando dritto per la sua strada!
- Ti prego Antonio, vuoi anche
tagliarmela ed imboccarmi, dopo? - Si lamentò Hank che in realtà era
compiaciuto dalla sua presenza e dalle sue premure strane.
- Beh, puoi anche addentarla…
però in effetti può essere problematico, la carne… potrei fare… - Hank
aprì il frigo e prese un burritos avanzato dalla sera prima. Lo addentò
davanti a lui, in piedi, ed in quattro morsi l’aveva finito.
- Ho un braccio fuori uso, non
sono invalido al cento percento! - Antonio fece una smorfia, voleva
discutere sulla sanità del suo gesto. Un burritos di chissà quando, con
chissà cosa e freddo.
- Tu mi stai davanti e mangi un
burritos. Cioè tu davvero non hai idea di quanto sia la mia specialità
il burritos? - Naturalmente con le sue origini era ovvio. Hank si aprì
una birra e la bevve, poi indicò il frigo e di prendersene una
dirigendosi in salotto.
Antonio non la prese, lo seguì continuando a parlare.
- Perché non accetti una mano? - Hank alzò gli occhi al cielo.
- Sto bene Antonio, me la caverò da solo. -
- Ma perché non accetti una mano?! - Insistette testardo Antonio. Hank sospirò.
- Perché ti senti in colpa e
non accetto aiuto da chi si sente in colpa. - Antonio fece il broncio
ed Hank finì la birra in fretta.
- Tecnicamente ti sei preso una
pallottola per me ed è normale che io mi senta in colpa, però non è
solo per questo che voglio aiutarti. -
Hank allargò le braccia.
- E perché allora? - Era esasperato e convinto che fosse davvero solo senso di colpa, che per lui si traduceva in pietà.
- Perché io sono qua e tu hai bisogno di una mano! Tutto qua! - Per Antonio era normale, per Hank no.
- Ce la faccio. - E per
dimostrarglielo iniziò a spogliarsi da solo. Purtroppo appena tolse il
tutore per potersi sfilare la camicia aperta, iniziò il dolore al
braccio e si fermò. Prese respiro e chiaramente livido e sofferente,
riprese il tentativo.
Antonio scosse il capo, gli andò dietro, gli prese la camicia e gliel’abbassò piano.
Gli tirò giù le spalle, poi gli
permise di sfilare il braccio sano, infine Antonio prese quel che
rimaneva e gli tolse il braccio colpito, che gli faceva male.
Rimase con la canottiera intima
e la fasciatura fresca di pronto soccorso, Antonio la guardò e aggrottò
la fronte, però non si fermò e prima di fargli dire qualsiasi cosa, gli
aprì la cintura ignorando completamente quanto strano lo facesse
sentire quel gesto e che di fatto stava spogliando Hank.
- Antonio, per favore… -
Brontolò a disagio preferendo morire piuttosto che farlo continuare
passivo, consapevole delle possibili reazioni che poteva avere.
- Ho subito sparatorie, sono
stato bucherellato ovunque e so cosa significa. I primi giorni non
riuscirai a tirare i muscoli, per cui usare la mano del braccio ferito
anche per le cose più semplici è impensato. - Hank voleva dimostrargli
che poteva farlo, invece, e cercò di aprirsi il bottone dei pantaloni,
ma purtroppo dovette arrendersi.
Antonio aveva ragione, il braccio colpito era impensabile usarlo, mentre fare certe cose con una mano sola, era una tragedia.
“Maledizione, non si mette bene.”
Così Antonio vittorioso -non
che capisse perché esultare tanto davanti al suo bisogno di essere
spogliato- completò anche quell’operazione per lui. Una volta aperti i
jeans questi scivolarono lungo le gambe e quando rialzò lo sguardo su
Hank, immobile, lo vide fermo con gli occhi chiusi ed il fiato
trattenuto in evidente sforzo, come se cercasse di non esplodere.
Antonio lo guardò senza capire cosa avesse, poi pensò di arrivarci.
- Lascia perdere l’imbarazzo!
Siamo fra uomini! Levati le scarpe ed i pantaloni! - Vedendo che stava
fermo, Antonio continuò come un treno, preferendo andare avanti senza
fermarsi a capire cosa succedeva: - Devo fare io anche questo? - La
minaccia servì a farglielo fare.
Ritrovatosi in biancheria intima, Hank lo guardò con una smorfia, la testa piegata di lato.
- Mi rimboccherai anche le coperte? - Disse ironico, cercando di scrollarsi quell’enorme imbarazzo. Antonio rise.
- Vuoi? - Non ci aveva pensato
molto nel dirlo, Hank lo mandò a quel paese ed andò verso la camera
sperando di poterselo levare di torno. Sarebbe stato perfetto se
Antonio fosse intenzionato a provarci davvero con lui, ma lui non lo
stava facendo con quell’accezione, per cui era decisamente sgradevole.
Antonio, invece, lo seguì automaticamente, continuando abilmente a fare
finta di non sentire uno strano qualcosa, come un imbarazzo, o forse
una sospettosa eccitazione. Quando Hank si fermò per poco non gli andò
addosso. Si girò seccato e si ritrovarono uno davanti all’altro ad una
pericolosa vicinanza. Solo guardandolo a quel livello e sentendo il
tono della sua voce tirata, Antonio si decise a realizzare.
- Mi puoi lasciare in pace? - Chiese fintamente gentile, chiaramente al limite della sopportazione.
Antonio lo capì solo allora.
“Oh mio Dio! E’ imbarazzato, cioè sul serio!”
- Scusa, non volevo
metterti in difficoltà… - Disse allora senza rifletterci un istante.
Hank voleva picchiarlo. - Però so cosa si riesce e cosa non si riesce a
fare dopo una pallottola nel braccio. Volevo solo aiutarti. -
- E ti ringrazio. - Fece Hank
volendo stare solo, visto che quella situazione era ormai insostenibile
ed aveva paura che si notassero reazioni nelle parti basse.
Antonio gli rimaneva davanti, vicino, ma a guardargli fortunatamente il viso.
- Siamo fra uomini, non devi
farti problemi. - Ma lui i problemi li aveva e non sapeva più come fare
per non renderli troppo visibili.
- Come fai a non percepire le
tensioni come le persone normali? - Quella domanda sorse molto
spontanea ad Hank, il quale si era sempre chiesto come facesse ad
affrontare certe situazioni come se fossero del tutto regolari.
Lì davvero non aveva percepito della tensione erotica? Lui sì, lui l’aveva percepita, ci era quasi morto.
Quando l’aveva aiutato a
spogliarsi era stato sull’orlo di afferrarlo per il collo e baciarlo.
Per qualche miracolo non l’aveva fatto.
Antonio batté le palpebre un paio di volte, smarrito, poi per capire cosa intendesse lo guardò meglio.
Era mezzo nudo.
Tensione… imbarazzo… che Hank intendesse ad un altro livello? Un livello più proibito, sotto un certo punto di vista?
Antonio aveva avuto strane
sensazioni riguardo lui altre volte, però aveva sempre ignorato la
cosa. Forse adesso era ora di guardarla per bene.
Inghiottì ed arrossì realizzando a cosa si riferiva.
Tensione erotica.
Quella che c’era fra due persone che provavano attrazione.
- Ti… ti lascio dormire. Sarai
stanco. Grazie per oggi. Per tutto. E chiamami se hai bisogno di
qualcosa, qualunque cosa. - Hank sospirò, finalmente aveva capito.
Annuì e non disse nulla. Lo vide andarsene con un’aria strana. Non
voleva fargli capire che era attratto da lui e che provava qualcosa,
però in certi casi era davvero difficile mascherare. Se poi ci si
metteva anche la sua ottusità non era facile uscirne vivi.
“E sì che è in gamba come
detective! Come fa a non capire una cosa che gli sta sotto il naso?” Ma
non poteva capire quanto impensabile fosse per Antonio un ipotetica
attrazione di Hank nei suoi confronti.
A certi livelli ci si raccontavano mille scuse per non dare alle cose il loro nome.
Ma poi, a certi livelli, si accettava la realtà.
Forse era ora di farlo, almeno per conto proprio.
Antonio gli piombò in casa il mattino successivo, presto, quando sapeva che Hank si muoveva per uscire.
Quando gli aprì se lo ritrovò
ancora in biancheria intima e con un’aria furiosa. Ad Antonio ci volle
un istante per capire cosa avesse e ridendo alzò il sacchetto con la
colazione.
- Stavi litigando coi vestiti?
- Hank sospirò seccato alzando gli occhi al cielo, poi grugnendo si
girò e rientrò in casa evitando di dirgli che diavolo ci facesse lì e
di andarsene che non aveva bisogno della balia.
Erano cose scontate.
Antonio entrò e si chiuse la porta alle spalle.
Aveva passato tutta la notte a
pensare a lui e a quell’imbarazzo, poi il mattino aveva deciso di
tornare ad aiutarlo perché sapeva che non l’avrebbe chiesto, ma che
avrebbe avuto bisogno.
Mise giù la colazione sul tavolo della cucina e lo raggiunse in camera alle prese con i calzini.
- Posso fare molte cose con un
braccio, tipo lavarmi, grazie a Dio. O mettermi le mutande. - Disse
sempre più furioso. - Ma i calzini è impossibile! E questo maledetto
braccio… - Antonio, ridendo squillante, si accucciò davanti a lui,
seduto sul letto, gli prese i calzini di mano e glieli mise.
Provò di nuovo quell’imbarazzo, come tale fu per Hank.
Tutto fermo, tutto strano di nuovo.
Però Antonio non si fermò a guardarlo, finì l’operazione e si impegnò per non mostrare espressioni particolari.
Per Hank era impossibile ignorare quel che provava, ma era in grado di nasconderlo. Se Antonio non faceva certe cose.
Come prendere i pantaloni ed infilarglieli.
- Ti prego, questo no, ce la faccio! - Ma Antonio rimase in attesa coi pantaloni in mano.
- Non abbiamo tutta la giornata. - Disse perentorio.
Non sapeva perché ci tenesse
tanto ad aiutarlo. Forse per studiare un po’ meglio quella strana cosa
che era scattata quella notte.
Per capire se aveva le visioni o se c’era, se c’era davvero…
E c’era davvero.
Hank, rigido, infilò i pantaloni e quando si alzò in piedi Antonio li accompagnò su, una volta alla vita, notò che era eccitato.
“E’ mattina. “ Si disse. Ma sapeva che era strano.
Hank si divincolò e prese la camicia prima di fargli chiudere i pantaloni.
- La canottiera l’hai cambiata?
- Chiese. Hank lo demolì con lo sguardo e lui rise di nuovo. - Scusa,
ma sai… è legittimo chiedere… - L’altro ringhiò.
- Aiutami. - Con poco entusiasmo e tanto risentimento, si rassegnò a chiedergli anche quello.
Antonio prese la camicia e gli
infilò prima il braccio ferito, lo fece con delicatezza, poi l’aiutò a
mettere il braccio sano. A quel punto dovette allacciargli i bottoni.
- Posso fare da solo… - Con una
mano si poteva, ma Antonio ci stava prendendo del gusto un po’
sospetto. Si dava diverse giustificazioni, che era necessario, che
erano più veloci, però era vero che certe cose le poteva fare Hank. Un
Hank che ad un certo punto smise di opporsi, perché per quanto
imbarazzante e ‘pericoloso’ fosse, era bello. Era bello farsi prendere
cura da lui, farsi coccolare, in un certo senso.
Antonio gli allacciò tutti i
bottoni e scese in basso, gli infilò i lembi sotto i pantaloni ed una
volta sul davanti, si trovò a dovergli sfiorare, se non addirittura
toccare, le parti intime attraverso la stoffa.
Esitò, finalmente.
Attese che Hank reagisse e lo
respingesse, mentre si ritrovava con le mani bollenti ed il fiato che
non gli usciva proprio per nulla, ma lui rimase immobile e zitto e
decise di proseguire senza guardarlo in viso.
Gli pigiò la camicia sotto e
chiuse i pantaloni toccandogli di nuovo lì sotto, inevitabilmente,
sentendo quel calore partire dalle mani e da quei contatti,
sprigionarsi poi in tutto il corpo, come un’ondata immediata.
“E’ eccitato.” Pensò come un
pugno allo stomaco, parlando del fatto che il suo pacco era più duro
del normale. Evitava del tutto di pensare che quell’ondata di calore
era tanto di Hank quanto suo, che la stava provando lui per primo e sul
serio. “Anzi, siamo eccitato. Ok, devo dirlo. Lui lo è perché al tatto
si sente, ma io… io penso che mi stia per venire duro da un momento
all’altro!”
Antonio era a disagio ed
imbarazzato e provava delle strane cose lui stesso, cose che aveva
provato in passato in altre situazioni e che finalmente si decideva a
guardare con onestà.
Situazioni intime.
Piacevoli.
Era quel tipo di imbarazzo e capì che per Hank dovesse essere la stessa cosa.
Così, fermo davanti a lui, in
piedi, immobile, alzò lento lo sguardo sul suo. Non si allontanò, non
sapeva perché non lo faceva, ma rimase lì e vide Hank che lo guardava
allo stesso modo.
Fermo. Serio.
Penetrante.
L’imbarazzo palpabile, come
palpabile era anche quella voglia, quella strana voglia proibita, una
voglia che non sarebbe dovuta esserci. Eppure che c’era.
“Ho fatto e provato cose simili per altri uomini, ma mai per lui.”
Antonio lo pensò e se ne spaventò. Lui era Hank, non un uomo qualunque.
Sarebbe stato paradossalmente più facile con Jay, molto facile.
“Se fosse Jay sarebbe facile, lo è stato.”
Pensò con una strana frenesia.
Hank rimase paurosamente zitto a guardarlo, nessuna minaccia, nessun pugno Nulla.
Poi, dopo un tempo interminabile, Antonio decise di fare come in situazioni normali sarebbe fatto.
- Scusa, ho invaso il tuo
spazio vitale… ma so che in questi casi si fa molta fatica e volevo
solo aiutarti… - Disse piano, facendo solo un piccolo microscopico
passo indietro.
Hank non si mosse.
- Non devi sentirti in colpa. Mi hanno sparato, stavo facendo il mio dovere. - Antonio piegò le labbra.
- Per tirarmi fuori dai guai. - Non avrebbe cambiato idea.
- Vorrei che facessi certe cose
perché vuoi, e non per sensi di colpa. - Antonio non capì subito ed
Hank colse l’occasione per sfilare via e andare a mettersi le scarpe
che riuscì a mettere, ma non ad allacciare.
Antonio tornò da lui, si accucciò, e come se ora fosse quasi naturale, pur con quello strano senso addosso, gliele allacciò.
Un senso d’erotismo.
Di nuovo.
Alzò lo sguardo e rimase fermo quasi inginocchiato davanti a lui. Poi sorrise.
- Lo faccio perché voglio,
altrimenti avrei spedito Adam con una minaccia di licenziamento. -
questo sdrammatizzò e fece ridere Hank.
- Se mi rifilavi Adam ti avrei
riempito di piombo! - Antonio si alzò ridendo, lieto d’aver trovato il
modo di togliersi da quella strana situazione.
- L’avevo sospettato! - Poi
uscì dalla camera ed andò in cucina parlando allegro. - Vedi che alla
fine sono la tua migliore opzione? -
Hank lo raggiunse e sospirò.
- Lo so che lo sei, infatti non ti ho cacciato. -
- Ma ci hai provato… -
- Se volevo cacciarti saresti
fuori di casa, ora. - Disse spazientito, chiudendo il discorso. Antonio
continuò a punzecchiarlo divertito e si rese conto che stavano creando
un rapporto che non avevano mai avuto a quei livelli.