1. NON UN FANTASMA MA UN DEMONIO
Antonio chiuse il libro dei conti sbuffando.
Forse le cose tornavano, ma doveva sempre diventare matto.
Si alzò e guardò l’ora
imprecando. Era tardi, aveva perso tempo dietro a quelle cose
burocratiche. Ora che la palestra di boxe era sua definitivamente,
doveva far quadrare conti e seccature, questo tirava inevitabilmente
via tempo alla sua passione di tirare pugni al sacco.
Si guardò intorno e vide che ormai erano andati tutti via, così rinunciò a tirare andando a cambiarsi.
La prima cosa che faceva
era mettersi in tenuta da boxe, con tanto di fasce alle mani. La sua
tenuta corrispondeva a canottiera e pantaloncini neri, entrambi
aderenti ad evidenziargli un corpo perfetto ed atletico al punto
giusto, coi tatuaggi che si vedevano dalle braccia e dalla scapola.
Mise i documenti nel
cassetto che chiuse a chiave, poi mise la chiave al suo posto ed uscì
dal banco dietro cui si occupava di iscrizioni e amministrare, per
quanto ne capiva.
Stava meditando di assumere
qualcuno che potesse farlo meglio di lui e restituirgli il tempo che
non poteva più impiegare per tirare pugni, la sua vera passione, ma
naturalmente prima doveva rientrare nei conti e magari superarli anche
un po’.
Fece il giro della palestra
per sistemare le cose rimaste in giro e arrivato alle corde che appese
negli appositi appendini, si fermò facendone cadere un paio.
Lo sguardo duro, cupo, dopo
la sorpresa. Inghiottì e tese tutti i muscoli respirando a fondo un
paio di volte, la mascella contratta.
- Cosa diavolo ci fai qua?
- Chiese duro fissando la persona ferma davanti alla porta, le mani
nelle tasche, l’aria tranquilla e strafottente insieme.
Sorrise e si fece avanti placido.
- Sono passato a salutarti,
ti cercavo ma non sapevo come contattarti, così ho provato a passare di
qua per vedere se qualcuno sapeva dirmi come trovarti. Indovina la mia
sorpresa nel vederti ancora in questo posto dopo tutti questi anni! -
L’uomo era di poco più grande di Antonio ed anche lui aveva origini
ispaniche, era di bell’aspetto, capelli neri, rasati corti, gli occhi
color pece simili a quelli dell’altro che lo fissavano con odio. Sotto
ai vestiti scuri e aderenti si notavano dei muscoli ben modellati.
Il sopracciglio era solcato da una cicatrice che si vedeva bene, risaliva sulla fronte e finiva nell’attaccatura dei capelli.
Antonio la guardò e la riconobbe. Nonostante quello rimaneva di bell’aspetto.
Non si mosse, rimase fermo,
le corde raccolte strette nelle mani a pugno, l’altro non avanzò oltre
un certo limite, vedendolo in procinto di attaccare.
- Non mi chiedi perché ti cercavo? -
- Ti ho chiesto cosa ci fai qua! - Ripeté duro.
- Sono uscito prima per
buona condotta! Sono ufficialmente un uomo libero! - Antonio si
strofinò le labbra nervoso, non voleva dargli alcuna soddisfazione, non
voleva reagire male, però voleva scagliarsi contro e riprendere da dove
si era interrotto anni prima.
- Vuoi dire che hai corrotto qualcuno! - lo corresse conoscendo come andavano quelle cose.
L’uomo alzò le spalle poco interessato ai dettagli.
- Ho passato anni a pensare
a cosa avrei fatto una volta uscito, sono sempre stato d’accordo con me
stesso su questo… non ho mai cambiato idea. Una volta fuori sarei
venuto a salutarti, sperando di trovarti facilmente. Non pensavo lo
sarebbe stato così tanto! -
Antonio scosse la testa
respirando a fondo per trattenersi e controllare quell’esplosione di
emozioni che lo stavano facendo andare di matto in così pochi secondi.
- Ora l’hai fatto. Non me
ne frega che tu sia fuori! Hai avuto quello che ti meritavi, comunque
io non c’entravo, mi sono fatto i cazzi miei dopo che ti ho tolto dalle
palle! - Rispose aggressivo e sicuro, rimanendo comunque fermo dove
era.
L’altro riprese calmo a
camminare, con lo sguardo se lo stava mangiando, studiando,
assaporando. Antonio si sentì davanti ad un serpente che si pregustava
la vittima, gli prendeva le misure per capire quanto avrebbe dovuto
aprire la bocca per mangiarlo.
Si avvicinò, ma lui rimase fermo.
- Ti vedo in forma,
comunque… davvero molto… - Aggiunse con apprezzamento evidente,
scrutandolo da capo a piedi ed indugiando sulla sua vita stretta. - Hai
il fisico tipico del pugile. Hai continuato, vedo. Non hai sfondato? -
Chiese come se fossero vecchi amici e facessero conversazione. Antonio
si sentiva sempre peggio, mano a mano che si avvicinava. - Sei proprio…
sei proprio ben fatto, devo dire. Complimenti. Sei migliorato molto
dall’ultima volta che ti ho visto, ti sei sviluppato bene! - Continuò
coi complimenti mentre lo faceva sentire una prostituta, proprio come
quegli anni, quelle volte di cui si era faticosamente liberato.
- Cosa diavolo vuoi,
Javier! - Tuonò infastidito Antonio che voleva porre fine a
quell’incontro improvviso e sgradevole. Ricordi fra i peggiori della
sua vita lo stavano trafiggendo e non voleva dargli alcuna
soddisfazione.
Javier si fermò davanti a
lui, pareva molto calmo e padrone di sé, ma nel suo sguardo velenoso
c’era tanto gelo quanto fuoco. In bilico fra uno stato e l’altro.
- Sai, mi sono dovuto
arrangiare, in prigione. Per non finire a fare la puttana proprio io,
ho dovuto migliorare la mia tecnica di difesa ed ho pensato a come mi
avevi messo fuori combattimento. Mosse da pugile. Se avevano funzionato
con me, perché non usarle a mio favore? Mi sono fatto amico un pugile
che era dentro con me, mi ha dato un paio di lezioni. Che vuoi, lì il
tempo c’era… - Sembrava felice di fargli sapere quello che aveva fatto.
Antonio era a disagio, non gli piaceva stargli davanti, così vicino.
Javier si tolse la mano dalla tasca e si toccò la cicatrice sul volto.
- Del resto da chi è stato capace di farmi questo, ho dovuto trarre la
massima ispirazione. - Antonio scosse il capo duro.
- Non ti ho messo dentro io, non ti ho venduto. Tutto quel che ho fatto è stato solo per liberarmi da te. - Disse.
Javier alzò le spalle ed allargò le mani con aria fintamente calma.
- Sì, ma sai… non ce l’ho
con la polizia per aver fatto il suo lavoro. Mette dentro criminali, io
spacciavo, rubavo… andavo contro la legge, insomma. Non posso
prendermela con la squadra che mi ha messo dentro. - Questa
introduzione non gli piaceva molto.
“Anche perché credo che la
squadra in questione sia quella di Voight dell’epoca… se si mettesse
contro di lui saremmo al punto di partenza.” Pensò cercando di essere
pratico nei ragionamenti, mentre il cuore batteva sempre più veloce e
lo stomaco si contorceva in una morsa feroce.
- Quindi ce l’hai con me
per averti scaricato? - Non era il termine migliore da usare con uno
che ce l’aveva con lui proprio per quel motivo, ma lui non sempre
rifletteva su quel che diceva.
E non lo fece in quel caso.
Javier si oscurò, il
sorriso gelido si spense e arrivò il fuoco, una scintilla capace di
farlo esplodere. Antonio realizzò che poteva finire molto male. Un
momento solo. Strinse i pugni intorno a cui c’erano le corde, pronto a
reagire usando tutta la sua forza e la sua prontezza.
Però Javier sospirò e si calmò.
- Ci sono rimasto molto
male. Non hai usato riguardo quando mi hai lasciato, queste cose
segnano. Ed in prigione ho avuto molto tempo a cui pensare. -
- Mi dispiace di averti
spezzato il cuore, ma quando te l’ho chiesto gentilmente non mi hai
dato retta. Ho dovuto usare i tuoi mezzi. Adesso se non hai altro da
dire, devo chiederti di andartene, devo chiudere. -
Javier si guardò intorno come se si risvegliasse e ritrovasse padronanza.
- E’ tuo, ora? L’hai comprato? - Chiese sorpreso.
- Non accetto iscrizioni! -
- Come no! E’ una palestra di pugilato, le accetti eccome! -
- Non per te! Javier,
vattene via, fai la tua vita, ricomincia da capo, prova a costruire
qualcosa di utile per una volta. Senza rovinare la vita di qualcun
altro, la mia magari. - Con questo Antonio appese la corda
all’appendino insieme alle altre, poi iniziò a camminare per la
palestra per chiudere le serrande nella speranza che se ne andasse.
Javier rimase fermo ad osservarlo, ammirando il suo corpo muoversi sicuro.
Si leccò le labbra.
- Ho sognato uno scontro
diretto con te, ho pensato che mi avrebbe aiutato a ricominciare.
Chiudere definitivamente e voltare pagina. Me lo devi. - Disse
finalmente. Antonio si irrigidì fermandosi nel quadro delle luci che
iniziò a chiudere lasciando aperta solo quella degli spogliatoi e
dell’ingresso. Lo guardò corrucciato, pensando d’aver capito male.
- Non ti darò mai un secondo round! Quello è stato l’ultimo. Accetta le cose come sono andate e vattene. -
Javier indurì le labbra in un’espressione amara in disaccordo.
- No, mi dispiace. Non si
tratta di accettare le cose. Si tratta che lo devo a me stesso. -
Antonio non capiva minimamente il motivo.
- Non capisco, non ha senso
e non lo condivido. Non voglio affrontarti di nuovo, in nessun caso, in
nessuna situazione, in nessuno scenario. Io con te ho chiuso, sono
andato avanti, mi sono fatto una vita. Una vita molto diversa. Lasciami
stare, vai oltre. Un combattimento con me non ti aiuterebbe in nessun
caso, cosa otterresti? Magari vinci, e dopo? E poi se invece ti batto
di nuovo? Devi lasciarmi in pace, me lo sono guadagnato! - Con questo
indicò la porta sicuro, senza mostrare paura.
- Quella è la porta! - Poi
si voltò e si avviò verso gli spogliatoi dove avrebbe raggiunto le
proprie cose, fra coi il telefono. Non voleva arrivare a chiamare
qualcuno, tanto meno uno della squadra. In casi normali, contro uno
qualunque del suo passato, l’avrebbe battuto senza problemi. Ma lui non
era uno qualunque.
Era il suo ex ragazzo,
quello che l’aveva obbligato a stare con lui. Il suo capo gang, il suo
carceriere. L’aveva trattato come la sua prostituta personale, la sua
bambola, il suo buco.
L’aveva fatto sentire un oggetto, una proprietà privata e per di più in rigoroso segreto per non farlo sapere a nessuno.
“Voleva scopare con me, ma non voleva che nessuno lo sapesse. Non era più facile lasciarmi stare?”
Antonio non l’aveva mai capito quel suo comportamento contraddittorio.
Non aveva capito che era una sorta di amore, un amore malato, sbagliato ed ossessivo.
Perché per lui non era certo quello l’amore.
Javier no, non era uno qualunque del suo passato.
Tutti avevano fantasmi e scheletri, Antonio aveva solo un demonio, uno solo.
Quel demonio era Javier.
Sperò ardentemente di sentirlo andarsene, chiuse gli occhi e si morse forte le labbra trattenendo il fiato.
- Adesso me ne vado, Antonio. Ma io avrò il mio ultimo scontro! In un modo o nell’altro! -
Questa promessa lo fece rabbrividire, ma volle nascondersi dietro alla propria volontà.
“Se io non voglio, non l’avrai. Non puoi obbligarmi a combattere ancora. Io ti ho già vinto.”
Se lo disse e se lo ridisse
con ossessione, rabbia, paura, mentre si vestiva frenetico. Poi guardò
le mani che tremavano ed imprecò.
“Mi sono liberato di lui da
anni, sono diventato più forte, sono cresciuto, sono cambiato, sono un
altro. Perché deve farmi questo effetto? Quanto lo odio! Che mi
lasciasse in pace, cazzo!”
Stava andando a casa propria, quando pensò alla promessa di Javier e deviò.
Si fermò in una rosticceria e prese metà pollo allo spiedo con patate, poi andò da Hank.
“Sono un vigliacco. Un
codardo. Se voglio lo batto di nuovo, quello! Io non scappo, non sono
mai scappato! Non lo farò certo ora.”
Però andò da Hank,
consapevole che rischiava di fare la parte del senzatetto che
elemosinava una casa, un letto caldo e magari anche una piacevole
compagnia.
Quando Hank se lo ritrovò
davanti, dopo aver aperto la porta, in primo luogo fece un’aria
sorpresa, non aspettandoselo lì. Poi notò il sacchetto che gli porgeva
con il pollo allo spiedo.
Il sacchetto tremava, in netto contrasto con il suo sorriso da schiaffi.
Si corrucciò.
- Che ti è successo? -
Antonio fece finta di nulla o per lo meno ci provò. Allargò le braccia
smaniando e gesticolando, mentre lo spingeva di lato ed entrava.
- Che vuoi che sia
successo? Niente, ho cercato di far quadrare i conti e appurato che ci
sto dentro per un pelo ho visto che era tardi per allenarmi. Volevo
compagnia per mangiare, posso? - La fece sembrare facile e normale, ma
non lo era molto.
Hank sospirò e si strofinò
gli occhi con le dita in attesa che finisse, poi quando lo vide
preparare la tavola come se abitasse lì, incrociò le braccia al petto e
si appostò allo stipite della porta della cucina, in semplice
silenziosa attesa. Lo sguardo penetrante e spazientito.
Antonio non voleva dirgli
nulla, specie per non fare la parte del ragazzino con cui aveva avuto a
che fare anni fa. Era cresciuto, ne era uscito.
Si sedette e gli porse il suo piatto con la sua parte da mangiare.
- Hai già cenato?
Dai, fammi compagnia, è il miglior galletto della città! - Hank sospirò
ancora e strinse le labbra cercando la pazienza che non era sicuro di
avere.
Si sedette e decise di
assecondarlo. Antonio si mise a parlare a macchinetta e concitato della
palestra, dei conti, di come stavano andando i primi giorni con lui al
comando della baracca. Parlò così tanto che gli venne mal di testa,
intanto finirono di mangiare, si lavarono le mani e rimasero con la
birra in mano. Antonio stava sistemando la cucina come se fosse sua
moglie, avrebbe sorriso se non avesse voluto sapere cosa gli era
successo.
Una mano in tasca, l’altra con la birra, appoggiato al frigo in attesa che si sbrigasse a parlare davvero.
Lo lasciò fare, poi evidentemente esaurì gli argomenti e calò il silenzio.
- E poi, dopo che hai
iniziato a chiudere, cosa è successo, chi hai incontrato che ti ha
sconvolto? - Perché non ci voleva un genio per capire come stavano le
cose. Ovvero che aveva incontrato qualcuno che l’aveva scosso. Non
riusciva ad immaginare chi potesse essere, ma lo vide urtare nervoso la
birra. La prese al volo con uno scatto prima di farla cadere. Una volta
lì davanti a lui, Hank vi rimase e lo guardò da vicino, penetrante, con
la domanda che non avrebbe ammesso rifiuti.
Antonio lo guardò
intrappolato fra il lavandino ed Hank che però gli dava di lato una via
di fuga. Alla fine decise di non scappare, rialzò lo sguardo, sospirò e
si arrese.
- Javier De La Vega. - Disse nome e cognome perché sapeva che avrebbe capito immediatamente.
Vide Hank cambiare
repentinamente espressione, da impaziente e polemico a livido e
furioso. I suoi occhi cambiarono nel giro di pochissimi secondi ed
Antonio se ne impressionò.
- Chi è uscito di prigione? - Chiese retorico. Antonio scosse il capo mordendosi il labbro arrendevole. Lo sguardo basso.
- Javier. - Ripeté come se fosse colpa sua.
- E non volevi dirmelo? - Chiese come prima cosa reputandola la più grave. Antonio si strinse nelle spalle.
- Te l’avrei detto, ma ora
volevo… - Hank non lo fece nemmeno finire, alzò la mano e gli prese il
viso, glielo spostò di lato per guardare dei segni che potevano
essergli sfuggiti, segni di percosse, ma Antonio lo respinse con
decisione. - Cosa ti ha fatto quel bastardo? -
- Sto bene! - Rispose sgusciando di lato e dirigendosi in salotto.
- Non è vero! Sicuramente
vuole vendicarsi, ti ha cercato in palestra, non è capitato lì per
caso! Cosa ti ha detto? - Si voltò verso di lui che lo stava
inseguendo, fece per rispondere ma proseguì ancora più furioso mentre
realizzava il resto. - E tu che mi parlavi di stronzate! Ho una voglia
di prenderti a pugni, Antonio, che non ne hai idea! -
Antonio allargò le braccia esasperato in un’esplosione che aveva trattenuto per tutta la sera.
- Senti, non sono quel
ragazzino! Me la sono cavata quella volta, ora sono un adulto e me la
caverò ancora meglio! - Hank voleva dissentire dicendo che non era solo
un adulto, era anche quello che scopava con lui, ma si morse la lingua
l’altro si calmò subito. - Voleva un incontro con me. -
- Parlare? - Chiese Hank cauto.
- No. Uno scontro. Dice che
ha imparato la boxe in prigione ispirandosi a me e al modo in cui l’ho
battuto comprandomi la libertà… e dice che vuole questo per
ricominciare e voltare pagine. Per liberarsi di me… io… io non lo so,
Hank! Non ha senso nemmeno per me, non guardarmi con quella faccia! -
Continuò tutto d’un fiato girandosi di schiena e strofinandosi il viso
per l’ennesima volta, nervoso di nuovo come prima. Con le mani che
riprendevano a tremare. Antonio se le guardò realizzandolo ed Hank che
voleva fare una piazzata decise di mettere da parte la cosa. Gli andò
dietro, lo prese per il braccio e lo voltò verso di sé, poi gli prese
le mani come aveva fatto quel giorno negli spogliatoi e lo guardò con
la stessa intensità d’allora.
- Stringile. Se tremano,
stringile forte e nessuno se ne accorgerà. - Ripeté le stesse parole ed
al ricordo a lui caro, sorrise calmandosi. Antonio le strinse su quelle
di Hank il quale le alzò per attirarlo a sé. Si abbandonò a lui
abbracciandolo con fermezza sfociando in un calore ed in una dolcezza
sorprendenti.
- Scusa. Non volevo
nascondertelo, mi serviva tempo per riflettere, ma non volevo andare a
casa da solo. Sembrava deciso ad ottenere quello scontro. Io non lo
voglio, ma non so se mollerà. Sembrava così deciso. - Riprese flebile.
Hank sospirò e chiuse gli occhi cercando controllo. Poi li riaprì e lo
separò da sé facendolo sedere sul divano sul quale si mise anche lui.
Era come un interrogatorio, quando la vittima diceva tutto quello che
sapeva su un sospettato. Lo guardò con la stessa indulgenza, cercando
di non essere troppo poliziotto.
Antonio si sentì lo stesso quello interrogato.
- Su cosa devi riflettere? Pensi di accettare lo scontro? - Chiese apprensivo. Antonio scosse il capo.
- Non voglio. Non ho paura,
ma ho chiuso con quella vita, con quello che ero. Ormai me ne sono
liberato, ho fatto una fatica bestiale. Deve accettarlo e lasciarmi in
pace. Non voglio averci nulla a che fare, cazzo. - Imprecò scuotendo la
testa.
- Sono d’accordo. Non
voglio che lo fai. Vinceresti tu e lui non sopportandolo userebbe
un’arma e finirebbe male. Non voglio che lo rivedi e che accetti una
cosa simile. Starai con me per questi giorni, finché non… - Antonio si
raddrizzò e lo guardò attento.
- Non cercarlo, non incontrarlo… - Hank lo guardò contrariato.
- Certo che lo incontrerò!
E gli farò capire che se non ti lascia in pace lo rimetto dentro! -
Antonio guardò in alto esasperato.
- Non sa che sono un
poliziotto, pensa che ho ereditato la palestra e che faccio quello come
lavoro! Se sa che sono poliziotto e che lavoro proprio con te… andiamo,
lui è vendicativo! Per anni ha pensato a me! Questo scatenerebbe chissà
cosa! Non metterti in mezzo. Posso occuparmene io. Se torna
l’affronterò. Vuole essere battuto di nuovo? Lo farò! Non voglio farlo,
ma se devo lo farò! -
Fu il turno di Hank di guardare in alto esasperato e per nulla d’accordo.
- Non è corretto, non accetterebbe una seconda sconfitta! -
- Senti io… io non ci voglio comunque combattere più. Non dico che accetterò, dico che se devo lo farò! -
- NON DEVI, INVECE! - Tuonò
Hank di nuovo arrabbiato. Antonio contrasse la mascella e lo fissò
seccato, fronteggiandolo a tu per tu.
- Non metterti in mezzo! Coi tuoi metodi peggioreresti tutto di sicuro! - Ribadì sicuro.
Hank scosse il capo.
- Quanto pensi che ci
metterà a scoprire che sei un poliziotto e che lavoriamo insieme? E
cosa pensi che farà quando l’avrà saputo? - Antonio si alzò dal divano
raccogliendo le proprie cose che aveva seminato in giro appena
arrivato.
- Non lo so, lo scoprirò e
lo affronterò. Ora so che è in circolazione e che vuole qualcosa da me.
Starò attento. Non sono più quel ragazzino sprovveduto. Affronto
criminali peggiori di lui ogni giorno. -
Hank si alzò a sua volta e lo puntò col dito.
- Ma nessuno di loro è il
tuo ex e ti ha sottomesso per anni! - Antonio si fermò sulla porta
prima di uscire e lo guardò turbato, contrariato e ferito perché sapeva
che aveva ragione, ma non voleva avere paura e timore. Aveva superato
tutto, se ne era liberato.
Perché non lo lasciava in pace?
Rimase fermo e zitto per un istante, poi scosse di nuovo la testa in subbuglio evidente.
- Non ho paura. Non sono
mai scappato davanti a nulla nella vita, non lo farò certo ora! - Con
questo si voltò mettendo mano alla porta. Hank sospirò e lo chiamò, lui
però aprì per uscire ed allora l’altro gli andò dietro veloce, gli mise
una mano sul fianco e lo fermò, la stessa mano scivolò sul davanti, lui
aderì alla sua schiena col proprio corpo e lo tirò indietro, verso di
sé, verso l’interno. L’altra mano sulla porta pronta a chiuderla appena
avrebbe mollato.
I due fermi davanti, allacciati in quel modo.
Le labbra di Hank sull’orecchio di Antonio, gli occhi chiusi.
- Rimani qua stanotte. - Disse basso e penetrante.
Antonio sospirò, chiuse gli
occhi e girò il volto verso il suo alla ricerca delle labbra che trovò.
Sul bacio, Hank chiuse la porta e se lo trascinò dentro mentre le
lingue si incontravano nelle bocche aperte ed unite, mentre i sapori si
mescolavano ed i respiri si confondevano.
Continuando a baciarlo lo
trascinò in camera e lì si limitò a prendergli la maglia e ad
alzargliela. Antonio si separò dalla sua bocca per permettergli di
togliergliela, sotto aveva la tenuta da boxe. Hank aggrottò la fronte
cercando di tornare lucido in un flash che lo colpì con le dita di
Antonio che gli aprivano la camicia.
Hank gli slacciò i jeans e quando glieli fece cadere trovò conferma.
- Hai ancora la tenuta da
boxe. - La riconobbe, era il suo tormento. Antonio fece scivolare le
mani sulle sue braccia per sfilargli la camicia ed annuì.
- Mm-mm… -
- Eri così quando vi siete
parlati? - Antonio annuì ancora aprendogli i pantaloni. - Antonio, il
tuo ex viene a trovarti uscito di prigione e ti vede vestito così? - A
quel punto, a quella polemica, smise di spogliarlo lasciandogli la
biancheria intima addosso. Lo guardò torvo.
- Non ho scelto io il momento! E’ venuto ed ero così! - Hank fece una specie di broncio.
- Però non è l’ideale per
uno che era innamorato di te e che non ha digerito bene il fatto di
essere stato lasciato! - Antonio sospirò e infilò le mani sotto gli
slip dove trovò la sua erezione, mise le labbra sul suo orecchio che
leccò fra una frase e l’altra.
- Non era innamorato, mi
possedeva e basta. E’ solo principio, per lui. Ero una cosa sua e l’ho
scaricato. - Hank scosse il capo, ma poi pensare con la sua mano nelle
parti intime divenne utopistico e lasciò perdere.
“Non si rende conto che
questo stronzo era innamorato di lui? La prima cosa che fa è cercare
proprio lui e ad Antonio non viene il dubbio che fosse amore?”
- L’amore è altro, Hank… -
Disse Antonio scivolando febbrile con la bocca sul resto del suo corpo,
mentre finiva di spogliarlo e gli dava piacere. Hank lo guardò turbato
mentre il godimento si mescolava ai pensieri coerenti. - Io ho subito
quello che lui provava per me e non era amore. Era ossessione, ma non
amore. - Hank trovò a chiedersi cosa fosse invece l’amore, ma la lingua
di Antonio raggiunse posti che non gli permisero di avere altri
pensieri razionali.
Poco dopo finirono sul
letto e dopo essere stato sapientemente stuzzicato dalla sua bocca e
dalle sue mani, lo mise sotto di sé, a pancia in giù, e lo penetrò
senza resistere oltre.
Non era amore nemmeno quello, si dissero.
“Ma qualunque cosa sia è consensuale e maledettamente bello!”
Pensò Antonio mentre gemeva raggiungendo l’orgasmo, imitato poco dopo da Hank il quale nemmeno si faceva più domande.
Solo dopo, abbracciato a
lui e alla sua schiena, come l’altra notte, tornò a riflettere.
Turbato, confuso, ma in una specie di pace dei sensi per la sensazione
splendida che ancora l’avvolgeva, a cui si stava aggrappando.
“Forse non è amore nemmeno questo, ma piace ad entrambi e ci facciamo del bene. E’ diverso da quello che ha vissuto lui.”
Resistette un paio di istanti, Antonio, prima di battergli il dito sul braccio.
- Non passerò di nuovo la
notte in bianco perché mi usi come cuscino, albero o quel che
preferisci… voglio dormire, quindi vedi di lasciarmi! - Hank sbuffò e
lo lasciò girandosi dall’altra parte, dandogli la schiena.
Antonio rimase alto sul gomito e lo guardò incredulo.
- A volte sei proprio un bambino1 - Certamente solo lui poteva osare dire queste cose e sopravvivere.
Hank grugnì qualcosa di
incomprensibile e poco dopo il compagno chiuse la luce e gli avvolse un
braccio sul fianco, da dietro, appoggiando la fronte alla sua schiena.
Hank si rilassò poco dopo, lasciando andare anche un piccolo sorriso.
“Se incontro De La Vega lo spedisco. Ma non in prigione. Questa volta lo mando al cimitero!” E questa era una promessa.
Javier spense la sigaretta
poco dopo che la porta di casa si richiuse. Buttò fuori il fumo e
assottigliò gli occhi contraendo la mascella.
“E così si è messo con un altro. E non con uno qualunque. Con quel maledetto poliziotto che mi ha messo dentro!”
Javier strinse le labbra contrariato, memorizzò bene l’indirizzo fino a cui l’aveva seguito uscito dalla palestra e se ne andò.
“Quante altre cose sono cambiate, Antonio?”