3. TEMPO E CONTROLLO
“Lui non capisce, io non posso
vivere nello stesso mondo che calpesta lui. La mia fine è iniziata con
il suo abbandono, non ha idea delle sofferenze che ho passato, di
quello che ho subito. Dalla nascita, da sempre. Lui è stato l’unico che
mi faceva stare bene, le volte in cui stavamo insieme. E sì, era di
nascosto e facevo in modo che sembrasse sesso, però era altro. Era
l’unico modo per poter avere un po’ di benessere senza rovinare quello
che avevo faticosamente costruito. Se si fosse venuto a sapere che ero
forcio era finita per me. Antonio era costretto a sottostare, però non
ho mai usato violenza. Non ero dolce, non c’erano sentimenti, non c’era
una scelta da parte sua, ma non l’ho mai violentato. Era una relazione
difficile, ma era una relazione e mi faceva felice.
Quando se ne è andato in quel modo è finito tutto, è crollato tutto.
Stavo così male che non riuscivo
a controllarmi, tutti si sono accorti che stavo troppo di merda e solo
perché lui se ne era andato, cercavo di metterla sul piano dell’onore,
perché Antonio mi aveva battuto e fatto 50 punti in testa, però non era
quello, non me ne fotteva un cazzo che mi avesse quasi ucciso.
Poi gli altri se ne sono accorti
ed io non sapevo come gestirla… e poi non ero lucido per affrontare la
guerra a quei maledetti piedipiatti. Ci hanno fottuto tutti perché non
avevo la testa libera su quello che facevamo.
E ci hanno messo tutti dentro.
Dentro ho litigato coi miei che
erano lì con me, mi hanno accusato di essere stato troppo preso dal mio
ragazzo, che per scopare un altro forcio come me, non ho badato a loro,
non ho fatto il mio lavoro.
Quando si sparge la voce che sei
gay in prigione è finita. Comunque c’è sempre quello più forte che
scopa quello più debole, o lo fai o ti fai fare, ma quando si sa che lo
sei, che sei un frocio tu stesso, non hai scelta.
Mi hanno usato come una puttana,
non potevo ribellarmi, ci ho provato e sono quasi morto. Io ero quello
e dovevo fare quello, punto.
Pensavo a lui tutte le volte che
mi scopavano come una troia, a quando lo facevo io con lui, che io non
ero così bastardo, anche se non ero dolce, non ero così bastardo, così
violento.
E speravo di poterlo rifare, di
trovare il modo di rimediare, una volta uscito, di convincerlo a
tornare con me. Solo io e lui, basta bande del cazzo, basta droga o
puttanate simili. Solo io e lui ed un officina insieme, una palestra,
qualcosa.
Poi però… poi però il dolore,
l’umiliazione, il diventare sempre più un oggetto, calpestato, senza
identità, senza umanità… mi ha ucciso dentro ed ho finito per odiarlo.
Lui che era l’unico che avessi amato, o qualcosa di simile.
Se non mi avesse piantato, se
fosse rimasto con me, se fosse rimasto tutto com’era… non sarebbe
finita male, niente sarebbe finita male.
Era colpa sua.
Perché mi aveva lasciato, mi aveva fatto soffrire in quel modo.
Ho macinato vendette e piani,
sono riuscito a farmi un protettore potente che mi ha insegnato la boxe
come si deve e poi sono riuscito ad uscire.
Antonio sempre nella mia testa, dovevo rivederlo, una resa dei conti, uno scontro vero.
Volevo solo questo, ma quando
l’ho visto di nuovo quello che ho provato… quello che ho sentito… io…
io non potevo. Non potevo solo affrontarlo sul ring e basta.
Non era solo uno scontro normale.
Quando ho provato lo stesso
identico sentimento, mi sono sentito morire ed ho capito che sarei
rimasto sempre dipendente da lui, non mi sarei mai liberato di lui,
mai.
Sarebbe sempre rimasto al centro della mia vita, dei miei pensieri, della mia maledetta anima marcia.
Ho capito che per uscirne c’era un solo modo, uno solo.
Farla finita definitivamente.
O io o lui, ma non tutti e due su
questo mondo, perché lui mi ha rovinato come non immagina, come non può
capire… ed ora devo uscirne.
O da morto o da vivo, ma se ne uscirò da vivo, lui non potrà esserci su questo mondo.
Capire che non voleva darmi questo incontro è stata dura, ma mi son detto di studiarlo per capire il sistema per convincerlo.
Quando ho visto che stava con quel poliziotto è stato un duro, un durissimo colpo. Non c’era speranza per me, non esisteva.
Poi ho visto che è diventato un
poliziotto anche Antonio. Non mi ha venduto lui, era troppo corretto ed
attaccato alla famiglia per fare cose così stupide, però è passato
dall’altra parte, mi ha totalmente abbandonato.
Così ho capito cosa dovevo fare.
Quale sarebbe stata la leva.
C’è solo una leva, ora come ora, che posso usare per obbligarlo ad accettare e a fare sul serio, sul serio come non mai.
Così eccomi qua, dopo essermi
procurato le armi necessarie e aver trovato il posto adatto tramite lo
stesso che mi ha aiutato negli ultimi tempi.
Il piano inizia ed Antonio dovrà piegarsi, questa volta.”
Hank finì sbrigativo di fare le ultime cose in ufficio, poi sbuffando se ne andò.
Non gli piaceva che Antonio
volesse affrontarla da solo, un conto era che ci provasse, un altro che
ci riuscisse, ma del resto non era uno qualunque della squadra, doveva
dargli fiducia, certe cose non gliele poteva negare comunque.
Una volta in auto si avviò verso casa e mentre guidava lo chiamò per vedere se andava tutto bene.
Antonio gli rise in faccia
stimolandogli insani istinti omicidi, poi gli disse che era ancora vivo
e vegeto ed era tutto a posto.
Hank ebbe la sensazione che non
gli dicesse qualcosa, ma non potendolo torchiare per telefono, decise
che se era vivo era già positivo.
“Domani mattina passo a prenderlo, non me ne frega niente che non vuole la guardia del corpo!”
Pensò a disagio nel saperlo solo.
Era apprensivo con tutta la sua
squadra, ma con lui in particolare, visto com’era migliorato il
rapporto e come si erano legati.
Poteva immaginare di lasciare la squadra solo a lui, se un giorno gli sarebbe successo qualcosa.
Quando scese dall’auto dopo
averla parcheggiata davanti casa, aveva ancora la testa ad Antonio ed
al fatto che Mouse non avesse trovato nulla di utile. Era strano visto
che di solito almeno qualcosa lo trovava sempre.
Era come se avesse pianificato da anni la sua vendetta.
Sapeva che per avere successo doveva tagliare ogni sistema per essere rintracciato e così sembrava aver lavorato in tal senso.
Aprì la porta di casa.
“Nessuna proprietà, nessun
familiare in città, tutti i vecchi amici in prigione, se ne ha di nuovi
non ci è dato saperlo, nessun mezzo, nessun numero, nessun conto.
Eppure è là da qualche parte e di qualcosa vive, da qualcuno, in
qualche modo… “
Hank prese di nuovo il telefono
cercando nella rubrica il numero dell’informatore a cui aveva deciso di
chiedere una mano quel giorno, gli aveva chiesto almeno un giorno per
cercare informazioni, ma sperava che avesse già qualcosa da dirgli.
Quando aprì la luce di casa,
stava per schiacciare il tasto verde per prendere la linea, ma il
telefono gli cadde mentre si irrigidì tremando.
In un istante il blackout totale, solo il mondo che spariva e svaniva.
Trovò molto faticoso riaprire gli
occhi, in un primissimo istante pensò di essere nel proprio letto,
addormentato, ma quella somigliava ai postumi di una sbronza. Poi si
corresse.
Sembrava i postumi di un tir che gli era andato sopra una decina di volte!
“E non sono steso in un letto…”
Con questo realizzò di essere seduto su una sedia in metallo.
Legato con corde e catene.
Hank alzò un sopracciglio, mentre
la testa gli doleva ed in particolare il collo dove capì di essere
stato colpito da un taiser.
Dipendeva molto il posto in cui
veniva esercitato. Fianco e torace uno se la poteva cavare, ma nel
collo si sveniva all’istante, chiunque.
Roteò faticosamente la testa e
guardò meglio cercando di mettere a fuoco quel che riusciva. Andò ai
propri piedi e vide che la sedia era stata inchiodata, un lavoro ben
fatto, soprattutto molto ragionato e mirato.
Hank allora alzò anche l’altro sopracciglio.
“Non vogliono che mi liberi…”
Catene, sedia in metallo
inchiodata… Uno poteva farsi cadere, sperare di poter rompere la sedia
oppure sfilarsi la legatura in qualche modo, sforzandola magari,
allentandola.
Non si poteva fare nulla di tutto
questo, non poteva cadere, non poteva allentare un bel nulla e tanto
meno sfilarla da alcun dove.
“Sa il fatto suo…” Pensò poi
riuscendo finalmente ad alzare la testa. Era difficile perché gli
tiravano incredibilmente tutti i muscoli del collo in una maniera
barbara, e la testa batteva una qualche ballata russa impetuosa.
Però dopo diversi tentativi riuscì anche a mettere a fuoco l’ambiente intorno a sé.
Un vecchio magazzino abbandonato.
Poi si corresse.
Una fabbrica in disuso. Una di quelle nella parte peggiore di Chicago, come se ce ne fossero di migliori, poi.
Odore di bruciato. Quel posto aveva chiuso perché bruciato, mai ricostruito, lasciato andare, abbandonato.
Rifugio per i senza tetto, probabilmente, o punto di scambio merce di spaccio o rubata.
Hank cercò dettagli per capire quante più cose possibili.
Non era ancora mattina.
Gli altri non l’avrebbero cercato
fino all’inizio del turno, poi avrebbero capito che c’era qualcosa che
non andava. Doveva resistere un paio d’ore.
Dopo aver capito tutto il
possibile, cercò di localizzare di preciso la fabbrica per capire
meglio la zona, con la speranza di poterlo in qualche modo comunicare
ai ragazzi se fosse riuscito ad impossessarsi di un mezzo di
comunicazione.
- Anche se capissi di quale fra
le tante fabbriche bruciate è, non avrai modo di dirlo a nessuno. Non
sono così scemo da liberarti e da lasciarti qualche spiraglio per
cavartela. So che ti sei fatto strada usando i metodi dei criminali che
arrestavi, per cui ho preso le mie precauzioni. - La sua voce, calma e
pacata, non collimava con il ricordo che aveva di Javier De La Vega.
Hank lo cercò e lo trovò
camminare verso di lui, la luce della strada alle spalle, non riuscì a
delineare bene i lineamenti del suo viso, ma giunto davanti a lui,
Javier accese un faretto portatile che appoggiò di lato a loro. Questi
illuminò entrambi il necessario per potersi guardare negli occhi.
La prima cosa che Hank notò, furono quelli gelidi con cui lo guardava, la seconda l’enorme cicatrice che solcava il viso.
Ricordava bene, quando l’aveva
arrestato anni indietro, quella grande fascia sulla testa, risultato di
probabilmente una brutta ferita e molti punti. Non si era sprecato a
chiedergli come se li fosse procurato.
Ora sapeva come.
“Come diavolo ha fatto a fargli questo, Antonio?”
Hank per un momento ci pensò.
All’epoca Antonio aveva avuto 14-15 anni, non molti per avere una tale
forza e ridurlo in quello stato. Eppure era così.
“Se da ragazzino era così forte, ora sarà anche peggio… forse non devo preoccuparmi troppo…”
Cercò di tranquillizzarsi per poter essere più lucido nella conduzione della situazione.
- La stai guardando, vero?
All’epoca era fasciata, il nostro amico me l’aveva fatta da poco. Ci ho
quasi lasciato le penne… sono andato in coma per un giorno, per colpa
sua. Solo che non ricordo se c’erano luci, laghi o soli… non so proprio
cosa è successo in quelle 24 ore. C’è chi racconta di aver visto cose…
io proprio… non saprei! -
Javier continuava a parlare pacato, freddo, come se fosse un amico che metteva le distanze parlando.
- Cosa vuoi da me, De La Vega?
Vendetta? E perché sono ancora vivo? - Sperava fosse per quello, ma
sapeva che non si trattava di una cosa tanto facile.
Javier sorrise.
- Oh no, mio caro sergente… -
Fece sempre molto calmo e saldo. Si avvicinò a lui e piegò la testa di
lato, le mani sprofondate nelle tasche, con una certa eleganza, tutto
sommato. - Di te non mi interessa nulla, tu facevi il tuo lavoro.
Non potevo aspettarmi nulla di diverso da te. - Hank aggrottò la
fronte.
- E allora? -
Javier inarcò le sopracciglia in un’aria sorniona.
- Dovresti immaginarlo… mi pare
che ormai lo conosci bene… - Quando lo disse capì che Javier sapeva in
qualche modo della loro relazione. Cercò di non fare particolari
espressioni allarmate, ma contrasse la mascella fissandolo con odio
crescente. Javier rise. - Sì vedo che ora ci siamo, ti ho indirizzato
bene! -
Un altro passo, con una mano gli prese il mento e gli alzò il viso deciso per guardarlo meglio.
- Volevo solo un combattimento serio con lui, definitivo, uno per sempre. Però lui si ostina a rifiutarmelo. -
“Quello scemo l’ha rivisto e non me l’ha detto, ecco cosa c’era che non mi convinceva! Lo ucciderò!”
Pensò furioso.
- E quindi devo motivarlo, dargli
una spintarella affinché accetti. E, ovviamente, affinché faccia
mortalmente sul serio. E con mortalmente intendo… - Javier prese un
coltello dalla tasca, uno più lungo di quelli che si vedevano per lo
più in giro. La lama appuntita brillò riflessa al faretto. Hank lo
fissò consapevole, sgranando gli occhi carichi di odio. - Mortalmente,
proprio! -
Javier gli mise uno straccio
intorno alla bocca in modo da impedirgli di parlare, poi prese il
cellulare di Hank e attivò la videocamera.
- Ho cercato una leva che mi
aiutasse a stimolarlo e guarda un po’ che sorpresa? Ho trovato il suo
nuovo compagno. A volte la vita è bella, non trovi? -
Con questo sorriso gelido, Javier attivò la videocamera e cominciò registrandosi.
- Ciao Antonio. Non servono
presentazioni, immagino. Come ti dicevo, in un modo o nell’altro
combatterai con me e per assicurarmi che tu accetti e che sia
mortalmente motivato, ho trovato un sistema infallibile. - Con questo
Javier si avvicinò ad Hank e lo mise nell’inquadratura, si filmò
insieme a lui come due amici, gli occhi di Hank brillavano di odio, non
volendo mostrare paura per puro principio.
- In parte ho preso lui perché lo
sai bene, in parte perché senza il capo numero uno a tirarti fuori dai
guai, non so proprio che alternative hai. -
Javier alzò il coltello aperto e lo inquadrò bene.
- Non ho nulla contro un sergente
di così larghe vedute, però mi serviva una leva e lui è la migliore. -
E poi, sempre gelidamente composto, Javier affondò la lama nel ventre
di Hank fino in fondo verso il fianco sinistro dove sapeva di evitare
organi vitali, poi altrettanto deciso e veloce la tolse. Gli inquadrò
la ferita che prese subito a sanguinare copiosamente macchiando la
camicia chiara. La macchia rossa si espanse a vista d’occhio, Hank
strinse gli occhi in una smorfia di dolore che cercò di contenere, ma
era chiaro che dovesse avergli fatto un gran male.
Dopo di questo l’inquadratura tornò su Javier.
- Ti lascio tempo per decidere
cosa fare, poi se non sarai abbastanza bravo da scoprire da solo dove
sono, e solo tu puoi capirlo, ti darò una mano a trovarmi. La regola è
facile. Devi esserci solo tu, ho dei nuovi amici che mi aiutano a
tenere pulito il perimetro e prima che tu te lo chieda non è nessuno
che conosci ed ho fatto in modo che non sia facile capire chi sia! Ho
il grilletto facile, io non mi metterei alla prova dopo questa
dimostrazione di serietà da parte mia. La questione non è ‘se non vieni
lo ammazzo’ ma ‘se non vieni morirà!’ Considera che l’ho ferito sul
calar della notte e che tu probabilmente guarderai questo video diverse
ore dopo. Non l’ho colpito in un punto vitale, ma morirà dissanguato se
non vieni in tempo e soprattutto se non vieni solo tu. Sai cosa voglio,
per cui è superfluo dirti perché ti voglio qua. -
Con questo chiuse il video.
Javier si raddrizzò e si
allontanò controllando che il video ci fosse, appurato questo tornò ad
Hank il quale soffriva cercando di sopportare e respirare piano e
lentamente. Sorrise.
- Vedo che hai capito come fare.
Più ti agiti e respiri, più sanguini. Adesso vado a lasciare il
telefono a casa tua per quando verranno a cercarti, tu non strafare. Se
pensavi di essere solo con me ti sbagliavi, come hai sentito ho dei
cuccioli da guardia pronti a reagire, se sapessero chi stanno
custodendo credo che andrebbero a nozze. Cerca di non farti
riconoscere, sii invisibile!- Javier chiuse il faretto lasciando la
luce sparire, il buio calò di nuovo.
- Se conosco Antonio ci metterà
un paio d’ore in tutto ad arrivare, capirà dove siamo perché lui è
l’unico che può capirlo senza una minima prova. E di sicuro verrà da
solo. Per cui devi resistere un po’, ma hai buone possibilità di
farcela. -
Dopo di questo se ne andò ed Hank rimase con la bocca bendata ed un dolore sordo sulla pancia.
Era vero che non aveva lesionato
punti vitali e sebbene fosse abbastanza profondo, era andata meglio di
quel che poteva sembrare. Però sarebbe comunque morto dissanguato.
Decise di non tentare sforzi
stoici nel vano tentativo di liberarsi, aveva già visto prima
l’impossibilità del gesto. Così si concentrò sulla respirazione per
cercare di calmare il dolore e rallentare per quanto possibile il
sanguinamento.
Pochi respiri, molto lenti, molto regolari.
“Cosa significa che solo lui può
scoprire dove sono senza una sola prova?” Cercò di leggere le sue
parole e non ci mise molto a capire. “Perchè è un posto che
frequentavano loro due. Forse solo loro due. Forse è proprio dove si
nascondevano a scopare. O meglio dove Javier obbligava Antonio a
scopare!”
Hank scosse il capo chiudendo gli occhi, respirando calmo.
Doveva calmarsi, doveva concentrarsi.
Non voleva che Antonio venisse e
combattesse, però sapeva che sarebbe venuto ed avrebbe combattuto.
Doveva solo aspettare e concentrarsi.
Solo quello.
Antonio guardò stranito la porta
d’ingresso che non aveva ancora suonato, poi guardò il cellulare per lo
stesso motivo ed infilandosi le scarpe veloce, alzò un sopracciglio
scettico.
“Come mai non si è ancora fatto vivo per vedere se sono sano e salvo?” Si chiese ironico.
Pensando che in quel caso fosse
molto strano, uscì di casa e si diresse in palestra, come sempre, per
aprirla e dare le consegne al suo amico.
Una volta dentro, fece un po’ di
cose arretrate che la sera prima non aveva fatto, sistemò i documenti
per un nuovo iscritto mettendo nell’apposito quaderno l’autorizzazione
medica, fece un paio di altre cose e poi guardò l’ora e di nuovo
l’ingresso ed il cellulare.
“Hank è disperso? Ero certo che se non a casa, mi sarebbe piombato qua!”
La cosa continuava a farsi
strana, ma ormai era ora di andare in ufficio, per cui decise che
l’avrebbe visto lì e non valeva la pena chiamarlo per fare quello
apprensivo.
Andò più veloce del necessario,
come se avesse una sensazione. Non gli piaceva che Hank smettesse di
rompergli le scatole improvvisamente. Il giorno prima gli era stato
ossessivamente incollato ed anche quando non gli era stato vicino, gli
aveva affibbiato Jay.
“A proposito, in una situazione come quella perché mai mi ha scaricato a Jay per un’oretta abbondante?”
Antonio pensava da detective ed
agiva secondo il proprio istinto, secondo quanto imparato facendo boxe.
Il risultato era un incrocio fra la persona razionale attenta ai
dettagli e quella pronta a seguire una traccia spuntata dal nulla,
reagendo a tutto con prontezza.
“Sicuramente stava indagando su
Javier anche se gli avevo detto che me ne sarei occupato io. Del resto
lo conosco abbastanza, dovevo immaginarlo. Ma ieri avevo mille cose a
cui pensare. “
Salendo le scale verso l’ufficio,
si disse anche che sicuramente aveva chiesto aiuto a Mouse e che se
anche Hank avesse osato negare, avrebbe interrogato lui.
“Tanto dubito abbiano trovato
qualcosa, ma se non si è fatto vivo con me stamattina può anche essere
che invece Mouse ha trovato qualcosa ed Hank è andato a seguire la
traccia da solo!”
Il pensiero lo sfiorò con molta precisione, ma non aveva idea di quanto si sbagliasse.
Quando non lo trovò nell’ufficio sospirò seccato.
“Quell’idiota! Non si va da soli
ad affrontare gente del genere. Quando l’ha arrestato era il capo di
una gang che faceva molti danni… ed ora ha fatto anni di prigione! Cosa
crede, che sia una passeggiata?”
Non era il primo ad essere arrivato, ma nemmeno l’ultimo.
Antonio scosse seccato la testa,
diede un colpetto alla porta di Hank ed andò nel loculo di Mouse dove
non si stupì di trovarlo già a lavoro.
Sbatté così la mano sul suo bancone e tuonò spazientito.
- Dov’è? - Sapeva, se lo sentiva. Sentiva che doveva preoccuparsi.
Mouse trasalì spaventato, poi lo
vide e non si rilassò molto, Antonio aveva un’aria pronta a sbranare.
Con il suo faccino tenero cercò di stimolare il lato buono di Antonio,
in quel momento sulla via della sparizione.
- Chi? -
- Voight! - Rispose sempre tuonando sempre più spazientito.
A questo Jay si affacciò dalla propria scrivania interdetto dai toni.
- Non ne ho idea, quando sono
arrivato non c’era… non ha lasciato detto nulla! - Antonio contrasse la
mascella e si morse il labbro chiudendo gli occhi sempre più
spazientito. Respirò a fondo poi riaprì gli occhi e lo fissò torvo.
- Cosa hai trovato? - Mouse
ricordava bene la minaccia di Hank, capì a cosa si riferiva Antonio e
sapeva che non poteva dargli corda, cercò con coraggio di deviarlo
secondo il volere di quello dei due che gli faceva più paura.
- Non ho idea di che cosa parli! -
Antonio però scattò con un raptus
oltre il bancone e lo afferrò per la maglia tirandolo a sé con forza, a
quello Jay corse e lo strattonò spingendolo via.
- Ehi, Antonio! - Il rimprovero
lo calmò per un paio di secondi durante i quali Mouse si sistemò
respirando a fondo per lo spavento ed Antonio cercò di tornare lucido.
La voce tesa, bassa, pronta ad una seconda esplosione.
- Sappiamo tutti e due di cosa
stiamo parlando, Mouse. E se hai fatto le ricerche che sicuramente
Voight ti ha chiesto di fare, sai quanto è pericoloso che lui indaghi
da solo! Per cui dimmi cosa hai trovato, così capirò dov’è e posso
raggiungerlo prima che faccia un casino! -
Jay non aveva idea di che cosa
parlava, ma in un attimo furono raggiunti anche da Alvin che calmo e
pacato rimase in silenzio a fare da mediatore.
Mouse capì che le cose dovevano
essere peggiorate nell’arco di una notte, così decise di non mantenere
la parola data ad Hank ed esaudire Antonio.
- Io non ho scoperto nulla, in
realtà. Ci ho provato, ma non c’è stato un nulla di fatto. Ha tagliato
i ponti con qualunque conoscenza che aveva prima di entrare in
prigione, lì probabilmente si è fatto un nuovo giro, ma non è facile
stabilire con chi o cosa e stavo facendo una ricerca in base a questo.
Per il resto non ha proprietà o possedimenti, non ha conti, non ha
case, non ha macchine, non ha niente! - Vuotò completamente il sacco e
Jay ed Alvin, vedendo la reazione allarmata di Antonio, si guardarono
senza capire.
- Si può sapere di cosa diavolo parlate? -
Antonio sospirò scuotendo la testa e strofinandosi il viso.
- Una mia vecchia conoscenza è
uscita di prigione e si è fatto vivo, vuole una rivincita. Io gliel’ho
negata. Avevo detto a Voight di starne fuori che me la sarei cavato, ma
come avete notato non l’ha fatto ed ora non c’è! -
Alvin, che mentre Antonio parlava lo stava chiamando al telefono, scosse il capo.
- Suona ma non risponde. Mouse, traccia il telefono. -
In quel momento arrivarono anche Adam e Kevin che si avvicinarono capendo che stava succedendo qualcosa.
Quando Mouse tracciò il telefono, Alvin indicò col capo ad Antonio di andare con Jay.
Il telefono era a casa, poteva
essere un buon segno oppure pessimo. Prima di fare un allarmismo
generale e mettere in moto tutta la cavalleria, Alvin decise di
prendere le cose con le molle.
Poteva essere nei guai oppure in pieno controllo della situazione, trattandosi di Hank era più propenso per la seconda.
Antonio e Jay andarono a casa di
Hank mentre Alvin aggiornava Adam e Kevin, pensando ad un’eventuale
contro mossa che, a quel punto, poteva derivare solo dal proseguimento
della ricerca sulle conoscenze che poteva aver fatto in prigione Javier
De La Vega.
- C’è qualcosa che devo sapere? - Chiese Jay mentre Antonio guidava come uno spericolato.
Questi lo fissò sbrigativo senza capire.
- Del tipo? -
- Del tipo… cose che non puoi
dire a loro perché non sanno della vostra pseudo relazione! - Antonio
si morse il labbro e scosse il capo alzando le spalle cercando di
deconcentrarsi per un momento dall’arrivare velocemente da Hank.
- No, non so, non credo… - Jay sospirò paziente e gli mise una mano sul braccio, guardandolo.
- Antonio… - Questi allora capì cosa poteva essere.
- Ecco… Javier De La Vega, questo
mio vecchio conoscente… è il mio ex. Stavo sotto di lui quando ero
nella gang, ricordi che ti avevo parlato? Non è solo il mio ex capo
banda, ma il mio ex vero e proprio. Lui… lui mi scopava. Mi obbligava
con varie minacce, ma la cosa è sempre rimasta rigorosamente segreta
perché non doveva sapersi. Tutto qua! - Jay sospirò scuotendo il capo,
guardando fuori mentre vedeva l’abitazione di Hank e la sua macchina
fuori.
- ‘Tutto qua!?’ Questo sarà
geloso marcio… se ti ha seguito può aver scoperto che stai con Voight…
è molto più pericoloso di quanto immagini! -
Sentirselo dire da lui non fu piacevole, ma Antonio si aggrappò con stizza alla logica.
- Non può saperlo, io non gliel’ho detto e non gliel’ho fatto capire! -
- E se ti ha seguito? - Antonio non rispose, ci aveva pensato anche lui, ma aveva sperato non fosse così.
Non disse nulla, scesero di corsa
e alla mancata risposta di Hank al campanello, Antonio la buttò giù
spazientito, la testa esplodeva di quella paura sottile e strisciante,
la paura di sapere cosa era successo. E poi c’era il bisogno impellente
di sapere, quel bisogno che faceva star male.
Quando i due entrarono, videro la
casa vuota. Chiamarono Hank e capirono che non c’era, lo cercarono con
le pistole tese, pronti a sparare, convinti di trovare una sgradevole
sorpresa nel pavimento di qualche angolo della casa, ma dopo aver
percorso in lungo ed in largo e non aver trovato nulla, Antonio imprecò
senza saper cosa pensare.
- Ehi… - Fece Jay indicando il telefono di Hank. Antonio lo prese.
- Non capisco… è qua appoggiato
sul tavolo, come se l’avesse solo dimenticato prima di uscire. Ma la
sua macchina è fuori. La porta non era aperta, ma nemmeno chiusa a
chiave. Si è aperta subito. - Antonio cominciò a pensare ad alta voce
per cercare delle risposte immediate e Jay glielo prese per vedere le
ultime chiamate.
Un nome che non conosceva.
- Probabilmente un informatore… - Disse riconoscendo i nomi di questi da quelli della gente ‘normale’.
- Deve aver chiesto una mano a qualcuno. -
- Ma non ha preso la linea, è
solo l’ultima ricerca fatta. - Puntualizzò Jay. - Come ultime chiamate
ci sei tu, ieri sera. - Antonio increspò la fronte. C’era qualcosa che
non gli tornava.
Nessun biglietto per
rivendicazioni, quindi non c’erano proprio gli estremi per pensare ad
un rapimento, ma la sua macchina era lì.
- Ok, torniamo in centrale e
vediamo se Mouse può trovare qualcosa nel telefono… potrebbe essere
utile parlare con questa persona, se è un informatore di Hank magari ha
trovato qualcosa… -
Così dicendo, i due tornarono in centrale a fare il punto della situazione con gli altri e suddividersi i compiti.
Hank era comunque sparito in
circostanze singolari, prima di pensare ad un rapimento dovevano
vagliare le possibilità visto che se uno rapiva, lasciava sempre dei
messaggi.
Jay consegnò il telefono a Mouse.
- Dai un’occhio, vedi se c’è
qualcosa di utile, tipo se puoi tracciare i movimenti di ieri sera, non
so… e poi dai un’occhiata al numero che stava per chiamare. Credo sia
un suo informatore. -
Mouse annuì, come prima cosa gli
disse subito che quello era uno degli informatori di Hank, Alvin indicò
a Kevin ed Adam di trovarlo e parlarci di persona per vedere cosa gli
aveva chiesto Hank e se aveva trovato qualcosa.
I due andarono, gli altri rimasero in attesa che Mouse vivisezionasse il telefono, nella speranza che trovasse qualcosa.
- Dunque… - Fece il giovane
informatico. - C’è un’anomalia. - Antonio e gli altri si strinsero
intorno a lui cercando di capire da quello che lui guardava, di cosa si
trattasse.
Mouse si tolse la penna dalla
bocca e spiegò continuando a smanettare al computer. - Il GPS è stato
disattivato dalle ore dieci di ieri sera, quando era in casa, ed è
stato riattivato alle ore quattro del mattino, sempre a casa. Non ha
effettuato chiamate e non è possibile tracciare alcuno spostamento. -
- Significa che è uscito di casa e che non voleva essere rintracciato. - Fece Antonio.
- Sì, ma significa anche che poi
voleva che lo trovassimo. - Puntualizzò Alvin. Antonio lo guardò
corrucciato cercando di capire. Jay si inserì spiegando altrettanto
calmo.
- Cosa te ne frega di riportare
il telefono a casa e addirittura riattivare il GPS? Voleva che lo
trovassimo. Che trovassimo questo telefono dopo aver cercato Voight! Ha
previsto la situazione! - Ormai non c’era bisogno di essere cauti,
tutti erano d’accordo nel dire che Hank era stato preso, solo che
l’anomalia della mancanza del messaggio del rapitore, li lasciava
interdetti.
Antonio si sforzava come un matto
di rimanere saldo e capire i fatti e le prove, per non partire in
quarta con un attacco di rabbia inumana.
Non voleva limitarsi ad arrabbiarsi, doveva trovare delle soluzione immediate, pratiche.
- Perché lui? Perché così? Perché senza lasciare messaggi! E poi cosa c’entra il telefono? -
- Ve lo dico io! - Fece Mouse
trionfante, abbassando poi il tono realizzando che probabilmente non
era un bel segno quello che aveva trovato.
- C’è un video registrato nelle ore notturne. -
I tre uomini si fermarono impallidendo, poi si voltarono e si piegarono sullo schermo per vedere e Mouse lo fece partire.
Il viso di Javier si vide alla
penombra di un faretto posizionato di lato rispetto a loro, per il
resto a parte i buio della notte, si capiva che dovevano essere in un
posto vecchio, spazioso ed abbandonato. Sul momento, senza
miglioramenti e risoluzioni immagini e video, non era possibile capire
altro.
Dopo Javier, si vide Hank legato con catene ed imbavagliato. L’aria sveglia e furiosa.
I quattro sentirono e videro
Javier parlare ad Antonio dando spiegazioni e dettando regole e
condizioni, poi lo videro accoltellare Hank e la tensione crebbe a
dismisura su tutti loro, inermi, impotenti davanti ad una scena
raccapricciante ed impensabile.
Antonio tese i muscoli, la voglia di prenderlo a pugni, proprio come voleva.
La ferita si mise a sanguinare
immediatamente e ci fu un momento in cui si concentrarono su di essa
per capire quanto grave e profonda potesse essere davvero.
Poi il video si interruppe.
Rimasero un istante a fissare lo schermo ora vuoto, i sensi a mille
come l’adrenalina che viaggiava aumentando a vista d’occhio.
I pugni chiusi, cercare di respirare per rimanere vigili e razionali.
Alvin guardò Antonio e capì che
avrebbe dovuto prendere lui il comando in quel caso, anche se il
secondo di Hank era Antonio. In quel momento non era utile.
- Di cosa parla, cosa vuole. -
Antonio continuò a fissare lo schermo pensando, come se potessero
saltare fuori soluzioni. Alvin lo scosse ed alzò leggermente la voce. -
Antonio, devi dirci tutta la storia. Chi è, com’è coinvolto con te, i
vostri precedenti incontri e cosa diavolo vuole di preciso. Per noi è
un pazzo delirante che dice cose senza senso, ma mi pare tu sappia
perfettamente cosa dice, sembra che per te abbia tutto senso. Dallo
anche a noi! - La voce paterna e calma di Alvin era anche ferma e
sicura, fece riscuotere Antonio che, distratto e pensieroso, riferì
tutto quello che era successo tralasciando le relazioni varie che
stavano dietro, di cui solo Jay sapeva.
- Vuole un combattimento all’ultimo sangue con te, giusto? - Chiese per vedere se aveva capito bene. Antonio annuì.
- Ok, dobbiamo capire dov’è, fare
un sopralluogo per capire quanti sono e dove e poi annientarli per
poter penetrare e salvarlo. Per prima cosa è tassativo capire il luogo.
Da quello che ha detto, tu puoi capire dov’è. - Antonio ci era arrivato
subito, ma non capiva dove fosse, non riusciva a vedere dei dettagli
utili a frugare nella propria memoria. Voleva capire, ma non riusciva e
l’ansia salì.
Scosse il capo.
- Non… non ne ho idea. Così su
due piedi non vedo nulla che mi aiuti a capire… - Alvin sospirò
cercando di rimanere sempre calmo.
- Lavora con Mouse al
miglioramento delle immagini e vedi se trovi punti di riferimento.
Mouse, hai la lista dei contatti in prigione? - Mouse annuì e gliela
diede.
- Non ho potuto fare scremature
ed approfondimenti, sono molti quelli con cui può aver avuto contatti,
niente di rilevante. Se avete conoscenze là dentro è il caso di usarle!
- Alvin annuì dicendo che se ne sarebbe occupato lui, poi indicò a Jay
di fare da baby sitter ad Antonio. Lui capì il motivo ed annuì serio,
consci entrambi che appena avrebbe capito dove erano, ci sarebbe andato
davvero da solo per non mettere a rischio Hank, perché in quei casi la
razionalità era la prima cosa ad andarsene. In quei casi subentrava
unicamente l’istinto. Ed in uno che già viveva con quello, la
combinazione poteva essere deleteria.
Da ora la parola d’ordine era tempo e controllo.
Dovevano essere veloci perché Hank era ferito e dovevano controllare Antonio per evitare inutili colpi di testa e suicidi.
Tempo e controllo. Nulla di più difficile.