4. IL POSTO DELL’INIZIO E DELLA FINE
- Ehi Al! - Antonio chiamò Alvin
per telefono ricordandosi di un dettaglio importante. - Javier mi ha
detto che in prigione non aveva legato con nessuno, lo mettevano sotto,
insomma non se l’è passata bene, ma ad un certo punto ha legato con uno
che gli ha insegnato la boxe e che l’ha aiutato abbastanza… - L’amico
annuì.
- Ok, chiederò di pugili. E’ un
buon punto di partenza. - Antonio sospirò. - Lo troveremo in tempo. -
Fece poi riferendosi ad Hank. L’altro non rispose e mise subito giù.
Tornò allo schermo su cui stava lavorando Mouse e chiese impaziente quanto ci volesse.
- Senti, non è facile, il video è
fatto con la fotocamera interna che non è ad ottima risoluzione come
quella esterna, oltretutto usavano la luce del faretto e non il flash
vero e proprio. Aggiungici che era notte. Ci vuole un po’! - Antonio
sospirò spazientito alzando gli occhi al cielo i quali incontrarono
quelli comprensivi e sorprendentemente calmi di Jay.
- Devi pensare a quale posto
potrebbe essere. Dice che lo conosci, ci puoi arrivare senza prove. -
Ripeté le parole di Javier ed il nervoso di Antonio crebbe perché aveva
capito da solo che doveva saperlo, ma per qualche motivo non riusciva a
far mente locale e a scremare i ricordi confusi che aveva.
- Ci sto pensando con ossessione,
non riesco a mettere a fuoco niente, dannazione! Frequentavamo mille
posti! Non… non ho punti di riferimento che mi aiutino! - Indicò
snervato il computer su cui lavorava Mouse, il quale lanciò uno sguardo
esasperato al suo amico. Jay capì che così non avrebbe lavorato bene,
così prese Antonio sotto braccio e l’alzò di peso trascinandolo nel
cucinino, che poi era la stanza dei colloqui. Quando c’erano testimoni
parlavano lì senza usare la stanza degli interrogatori che era
riservata ai sospettati.
C’era una macchina per il caffè ed un frigo dove tenevano bere e spuntini.
Jay mise dell’acqua nel forno a
microonde e la scaldò, poi tirò fuori il bicchiere in ceramica e ci
mise dentro una bustina di tisana. Antonio la guardò schifato.
- Che ci dovrei fare con questo? - Jay gliela mise in mano senza complimenti.
- Berla! Scordati il caffè,
nervoso come sei diventeresti intrattabile e già ora non sei proprio
piacevole. - Antonio si rassegnò e la prese, sorseggiò un po’ senza
berla del tutto.
Jay attese qualche secondo, poi
cercò un sistema per calmarlo. Aveva seguito un corso sulle tecniche di
interrogatorio. Ricordava che avevano affrontato diverse lezioni sulle
vittime testimoni di crimini rimossi, per aiutarli a ricordare dettagli
bloccati per via della paura e dello shock, c’erano diversi sistemi.
Lui non era il migliore in quelle cose, ma un paio di trucchi li ricordava.
- Avanti, siediti, tanto non cambia niente se stai in piedi. Mouse non sarà più veloce! -
Antonio non voleva sedersi e tornò a polemizzare.
- Vorrei sapere perché non sono fuori a setacciare la città o ad interrogare qualcuno! -
Jay si sedette per primo e l’attese paziente.
- Perché uccideresti prima di
fare domande! - Antonio dovette convenire che forse non aveva torto. -
Sei troppo coinvolto, vuoi perché è una tua vecchia conoscenza, vuoi
perché ha rapito Voight. Non devo ricordarti io cosa significa. -
Antonio si sedette prima che dicesse troppo, i nervi non andavano
meglio, erano sempre tesi e a fior di pelle, la fronte corrucciata ed i
muscoli pronti a scattare.
- Ok, - Fece pacato Jay, cercando
di conciliarlo e portarlo in una generica condizione di fiducia. -
Parlami di quel periodo. Quanti anni avevi? - Antonio lo fissò torvo,
poi capì che dopo tutto, se fosse stato un caso normale, avrebbero
avuto quella conversazione con uno dei vecchi amici dell’indiziato che
cercavano.
- 14-15 anni… -
- Eri giovane… - Antonio annuì.
Jay non aveva un tono da curioso morboso e nemmeno da ansioso o
accusatore. Per cui riusciva a rispondere alle sue domande. Si appoggiò
anche con la schiena e Jay proseguì senza mutare tono di voce. - Come
sei finito nella sua gang a spacciare marijuana? -
Antonio aggrottò la fronte e
socchiuse gli occhi che perse nella tazza di tisana, mentre la mente
offuscava la vista per riportarlo a quel periodo.
- Ci eravamo appena trasferiti
nel quartiere… lì dominavano un paio di bande. Una di quelle è venuta
subito da me ed ha minacciato di chiedere soldi ai miei per essere
lasciati in pace. Io ho subito detto loro di non azzardarsi. Così hanno
detto che allora dovevo entrare nella banda e lavorare per loro. Ho
rifiutato anche questo, non volevo mettermi nei guai. Poi però hanno
detto che avevo una bellissima sorella. Non ho visto molta scelta. Si
trattava di girare un po’ con loro a fare il cazzone. Poi hanno
cominciato a farmi fare il corriere. Non ero felice, ma almeno mi
pagavano qualcosa e lasciavano in pace i miei. Non era il peggio che
potesse capitarmi. -
- All’inizio. Per quanto le cose sono rimase così sopportabili? - Perchè era scontato che ad un certo punto fossero degenerate.
Antonio strinse le labbra
ricordando la parte brutta della storia e si strinse nelle spalle come
se fosse colpa sua. Perché l’aveva permesso.
- Un po’. Poi ho cominciato a
piacere a Javier, il capo della banda. - Silenzio, Jay non lo
interruppe. Ormai l’atmosfera si era creata ed era perfetta, Antonio
avrebbe ricordato tutto da solo senza alcuna domanda. - Lui… lui era
gay ma lo nascondeva con atteggiamenti feroci ed omofobi. Quando mi ha
obbligato a fargli… - Antonio alzò gli occhi su Jay con eloquenza. -
beh, mi ha minacciato dicendo che sarebbe andato da Gabriela! - Tornò
ad abbassare lo sguardo. - Io non vedevo scelta, così semplicemente
facevo quello che voleva, perché alla fin fine se ero consenziente e
non mi opponevo, non era così male. Non… non mi faceva male. Non mi
violentava. Cercavo di collaborare, anche se non mi piaceva proprio al
massimo. Potendo scegliere non l’avrei fatto così. - Antonio si fermò
ripensando a quel periodo, un periodo strano, in cui aveva capito di
avere tendenze e si chiese se le tendenze gli fossero venute per il
sesso obbligatorio con lui, oppure perché comunque le aveva punto e
basta. - Non mi faceva schifo, non era la favola, non avrei mai pensato
di ridurmi a fare la puttana, però potevo guadagnarmi una vita pacifica
per i miei, dovevo sopportare di essere suo quando voleva. Tanto lo
teneva rigorosamente nascosto, la mia reputazione non veniva toccata.
Era solo per soddisfare i suoi istinti più segreti, puro piacere
fisico. Ero un oggetto di piacere. Il suo oggetto. Non è stato bello.
Non è stato la cosa più orribile che può capitare, ma nemmeno bello.
Non so classificarlo. -
Calò altro silenzio, era strano
sentire quella storia. Parlare con Antonio, conoscerlo, non ti faceva
pensare avesse potuto passare una storia simile. Non era obbligato
fisicamente, non era stato violentato, però erano state costrizioni
morali. Potendo scegliere non l’avrebbe fatto. Ed era stato un oggetto,
non il ragazzo di qualcuno.
- Era innamorato di te, ti ha mai detto niente? - Antonio si strinse nelle spalle.
- No… no, non credo fosse amore.
L’amore non funziona così, no? - Lo guardò in cerca di conferma, perché
aveva sempre avuto dubbi su cosa Javier avesse provato per lui. Jay non
rispose al suo posto.
- L’amore funziona in modo
strano, troppo strano. - Antonio annuì e tornò a guardare altrove, la
testa a quel tempo. - Come te ne sei liberato? -
- Hank all’epoca era appena
entrato nell’antigang e mi stava dietro perché voleva farmi suo
informatore. Io non volevo. - Jay lo fissò meravigliato ed Antonio
ridacchiò. - Ci conoscevamo dall’epoca. Ma poi lui ha lasciato perdere
pensando che non ci fosse terreno. Mi ha dato dei soldi col consiglio
di scappare. Con quei soldi mi sono iscritto alla palestra di boxe che
ti ho fatto vedere e che ho comprato. Il proprietario mi aveva
adocchiato e mi aveva proposto di entrarci che secondo lui avevo
talento. Mi sono deciso, l’ho fatto e sono diventato bravo come diceva.
Una volta rinforzato a dovere, ho affrontato Javier e gli ho rotto la
testa. Mi sono guadagnato la libertà, mi ha lasciato in pace. Poco dopo
mi è venuta la notizia che la banda era stata messa dentro, beccata in
affari criminosi. Me ne ero andato in tempo. - Quella era la storia e
Jay sperò che questo avesse fatto venire in mente qualcosa di utile ad
Antonio, rimase silenzioso in attesa di vedere rivelazioni, ma lui
continuò a pensare al loro rapporto. - Per tutti questi anni ha pensato
a rivedermi e a chiedermi la rivincita. E vuole che questa rivincita
sia definitiva, uno dei due deve morire. Come può essere così
importante la rivincita contro un… cos’ero, poi? Ex? Mah… non lo
capisco. Su mille cose che potrebbe fare, si scava la fossa così.
Perché potrebbe vincere lui, magari ne è convinto, ma arrivare a rapire
Hank… cioè, qua si va oltre una rivincita! Qua si sfiora la follia. Se
vinco io dovrei ucciderlo, è questo secondo lui che dovrei fare. - Jay
a quel punto dovette chiederglielo, visto che Antonio non ne faceva
parola.
Lo guardò e con calma, chiese delicato.
- Cosa vuoi fare se lo trovi? -
Antonio lo guardò smarrito, ci aveva pensato fino allo sfinimento e non
aveva idea di come affrontare la situazione.
- Hank non vuole che lo affronti… - Jay alzò la mano e lo fermò sicuro.
- Ti ho chiesto tu cosa farai,
non cosa vuole Voight! - Antonio contrasse la mascella e guardò di
lato, ci pensò, pensò a quel video, alla ferita ad Hank, al rapimento
solo per spingerlo a combattere seriamente. Pensò a quanto oltre era
andato pur di ottenerlo e pensò al fatto che non voleva lasciarlo
libero dopo tutto quel tempo, anche se lo meritava.
Così tornò a fissare penetrante Jay e rispose sicuro.
- Voglio combattere. Una volta
per tutte. Di nuovo. Una definitiva, come dice lui. - Jay si morse il
labbro e senza abbassare lo sguardo né battere ciglio, chiese fermo:
- Fino ad ucciderlo? - Doveva
chiederlo. Se era Hank non avrebbe certo avuto dubbi, ma Antonio era
diverso, lui era quello che sapeva distinguere la cosa giusta da quella
sbagliata.
- Se posso scegliere e non sono
costretto, no. Merita tutto il male di questo mondo, ma non lo avrò
sulla coscienza, non proprio io, non proprio lui. Voglio
affrontarlo, non ucciderlo. - Ripeté deciso, capendolo da solo dopo
averci pensato con insistenza per quei giorni.
Era così, si disse. Voleva dargli
una bella lezione, affrontarlo e fargli saltare i denti per aver preso
Hank e ferito, però non voleva ucciderlo, perché quello non era un
esorcismo, era solo un tormentare sé stesso con fantasmi che non
l’avrebbero più lasciato.
Jay sorrise lieto che Antonio fosse ancora lì con lui, che fosse quello per cui aveva perso la testa.
Stava per chiedergli qualcosa a
proposito dei posti frequentati da loro, ora che Antonio era calmo
avrebbe dovuto ricordare, ma Mouse li chiamò dicendo che aveva finito.
Antonio corse di là scattando e Jay lo raggiunse poco dopo, sperando
che comunque le cose sarebbero andate bene in qualche modo per tutti.
Le immagini del video erano state
migliorate molto, Antonio si trovò ad osservare dettagli evidenziati da
Mouse con alcuni trucchi e un campanello iniziò quasi subito a
risuonargli nella mente.
I due ragazzi con lui non gli dissero nulla, attesero che si concentrasse e che guardasse tutto.
Si capiva che era una vecchia fabbrica abbandonata.
- Si direbbe bruciata… - Fece Jay dopo un po’.
- Non riesco a trovare loghi su
cui lavorarci su… secondo me la riconosci solo se ci sei stato,
altrimenti è impossibile. - Replicò Mouse.
Antonio rimase zitto.
Ci era stato, ci era stato di sicuro. Ne era certo.
Vide tutto quello che Mouse era
riuscito a tirare fuori e la sensazione crebbe, li tornò a guardare e
riguardare in silenzio, tamburellando con le dita sul tavolino.
“Ripensa, ripensa a quel periodo.
Dove passavamo il tempo con la banda? No, non era una fabbrica
abbandonata. Con loro avevamo garage, quartieri, il parco, ma non
fabbriche. Però questo posto io… forse con Javier, forse è
significativo per lui, ma se lo conosco anche io ci sono stato comu…”
Non finì il pensiero che il flash l’attraversò.
Le dita smisero di tamburellare
ed Antonio sgranò gli occhi e smise di respirare, Jay e Mouse lo
guardarono in attesa, immaginando che doveva aver capito dov’era.
- Allora? -
Ma poi Antonio scosse il capo e si girò nervoso alzandosi, mandando a quel paese tutto.
- No no, non ricordo! Mi
sembrava, ma non è quello! Non lo so, cazzo! Senti Adam, io chiamo Al!
- Con questo Antonio uscì di corsa dall’ufficio, scendendo le scale. I
due ragazzi pensarono che avesse bisogno di un momento per riflettere e
schiarirsi le idee e lo lasciarono andare.
Jay chiamò Adam per vedere se
avevano avuto successo con l’informatore di Hank, il ragazzo disse che
il soggetto gli aveva dato un nome con cui parlare, che poteva sapere
qualcosa perché visto o sentito con un certo evaso senza nome.
- Stanno seguendo una pista. -
Disse Jay pensando che Antonio fosse tornato. Mouse lo guardò
stringendosi nelle spalle e Jay sospirò.
- Se avesse avuto novità sarebbe
risalito subito… - Fece logicamente Mouse, ma a quel punto lo sguardo
di Jay si posò sulla scrivania di Antonio e quando vide il suo
cellulare lì, imprecò ed alzò gli occhi al cielo.
- Cristo Santo! Antonio! - Mouse
guardò la scrivania e capì. Antonio aveva fatto finta di chiamare Alvin
uscendo dalla centrale, in realtà se ne era andato. - Ha capito che
posto è e ci vuole andare da solo e nemmeno essere rintracciato,
altrimenti avrebbe portato il telefono! Quell’incosciente! Lo vuole
affrontare da solo! -
Jay colpì con un calcio una sedia
che saltò di un metro, poi scese di corsa col telefono all’orecchio
mentre chiamava Alvin e cercava di capire con che mezzo Antonio si
fosse mosso.
Constatando che non aveva preso
la sua macchina perché sarebbe stata tracciata a sua volta, realizzò
che poteva aver preso qualunque mezzo. Uno a caso della polizia, un
mezzo pubblico…
- Cerco di capire con cosa si è
mosso e vedo se è possibile beccarlo in qualche modo… - Ma non sarebbe
stata una ricerca facile e veloce e sapevano quanto contato fosse il
tempo.
- Probabilmente è l’unico che può
risolvere questo casino, se dovessi affidare la mia vita ad un altro
oltre a Voight, l’affiderei ad Antonio. - Disse calmo Alvin dopo
essersi consultato con Jay ed avergli detto che aveva trovato l’amico
di Javier che gli aveva insegnato il pugilato. - Io interrogo questo
qui e poi arrivo. Spero di avere delle buone novità! -
Jay invidiò la calma costante di
Alvin, non capiva come poteva riuscirci. Erano rigorosamente a corto di
personale e rigorosamente nei guai, eppure lui sembrava credere di
poterla risolvere.
Dal canto suo aveva solo la netta sensazione che Murphy avesse ragione.
“Se c’è qualcosa che può andare male, andrà sicuramente male!”
E con questo si mise ad una ricerca che aveva del disperato!
“L’ho già sottovalutato una volta
ed ha rapito ed accoltellato Hank. Non posso sottovalutarlo di nuovo,
sarebbe un grave errore. Prenderò un po’ di vantaggio in modo che lui
si distragga con me e quando sarò là a riempirlo di botte, loro
arriveranno. Sicuramente troveranno il posto in tempo anche senza di
me. Avrà anche delle guardie, nuovi amici, tutto quel che vuoi, ma
mentre lui le prende da me, loro fanno fuori quegli altri. Ma se mi
vede arrivare già coi rinforzi quello uccide Hank!”
Antonio aveva fatto quel ragionamento, una volta riconosciuto il posto.
Dopo aver guardato certi dettagli il flash gli era tornato come un treno in corsa.
Era lì che andavano a fare sesso di nascosto.
Non si fidava di farlo in un
qualunque altro posto frequentato anche dagli altri, aveva scelto un
posto sicuro, sconosciuto a tutti.
Quella fabbrica era bruciata nel
periodo in cui loro erano in affari nel quartiere, era stata
abbandonata e loro se ne erano appropriati.
Era il loro rifugio.
“O per lo meno il suo, per me era
un incubo! Non mi sottoponeva certo a torture indicibili, però si può
dire mi obbligava a fare sesso. Potendo scegliere non l’avrei fatto.
Non erano momenti sereni quelli che passavo lì dentro!”
Antonio era uscito dall’ingresso
principale della centrale per poi far perdere facilmente le tracce, una
volta sicuro di non essere ripreso e notato, aveva pagato un ragazzo
per fargli usare la macchina fino alla fabbrica. Una volta arrivato,
aveva guardato quanti erano gli uomini sentinelle e dove erano
appostati, non propriamente nascosti e, dopotutto, non un esercito.
Probabilmente solo un modo per spaventarlo, più che per essere
efficace. Gli importava poco cosa poteva succedere fuori. Antonio diede
altri soldi al giovane per andarsene e, dopo un’ora, andare al
distretto, chiedere dell’Intelligence e dirgli dove l’aveva
accompagnato. Di dire il nome ‘Antonio Dawson’. E spiegare quanti e
dove erano le sentinelle.
Una volta davanti al piazzale,
fece un respiro profondo, si sentiva ancora quell’odore sgradevole di
bruciato, anche se ormai il fatto era successo molto tempo fa.
Antonio chiuse egli occhi e li
riaprì, gli parve di tornare indietro a quando Javier gli dava
appuntamento lì e lui ci andava perché sapeva che non aveva scelta, o
così gli faceva credere.
‘O tu o tua sorella, solo che a lei non piacerà!’
Nemmeno a lui piaceva, anche se non era violento. Però era meglio così, si diceva sempre.
Come quella volta strinse le mani a pugno lungo i fianchi ed entrò.
Varcando la soglia, fu di nuovo
come un sovrapporsi di tempi diversi, lui ragazzino, lui adulto. Quel
posto identico, quell’odore identico.
Aveva avvistato un paio di uomini
armati a fare la guardia intorno al perimetro, l’avevano visto e
riconosciuto e non avevano reagito.
Antonio respirò e si guardò
intorno alla ricerca di Hank e Javier. Il cuore in gola, la sensazione
si esplodere, la testa che pulsava.
Poi lo vide.
Hank, seduto alla sedia verso il fondo del grande stanzone malridotto, forse solo un poco più di allora.
Cocci, polvere, sassi, rovine, intonaco, assi.
Antonio corse da Hank
prendendogli il viso fra le mani e lo svegliò con poca delicatezza. Si
chinò davanti a lui per guardarlo, lui aprì gli occhi e nel vederlo un
moto di gioia l’attraversò, poi la consapevolezza della realtà che
stavano vivendo.
- Sei solo? - Antonio annuì ed Hank non si mostrò stupito, sapeva sarebbe venuto solo.
- Non potevo rischiare, lo
conosco, so come fa. - Antonio poi guardò la ferita per capire quanto
potesse essere grave, aveva perso molto sangue, ma non quanto si
sarebbe aspettato. Hank doveva essere rimasto immobile ed aver
controllato la respirazione.
Si tolse la giacca e gliela mise sulla ferita cercando di tamponarla alla meglio.
- E’ qua dove è successo,
ricordi? - Antonio si girò verso la voce di Javier, in piedi
all’ingresso che avanzava calmo verso di lui.
Ora la luce esterna illuminava
sufficientemente quel posto pieno di buchi nel soffitto e nel muro,
lamiere arrugginite in certi punti, travi a pezzi in altre.
La rabbia iniziò a montare,
cominciò lenta, regolare, crescente. Antonio non cercò di controllarla,
anzi, decise di alimentarla coi ricordi legati a quel posto.
- Tu che mi usavi come puttana? - Disse a denti stretti. Javier piegò la testa di lato con un sorriso strano.
- Anche. Comunque eri una puttana
abbastanza grata, mi pare. Non ti sei mai ribellato, a parte le ultime
volte! - Antonio sospirò lasciando che quel caldo flusso interno
aumentasse a dismisura invadendo il proprio cervello ed ogni senso, si
mise a camminare verso Javier, passi molto lenti. - Intendevo questa. -
Si indicò la fronte dove la cicatrice si sarebbe vista sempre.
Hank ascoltava attento ogni singola parola, cercando di capire.
Era il posto dove andavano a fare sesso, ma era stato anche il posto dell’ultimo scontro.
Logico aver scelto quello, solo
Antonio avrebbe potuto scoprirlo. Probabilmente non c’erano tracce
informatiche nelle indagini che li avrebbe potuti condurre lì.
Antonio doveva cavarsela da solo.
- Mi hai seguito? - Chiese capendo perché non l’aveva visto subito appena entrato. Javier sorrise.
- Volevo vedere quanto ci avresti
messo e se fossi venuto con i tuoi amichetti. Ma ti conosco ancora
abbastanza bene, sapevo saresti venuto solo. Ci tieni a questa tua
nuova vita, vero? - Era una domanda retorica, visto che era lì da solo
per proteggerla al meglio, la sua nuova vita.
- Sono qua e sono solo, ho
seguito le tue istruzioni! I tuoi non devono intervenire ed io andrò
fino in fondo, definitivamente. - Hank conosceva Antonio ed aveva la
presunzione di conoscerlo meglio di quanto diceva Javier.
Non era lì con l’intenzione di
ucciderlo, ma voleva farglielo credere, era vitale che Javier ci
credesse visto cosa aveva fatto per farlo fare sul serio.
“Non sarebbe nel suo stile
uccidere a sangue freddo. Lo annullerà e lo lascerà in vita. Spero solo
che si sbrighi, non so quanto tempo ho!”
Le forze cominciavano ad
abbandonarlo definitivamente, era disidratato ed aveva perso troppo
sangue, faticava a rimanere concentrato e a focalizzare le cose.
- Gliel’hai detto come hai fatto a farmi questa? Sicuramente si è chiesto come ci sei riuscito! -
Antonio sospirò, erano perdite di tempo, ma a quanto pareva voleva rivendicare qualcosa.
Si tolse la maglia e rimase con
la canottiera nera aderente, gli mostrò di essere disarmato e cominciò
a tirare i muscoli delle braccia e a preparare i legamenti.
- Non so quanto possa
interessargli. - Disse noncurante preparandosi al famoso incontro sotto
gli occhi compiaciuti di Javier, il quale si tolse a sua volta la
giacca e la camicia facendo le stesse cose. Lui aveva la pistola, ma la
tolse per ultima, posandola a terra. Questo per dimostrare quanto
volesse il combattimento ad armi pari, fino all’ultimo sangue.
Voleva capisse quanto era disposto ad andare fino in fondo.
- Avanti, raccontaglielo… - Insistette preparando le mani ed i polsi.
Antonio sospirò spazientito.
- Ho iniziato a prenderti a
pugni, tu ti sei difeso bene, ma eri sorpreso perché non ti aspettavi
fossi diventato così forte in poco tempo. E’ stato uno scontro
difficile, ti stavo per battere, ti avevo rotto il naso. Per non
perdere hai preso una trave per colpirmi con quella. Ma io sono stato
più veloce, ti ho dato un pugno attraverso quel legno e ti ho colpito
in fronte. Ho rotto la trave che si è piantata nella tua testa vuota. -
Javier indurì l’espressione ricordando quel momento, Hank ne rimase
impressionato.
Per rompere un legno e spaccarglielo in faccia doveva aver avuto una gran forza.
“Quella della disperazione… è sempre la più forte…” Pensò Hank consapevole di cosa si trattava.
- Certo, ma non è finita qua la storia. - Antonio era pronto per iniziare e stufo di parlare, ma Javier non sembrava pronto.
- Io non ricordo una storia diversa! - Replicò polemico.
- Stavo svenendo, se fossi
svenuto sarei potuto morire, per quel che ne sapevamo. Mi hai guardato,
ti ho detto che stavo malissimo, che mi sembrava di morire, non
riuscivo a rialzarmi. Ti ho implorato di chiamare l’ambulanza ed
aiutarmi. Tu mi hai preso il telefono di tasca e mi hai guardato serio.
Poi mi hai detto ‘ti aiuto solo se mi prometti che mi lascerai in pace
per sempre. Me e la mia famiglia. O giuro che ti lascio morire.’ Così
sapendo che mi avresti abbandonato lì con la testa aperta in due, ho
detto di sì, ho promesso. Tu hai chiamato e poi prima di andartene mi
hai detto che se mi sarei rifatto vivo un giorno, avresti finito il
lavoro. - Javier sorrise. - Ti ho creduto. Ho pensato che l’avresti
fatto davvero, per disperazione. E ti credo ancora. Per questo voglio
che tu mantenga la parola. Me l’avevi promesso, ricordi? Se torno
finisci il lavoro. Bene. Fallo! -
Antonio aggrottò la fronte e scosse il capo senza capire.
- Perché? Perché vuoi questo a
tutti i costi? Perché non puoi rifarti una vita, andare oltre, fare
altre cose? Perché cerchi la morte o la vendetta? Sei così sicuro di
vincere? Negli anni sono migliorato da quella volta. - Javier allargò
le braccia dritto, la posa neutra, ma si capiva che era pronto a
cominciare da un momento all’altro.
- Perché sei un’ossessione. Le
ossessioni non hanno senso, prendono forma così. La mia caduta è
cominciata con te e con te finirà. In un modo o nell’altro. - Javier,
sguardo vuoto, come due buchi neri, non sorrideva più.
Era ora di cominciare. Hank lo capì e non gli servirono altre spiegazioni. Per lui era tutto chiaro.
Rinunciare al tuo mondo non è
facile ed Antonio, in un modo strano e contorto ed anche malato, era
stato il mondo di Javier. Il resto non doveva avere senso per gli
altri, l’avrebbe avuto solo per Javier.
Gli dispiaceva che Antonio
l’affrontasse di nuovo, ma era un’occasione per liberarsi
definitivamente dei suoi fantasmi, una volta per sempre, una per tutte.
“Anche se so che lo vincerà e non lo ucciderà. Perché lui riesce a fare la cosa giusta nel momento peggiore!”
Con questo vide Antonio prendere
un profondo respiro, stringere i pugni vicino al viso nella posizione
tipica da pugile, flettere le ginocchia, mettersi in posizione e, serio
come non l’aveva visto molto spesso, fissare negli occhi Javier nella
stessa posizione.
Non le mani, non i muscoli, non il corpo.
Concentrato sui suoi occhi, sul
luccichio nero e profondo. Quello per sintonizzarsi con lui e le sue
intenzioni, quello per poi andare unicamente d’istinto.
A quel punto, iniziarono a muoversi in tondo senza mai avanzare o perdere terreno.
Lo scontro era iniziato.