5. PUGILE CONTRO TEPPISTA



"Lavoraci, crealo, fallo
Rendici più duri, migliori, più veloci, più forti.

Adesso che questo non può uccidermi
può solo rendermi più forte
ho bisogno che tu ti sbrighi adesso
perchè non posso più aspettare a lungo
so che devo aver ragione, adesso
perchè non posso avere più torto
(di quanto abbia avuto fin'ora)
uomo, ho aspettato fino ad ora
è questo tutto il tempo che sono stato su di te
ho bisogno di te proprio adesso"

/Kanye West - Stronger/

Jay, Adam, Alvin e Kevin si trovarono riuniti infine in ufficio e dopo aver messo insieme tutte le informazioni e le piste trovate, constatarono che non era abbastanza per capire dove quei tre fossero.
C’erano diverse informazioni, come che ad esempio ora Javier stava usando delle conoscenze dell’unico amico che si era fatto in prigione, quello che gli aveva insegnato la boxe. Che quelli avevano diversi traffici e stavano in svariati posti della città, ma in nessuno di questi avevano trovato Javier con Antonio e Hank.
Potevano incriminarli tutti e prenderli con calma i giorni successivi per favoreggiamento e complicità in un rapimento, ma non potevano trovare i tre interessati subito.
E dopo aver fatto tutto quello che era possibile, dopo aver seguito ogni pista, ogni traccia, ogni indagine, la squadra era lì a fissarsi nervosa, sconsolata, spaventata.
- Ok, se fosse un caso normale e nessuno dei nostri fosse sparito e coinvolto, cosa faremmo? - Chiese Alvin cercando di tenere le redini di una barca che sembrava sempre più alla deriva.
- Parleremmo con i vecchi contatti di De La Vega. - rispose subito Adam pensando alle lezioni accademiche. Alvin annuì.
- Sono tutti in prigione e pare comunque che abbia tagliato i ponti con loro. - Ribatté con fermezza, cercando di ragionare a sua volta. A quel punto rispose Jay seguendo quella linea.
- Cercheremmo qualcuno che non è finito in prigione per vedere se ha mantenuto contatti in qualche modo oppure per sapere se aveva dei comportamenti utili, dei rifugi segreti… - Alvin e gli altri si illuminarono, era una buona cosa, ma a quel punto Jay si rispose da solo. - Parleremmo con Antonio, se non fosse quello che già cerchiamo! -
E dunque erano al punto di partenza?
- Altri amici non in carcere? - Chiese speranzoso Kevin. Mouse si strinse nelle spalle tornando a cercare nei file dell’antigang che aveva sgominato la banda di Javier, senza comunque trovare un nulla di fatto.
- A parte Antonio, gli altri sono tutti finiti dentro, non era una banda numerosa, cercavano di ingrandirsi, facevano affari con dei criminali per cui sono stati incastrati… De La Vega non ha parenti se non la madre ben lontana da Chicago, l’ha abbandonato presto, da allora lui se l’è cavata da solo… - Ripeté per l’ennesima volta.
Sembrava impossibile arrivare a lui, era come se tutto dicesse che dovevano arrendersi, come se non potessero fare nulla.
Jay diede un colpo alla lavagna piena di foto e appunti riportati a pennarello, tremò ed una foto cadde. La foto di Antonio. Aveva voluto appenderci anche la sua per avere un quadro completo di quella situazione.
- Che posti frequentava, dove si rifugiava? - Chiese snervato, quasi implorante che il Cielo gli rispondesse.
E lì, quasi come se l’avesse chiamato in tempo o forse avesse usato un tono abbastanza convincente, il Cielo parve ascoltarlo.
Trudy salì le scale accompagnata da un giovane sconosciuto che sul momento non diede loro alcun segnale.
- Lui è Dick Warren, è venuto dicendo di avere un importantissima informazione per l’Intelligence. - Alvin lo guardò poco interessato, sicuro che si trattasse di qualcuno che doveva lamentarsi di qualcosa di inutile in quel momento.
- Trudy… - Cominciò polemico e stanco, ma lei lo fermò subito alzando il tono.
- Ha un messaggio da parte di Antonio! - A quello tutti si girarono di scatto con occhi sgranati ed i fiati sospesi, come se avessero inserito la spina a dei robot privi di alimentazione.
Si riattivarono pieni di speranze, consci che quella poteva essere l’ultima, l’unica salvezza.
A quel punto Alvin e Jay in particolare avanzarono verso il giovane che venne fatto salire del tutto, si ritrovò davanti a loro e dopo un momento di intimidazione per l’atmosfera tesa e seria, spiegò cosa era successo cercando di essere breve, chiaro e preciso.
- Ero a pochi isolati da qua un’ora fa circa, quando questo agente in borghese mi ha fermato, ha mostrato il distintivo e mi ha detto che aveva bisogno di essere portato in un posto. L’ho fatto guidare, sembrava avere il diavolo dietro, mi ha spaventato. Quando siamo arrivati in questa vecchia fabbrica abbandonata, è sceso e mi ha detto di aspettare un’ora e poi di andare in questo distretto, chiedere dell’intelligence e di dire che Antonio Dawson chiede rinforzi a quell’indirizzo. Ha parlato di 4 uomini nel perimetro. Non so altro. Ho solo eseguito alla lettera. Spero che vi sia utile… - Alvin non perse tempo, prese l’indirizzo che gli porgeva, lo lesse ad alta voce ed iniziò a sparare ordini a gran voce, gli altri scattarono, mentre Trudy scendeva a dare ordini ad altri poliziotti di pattuglia disponibili alla caccia.
In poco si vide un gran via vai di persone che correvano ad armarsi e prepararsi con giubbotti anti proiettile.
Solo Adam, prima di imitare gli altri, diede una pacca sul braccio del giovane e con un sorriso grato, disse:
- Amico, hai salvato la vita a due dei nostri. Parcheggia pure in divieto di sosta tutte le volte che vuoi! -
Perché Adam voleva credere che quelle vite ora le avrebbero salvate, voleva e doveva crederci.


La boxe era uno sport complesso, c’erano molti dettagli e fattori da conoscere.
Bisognava distinguere le lotte, se lo facevi per agonismo era una cosa, ma se lo facevi per vincere era un altro.
Se lo facevi per vincere c’era un’ulteriore distinzione.
Vincere per ambizione o vincere per un fattore personale.
Era molto diverso voler vincere perché ti  piaceva e volerlo fare perché invece c’era una motivazione personale, perché dovevi, volevi, non c’erano altre opzioni.
In quel caso tutto cambiava, le strategie non contavano tanto quanto i dettagli, il gioco di sguardi per poter provocare l’avversario e cogliere ogni punto debole possibile.
Combattere per affondare, per uccidere.
In quel momento in Antonio c’era un uragano forza dieci che si abbatteva nel suo animo, rendendolo non solo semplicemente combattivo, ma letale, pieno di odio per una persona che gli aveva rovinato una parte della sua vita, di cui era sicuro di essersi liberato e che invece non voleva saperne di lasciarlo in pace.
Che tornasse era un conto, che cercasse di togliergli la vita che si era fatto ora, era inaccettabile.
Questo alzava esponenzialmente la sua voglia di schiacciarlo.
Non voleva solo batterlo, voleva convincerlo a non tentare di nuovo.
Se la volta precedente gli aveva fatto 20 punti in testa, ora voleva inchiodarlo ad un letto d’ospedale.
Non l’avrebbe ucciso, sarebbe stato troppo facile per lui, non dover vivere sopportando l’umiliazione per la seconda volta di essere stato sconfitto da lui.

I movimenti dei piedi e delle gambe erano leggeri per entrambi, giravano a specchio col medesimo stile.
Antonio più leggero, Javier più veloce.
Occhi negli occhi, a leggersi l’esatto istante in cui avrebbero attaccato.
Ci girarono intorno per qualche istante, prima di pensare a fare qualche mossa, poi fu Antonio a cominciare, la velocità del braccio sinistro fu quasi invisibile ad occhio nudo ed Hank, che guardava ad un paio di metri, si sforzava per rimanere focalizzato su quello che vedeva.
E si sorprese nel vedere la velocità del suo secondo braccio.
“Se usa il destro lo distrugge…”
Capì che ci aveva visto giusto e rimase in attesa del KO che non sarebbe tardato molto ad arrivare.
Javier schivò con dei riflessi che un tempo non aveva avuto, Antonio fece un sorrisino, aveva voluto testare il miglioramento della sua capacità di schivare.
Notevole, non da sottovalutare.
- Ho avuto un bravo maestro, ti avverto. Ed in prigione beh… tu non puoi saperlo, ma fidati… hai molto tempo per esercitarti! - Disse Javier contento d’averlo stupito.
Antonio aumentò la velocità del pugno, sempre col destro, sempre rimanendo guardia con il sinistro pronto a parare.
Di nuovo non riuscì a colpirlo.
Ci riprovò usando tutta la velocità del destro e a quel punto Javier si decise ad abbassarsi e a contrattaccare con un gancio diretto al fianco, Antonio parò col braccio sinistro piegato contro il corpo.
I muscoli tesi si rivelarono un ottimo scudo e non si fece male, si ritrovò solo intorpidito per un istante e sorrise.
- Non solo i tuoi riflessi sono buoni. - I due tornarono a separarsi riprendendo a saltellare e muoversi in posizione da guardia, gli sguardi ancora incollati uno all’altro.
Antonio attese prima di ricominciare, voleva che mostrasse qualcos’altro Javier. Non conoscendolo dal punto di vista della boxe, doveva studiarselo prima di partire a testa bassa.
La forza di quel pugno era discreta, ma di solito non si partiva coi colpi forti, anche se nel suo caso sembrava totalmente ignorante di incontri reali.
Non si iniziava con un gancio, un montante od un diretto, che potevano essere dei colpi forti per il pugile.
Si iniziava con un jab, qualcosa di leggero per distrarre l’avversario e prendere la carica per l’attacco. Non si attaccava subito.
“Sembra che voglia mostrarmi subito quanto è forte…”
Si disse Antonio pensando che non sarebbe stato un incontro di boxe classico quanto una dimostrazione di forza.
Così prese un altro respiro profondo, piegò la testa di lato facendo scricchiolare il collo e riprese coi jab, visto che Javier non sembrava considerarli fra le mosse del pugilato.
- Questo si chiama jab. E’ il colpo che parte dalla guardia, non è forte, è fatto per distrarre l’avversario e preparare l’attacco vero e proprio. Sono pugni di media forza e velocità, niente di particolare, ma doverosi. Se non cominci con questo poi finisci subito perché esaurisci la forza. E’ un modo per caricarsi. - Spiegò per provocarlo e metterlo alla prova.
Javier fece un’aria poco interessata schivando velocemente ogni jab che gli dava Antonio, veloci, sempre più veloci.
- Me l’ha spiegato, ma era noioso e non l’ho preso in considerazione. Sono passato subito ai colpi interessanti! - Fece a quel punto, fra una schivata e l’altra, sempre in continuo movimento. - Tipo questo! - Disse allora andando subito con un diretto di sinistro.
Antonio fu colpito in pieno nonostante il tentativo di pararlo, preferì prendere il pugno che farsi inutilmente male al braccio o alla mano per rallentare il colpo.
Si piegò di lato prendendosi la bocca, il sapore metallico del sangue lo invase e senza turbarsi lo sputò per terra tornando velocemente in posizione. Scosse il capo con sguardo saccente.
- Sei mancino, il sinistro è il tuo braccio forte se non ricordo male. Il secondo colpo che mi rifili è già quello più forte? - Javier non si diede pena a nasconderlo.
- Fra i più forti. Sono commosso che ricordi bene. - Antonio sospirò spazientito.
- Questo incontro è noioso, tu combatti come un idiota, nemmeno i dilettanti si buttano allo sbaraglio con tanta stupidità! Se combatti così finiamo subito! Avevo molte aspettative per questo scontro, era da molto che non ne facevo di seri… ma tu sei solo un idiota che ha imparato qualche pugno! Questo non significa aver imparato la boxe! - Antonio ora parlava arrabbiato, come se più che aver rapito e ferito Hank, fosse quello a caricarlo maggiormente. Perché aveva sporcato quello che l’aveva salvato davvero, aveva usato la boxe, una cosa sacra per lui, per attirarlo lì davanti a lui e prenderlo a pugni.
Quello non era pugilato, era solo una stupida perdita di tempo.
Javier, contento di averlo fatto infuriare di più, continuò a muoversi in attesa dei suoi colpi.
- Non vedo la differenza. Nella boxe tiri pugni, io tiro pugni! Non ti pare? - E con questo, senza dare cenni di preparazione, quasi a freddo, Javier partì con un altro dritto, sempre il sinistro, più forte di prima. Antonio si fece di nuovo colpire, sperando di scaricare la rabbia che però aumentò.
Lo irritava sin nel profondo quel suo atteggiamento, quel suo modo di fare.
Prendeva e feriva a morte una persona pretendendo un incontro di boxe serio e poi non era in grado nemmeno di capire la differenza fra quello che faceva uno e l’altro.
Contrasse la mascella, sputò altro sangue, la bocca sanguinava, se la pulì rabbiosamente col polso. Solo in un secondo momento sentì il sangue nell’occhio. Gli aveva rotto il sopracciglio, ma sembrò non curarsene.
Javier rise.
- Mi pare che il mio tirare ‘solo’ dei pugni sia più che sufficiente! Che c’è, non ricordi più come si fa? Sei tu che hai bisogno di qualche lezione, mi pare! - Javier vedendolo sanguinare pensò d’averlo sopravvalutato ed euforico perché il suo piano stava riuscendo, si montò la testa tornandogli vicino per colpirlo.
Gli diede un altro gancio in viso, ora il sangue dal viso di Antonio scendeva copioso, ma lui sembrava non curarsene ancora, come se non sentisse nemmeno il dolore dei colpi che subiva.
Hank rimase inebetito a guardarlo, sapeva che era forte, perché non parava e non reagiva?
Stava lì a farsi colpire, quasi inerme.
- Forse avevo ragione nel dire che ti piaceva il dolore, avrei dovuto essere più violento all’epoca, credo che tu sia scappato perché non lo ero abbastanza! Posso accontentarti ora! - Javier continuò esaltato, ormai fuori controllo, ad andargli contro con un altro pugno, un montante rivolto allo stomaco. Questo però fu parato da Antonio, il quale finalmente iniziò a rispondere.
- No invece, non hai capito nulla! Perché la differenza fra uno che tira pugni ed un pugile è questa! - E con questo iniziò a tirargli una serie di ganci con il sinistro, bassi e veloci al fianco. Era troppo vicino e troppo veloce per permettergli di pararsi, poteva indietreggiare cercando di allontanarsi, ma Antonio avanzava. Ad ogni pugno un passo indietro per Javier ed in avanti per Antonio.
Con questa serie di colpi mirati e precisi, sempre nello stesso punto, sempre più forti, Antonio l’aveva messo in un angolo. Da lì Javier non aveva più scampo.
- La differenza sono le strategie… - Fece poi capendo che doveva avergli rotto una costola. Javier rimase immobile contro l’angolo della parete, il braccio contro il fianco colpito che gli toglieva il fiato da tanto che gli faceva male. Ma Antonio non si fermò, proseguì con un passo indietro, la solita posizione di guardia, di nuovo dei jab con il sinistro, il braccio che stava in avanti. Forte, sempre più forte. Javier tentò di pararli, piegandosi sempre più su sé stesso, per coprirsi al meglio che poteva.
Era in trappola, se non si toglieva da lì non poteva reagire, non poteva fare niente, ma quando tentava Antonio aumentava l’intensità e glielo impediva.
Ormai era al capolinea, pensò. Non aveva più fiato, ad ogni tentativo di respiro le costole lo riempivano di un dolore incredibile e le braccia con cui si parava il viso erano intorpidite.
- La differenza è che il pugile sa quello che fa, perché e come farlo! - Gridò furioso.
Con un montante allo stomaco che lo piegò in due, poi veloce, senza quasi respirare, gliene diede un altro al viso raddrizzandolo.
A quel punto era inerme, non aveva nemmeno la forza di tenere le braccia alte per pararsi. La saliva mescolata al sangue per il pugno allo stomaco, il labbro rotto.
- So che la prima cosa da fare è mettere l’avversario nell’angolo, so quando usare il montante, come sfruttare al meglio il gancio, l’importanza del jab… - Continuò fuori di sé dalla rabbia, gridando mentre andava coi jab di sinistro in posizione di guardia mancina.
E fu lì, mentre urlava e lo colpiva ‘coi pugni noiosi’, che Antonio veloce come una saetta, come se avesse appena iniziato l’incontro, cambiò la posizione dei piedi e con un saltello fulmineo alzò il piede destro, piegò la gamba esternamente e caricando tutto il peso ed i muscoli del corpo nel braccio destro, lo colpì col diretto più forte che aveva, il suo colpo migliore.
Lo colpì con ogni parte di sé, potenziando al massimo un tiro già forte di suo.
Javier ebbe la sensazione di essere investito da un tir, il pugno in pieno viso, la testa sbatté indietro contro il muro, fece un rumore sordo e l’istante successivo Javier si accasciò per terra, piegato su sé stesso, privo di sensi, il sangue prese ad uscirgli dal naso oltre che già dalla bocca, lento.
- E so come cazzo si usa al meglio il proprio colpo migliore, specie se è un dritto! -
Antonio rimase ancora coi pugni stretti, in posizione di uscita, il piede destro ora davanti, tutto il peso spostato su di esso.
Tornò a respirare, tornò a liberare i ragionamenti e il pugile lasciò lo spazio al poliziotto.
Un paio di secondi per riprendersi emotivamente, la scarica elettrica che l’aveva attraversato insieme all’adrenalina lo scuoteva ancora.
Dopo quei secondi si piegò e gli toccò il collo spostandolo sulla schiena. Il battito c’era, Javier respirava.
Era messo male e sapeva perfettamente tutti i danni che aveva, ma era totalmente disinteressato a questo, senza il minimo senso di colpa.
- Dilettante! - Disse acido sputando per terra, rialzandosi e rilassando il corpo.
Poi andò da Hank, il quale era ancora sveglio, l’adrenalina per il notevole spettacolo guardato l’aveva fatto riprendere, gli occhi vivi, colpito, ammirato, stupito.
- Era come Davide conto Golia. Il professionista contro… nemmeno un dilettante, ma un teppista di strada! - Antonio sorrise e gli prese il viso fra le mani baciandolo velocemente.
- Finalmente uno che capisce di boxe! - Hank si trovò a ridacchiare mentre Antonio andava a recuperare la chiave del lucchetto delle catene che avvolgevano Hank. Presa la chiave dalla giacca abbandonata di Javier, lo liberò e l’aiutò ad alzarsi delicatamente, avvolgendogli il corpo con un braccio e mettendosi il suo intorno alle spalle.
Stavano alzandosi, quando il rumore di un fucile si caricò ad un paio di metri da loro. Quel rumore era fin troppo familiare, non serviva girarsi e guardare. Ma lo fecero, lenti, senza movimenti bruschi, consapevoli di quel che avrebbero visto.
Nessuna delusione.
Uno degli uomini di Javier stavano all’ingresso della fabbrica con un fucile puntato contro di loro, l’aria di chi non li avrebbe lasciati andare vivi.
- Maledizione… - Fece Hank.
- Che ora è? - Fece Antonio.
- Che diavolo importa che ora è? - Chiese Hank seccato dal fatto che in un modo o nell’altro probabilmente sarebbero morti quel giorno.
- Fidati che importa… - Allora Hank alzò il polso con l’orologio e gliela disse. Antonio sorrise.
- Sei impazzito? - Ma la risposta furono gli spari esterni.
Erano arrivati i loro compagni. Erano salvi. Era finita.
Finita davvero!


Jay corse da Antonio ed Hank mentre Alvin ammanettava l’ultimo rimasto in piedi a cui non avevano avuto bisogno di sparare.
 Lo consegnò a Kevin e raggiunse gli altri, seguito da Adam il quale dopo aver constatato che ferita a parte di Hank, Antonio era tutto sanguinante. Schifato, dopo aver visto lo stato in cui era - sudato, spettinato, lividi e sangue in faccia - indietreggiò esclamando spontaneo:
- Amico… fai proprio schifo, lo sai? - Antonio lo guardò indispettito anche se stanco, consegnando Hank ad Alvin che lo condusse fuori accompagnato dagli altri.
- Grazie, sai? -
- Era così forte? - Chiese ancora mentre Jay si assicurava sulla gravità delle sue ferite.
- Confronto a me? Un dilettante! Anche peggio, guarda! Un idiota che tirava pugni! E’ stato deludente! - Adam si mise a ridere convinto che la stesse gonfiando per esagerare e curare il proprio ego calpestato visto lo stato finale in cui era. - Non mi credi? Vai a vedere Javier! - Esclamò piccato di non essere preso sul serio.
Adam allora andò a vedere e Jay incuriosito lo accompagnò, mentre sulla porta d’uscita Hank ed Alvin rallentavano per girare a guardare la scena.
I due detective si chinarono e guardarono Javier privo di sensi e shockati fischiarono increduli ed ammirati.
- Complimenti! Avrei voluto vedere l’incontro! - Disse Jay come se fosse stato un semplice scontro di boxe e niente di più.
- Ehi, ricordami di non farti più arrabbiare, ok? - Fece invece Adam ironico. A questo tutti risero e scossero le teste uscendo del tutto, mentre venivano a chiamare paramedici per Javier, per Antonio e per Hank.
Le risa riecheggiarono nella vecchia fabbrica abbandonata mentre ne uscivano e sull’uscio, poco prima di essere accolto da un paramedico, Antonio si girò a guardare l’interno e sospirò piegando la testa di lato.
Un’aria malinconica, un ricordo in particolare su tutti gli altri.
Quella volta che aveva chiesto a Javier perché dovesse nascondergli se gli piaceva. Quando poi Javier aveva risposto con amarezza che non bastava essere al comando di un gruppo di psicopatici per poter fare quello che si doveva…
“Devi essere così psicopatico da terrorizzarli. Solo così li controlli. Se mi copro di ridicolo, non farò paura a nessuno!”
Ripensò Antonio alle parole esatte, poi lo guardò mentre lo soccorrevano assicurandosi che fosse ancora vivo, infine chiuse gli occhi, sospirò e scosse il capo.
“Eppure se hai a che fare con un gruppo di psicopatici hai altre due scelte: o rimani lucido e li controlli, o ti fai furbo e scappi da loro a gambe levate. Fortuna che io sono stato furbo, alla fine!”
Con questo Antonio capì d’aver chiuso definitivamente, una volta per sempre.
Chiuse la bara e la calò nella buca, ci mise la terra sopra e ci piazzò la lapide su cui ci scrisse il nome ed il cognome di Javier. Nascita e morte.
Per lui non esisteva più.