6. PUNTO E A CAPO



Hank si aprì la camicia che si era fatto portare in ricambio a quella che aveva rotto e macchiato di sangue.
Era rimasto in ospedale il tempo di farsi curare a dovere, ricucire la ferita e assicurarsi che non avesse lesionato nulla internamente. Dopo aver sistemato chirurgicamente la ferita, aveva tuonato che voleva andare a casa e che prometteva riposo assoluto.
Poi era arrivato Antonio, anche lui curato.
- Ci terremo d’occhio a vicenda! Prometto che non lavoreremo per qualche giorno! - Hank l’aveva guardato scettico e nessuno al Chicago Med ci aveva creduto, però avevano deciso di dimetterli e farli andare a casa.
Dopo aver visto le condizioni di Hank e di Antonio e, successivamente, constatato la gravità della condizione di Javier, Will, il fratello di Jay e chirurgo al pronto soccorso, aveva detto sarcastico che gli sarebbe piaciuto vedere quell’incontro.
A quel punto Hank aveva detto che lui, che aveva assistito, gli avrebbe fatto un resoconto dettagliato se li avrebbe dimessi. Così l’aveva convinto.
Tutta la squadra era rimasta con loro ad aspettare apprensivi, ma ad un certo punto erano stati mandati a casa da Hank il quale aveva detto che poteva cavarsela.
Antonio guidò la propria macchina che si era fatto portare e fece da autista per Hank riportandolo a casa sua.
A quel punto, stanchi e sfibrati, erano andati dritti in camera a spogliarsi e mettersi comodi.
- Non mi ha ferito per uccidermi, voleva farmi vedere lo spettacolo fino in fondo e poi finirmi, penso… - Pensò ad alta voce appoggiando al camicia sulla sedia.
Antonio si sfilò la maglia muovendosi piano per non impigliarsi il colletto nel volto che gli faceva male.
- Pensava di vincere e di massacrarmi di botte fino ad uccidermi… voleva che tu lo vedessi. - Concordò Antonio il quale conosceva bene Javier e quel suo lato sadico.
Hank scosse il capo e si sedette sul letto in slip pensando se mettersi il pigiama o no, poi decise che era troppo stanco e dolorante anche per quello.
Gli avevano dato un antidolorifico, ma ormai l’effetto cominciava a svanire e lui sentiva gli effetti di quel pugnale che, per quanto non in profondità, gli aveva lacerato la carne comunque.
Antonio rimase in boxer a sua volta e lo guardò. I punti erano stati coperti con una medicazione discreta, si sedette accanto a lui e gliela sfiorò senza toccarla, l’aria seria, dispiaciuta.
- Sicuro di stare bene? - Hank fece un sorriso stanco e lo guardò con una gratitudine negli occhi, soffermandosi sui suoi lividi e sui cerotti che gli avevano applicato in certi punti.
- Parla per te! Sembri un lavoro di punto croce! - Disse fintamente indispettito per farlo smettere di preoccuparsi. Antonio rise e decise che gli avrebbe dato retta, per cui si alzò, chiuse la luce e si stese dall’altra parte del letto, Hank si accomodò lentamente sulla schiena e lo seguì col capo; una volta stesi, Antonio si mise sul fianco, la mano a reggere la testa, il braccio piegato.
Dopo quanto successo, per quanto fossero stanchi e malconci, nessuno dei due aveva voglia di dormire.
C’era così tanto da dire o forse poco, ma quel giusto che andava ancora detto.
Rimasero ad osservarsi negli occhi senza vedersi, ripercorrendo la storia, la vicenda, la giornata.
Hank fu il primo a parlare.
- Come ti senti? - Non una domanda stupida e di circostanza, Antonio lo capì e sospirò stringendosi nelle spalle un po’ smarrito e pensieroso.
- Non lo so… libero, suppongo. Per la seconda volta. Questa volta con più consapevolezza della prima. Quella volta ho vissuto nell’incertezza e nella paura di rivederlo. Pensa che ho insegnato a Gabby un po’ di mosse di boxe di auto difesa per tranquillizzarmi! - Hank sorrise, era comprensibile.
- Non riusciva ad andare oltre, ad accettare la sconfitta… - Azzardò poi.
- Non lo so se era solo questo… era come se non riuscisse a liberarsi lui stesso di… di sé, di quel passato con me. Forse ero una macchia nella sua vita di criminale DOC, la testimonianza che non meritava il rispetto degli altri… dopotutto l’hanno lasciato dopo essere finiti dentro. - Spiegò Antonio cercando un po’ di capire quello che sarebbe sempre stato un mistero. 
- Perché non piantarli prima di arrivare a quel punto? Se stava bene con te al punto da volerti riaffrontare dopo anni di prigione… perché non lasciare la banda prima e stare con te? - Antonio si strinse nelle spalle senza una risposta, piegò le labbra e scosse il capo tornando a guardarlo.
- Non ne aveva il coraggio. Lo trovi solo quando è tardi, quando perdi quello che contava. Però non so se fosse questione di rapporto quanto di possessione. Mi ero ribellato e… - Hank lo fermò scuotendo il capo non convinto di quella versione, ci aveva parlato un po’ con Javier, aveva ascoltato il loro dialogo, si era fatto un’idea anche in base al racconto di Antonio.
- Non so se è questo. Io… da quello che ho visto mi sembra era più di possessione e vendetta. Dopotutto non era finito dentro per colpa tua, tu non centravi. E cosa fa appena esce? Cerca te! Io… io credo che non fosse riuscito ad andare avanti. E’ rimasto ancorato all’unico grande rimpianto della sua vita e per non ammettere che aveva sbagliato, ha deciso che doveva affrontarti ed eliminarti. -
Antonio non sindacò su questa versione, dopotutto lui aveva una visione esterna e poteva avere ragione.
Però si focalizzò su un altro dettaglio che gli aveva dato un enorme fastidio.
- Quello che mi manda in bestia è il fatto che lui ha usato la boxe per farlo! Poteva che ne so spararmi! Perché la boxe? Proprio la boxe? Lui non era mai stato appassionato, anche quella volta che ci eravamo affrontati… lui era un teppista, sapeva usare le armi, tirava qualche pugno… era forte ma non come un pugile… per questo l’ho battuto. L’ho affrontato con un sistema, non andando alla cieca. Perché ora ha dovuto usare la boxe cercando di impararla… che poi lo vedi? Nemmeno bene! Perché quella non era boxe, erano pugni a casaccio! Bei pugni… ma non boxe! Proprio non gli piaceva, però ha usato quella! - Per lui non aveva senso, era questo che tormentava ancora Antonio, dopo aver trovato risposte e pseudo risposte, aveva capito che rimaneva quel fastidio lì a fargli prurito sulla nuca.
Hank provò a capirlo, ci pensò e rivide quel combattimento squilibrato, bello da un certo punto di vista, ma scontato dall’altro.
In effetti la scelta della boxe era stata una cosa stupida, se voleva batterlo ed ucciderlo, aveva decisamente puntato sull’arma sbagliata.
Non poteva essersi sopravvalutato tanto… ma forse non era nemmeno questo il punto, pensò Hank.
- Sai, credo che fosse geloso della boxe, perché ti ha portato via definitivamente da lui. E’ stata con quella che hai trovato il coraggio di affrontarlo ed andartene, quando hai imparato la boxe hai deciso che eri abbastanza forte per lasciarlo. Per cui lui voleva darti una lezione col tuo stesso mezzo. - Antonio sorrise amaro scuotendo il capo a metà, lo sguardo perso nel vuoto, nel buio della stanza, gli occhi abituati che vedevano lo stesso.
- Pensava che imparare qualche colpo da un pugile fosse sufficiente! Che testa di cazzo! Non ha capito nulla, non ha proprio capito nulla, mai! Poteva convincermi a rimanere in altri modi, senza usare la violenza. Però lui ha preferito non piegarsi, troppo codardo per vivere sé stesso al cento percento… ed ora eccoci qua! Lui ricoverato in ospedale per la seconda volta e poi di nuovo in prigione. Ed io che l’ho riempito di pugni! Ne valeva la pena, alla fine? - Hank alzò una spalla ed alzò la mano cercando col dorso del dito la sua guancia un po’ ruvida per il filo di barba. Sorrise piano, stanco, felice di essere lì a parlarne.
- Per una vendetta diventi cieco. Pochi perfino nel peggior momento della loro esistenza, quando sono colpiti nel profondo, riescono a scegliere la cosa giusta e ad essere lucidi. - Ovviamente l’allusione a lui che stava guardando con un fondo d’ammirazione ed orgoglio, Antonio la captò e sorrise scacciando del tutto quel fantasma che l’aveva perseguitato per troppo tempo.
- La stupidità prima o poi chiede il conto! Io ho sbagliato troppo da giovane per non capire qual è la cosa giusta da fare ora. Ma solo se sbagli poi lo distingui. - E considerando tutto, non c’era altro da aggiungere arrivati a quel punto.
Hank non disse altro, era solo felice di essere arrivato a quel punto con lui, aver stretto così tanto, aver recuperato qualcosa che sembrava perso.
La sua fiducia era importante, ma lo era ancora di più potersi fidare lui per primo e dopo Alvin era la prima volta che succedeva.
Antonio lesse una serenità nella penombra dei suoi occhi, quella serenità che non gli vedeva da molto, che non gli aveva mai visto. Un breve lampo di sollievo che decise di catturare per ricordare che quello era un nuovo punto di inizio, ne aveva avuti molti, quello era un altro. Uno migliore.
Sorrise e si protese verso di lui, lo baciò allacciando le lingue, lasciò che i brividi li ricoprissero, quella sensazione di calore piacevole, Hank ed il senso di protezione che gli infondeva, ammirazione, orgoglio. Un insieme di cose che lo colpivano indelebilmente.
Poi, sulle sue labbra, a pochi centimetri dai suoi occhi, concluse:
- Sono felice della vita che ho ora. Ho sbagliato molte cose, altre le avrei dovute fare diversamente, ho inevitabilmente rimpianti. Ma Javier non è fra questi. E nemmeno tu, questo lavoro, questa squadra. E nonostante gli errori, sono felice della vita che ho ora, non la cambierei comunque. -
Questo non era un parlare di sentimenti, di quello che c’era o non c’era fra loro. Non era nulla, ma scaldò Hank come un’avvolgente coperta morbida e lui si lasciò coccolare da quella sensazione.
La sensazione di non aver sbagliato con lui, non la seconda occasione che gli era stata concessa. Poi ci ripensò.
“Forse è anche la terza se pensiamo a quando era ragazzo e poi a quando mi ha arrestato… però la terza sarà definitiva. Non rovinerò tutto di nuovo.”
E questo se lo promise da solo.
Antonio si limitò a stendersi più vicino a lui, senza cercare altri contatti, abbracci o mani. Solo lì, più vicino, lasciando i corpi scaldarsi, sentire i respiri, assaporarsi, percepirsi.
“Punto e a capo.”

FINE