NOTE:
ho visto le puntate di saluto di Antonio che tristemente passa a
Chicago Justice, ed ho subito scritto questa fic che però pubblico solo
oggi. Sono piuttosto soddisfatta di come è venuta, volevo fare qualcosa
che concludesse la loro complicata storia ma al tempo stesso aprisse ad
una nuova fase, qualcosa che non fosse definitivo sul serio, ma che
mettesse un punto importante. Nella serie Antonio si perde sinceramente
per Sylvie, ed è un personaggio che mi piace molto, così come la loro
storia la trovo bella e loro sono adorabili, ma ovviamente Antonio ed
Hank sono un’altra cosa e non smetterò mai di scipparli e scriverli
insieme, nonostante altre relazioni e altri lavori!
Ho fatto due schizzi su questa fic, niente di che, li metto alla fine. Buona lettura. Baci Akane
L’ULTIMO PEZZO DELL’ANIMA
‘Una stella nascente non si spegne’
Le sue parole mi risuonano nella mente, shoccanti.
Quando ho saputo da Peter che
Hank aveva acconsentito al trasferimento, ci sono rimasto di merda. È
stato come se il mondo mi cadesse addosso.
Gelo.
Ecco cosa ho provato.
Gelo.
Voglia di piangere e di picchiarlo insieme.
Alla fine mi mandava via, mi scaricava così?
Visto che la nostra relazione era complicata ed ingestibile, mi cacciava.
Non l’ho affrontato fino a che non sono rimasto solo nel suo ufficio, sono usciti tutti e lui era seduto alla sua scrivania.
Io invece di uscire ho chiuso la
porta con una faccia dura e furiosa. Come quando la sera vanno via
tutti ed io faccio la stessa cosa. Ma per speciali rilassamenti che
ultimamente erano fuori luogo.
Adesso l’ho fatto perché volevo
dirgli quanto mi aveva deluso, deluso nel profondo, deluso in un modo
indicibile e pensavo di non essere capace di esprimerlo bene.
Ma lui mi ha guardato ed ha
capito in un attimo. Perché come dice sempre io sono un libro aperto,
non riesco a nascondere quel che provo.
E poi mi ha detto che mi ha
raccomandato, non mi ha mandato via. Perché era uno spreco rimanessi lì
come secondo di una squadra, era ora che avessi una mia.
Devo spiccare il volo, lo merito.
‘Una stella nascente non si spegne.’
Sconvolgenti quelle parole, sconvolgente quel momento.
Sono rimasto lì, rigido, incapace di muovermi e capire, capire cosa significava nel profondo.
Poi siamo stati chiamati, il
caso è andato avanti ed io ecco qua ora a fine turno, di nuovo con lui,
di nuovo a chiudere la porta del suo ufficio, come ho fatto oggi.
Il piano è vuoto, non c’è più
nessuno. Io devo andare a dare una risposta a Peter, il procuratore che
mi vuole a capo della sua squadra investigativa.
Lui alza gli occhi distrattamente dalle sue carte, vede che sono io, vede che chiudo le saracinesche e giro la chiave.
Immagina cosa voglio fare.
Sono scosso, devo ammetterlo.
Ci ho pensato in mille modi, ne ho anche parlato con Gabby.
Ma alla fine quel che mi ha
colpito di più è stato il suo piccolo discorso che non mi ha fatto se
non quando gliel’ho chiesto io.
Devo spiccare il volo.
Se fosse solo questo sarebbe un onore, per me, accettare.
Ma c’è molto di più dietro e solo dopo qualche ora ho realizzato.
Lui rimane seduto, mette giù la penna e smette di scrivere.
Io faccio il giro della
scrivania, mi siedo dalla sua parte, incrocio le braccia al petto con
aria risoluta, turbata. Lo fisso dall’alto, sta zitto, ricambia il mio
sguardo serio.
- Davvero? - Lui inarca le sopracciglia calmo.
- Lo meriti, Antonio. Non conosco nessuno che lo meriti più di te, davvero. - Sospiro e chiudo gli occhi paziente.
- Ti ringrazio per quello, ma
non mi riferivo alla promozione. Penso anche io di meritarlo,
onestamente. - Non faccio mistero della mia autostima. Sono un
combattente, non ho mai avuto paura di andare contro chiunque se lo
ritenevo giusto. Persino contro Hank il pazzo senza controllo… e questa
cosa l’ho fatta tante di quelle volte che ho perso il conto.
- E quindi a cosa? - Piego la testa di lato e faccio un’espressione un po’ buffa, incerta.
- Ne abbiamo passate molte, il
nostro rapporto è cambiato in mille modi diversi. Ci siamo messi
insieme, ci siamo lasciati. Adesso è in quella fase da ‘relazione
disfunzionale’ dove non vogliamo, ma non riusciamo a farne a meno… -
Hank rimane zitto e seduto davanti a me, continua a non fare nulla, mi
lascia agire. È come se volesse darmi motivo di pentirmi un giorno.
- Non voglio allontanarti per
facilitare il nostro rapporto. Così lo complica, perché io continuo a
provare lo stesso sentimento di prima, ma non ti vedrò ogni giorno, non
ti avrò al mio fianco. Potresti allontanarti così facilmente che non mi
piacerebbe. - Alla fine si decide a dire qualcosa e comincia a
dipanarsi il mio casino, il casino a cui ho pensato tutto il giorno.
- E che sentimento sarebbe? -
Chiedo cogliendo la palla al balzo. Lui fa un’espressione illeggibile
delle sue ed io sospiro insofferente. Non lo dirà mai per primo ed io
non so se sia amore quello che abbiamo. È amore quando uno allontana
l’altro nel momento più cruciale della sua vita? - Senti, io non so più
cosa provo per te, so solo che non riesco ad andare oltre come mi ero
ripromesso. È vero, mi faciliterebbe le cose. A me. Non a te. A me. Mi
sono ripromesso di chiudere con te perché non è il genere di relazione
che voglio. Voglio qualcosa di sano, normale, stabile, tranquillo. Tu…
tu sei tutto il contrario! Sei instabile, insano, chiuso, difficile e
soprattutto non mi fai entrare quando conta! Mi ferisci ogni volta che
fai di testa tue e mi tagli fuori! Questo lavoro mi faciliterebbe la
vita, mi aiuterebbe ad allontanarmi da te. Per questo sono qua a dirti…
meriti professionali a parte, Hank. Mi hai raccomandato per aiutarmi in
questo tentativo di riequilibrarmi? - Gliene ho parlato mille volte,
lui ha sempre detto che se volevo ‘uscirne’ spettava a me, perché a lui
quello che avevamo andava bene. Cioè scopare, stare insieme, scambiarsi
calore, ma ognuno per la propria strada, ognuno per le proprie scelte.
Salvo poi che lui incide così tanto nelle mie, ogni volta. Ma io non incido nelle sue, non quando conta.
Gesticolo mentre parlo
concitato, sempre più agitato, con questo universo che mi esplode
dentro e non riesco a trattenerlo e nasconderlo.
Lui rimane zitto a fissarmi, non risponde, non sa cosa dire o fare non vuole dire la verità ed io esplodo a questo punto.
- Senti, devi dirmi qualcosa.
Cosa c’è dietro questa tua decisione di raccomandarmi? Perché io so che
c’entra anche il nostro rapporto ed io non posso accettare se non so
cosa prov… - Ma mi ferma prendendomi il viso fra le mani e zittendomi
con la sua bocca sulla mia.
Si alza, si mette davanti a me,
mi schiaccia col suo bacino contro il mio, mi blocca le gambe con le
sue, mi tiene il viso fra le mani e preme le labbra. Solo così.
Mi toglie il fiato. Poi le schiude, succhia il mio inferiore.
Infine apre gli occhi e mi guarda e così, proprio così, da vicino, sussurrando piano:
- Devi andare perché ti amo, ma
non riesco a fare mai del bene a chi amo. E se ti faccio così male, se
ti tolgo il tuo equilibrio, se ti senti male vicino a me, se vuoi
allontanarti da me ma non ci riesci se mi vedi ogni giorno,
condividendo tutto insieme… allora questa è la strada che fa per te.
Ok? Vai, è la cosa più giusta per te. Avrai la vita tranquilla che
volevi. Metterai dentro i cattivi, solo con orari meno impegnativi, non
starai fuori per giorni e giorni, avrai un approccio meno diretto nei
casi peggiori. Li vivrai con più distacco. Il genere di casi che si
affronta con il procuratore sono diversi da quei massacri senza
precedenti che si vede con la migliore unità della polizia. Sarai più
sereno, più equilibrato, potrai far funzionare quella storia con quella
brava ragazza semplice e sana… ti amo e devi andare per questo. -
Rimango senza parole, non riesco a parlare nemmeno.
Per un momento non respiro, non batto le palpebre, poi gli occhi cominciano a bruciarmi prepotenti.
Cosa. Cosa devo dire ora? Cosa devo fare?
Anzi, come posso andarmene dopo che mi ha detto che mi ama?
- Ed è amore uno che esclude il
compagno nel momento più importante e doloroso della sua vita? - È una
cosa che non so se riuscirò mai a digerire, non mi andrà giù. Perché
questo è il suo modo di amare e non è il genere di amore che io riesco
a vivere.
Io sono diverso. Io sono fisico. Al cento percento.
- È così che amo. Ma sei il
primo che amo dopo mia moglie. Senza di te non sarei qua. Sarei rimasto
in prigione e lo sappiano tutti. -
I suoi occhi si fanno lucidi
davanti ai miei e rimango colpito. Non parla molto, non parla mai.
Adesso lo ha fatto e si è deciso a dirmi cose incredibili, che mi ama.
Ed io ora dovrei prendere e andarmene.
Gli metto le mani sui fianchi e appoggio la fronte alla sua, chiudo gli occhi e sospiro.
- Che meriti avrei? - Lui mi
prende il viso e lo sposta in modo da baciarmi la guancia. Ad ogni
piccolo bacio si sofferma e parla tirando fuori tutte quelle miliardi
di parole non dette. Mai dette. Parole che mi sconvolge sentire ora.
- Mi hai sbattuto in prigione
obbligandomi a capire che avevo toccato il fondo con quei modi, che
avevo perso tutto e non ne valeva la pena. - Comincia piano, si sposta
sullo zigomo. - Aiutandoti quando ti avevano sparato ed eri nei guai,
mi hai dato un biglietto per un accordo, per poter uscire. - Sale
sull’occhio chiuso. - Mi hanno affidato l’Intelligence solo perché
c’eri tu al mio fianco, l’unico poliziotto sulla faccia della Terra con
le palle di arrestarmi. Ti ho scelto perché sapevo che piacevi a loro,
che mi avrebbero lasciato andare, che sarebbero stati più tranquilli. E
poi perché non avevi paura di me. Eri il solo a non averla. Erin mi
adorava, ma non mi conosceva sul serio. Tu sì. - Bacia la mia fronte. -
Mi sei andato contro tutte le volte che lo ritenevi opportuno. Senza
paura. Dicendomi che non eri d’accordo coi miei metodi, che esageravo
quando lo facevo. Mi controllavi. Mi tenevi il fiato sul collo. -
Sorrido. Questo è un merito? Ho fatto solo l’osso duro. Scende sulla
tempia, mi bacia lì. - Mi hai fatto capire che a volte agire alla tua
maniera va comunque bene. - L’orecchio. - Mi hai protetto, non mi hai
venduto agli Affari Interni che volevano di nuovo la mia testa. -
Prende il lobo fra le labbra e mi perdo un istante, poi torna a parlare
sempre sull’orecchio, cosa che non migliora la mia eccitazione. Stringo
gli occhi, le mani ancora sui suoi fianchi. È difficile così. - Mi hai
fatto seguire le regole sempre più spesso fino a farmi accettare il tuo
aiuto nei casi che volevo gestire alla mia maniera. E mi hai consegnato
una promozione su un piatto d’argento. - Non sapevo della promozione.
Apro gli occhi ma lui infila la lingua nel mio orecchio e mi lecca. Oh,
merda. Fa sempre così. Io non voglio, però lui fa quel che vuole ed
alla fine lo fanno anche le mie mani, che si spostano alla cintura dei
suoi jeans e glieli aprono. - E se ora sono tornato in me, se ora non
sono impazzito, se ora continuo giorno dopo giorno come mi hai
insegnato tu… ragionando, senza picchiare prima e fare domande poi… se
ora penso prima di fare… nonostante quello che mi è successo,
nonostante quello che ho fatto… è grazie a te. - Mi prende il viso fra
le mani di nuovo, torna a guardarmi, io sono confuso ed eccitato, gli
ho aperto i jeans e sto facendo la stessa cosa con me, il bisogno sta
esplodendo, un bisogno folle, senza ragione, senza la minima ragione.
- Ho perso l’anima una volta e
tu me l’hai restituita lentamente. Poi sono tornato a perderla. E tu me
l’hai ridata di nuovo. E se ti amo, l’unica cosa che posso fare per te,
è proteggerti da me. - Le labbra si sfiorano ma non si toccano mai,
ansimiamo mentre la mia mano si muove sulle nostre erezioni unite. Le
strofino insieme e lui si muove mentre ci eccitiamo e il controllo
sparisce di nuovo. Ci guardiamo febbrili, confusi, incapaci di gestirci
ancora una volta.
E, ancora una volta, mentre le
nostre erezioni diventano impossibili da trattenere, fuori di me, pieno
di una voglia incontrollata, so che morirei se non mi prendesse. Lo so.
Pieno di sentimenti contrastanti
e fortissimi, da un lato il non volerlo abbandonare perché so che ha
bisogno di me, dall’altro il rifiuto di un amore così sbagliato.
Però mi giro verso la scrivania,
mi abbasso i jeans quel necessario insieme ai boxer, mi piego in
avanti, le mani appoggiante e lui con pochi movimenti fluidi e veloci
mi è dentro. Una spinta e lo sento subito. La seconda mi tiene per i
fianchi ed è più vigorosa. Lo sento entrare, sento il suo membro duro
che mi penetra ed io mi piego di più, prendendomi al bordo della
scrivania dall’altra parte, carte, cartelline, penne si muovono,
qualcosa cade mentre ci assestiamo e troviamo la posizione perfetta.
Lui è tutto dentro, ed io sono aperto e proteso per lui.
Entra velocemente, entra ed esce, le spinte iniziano ed io gli vado incontro, il mondo sparisce, ogni problema, ogni quesito.
Io il suo angelo custode?
Non era lui il mio?
Tutto si confonde, anche i nostri sentimenti.
È lui che mi ha detto di amarlo, eppure se me ne vado è perché lo amo e non sono ricambiato.
Ma forse è proprio un gran casino.
Forse non sarà mai semplice.
E forse lui non uscirà mai da me, mai.
Le spinte sono sempre più forti e veloci e fatichiamo a non gemere rumorosamente.
Specie quando è qua, quando mi tocca fino in fondo, quando arriva al punto che mi fa vedere le famose stelle.
Mi mordo il braccio cercando di non gridare, mentre vengo cercando di non sporcare nulla.
Poco dopo anche lui dentro di me. Così come siamo.
In piedi, uno dietro all’altro, vestiti. Sconvolti.
I respiri irregolari, i battiti veloci, la pelle imperlata.
Oh mio Dio.
E dovrei fare a meno di lui?
- Sai qual è il problema? - Dico
ansimante, girando la testa che appoggio sul braccio, sono sempre
piegato sulla scrivania coi pantaloni leggermente abbassati. Lui è
dentro, rimane lì, si china su di me, si appoggia e mi guarda. Ci
troviamo con gli occhi.
- Quale? -
- Che saremo ancora troppo
vicini! - In realtà edifici ed uffici diversi, ma non poi così lontani
uno dall’altro. Le nostre case saranno sempre le stesse, io non gli
restituirò le chiavi di casa e lui non mi ridarà le mie. E passare qua,
a fine turno, a vedere se si è ricordato di mangiare… beh, sarà troppo
facile.
Lui sorride.
- Dici che non è abbastanza non lavorare insieme, per troncare come si deve? - Annuisco ironico.
- Lo vedremo, ma qualcosa mi
dice che sarà più un cambiamento professionale che personale. - Con
questa profezia, mi sollevo e mi raddrizzo, lui mi avvolge con le
braccia da dietro e mi gira. Mi stringe a sé ed io rimango così fra le
sue braccia, chiudo gli occhi e nascondo il viso contro il suo collo,
respirando il suo odore.
Non glielo dirò, non posso. Se glielo dicessi non cambierebbe nulla ed invece deve cambiare, devo almeno provarci.
Non glielo dirò. Non so ancora se il suo sia vero amore o quanto meno un amore sano. Non so che tipo di amore sia.
So solo che sarà difficile toglierlo dalla mia vita. Forse impossibile.
Perché una volta che Hank Voight entra, non si estirpa più.
Alzo la testa e ci guardiamo,
poi senza dire nulla ci baciamo dolcemente, le labbra si intrecciano,
le lingue giocano insieme, piano, senza fretta. Poi ci separiamo di un
soffio e ci guardiamo.
- Mi mancherai, Antonio. - Dovrebbe essere un addio. Dovrebbe.
- Anche tu. - Ma non ne sono convinto.
Il mio ultimo caso non è stato facile, non lo è stato per nulla.
Uno dei più difficili e duri,
che modo di lasciare il dipartimento di polizia. Il mio ultimo caso
all’Intelligence è stato un massacro tremendo di poliziotti avvenuto
per mano di un figlio di un nostro caro collega, morto da tempo.
Ed Hank è stato quello che ha dovuto dare l’ordine di ucciderlo.
Una vittima degli eventi, di una
vita infame che non gli ha dato la fortuna di una salute mentale
equilibrata, di un padre al suo fianco fino alla vecchiaia. Ha provato
a fargli cambiare idea, ad uscire da quella casa, rilasciare gli
ostaggi, non far esplodere le bombe. Ma non c’è stato verso. Alla fine
sotto i miei occhi ha dovuto arrendersi e dire ad Alvin di sparargli.
Un caso terribile per concludere il nostro lavoro insieme.
Hank è quello delle decisioni difficili. È quello delle decisioni scomode. È quello senz’anima.
O meglio, quello che vuole agire come se non l’avesse.
Però poi io lo so, io lo so che
invece ce l’ha e soffre, soffre ogni volta che deve prendere quelle
decisioni. Soffre ogni volta che massacra la sua anima. E nessuno lo
capirà mai, pochi forse. Ma nessuno cercherà mai di fermarlo, o magari
ci proveranno ma non ci riusciranno.
Per un momento in questo
istante, mentre vedo la sua faccia dopo lo sparo e la conferma della
morte del giovane killer vittima di eventi infami, lo realizzo
lucidamente.
Chi lo salverà, quando io non ci
sarò a cercare di impedirgli di vendersi quel po’ di anima che gli è
rimasta? Chi gli impedirà di martoriarsi ancora? Cosa ne sarà di lui
quando non ci sarò?
E per questo istante, questo istante infinito, la paura di perderlo mi paralizza.
Non perderlo fisicamente. La
morte è una cosa che abbiamo affrontato da quando siamo entrati in
polizia. La perdita che intendo è interiore, è personale.
Chi si prenderà cura di lui?
Ha detto che sono io l’unico che
è riuscito a fargli entrare un po’ di sale in zucca, a contrastarlo con
successo, a fargli fare cose che nessuno era mai riuscito.
Metto giù il fucile sulla
cinghia a tracolla e vado da lui, fermo in mezzo al piazzale davanti
alla casa dove Carl, il figlio del poliziotto, è appena stato ucciso.
Gli metto una mano sulla spalla, silenzio introno a noi, è notte e fa un freddo cane, come sempre a Chicago.
Ci guardiamo e ci vediamo, ci
parliamo senza voce, ci capiamo immediatamente. Senza bisogno di dire
nulla, lo abbraccio. Lo abbraccio forte, di slancio, e lui accetta
questo abbraccio in un momento in cui ha perso un altro pezzo di sé.
Cosa rimarrà di lui quando avrà perso tutto?
- Ti amo, Hank. - Così mi esce
proprio ora, al nostro ultimo caso insieme, l’ultima chiusura, l’ultimo
atto. Lui ci rimane, sento che aumenta la stretta come se si
aggrappasse a me, a questo. Mi lascia e mi guarda, una mano sulla sua
spalla a stringere, la sua sul mio braccio a tenermi a sé.
Una cosa che mi sono sempre rifiutato di dire, la dico ora. Alla fine di qualcosa. O forse all’inizio di qualcos’altro.
Forse non lavorare insieme sarà
una benedizione per una relazione complicata e disfunzionale, perché
avremo solo noi due, i nostri sentimenti, le nostre vite private. Il
nostro letto. E non ci sarà lui che comanda me, che fa di testa sua, un
lavoro difficile, complicato, io che cerco di non farlo esagerare, lui
che mi taglia fuori. Ci saranno solo i momenti liberi che ci godremo
insieme, spensierati e sereni.
Forse.
Il suo sguardo grato si aggancia
al mio, luccica commosso. Ho detto quell’unica cosa in grado di
restituirgli quel pezzo di anima che stava andando via.
I saluti al bar con gli altri
sono stati intensi, belli e al tempo stesso liberatori. Vedere quanto
sono amato è sempre bello, so che non cambierà dal punto di vista
relazionale, ma solo professionale. Le nostre vite andranno avanti
diversamente a lavoro, ma la sera ci ritroveremo sempre al Molly’s e ci
berremo su dopo una giornata massacrante. E magari collaboreremo in
qualche caso complicato. Perché no.
Ci siamo abbracciati di nuovo, ringraziati a vicenda.
Abbiamo bevuto insieme, riso, scherzato, ricordato i momenti topici, le mie trovate migliori.
E poi siamo tornati a casa
insieme, dopo che ho detto a Sylvie che stasera non ci saremmo visti.
Non ho spiegato, sapeva che avevo i saluti alla mia squadra.
E che saluti.
Sorrido girandomi verso Hank che
mi prende a sé protettivo come se potessi sfumare via in un sogno.
Appoggio la testa sulla sua spalla, ansimiamo soddisfatti per
l’ennesimo saluto.
- Sai… prima ho pensato una cosa. - Dico poi ricordandomi di quando l’ho abbracciato di slancio alla fine del caso.
- Cosa? - Chiede roco, calmo.
- Quando non ci sarò, chi ti
impedirà di rovinarti quel po’ che resta della tua anima? - So che Erin
ci prova, ma Erin è frenata dai ruoli. Capo - sottoposto, padre -
figlia. Ci prova ma ha dei limiti, infatti per un bel po’ non sapeva
molte cose oscure di lui.
Io le sapevo tutte ed ho cercato di cambiarlo, l’ho aiutato a rimettersi in carreggiata, gli ho indicato la via.
Penso di aver fatto un buon lavoro considerata la famosa promozione di cui non sapevo.
- Stasera ne hai perso ancora un
pezzo, un giorno ti perderai del tutto. Che ne sarà di te? Chi ti
romperà le palle per non fare a modo tuo? - Hank mi sorride ed io alzo
la testa per guardarlo. - Sono serio! - Così smette di ridere. Cazzo,
non ride mai questo. Adesso che io sono serio lui ride?
- Antonio, me la conservi tu
quel che resta di quella cosa chiamata anima. Posso buttarmi in un
tritacarne perché so che poi tu mi rimetterai in sesto, a fine
giornata. Sempre. - Oh, fanculo, quindi in pratica sono fregato a vita!
Ce l’avrò in ogni caso sulla coscienza!
- Insomma alla fine della fiera
sia che restavo, sia che andavo, saremmo finiti come sempre a letto
insieme! - Esclamo concludendo schietto, ironizzando per
sdrammatizzare. Lui sorride compiaciuto, perché alla fine posso essere
complicato… ma mai quanto lui!
- Non sono il capo
dell’Intelligence per nulla! - A questa sparata addirittura piena di
umorismo, gli mordo la spalla per poi finire baciandolo.
Piano piano torna il sereno ed è vero, anche se ci scherziamo su.
L’ho sentito prima quando l’ho abbracciato.
Ce l’ho io un pezzo della sua
anima. E quando lo abbraccio, lo bacio, stiamo insieme gliela
restituisco. Poi la conservo per la volta successiva.
Questo pezzo lo terrò per sempre con me. Per sempre.