ANOTHER WORLD

CAPITOLO I:
LO SBAGLIO PIU’ GRANDE
 
Sangue negli occhi
Dite che non è colpa vostra
e giurate che sto sbagliando io
Avete detto che non è come sembra
Nessun rimorso per la fiducia che state spezzando
Voi correte ma è allora che ricadete indietro
Soffocate nel casino che state creando
Non ne avete abbastanza”
/Blackout - Linkin Park/

Schiacciato e appesantito come mai era certo di essere stato, lo guardò nella speranza che questa volta qualcosa cambiasse, che ci riuscisse senza sentirsi male, senza avere il voltastomaco, senza che la testa gli esplodesse, ma ancora non cambiò nulla e lo sguardo altrettanto tirato e severo di Mac gli fece capire che anche per lui era così.
Forse era vero che sarebbe potuto bastare poco, per ritrovarsi. Forse era vero che stavano esagerando con questa stupida lotta d’orgoglio. Forse erano vere un sacco di altre cose, ma al pensiero che Mac l’avesse obbligato a tradire uno della sua squadra per delle stupide regole che lui stesso calpestava se preso dalla furia cieca, lo mandava in bestia.
Era intransigente solo quando gli faceva comodo e non poteva negarlo. Era nobile che per certi casi sapesse mettere da parte il suo rigore passando i limiti, ma il punto era che solo lui poteva farlo.
Il suo agente aveva sbagliato e su questo non c’erano stati dubbi, ma le conseguenze di quell’arresto sarebbero sicuramente presto arrivate.
Eppure non era questo il punto, non era questo che lo faceva arrabbiare con lui tanto da non riuscire a perdonarlo e passarci sopra.
In fondo stavano insieme, si volevano un bene superiore a quello che provavano per altri ed anche se non sapeva in che modo chiamarlo -amore, affetto o che altro- la loro relazione, seppure non l’avessero da molto, contava molto per Don.
Però rimaneva che si era fatto dare il suo taccuino come prova per accusare il suo agente e ci era riuscito perché era il suo compagno.
Se non fossero stati fidanzati non glielo avrebbe mai dato e Mac avrebbe chiesto un regolare mandato da subito dimostrando che non era complice con Don, che lui anzi aveva cercato di proteggere la sua squadra fino all’ultimo.
In un gruppo di polizia era importante la fiducia dei suoi uomini, era tutto sia per chi dirigeva, che per chi veniva diretto. Se veniva a meno era dura, poi, andare avanti. Venir visti come il traditore che li guidava dandoli in pasto ai lupi, e poco contava se chi veniva arrestato se lo meritava. Era il gesto che loro guardavano.
Il gesto che il loro capo squadra aveva aiutato un altro a metterli dentro.
Questo, loro guardavano, e Mac sapeva benissimo che il punto della questione era ciò.
Sapeva che chiedendogli a lui direttamente il suo taccuino dove annotava tutto su ogni operazione che eseguiva, equivaleva a chiedergli di tradire la fiducia dei suoi uomini e questo l’avrebbe pagato.
Però Mac aveva pensato bene di fare leva sul sentimento che li legava senza passare per i metodi comuni, saltando un passaggio che per lui sarebbe stato essenziale.
Avrebbe potuto rifiutarsi, certo… ma lui era Mac… stavano insieme… come poteva mettergli davvero i bastoni fra le ruote nel suo lavoro?
Per Mac contava troppo. Rifiutargli quel gesto avrebbe significato troncare comunque il loro rapporto.
Si era trovato con le spalle al muro.
Dargli quel dannato taccuino era come stato scegliere i sentimenti verso Mac, ma vedendo come i suoi uomini poi l’avevano guardato quando il suo agente era stato arrestato davanti a tutti, gli aveva fatto capire che forse non era stata la scelta giusta.
Aveva capito che Mac non avrebbe nemmeno mai dovuto chiederglielo.
Che era stato egoista.
Che evidentemente non provava la stessa cosa che sentiva lui.
E non era più riuscito a parlargli se non con fastidio, astio e acidità.
Si erano visti poco e sebbene Don avesse inizialmente cercato di far finta di nulla, non ci era riuscito a lungo, quando la propria squadra aveva iniziato a parlare male di lui dicendo che non meritava la loro fiducia.
Ed ora guardare quello che doveva essere il suo uomo, equivaleva a stare male con sé stesso e basta, a non sentirsi a posto. A non riuscire più a stare con lui come un tempo.
Gli bruciava. Tutto gli bruciava. Anche il fatto stesso che per un fatto accaduto a lavoro, la loro vita privata stesse subendo quella crisi.
Non sapeva come muoversi, come affrontarla, come superarla. Non sapeva.
Non si sentiva più capito da Mac, ancorato nelle sue immutabili idee granitiche irremovibili.
Certo, solo se riguardavano lui, ovviamente!
Ma non potevano più andare avanti così.
Quel giorno, dopo l’inseguimento fatto insieme, era stato impossibile ignorarlo e non parlarne. Quella guerra fredda non era per loro.
Un primo litigio che non aveva portato da nessuna parte, la solita presa di posizione ferrea di Mac, un allontanamento sempre più incombente.
E poi quella sera a casa, l’inevitabile.
- Chiariamolo subito! - esordì in quel modo, Mac, vedendosi Don entrare con un’aria cupa dopo che non l’aveva fatto per giorni. Il tono duro come lo sguardo gelido. Si vedeva però che era infuriato. - Se sei venuto a scusarti per la tua immaturità sei il benvenuto, altrimenti non abbiamo altro da dirci! Quello che ti ho detto oggi rimane! -
Non urlava solo perché non era da lui fare scenate, ma la voglia di Don di farlo, invece, stava raggiungendo i limiti massimi. Le vene gli pulsavano, i muscoli erano tesi, la mascella contratta, il respiro pesante. Cercava di trattenersi solo perché lui non stava urlando, però voleva. Oh, se voleva.
Non sapeva nemmeno perché diavolo, dopo tutto, era venuto lì.
Forse perché dopo l’aperto litigio di quella mattina, aveva sperato che quel dolore potesse finire visto che non ce la faceva più.
Però lui era ancora là, irremovibile come sempre, nelle sue dannate posizioni rigide.
Anche lui non aveva cambiato idea. Anche per lui la squadra aveva ancora la precedenza, la fiducia dei suoi uomini era tutto, visto che ci si salvava la vita a vicenda con quella. Però era venuto alla ricerca di una via di mezzo che li facesse andare avanti, perché non ne poteva più senza parlare alla persona che per lui al momento contava di più.
Eppure o si faceva secondo le sue regole, o niente.
Così non poteva starci.
Così davvero non ci riusciva. Era più forte di lui.
- Anche per me quello che ho detto e penso rimane. - Lo disse con forza cercando con tutto sé stesso di non urlare e trattenersi, ma aveva un tale bisogno di lasciarsi andare, invece, che sapeva sarebbe esploso. I lineamenti di Mac si indurirono ulteriormente, metallo allo stato puro.
- Allora perché sei qua? - anche lui non ne poteva più dell’atteggiamento di Don, però il divario che si era creato fra loro era davvero così grande, dopo tutto quello che erano diventati l’uno per l’altro?
Don si morse il labbro, girò lo sguardo per la stanza che ormai conosceva a memoria, cercò di calmarsi, di frenare la propria lingua, di non dire quel che pensava disperatamente. Ci provò con tutto sé stesso, ma sapeva che come avrebbe aperto bocca, sarebbe andato tutto a quel paese.
Si avvicinò a Mac che lo fissava duramente ed impassibile, quindi al limite di un’esplosione atomica, disse basso, penetrante e con voce quasi tremante dalla rabbia:
- Non lo so, forse speravo potessimo essere abbastanza adulti da mettere da parte entrambi le nostre divergenze di idee per stare insieme, ma evidentemente mi sbagliavo. - E sapeva che non doveva dirlo, ma ormai lo pensava troppo profondamente. Era arrivato al capolinea anche lui: - Evidentemente per te contano più le tue dannatissime regole! Non sono un motivo abbastanza valido per venirmi incontro come io stasera ho provato a fare con te. E venire qua è stato l’errore più grande della mia vita. Non succederà più. -
Uno sparo avrebbe fatto meno male, ma non solo a Mac che aveva ricevuto tali parole, anche a Don che le aveva dette.
Perché non era certo piacevole dire una cosa simile al proprio uomo, specie se lo si pensava fortemente.
Era come rendersi conto che non si era amati abbastanza dall’altro, non come invece amava lui.
Era una tortura.
Dopo averlo detto, sperò solo che Mac gli desse un pugno per fargli cambiare idea e fargli capire che invece si sbagliava e che voleva ricominciare mettendo tutto da parte.
Lo sperò fortemente, ma al suo silenzio gelido che prese come un assenso alle sue accuse, si girò e se ne andò sbattendo la porta, giurando a sé stesso che non l’avrebbe più varcata e che sarebbe potuto anche affogare, ma che per quanto lo riguardava per lui, Mac, era come morto.
Anche se forse quello che stava morendo era lui, altrimenti come spiegarsi il non riuscire più a respirare, il nodo allo stomaco e alla gola e il peso al petto schiacciante? La testa batteva e forse pure le ossa gli bruciavano.
Così male, ne era certo, non era mai stato e voleva gridare. Solo gridare. Gridare e piangere.
Cosa fare?
Da chi andare?
Aveva bisogno di qualcuno.
Aveva fortemente bisogno di qualcuno.
Ce l’aveva così tanto che avrebbe potuto soffocare.
Non sapeva altro, era tutto confuso, un atroce caos atomico, non capiva nulla, però aveva bisogno di qualcuno a cui ancorarsi, a cui… non sapeva nemmeno cosa e perché.
Aveva solo bisogno.