CAPITOLO X:
TEMPESTE
 
Ed ogni perdita
ed ogni luce
in ogni verità che neghi
ed ogni rammarico
ed ogni addio
era un errore, un modo per nascondersi
e la tua voce è tutto ciò che ho sentito”
 
/New divide - Linkin Park/

E poi, come un fulmine a ciel sereno, arrivarono l’inizio delle tenebre.
 
Danny era ancora con la mente rivolta alla sua piccola Lucy, convinto fosse comunque la cosa più bella della sua vita nonostante le circostanze che l’avevano messa al mondo.
Era così appena uscito dal suo piano e raggiunto Mac al suo ufficio per prendersi il lavoro di quel giorno, quando una chiamata proprio davanti al suo principale l’aveva fermato.
Una telefonata che fu come un inizio, sia per chi la faceva che per chi la riceveva, in un certo senso.
Qualcosa che innescò un meccanismo a catena anche se non collegato da quell’unico evento.
Mac si girò guardando il ragazzo attraverso il vetro del suo ufficio, lo vide rispondere al telefono e subito impallidire violentemente come avesse ricevuto la notizia peggiore di quegli ultimi anni.
Così, in effetti, era stato.
Capì subito che era qualcosa di grave e affacciatosi subito alla porta, gli si piazzò davanti chiedendo con sguardo d’urgenza cosa fosse accaduto.
Ricevette risposta poco dopo, quando riattaccò e nei suoi occhi blu vi lesse il caos e l’incredulità più acuti.
- Angell è rimasta ferita in una sparatoria, sembra grave… Don la sta portando all’ospedale! -
A Mac gli ci volle un esatto istante per fare mente locale su tutto quello che la riguardava, sul suo compito di quella mattina, su chi scortava e su cosa potesse essere successo.
Ma fece in tempo solo a sgranare gli occhi di un azzurro tendente al grigio sperando di poterci non credere, che subito gli arrivò la conferma. Una conferma che avrebbe preferito non avere, per una volta.
Il proprio telefono squillò e mentre lui e Danny ancora si guardavano negli occhi esterrefatti sospesi in una dimensione a parte, gli fu girata la chiamata d’emergenza che indicava la sparatoria ad un bar dove era rimasta coinvolta una loro agente di polizia, Jessica Angell.
Messa giù la comunicazione ci fu un secondo, in realtà non quantificabile.
Fu proprio un soffio o forse di più.
I due si guardarono esitando con degli sguardi che in quell’attimo comunicarono tutto il necessario e con una vampata di adrenalina che li riportava alla vita violentemente, furono attivi ed efficaci consapevoli che da lì in poi non si sarebbero potuti permettere altro.
- Danny, vai da Don immediatamente! Dammi notizie appena puoi! - Così dicendo si separarono svelti e mentre Mac urlava altri ordini a chiunque gli capitasse a tiro, conscio che oltre alle condizioni critiche di una loro detective dovevano far fronte anche ad un altro guaio non da poco -il rapimento di un testimone chiave per un processo ad un pezzo grosso-, Danny cercava solo alla velocità della luce tutta la forza che poteva raccogliere per far fronte ad un momento che definire critico sarebbe stato usare un eufemismo.
Una volta ognuno per la propria strada, con un compito diverso e specifico, il ritmo partì in un crescendo incessante e non si sarebbe fermato che nella maniera più tragica per tutti.
Quando varcò la soglia del reparto del Pronto Soccorso e percorse pochi metri, fra la folla lo distinse subito e per un momento si chiese perché diavolo avesse chiamato lui e non Mac, mille volte più adatto a sostenere certi momenti drammatici.
- Don! - Lo chiamò teso e gli bastò uno sguardo per capire che Jessica, la ragazza di Don e sua collega, non ce l’aveva fatta.
Un sussurro.
- E’ morta… -
E dicendoglielo, Danny capì che lo stava realizzando veramente anche Don stesso, ma fu quanto di più atroce da sostenere… il suo migliore amico ed il suo sguardo che dallo smarrimento ed incredulità, passava alla disperazione più oscura fra le lacrime.
Si sentì sciogliere ogni tensione accumulata in quel breve tragitto, una tensione arrivata alle stelle per così poco… si sciolse e poi si ricaricò come un cuore in arresto cardiaco e stimolato dall’elettroshock.
La scarica lo fece ripartire bruscamente e col pugno che batté sul muro, il suo animo inveì con rabbia contro un destino bastardo che voleva solo ferire Don per impedirgli di essere un po’ felice.
Fu quello il primo pensiero.
Che la serenità meritata del suo amico, ora, se n’era andata.
Poi venne il dispiacere per aver perso lui stesso un’amica e per la situazione in sé.
Ma quando si girò ancora, dopo aver appoggiato la fronte al muro colpito, vide lo sguardo di nuovo perso carico di lacrime di Don e per un momento vacillò.
Vacillò e si ricordò da solo di non poter permetterselo poiché quello era il momento di restituire tutto quello che aveva ricevuto, era il momento di dimostrare chi era per lui e di sostenerlo.
Per soffrire di quella situazione di merda avrebbe avuto tempo un’altra volta.
Non ancora.
Non lì.
In pochi passi gli fu davanti e sebbene avesse la testa completamente vuota, gli pareva come di sentirlo dentro, in un pugno tremendo allo stomaco, tutto il dolore di Don, nulla a confronto del proprio.
Lo guardò in uno scambio di sguardi che rappresentava il vuoto in entrambi, il caos ed il panico, poi Danny con una forza ed un coraggio che non seppe lui stesso da dove scaturì, gli circondò la testa e gli nascose il viso contro di sé consapevole di quanto odiasse piangere in pubblico. Ed ora, lì, di gente ce n’era decisamente troppa.
Don gli si aggrappò e fu un momento breve o forse anch’esso lunghissimo, ma lo sentì aggrapparsi, stringerlo fino a togliergli il respiro e tremare.
Quando lo disse a Mac per telefono, non fu facile ma l’udire la sua voce che comunque fu laconica e poco più di un sussurro, gli permise di ritrovare quella forza e quell’energia che per un istante e solo uno, aveva di nuovo perso.
Tutto il tragitto di ritorno fino alla centrale, lui e Don lo fecero nel silenzio più completo ed ebbe solo per un attimo la tentazione di deviare e portarlo via, lontano da lì, da quella città e da quell’Inferno.
Fu talmente grande che si domò a stento. Solo un modo istintivo ed inutile di proteggere il suo amico da un dolore peggiore.
Vivere e andare avanti nonostante tutto.
Non aveva idea di quanto l’amasse, Danny aveva sempre creduto che Don sarebbe stato solo ed unicamente innamorato davvero di Mac, però aveva sperato trovasse in qualcun altro un po’ di pace e la voglia di andare avanti.
Con Jessica l’aveva visto invogliato a ricominciare, come Mac aveva fatto con Payton e poco importava che poi fosse finita anche con lei. La volontà c’era stata ed era stata una cosa positiva.
Ma perché questo, ora?
Il desiderio di ricominciare di Don spazzato via in quel modo assurdo.
Più se lo chiedeva e meno se ne capacitava, ma la frustrazione peggiore era la consapevolezza di non poter comunque fare nulla per chi voleva aiutare con tutto sé stesso.
Questa era davvero grossa, indipendentemente dal fatto che lui l’amasse già sul serio o meno.
Era comunque la sua via d’uscita ed ora gli era stata portata via in quel modo.
No, non era per niente giusto.
Quando giunsero alla centrale ad aspettarli era stato solo Mac il quale sapeva la voglia di Don di non essere assalito da tutti i colleghi per fargli le condoglianze.
Facendo in modo che nessuno arrivasse a lui, fu il suo modo di aiutarlo e sostenerlo. Il resto l’avrebbe fatto prendendo l’assassino della sua ragazza.
Scesi dall’auto, i tre si guardarono e gli occhi di Mac e Danny furono insistentemente per Don il quale non riuscì ad evadere e forse perché non era più lì con loro, con la mente riviveva a ripetizione tutti gli ultimi istanti di vita di Jessica e si chiedeva perché, solo perché, senza soffermarsi su ciò che provava lui o su cosa dovesse fare.
Gli occhi gonfi e lucidi, di un chiaro tanto meraviglioso quanto intenso, turbarono Mac il quale provò l’istinto irrefrenabile di abbracciarlo. Istinto che non domò reputandolo giusto.
Lo strinse a sé e fu l’unico momento in cui Don poté ricordare, nella confusione senza precedenti che l’avrebbe colto da lì in poi, di aver avuto un contatto con la realtà e di essere stato ad un soffio dalla sua stessa morte.
Lui l’avrebbe definita pace.
Un breve calore momentaneo in grado di scacciare il vuoto, il freddo e l’assenza di sé dal proprio corpo.
Fu catapultato al proprio posto e sentì concretamente Mac riportarlo al di qua e pregò solo che potesse rimanere così per sempre, aggrappandosi alla sua schiena, stringendo gli occhi e premendo il viso contro il suo collo.
Mac e Danny, le sue due ancore sul mondo, l’accesso per la pace.
Quando si separarono si guardarono e lo smarrimento di Don si allacciò alla certezza di Mac che avrebbero preso il colpevole e che avrebbero risolto tutto.
Quello ma non solo.
Certezza nei sentimenti che ancora, dopo tutto, a ragione di Danny, li legavano e non sarebbero mai svaniti.
Non si dissero niente e Don sparì come un lampo in cerca di un po’ di solitudine e di chiarezza.
Rimasti soli i due si guardarono con stanchezza consapevoli che quando sarebbe finito tutto, raccogliersi sarebbe stato davvero duro.
- Non so se chiederti di stargli vicino per impedirgli colpi di testa o di dare fondo a tutto te stesso per aiutarmi a risolvere il caso. - Disse Mac dimostrandosi straordinariamente incerto, spiazzando per questo il più giovane che comunque sospirando e passandosi le mani sul viso trovò risposta:
- Don non è una testa calda come me, anche se lo sembra. È quello affidabile. Non farà niente che non vada fatto. Servo più a te. - Concluse.
- E’ proprio questo che temo. Che faccia quello che va fatto. -
E su questa affermazione laconica, Danny non poté che trovarsi d’accordo visto che tutti, al suo posto, si sarebbero fatti giustizia da soli in un modo o nell’altro.
 
Il lavoro era stata la sua terapia e per tutto il caso né Danny né Mac comunque gli si staccarono di dosso, eseguendo tutte le indagini del caso insieme.
Per Don non era stato facile doversi sostanzialmente trattenere tutto il tempo, consapevole che fare colpi di testa con quei due angeli custodi e la loro sorveglianza serrata, non avrebbe potuto nemmeno volendo.
Però poi il momento si era presentato e trovatosi ad un bivio non era stato capace di scegliere la cosa giusta, o forse era stata così giusta da stordirlo.
Da solo con l’uomo che aveva assassinato la sua ragazza, dopo che si era disarmato, non aveva saputo trattenersi e non aveva seguito quel dannato protocollo.
In un istante aveva rivissuto tutto e questa volta dentro si erano messi i suoi sentimenti, la consapevolezza che lei avrebbe potuto significare rinascita, un modo per ricominciare, l’unica per cui si era detto valesse la pena voltare pagina ed andare avanti.
Aveva capito che ora sarebbe sprofondato, che non ci sarebbe stata una via d’uscita ma che soprattutto ogni cosa, per lui, era finita.
Jessica per lui aveva rappresentato la speranza di una nuova vita felice ed ormai non avrebbe mai potuto sapere come sarebbero andate le cose e se quello che cominciava a provare fosse stato effettivo amore o cosa… non l’avrebbe mai saputo.
Ormai era finita.
Ed in un istante, un solo brevissimo alito di vento, solo col proprio Dio personale, Don aveva sparato ad un uomo disarmato reo di aver distrutto tutta la sua vita e quella di una donna innocente.
Sebbene comunque nessuno l’avrebbe mai biasimato, lui non capì proprio come mai già da quel momento, quando incrociò gli occhi con Danny accorso poco dopo, non si sentì meglio nemmeno di un po’.
Aveva fatto vendetta ed ottenuto giustizia.
Perché non poteva sentire una sorta di peso in meno?
Perché quella rabbia cieca c’era ancora e non lasciava spazio alla semplice disperazione?
Non avrebbe trovato la risposta tanto facilmente, ma proprio quando cominciava a riflettere se fosse il caso di stare per un po’ con Danny poiché sapeva quanto sarebbe stato peggio stare solo  -ed istintivamente voleva solo quello ma in uno sprazzo di lucidità capiva cosa fosse meglio- quella breve tregua raggiunta venne di nuovo spezzata.
Davanti ai suoi occhi.
Incapace di reagire, impossibilitato a fare qualcosa, una qualunque, aveva solo assistito all’inizio di un’altra disfatta. Quella del suo migliore amico o qualunque definizione potesse avere la propria eterna ancora di salvezza di sempre.
Riuniti nel solito bar, tutta la squadra al completo ascoltava il toccante ma semplice discorso di addio di Stella a Jessica e fu in mezzo a mille elucubrazioni confuse che vagavano fra il razionale e l’irrazionale, che si udì una scarica di mitraglia inconfondibile e il rumore vetri infrangersi.
Fu tutto veloce e al tempo stesso rallentato.
Gettarsi a terra, gridare di stare giù, cercare di capirci qualcosa, affidarsi al solo udito perché era l’unica dannata cosa a funzionare, aspettare che tutto quel frastuono finisse e poi fra i vetri rotti e le urla distinguere qualcosa di specifico e preciso.
Sangue e non di una persona qualunque, proprio di quella più sbagliata di tutte a cui si tiene in un modo inimmaginabile.
Di nuovo il sangue di chi non si vorrebbe.
Quando Don capì fra la confusione che il sangue che si spandeva a terra fra i pezzi di vetrina rotta, proveniva dal corpo di Danny, gli parve per la seconda volta quel maledetto giorno, di morire.
E da una sensazione simile non ci si riprende più tanto facilmente, non dopo che l’hai appena passata e ci stavi affogando dentro.
Questo cominciò a far inabissare Don definitivamente.