CAPITOLO XI:
BUIO
 


non crescere troppo in fretta
e non abbracciare il passato
questa vita è troppo bella per durare
e io sono troppo giovare per averne cura “
 
/Blackout - Muse/

Essere riuniti per un’occasione tanto drammatica era già di suo qualcosa di eccessivamente pesante, ma non ci fu tempo di realizzare che le cose stavano peggiorando.
In realtà non ci fu proprio il tempo di capire niente e non solo di pensare.
Da che erano in piedi coi calici alzati a salutare Jessica, a che il chiasso li fece buttare tutti a terra, rumori indistinti che poi vissuti al rallentatore li avrebbero attribuiti agli spari ripetuti, alla vetrina che si infrangeva, alle urla, alle sedie che si rovesciavano e alla gente che si faceva cadere sul pavimento.
Sul momento ci fu però solo un raggruppamento di fragori assordanti indistinti e quando tutto si placò fu innaturale: dal delirio al silenzio.
O forse così parve a Mac.
Si guardò intorno stordito come tutti gli altri e cercando di capire se lui stesso avesse dolori da qualche parte, la sua vista catalizzò ogni proprio senso sul sangue che strisciava poco distante da lui, fra i vetri, partendo da dei corpi a lui familiari.
Anzi.
Uno.
C’era così tanto disordine, come poteva capire di chi fosse quella sagoma stesa?
Come poteva capire qualcosa, qualunque cosa?
E nonostante fosse un tipo sempre molto intuitivo e reattivo, con degli ottimi riflessi e dalla mente più veloce del normale, lì tutto in lui funzionò al rallentatore senza fargli capire ciò che con urgenza doveva captare all‘istante.
Chi si era fatto male?
Ma forse non voleva saperlo, spaventato dall’idea che fosse qualcuno di cui non avrebbe potuto reggere la batosta conseguente.
Come poteva non sbagliarsi?
Fu sentire la voce di Lindsay che lo chiamava, che gli fece capire di chi si trattava ed i suoi occhi finalmente misero a fuoco il resto della persona supina fra i vetri da cui il sangue si spandeva.
- Mac! Mac! - Lo chiamò a gran voce. Non avrebbe saputo dire se avesse risposto, forse si concentrò solo sull’udire il resto della sua frase, ma gli bastò sentire il suo nome a conferma di ciò che ormai aveva capito anche se si era sforzato di rifiutare: - E’ Danny! - E l’inclinazione terrorizzata nel tono non gli lasciò scampo per fuggire ancora dalla realtà nella quale si trovò catapultato brutalmente dentro.
Appena ci entrò capì che non avrebbe più potuto permettersi di staccarsene.
Si trascinò sperando non fosse grave, pregando ma senza farsi illusioni… da come era cominciata la giornata aveva capito che le fantasie positive non erano di quel mondo.
E a conferma anche di quello fu il viso carico di panico di Danny.
Il suo Danny. Se lo disse solo un attimo, una frazione di secondo, mentre si chiedeva che cosa diavolo avessero osato fargli.
Danny incrociò i suoi occhi spaventati, ma non lo vide risollevato come normalmente succedeva quando si guardavano, così gli esplose il bisogno impellente di capire concretamente cosa gli fosse successo e quanto grave fosse.
Infilò senza pensarci la mano sotto di lui, sulla sua schiena da dove vedeva provenire il suo sangue e quando toccò la ferita capì di cosa poteva trattarsi. Lo capì perché la posizione della pallottola che l’aveva infilato era innegabilmente chiara, crudelmente senza speranza.
Ritirò la mano tutta rossa e fu allora che il lamento terrorizzato di Danny gli diede conferma.
- Mac… Mac non sento le gambe… non riesco a muoverle… non riesco ad alzarmi… Mac… Mac… cos’ho… - E pur lui lo sapesse, avrebbe provato a credergli se lui e solo lui gli avesse detto che non era niente.
Gli avrebbe creduto e si sarebbe alzato, ma nei suoi occhi Danny lesse una verità innegabile e dura, troppo per non capirla subito.
Si chiese che cosa avesse sbagliato per ridursi a quel modo.
Perché in quei casi uno se lo chiede, credendo di essere preda di una punizione.
- Danny… - Mormorò sperando di trovare la forza per affrontare anche quell’inferno che gli si stava affacciando.
Fu un attimo, solo uno. Breve ma intenso.
Un istante in cui Mac cadde nel panico all’idea di perdere Danny o vederlo paralizzato e lo sapeva con una lucidità pazzesca che i rischi erano quelli.
Fu quanto di peggio in quella giornata provò, per tanto che la morte di Jessica l’avesse sconvolto.
Lui era Danny, dannazione.
E se lo ripeté fino a che una scarica non lo attraversò.
Fu la mano del ragazzo traumatizzato che si serrava sul proprio braccio e furono poi i suoi occhi carichi di una paura che non vi aveva ancora letto, a riconnetterlo.
Perché anche il giovane cominciava a capire cosa significava il sangue nella schiena ed il non sentire le gambe.
Quello lo riportò alla vita e gli riaccese la mente.
In un istante divenne lucidamente pratico e cominciò a pensare a tutto ciò che di utile si dovesse fare, come un automa che sapeva a menadito le procedure d’emergenza.
Le conosceva in quel modo perché decisamente aveva dovuto applicarle fin troppo.
Con freddezza chiamò i soccorsi descrivendo la scena, chiese a gran voce se ci fossero feriti e sentendo riferì quanto udito, poi ordinò a Sheldon di occuparsi del barista che dalle urla sembrava il più grave di tutti. Agli altri della squadra diede una serie di ordini precisi volti a vedere chi si fosse fatto male e a mettere in sicurezza l’ambiente, poi si chinò su Danny e lo costrinse a concentrarsi sul suo sguardo per rimanere sveglio e vigile.
Danny lo fece automaticamente e fino a che continuò a sentire la sua mano stringerlo ossessivamente, capì che era ancora con lui, ma quando cominciò a sentirlo mollare, si trovò a gridare il suo nome per impedirgli di perdere i sensi.
Arrivò però il momento in cui la sua luce divenne troppo confusa per distinguerlo e non poté più fare niente.
 
Chiamarlo inferno fu dopo tutto un eufemismo.
Dilaniato fra la voglia di stare attaccato alla porta della sala operatoria per sapere di Danny e vegliare su di lui e il desiderio di fare subito vendetta, fu Don ad un certo punto a trarlo dall’impaccio.
Quando lo vide capì subito il suo stato altrettanto confusionale, ma capì che il suo era peggiore poiché veniva da un altro lutto grave ed i suoi occhi azzurri furono espliciti.
Mac seppe all’istante, guardandolo, che non sarebbe stato minimamente utile in quelle indagini e quanto fatto quel giorno per Jessica poteva considerarsi un miracolo.
Aveva dato fondo a tutte le sue energie per prendere i responsabili della morte della sua ragazza.
Ora, per quello, non ne aveva più nonostante questo lo frustrasse non poco vista la voglia di vendicare il suo amico.
Ma l’ultimo sprazzo di lucidità doveva metterlo nel capire che non era più in grado di fare nulla.
Aveva dato tutto.
Ogni cosa.
Forse anche troppo.
Mac lo capì e sebbene inizialmente aveva sperato, finito il loro addio a Jessica, di andare a casa sua e stare con lui tutto il tempo necessario per sostenerlo a dovere, ora sapeva come sarebbe andata.
- Sto io qua, tu vai a prendere quei bastardi. - Sussurrò nelle ultime forze che gli rimanevano.
Mac sapeva che non sarebbe riuscito a fare altro e con uno sguardo dispiaciuto e apprensivo, si guardò le mani sporche del sangue di Danny, lo stesso che gli macchiava la camicia e parte del viso poiché se l’era toccato senza accorgersene. A quel punto capì cosa doveva fare, seppure con riluttanza poiché avrebbe di certo preferito vegliare su entrambi senza staccarsi da loro un secondo.
- Chiamami subito. - Non servì specificare altro.
Non aggiunse altro, Mac, ed andandosene si portò via Lindsay convincendola che dovevano aiutare gli altri con la pista ancora calda e che ogni minuto era prezioso.
I due non stavano più insieme, ma il fatto di avere una figlia aveva fatto sì di mantenere degli ottimi rapporti e sarebbero comunque stati sempre legati.
Portandola via il pensiero del supervisore andò involontariamente alla piccola di cui Danny andava tanto orgoglioso e si chiese, con un brivido che non avrebbe mai scordato, se quella creatura non sarebbe rimasta quella notte orfana di suo padre.
Pregò Dio che così non fosse.
 
Scollegato col tempo oltre che con lo spazio, coi sensi totalmente svaniti, l’unica cosa che viveva di continuo era una sorta di luce tiepida che lo cullava.
Quella in eterno. Senza percepire altro, non fruscii o sussurri, non suoni, non sensazioni fisiche, non pensieri. Solo quella luce che lo avvolgeva.
Fu paradossale poi aprire gli occhi e sentirsi al contrario immerso in un buio profondo. Solo in un secondo momento capì che non era vero poiché la stanza era illuminata, ma bensì ciò che sembrava confrontando i due diversi tipi di luce.
Ci impiegò un lasso di tempo indefinito a mettere a fuoco tutto e riottenere l’uso quasi completo di tutti i suoi sensi e funzioni vitali.
Quando la vista tornò alla normalità prima delle sensazioni fisiche, capì di essere vivo grazie agli occhi azzurro cielo che lo fissavano rabbuiati e preoccupati.
Don si sforzava di sorridere incoraggiante, fingendo di essere contento che il suo amico si fosse svegliato e che invece non ci fossero mille altri pensieri peggiori ad oscurarlo e Danny lo capì immediatamente.
- Ehi… - Mormorò con un filo di voce affaticato, la bocca impastata, tutto ancora ovattato, anche i dolori che non capiva bene da dove venissero, sapeva solo che c’erano.
- Ehi… Aurora, era ora… temevo di doverti baciare per svegliarti! - Rispose con delicatezza ed uno sforzo di ironia con riferimento a La bella addormentata nel bosco.
Danny capendo fece cenno di ridere, ma ci rinunciò sentendo male quasi ovunque.
- Non farmi ridere, amico, che non arrivo… - Si lamentò infatti. A quello Don sembrò accendersi e si sistemò meglio sulla sedia, avvicinandosi al letto e chinandosi per guardarlo più da vicino:
- Senti dolore? - Sapevano entrambi quanto importante fosse quella domanda e non una stupidata e sapevano anche che la risposta avrebbe potuto troncare di netto ogni altro buon umore improvvisato.
- Sì… sulla schiena… - Don aveva lo sguardo attento ed un’espressione sospesa.
- E… nient’altro? - La voce urgente ma spaventato dall’idea di mettergli pressione e ricevere la risposta sbagliata.
- No… - Poteva essere più chiaro e Danny si chiese, nella propria confusione mentale, mentre i neuroni riprendevano a connettersi con più efficacia, se dovesse osare o no. Ma non era tipo da girarci troppo intorno e lo disse così com’era: - non sento dalla vita in giù. -
Il silenzio calò ancora per interminabili minuti, Don spostò gli occhi che da accesi si spensero, percorsero il corpo di Danny alla ricerca disperata di una soluzione, di una speranza a cui aggrapparsi e poi tornando sul suo amico provò senza però crederci molto nemmeno lui:
- Magari… sono gli antidolorifici… ti avranno imbottito… ti hanno tenuto sotto i ferri per un sacco di tempo, sai che anestesia avrai in circolo? -
Però entrambi sapevano che era un’eventualità talmente remota che fosse solo quello, da non aver bisogno nemmeno di demolirla.
- Sì… magari… - nessuno dei due riusciva ancora ad affrontare la realtà insieme. Poco dopo Danny tentò di cambiare discorso: - Mac? -
Dopotutto lui avrebbe avuto la forza di dirgli le cose come stavano e l’avrebbe fatto nel modo giusto.
A lui avrebbe creduto, qualunque cosa gli avesse detto. Perché a lui si credeva sempre, in ogni caso.
E ci si affidava ciecamente.
- Quando sei uscito l’ho chiamato ed è corso qua, sta inseguendo il chirurgo che ti ha operato che non si è degnato di dirci come è andata. Sai… solita gente… - Provò ad intavolare un qualunque altro tipo di conversazione ma preferirono comunque tornare sempre su Mac.
- Starà licenziando metà personale medico… - Scherzò debolmente Danny facendo ridere Don solo con la bocca. I suoi occhi ancora tremendamente spenti.
Per quanto lo sarebbero stati?
Eppure quelli di Danny, ora, non erano poi tanto diversi…
Quando lo videro entrare, entrambi catalizzarono immediatamente la loro attenzione su di lui come fosse l’ultima speranza rimasta.
Mac si fermò al lato del letto opposto a Don e guardò brevemente il moro per poi concentrarsi sul giovane steso.
Dal suo sguardo serio capirono subito quanto grave fosse, anche se sul suo volto di natura affascinante veleggiava un vago sorriso di sollievo per vedere Danny sveglio, cosa che ad un certo punto non era stata scontata.
- Te la sei vista davvero brutta, Danny… - Introdusse l’uomo più grande, ancora in piedi.
- Quanto? - Una domanda non rivolta al ‘quanto brutta’, ma al ‘quante possibilità di ripresa ho’. Mac lo capì e anche quell’ombra lontana di positività svanì nel dirglielo.
- Dieci per cento. - Don e Danny sgranarono gli occhi nello stesso identico stupore, avevano immaginato fosse grave, ma non fino a quel punto. - Hai rischiato di morire, ti hanno preso per i capelli, hanno fatto tutto quello che potevano ma… il dieci per cento è il meglio che sono riusciti a strapparti. Sheldon sta massacrando il chirurgo per sapere quanti più dettagli medici possibili, è convinto che si sbagli… -
Si sprecò in un discorso completo ed articolato sapendo che comunque Danny si era fermato alla percentuale. Non lo biasimò e sospirò sconfitto.
A quel punto poteva bastare fargli giustizia?
- Non… non tornerò più a camminare, in pratica… - Giunse immediatamente alla conclusione più catastrofica, Danny, consapevole che a quel punto, dopo tutto quello che era successo nell’arco di ventiquattro ore, illudersi andava bene per i bambini che credevano ancora nelle favole e non per lui.
Smarrimento. Un tale smarrimento i due uomini non glielo avevano mai letto.
La paura subito dopo la sparatoria al locale, quando per la prima volta non aveva più sentito le gambe, era stata una cosa, ma lì c’era solo smarrimento. Smarrimento che scemò repentinamente nel buio e nella perdita di ogni speranza.
Per quanto testardo fosse sempre stato quel ragazzo, il suo limite era giunto anche per lui e da lì in poi l’insistenza, l’ottusità e la cocciutaggine che avevano forgiato un carattere d’acciaio incrollabile e pieno di volontà, sarebbero solo stati ricordi.
Danny alla velocità della luce che svaniva nei suoi occhi, si spense interiormente davanti a due delle persone più importanti della sua vita.
Non si sarebbe riacceso per molto tempo.