CAPITOLO XII:
LOTTANDO CON LA FINE
 
“Crollo, la paura sta penetrando
Il freddo arriva, correndo attraverso la mia pelle
Cercando un modo per arrivare da te
Attraverso la tempesta tu...
Vai, rinunciando alla tua casa
Vai, lasciando tutto quello che conoscevi
Non sei solo
Con le braccia in alto, tese verso il cielo
Con gli occhi come, echi nella notte
Nascondendoti dall'inferno che hai passato
Quello silenzioso, tu…”
 
/Not alone - Linkin Park/

Come ogni mattina Mac si recò da Danny, aprì la porta con la propria copia di chiavi che si era fatto dare, in seguito, sempre come di consueto, storse il naso all’odore di chiuso che si ostinava a mantenere in casa quel ragazzo.
Il buio era una costante perenne così come il disordine, del resto era impensabile che mettesse in ordine. Logicamente avrebbe dovuto prendersi qualcuno che l’aiutasse, ma essendo che non gliene importava nulla, era inutile proporglielo di nuovo.
Sospirò paziente ed aprì le finestre facendo arieggiare, quindi cominciò a raccogliere e sistemare lo scompiglio accumulato in un paio di ore.
La sera veniva e gli preparava qualcosa da mangiare che puntualmente spiluccava senza troppa convinzione lasciandone metà, poi l’aiutava a sistemarsi nella doccia e nel frattempo che si lavava, riordinava casa. Dopo di che lo tirava fuori, l’aiutava a vestirsi e lo metteva a letto.
I primi tempi aveva dovuto fargli tutto, successivamente aveva cominciato ad arrangiarsi un po’.
Avrebbe potuto prendergli gli ausili necessari che gli permettessero di cavarsela completamente da solo, ma si era impuntato e glieli aveva negati sapendo che in quel modo non avrebbe completamente recuperato, tanto più che lasciandolo solo in casa tutto quel tempo lo avrebbe fatto finire ben presto peggio di quanto già non stava, grazie al suo umore nero che gli impediva di interessarsi a qualunque cosa che significasse reagire.
La mattina si ripresentava per alzarlo, fargli la colazione e mettere in ordine quello che si lasciava lui stesso dalla sera precedente. La pausa pranzo, ovviamente, tornava lì e mangiava con lui, sempre obbligandolo ad ingurgitare qualcosa.
Per il resto stava prevalentemente in ufficio. Quando non aveva casi lavorava su quello della sparatoria rimasta ancora impunita e le ore di sonno che faceva erano decisamente insufficienti, per tutto quello che faceva.
Avrebbe potuto farsi aiutare dagli altri della squadra, ma a parte che nessuno sapeva tutto quello che lui faceva, Danny aveva preferito far credere di avere gli ausili per cavarsela da solo e di avere la madre che stava con lui il più delle volte.
In realtà i suoi genitori non erano mai stati informati dell’accaduto, sempre per volontà di Danny.
Il ragazzo in poco tempo aveva fatto in modo di isolarsi il più possibile e tranne per Sheldon che lo accompagnava in ospedale a fare le terapie e Lindsay che lo faceva stare un po’ con la figlia -unico momento di sollievo-, accettava solo Mac.
Avrebbe accettato volentieri anche la presenza di Don, se solo si fosse degnato di venire più di una volta ogni tanto per bere in compagnia.
Erano tutti consapevoli del suo stato, ma ogni energia di Mac era rivolta a Danny e lui stesso non poteva certo pensare anche all’amico che non trovava le forze per risollevarsi.
O per lo meno le poche volte che lo vedeva glielo faceva capire.
Si era messo in licenza per un po’ di giorni, forzato anche da Mac stesso che sperava gli bastasse, così si era visto praticamente per niente.
Per Mac era dura, ossessionato letteralmente dal prendere i colpevoli ancora impuniti, concentrato sull’aiutare in ogni istante Danny che rifiutava anch’egli l’aiuto di terzi se non strettamente necessario.
La verità, però, era che nonostante avesse cercato di fare di tutto per il ragazzo, per impedirgli di lasciarsi andare, il risultato di ogni suo sforzo era un Danny sempre più inabissato e nessun passo in avanti in quel maledetto caso.
E lui quasi senza forze.
Erano passate due settimane e lui era stato dimesso poco dopo il suo risveglio su serrata insistenza dell’interessato che aveva sbraitato contro i medici incapaci di farlo rialzare.
Probabilmente stava giustamente sviluppando una sorta di idiosincrasia per il reparto di chirurgia!
Dopo aver tirato su delle bottiglie vuote di birra e averle buttate, mise su con gesti stanchi il caffè e sistemò sul tavolo il resto del necessario per la colazione.
Prima di andare in camera si fermò e si girò verso l’ingresso dove di solito c’era la sua moto, l’Harley Davidson di cui era sempre andato fiero. L’aveva fatta portare via da Don. Ogni volta che ci pensava si rendeva conto di quanto fosse strano non vederla lì dentro ed ancora i suoi occhi ormai tendenti al grigio per la cupezza di cui erano padroni, si rattristarono senza controllo.
Ingoiò il magone e con la sua forza normalmente inesauribile, ora messa fortemente alla prova, entrò in camera.
Era chiusa e buia, quando aprì anche lì la finestra, la luce entrò abbracciando tutta la stanza con un disordine più o meno in linea col resto dell’appartamento, quindi Danny si girò nel letto e nascose con un lamento la testa sotto il cuscino.
- Danny… - Lo chiamò con indulgenza cominciando a scegliere i vestiti che avrebbe messo quel giorno.
Un mugugno si levò dalle coperte, Mac scosse il capo paziente, poi conclusa la scelta si diresse al letto e lo scoprì poco pietosamente.
Le gambe abbandonate in una posizione a sé ed il busto avvitato, il corpo vestito solo da una canottiera intima e da dei boxer, come Danny dormiva sempre.
Tirò via anche il cuscino e finalmente si rivelò il suo viso sciupato con la barba incolta ed i capelli lunghi spettinati e selvaggi.
Gli si strinse il cuore per un attimo e di nuovo la sensazione devastante di impotenza lo frustrò potentemente. Quello era il risultato del giorno più tremendo che ricordava.
Ogni volta ripensava a quel dieci per cento di possibilità che lui tornasse a camminare e a quanto per Danny corrispondesse ad uno zero, ogni volta non riusciva a biasimarlo e il buio aumentava anche intorno a lui.
Come si usciva da quell’affondo fangoso?
Danny ci era sprofondato del tutto e lui che voleva essere la sua ancora di salvezza per tirarlo fuori, stava cadendo dentro esaurendo tutte le proprie risorse di energie.
Ecco il frutto di tutto il suo affanno.
Quanto poteva andare avanti?
- A cosa mi serve alzarmi? E poi tu ti svegli all’alba… sono questi gli orari di andare a lavoro? - Brontolò con voce assonnata e roca.
Mac accennò ad uno squarcio di sorriso che non fu molto felice, ma quanto di meglio riuscì a tirare fuori.
- Ho molto da fare. - Rispose con calma senza cadere nei particolari.
- Non sei tenuto a fare tutto questo! - Proseguì mettendosi a sedere, si prese le gambe e le fece scivolare giù dal bordo, piombarono di peso sul pavimento. Mac lo guardava con attenzione, con la testa piegata di lato assorbendo ogni suo dettaglio che gli dicesse come stava il ragazzo.
Nessun cambiamento.
- Lo faccio perché voglio farlo. -
- Posso chiedere a qualcun altro, Lindsay stessa si è offerta un sacco di volte… - Lei avrebbe anche potuto accettarla, dopo tutto, così avrebbe visto di più Lucy.
L’uomo più grande gli andò davanti e gli diede la maglia da mettersi mentre lui pensava ai calzini e ai pantaloni.
- Voglio farlo io, ci tengo. - Ma ogni volta era sempre lì che si fermava, non andava oltre e Danny era certamente depresso, ma non idiota.
- E poi posso prepararmi da mangiare da solo… -
- Ma non lo fai. - Replicò con sicurezza sapendo che se non fosse venuto per fargli anche i pasti non avrebbe mangiato.
Una volta infilato tutto, Mac si piegò su Danny che gli circondò il collo con le braccia, in seguito si alzò portandoselo dietro e mentre questi si reggeva tenendosi a lui di sola forza visto che non aveva la minima sensibilità sulle gambe e non poteva stare nemmeno un attimo in piedi, l’altro gli tirò su i pantaloni.
Fu esattamente in quel brevissimo lasso di tempo che Danny, stufo di quel suo atteggiamento da eroe masochista, disse sempre stringendolo, col mento sulla sua spalla e guardando dritto:
- Non devi espiare nessuna colpa, non sei tu che mi hai fatto questo. - Come uno sparo, in pieno suo stile, centrò il bersaglio e Mac si irrigidì fermandosi in quella posizione, abbracciandogli la vita per non farlo sforzare troppo mentre si teneva a sé con le braccia.
Fu comunque un gesto istintivo poiché gli parve come se il tempo si fermasse, sentì la forza annullarsi e spaventato dall’idea che l’altro non riuscisse più a tenersi, lo strinse eccessivamente senza rendersene conto.
Il ragazzo tirò indietro la testa appena per poterlo guardare in viso, in tempo per vederlo mentre mormorava smarrito e dispiaciuto:
- Ma non ho preso chi te lo ha fatto. -
Lo stato apertamente inabissato di Mac permise per un istante brevissimo all’altro di risalire in superficie, una frazione di secondo nella quale si vide di nuovo la tigre testarda di un tempo.
- Lo prenderai, ne sono sicuro. Però non devi fare tutto questo per delle colpe che non hai. Ti stai consumando e se ti prosciugherai, non potrai concludere niente di quello che vuoi a tutti i costi. -
A quello il più grande rispose subito e di slancio, girando il viso a sua volta fino a guardarlo da quella vicinanza ristretta, guardandolo con intensità sconvolgente:
- Io voglio solo che tu torni a camminare, però non dipende da me. Ciò che dipende da me è la giustizia. Ma non ti lascerò solo per ottenerla. -
Danny rimase profondamente colpito dal suo discorso e non controllò gli occhi che gli divennero lucidi, sentì il magone salire e si ricordò di non aver ancora stupidamente pianto. Si morse così il labbro e premette il viso contro il suo collo nella speranza di non cedere ora.
Mac risalì con le braccia e gli carezzò dolcemente la schiena e la nuca, capendo il suo gesto ed il suo stato d’animo, avendo conferma che fino a che ce l’avrebbe fatta, non avrebbe mai smesso di venire da lui.
- Grazie… - Mormorò solamente con voce spezzata.
Non seppero dire quanto rimasero così, solo quando il respiro di Danny tornò regolare e si calmò, egli stesso tirò su la testa e lo guardò nuovamente da vicino, ancora abbracciato ed aggrappato a lui che lo sosteneva con forza senza lasciarlo andare. Ci fu un momento in cui entrambi pensarono si sarebbero baciati, i respiri rispettivi sulla pelle del viso, gli sguardi che dicevano ogni segreto inenarrabile. Poi però fu tutto scacciato dai mille altri pensieri e preoccupazioni incombenti che non li avrebbero mai lasciati, non fino a che non avrebbero risolto tutto.
- Mac… però non puoi continuare così… - E forse fu perché per la prima volta lo guardava da così vicino, lo guardava davvero fino a notare ogni dettaglio che gli faceva capire quanto sciupato fosse, quanto poco dormisse e quanti sforzi facesse solo per lui.
Danny si stava consumando, ma Mac non era certo da meno e sapeva che era inutile, a quel punto, negare che per lui quella vita fosse difficoltosa.
Provando a pensare a cosa dirgli, l’unica soluzione che trovò fu ciò a cui aveva pensato appena era stato dimesso, ciò che si era tenuto per sé sapendo quanto orgoglioso fosse il ragazzo.
Ma a quel punto era davvero l’unica per alleviare almeno un po’ il peso.
- Trasferisciti da me per un po’… - Lo disse come di slancio anche se in realtà era una ponderazione di giorni e giorni in cui si era sempre risposto da solo.
Danny si irrigidì, quindi girò la testa verso la propria sedia a rotelle e Mac lo posò a malincuore su di essa. Ci fu del silenzio durante il quale il ragazzo pensava a quello che significava e mentre lo lasciava fare, il più grande si chinò a mettergli le scarpe.
Molte delle cose che gli faceva, Danny avrebbe potuto farle da solo, magari con fatica e con bisogno di fare pratica e trovare le giuste modalità, però non erano impossibili per lui. Non tutto.
Il fatto che gliele facesse Mac però non lo infastidiva mentre succedeva se qualcun altro ci provava. Come non lo infastidiva che venisse così tanto a prendersi cura di lui.
Era per questo che lo lasciava fare.
Mac, dal canto suo, lo faceva perché era convinto che altrimenti Danny sarebbe rimasto tutto il giorno a letto, non si sarebbe lavato, vestito e tanto meno nutrito.
Oltre che alcune cose effettivamente non arrivava, come certi spostamenti e tutto ciò che bisognava fare alzandosi. 
Al lato pratico casa sua non era nemmeno molto accessibile, in certe zone non arrivava a passare e per prendere alcune cose in posti alti faceva cadere tutto.
A onor del vero casa di Mac era più spaziosa e non aveva punti stretti, per le cose poste in alto gli sarebbe comunque servito aiuto, ma l’essere con lui sarebbe di certo stato un grande aiuto.
Senza contare tutto il tempo che gli avrebbe risparmiato in giretti per andare tutte quelle volte da lui ed il fatto stesso che sarebbe stato molto più tranquillo nel tenerlo maggiormente d’occhio.
Per Danny sarebbe stato inoltre uno stimolo maggiore a non lasciarsi andare e darsi più da fare, se non altro per non sentirlo predicare!
Sapevano entrambi molto bene quanto quella, dopo tutto, fosse la soluzione ideale ed anche se al biondo non gli andava eccessivamente a genio il fatto di rinunciare praticamente del tutto alla sua indipendenza, tutto ciò che gli rimaneva della sua vecchia vita, poteva anche ammettere, per lo meno a sé stesso, che vivere con Mac era quanto di meno peggio potesse ricavare da quella situazione.
Con un sospiro, infine, mormorò quasi sconfitto:
- Immagino sia l’unica soluzione, a questo punto… - Appena lo disse, Mac sgranò gli occhi alzando lo sguardo sorpreso su di lui. Non si sarebbe in ogni caso mai e poi mai aspettato una risposta positiva.
Smise di macchinare con le sue scarpe e rimase accucciato davanti a lui a guardarlo per un attimo, quando Danny abbozzò ad una specie di sorriso impacciato e tirato, un sorriso di chi non ne faceva uno nemmeno per finta da molto tempo, anche Mac ne fece uno simile, ma più contento e sollevato.
Non ci aveva sperato molto, però quella sensazione era la migliore delle ultime due tremende settimane.
In fondo avevano saputo da sempre che sarebbe finita così.
 
Al tavolo della colazione a sorseggiare il caffè, Danny se ne rese poi conto definitivamente quanto inevitabile fosse il suo trasferimento.
Quando Mac seduto ad aspettare che finisse, con la testa appoggiata alla mano che scivolava di continuo, lo vide mentre lottava per non addormentarsi. Fece un po’ di abbassare e rialzare il capo, aprire e chiudere a fatica gli occhi fino a che non cedette di schianto, la testa crollò sul braccio piegato sopra al tavolo e lì vi rimase.
Danny inarcò le sopracciglia incredulo che fosse successo davvero, ma sebbene in un primo momento quell’inedito Mac lo fece incredibilmente sorridere, e questa volta non più di circostanza, poi gli fece capire quanto davvero stanco fosse.
Non poteva di certo continuare in quel modo.
Danny stava male ma sapeva che anche gli altri non se la passavano bene. Sapeva in quale fogna fosse Don. Sapeva quanto frustrato e ridotto all’ombra di sé fosse Mac.
Sapeva che il non aver ancora preso i colpevoli quintuplicava il peso della sua coscienza.
Lo lasciava fare conscio che almeno quel suo prendersi cura in modo eccessivo di sé, da un lato lo stancava fisicamente, ma dall’altro gli alleggeriva almeno un po’ la coscienza.
Però avrebbe voluto che smettesse di sentirsi in colpa, cosa impossibile trattandosi di Mac. Era troppo severo con sé stesso per lasciar semplicemente perdere.
Lui stesso non era tanto interessato quanto lui, di prendere i maledetti responsabili del proprio stato. Non lo era perché tanto anche ridotti in poltiglia, non avrebbe lo stesso camminato.
Perdeva repentinamente interesse per tutto, specie per ciò che un tempo sarebbe stato vitale per lui. L’unica cosa che lo teneva un po’ su, che gli premeva risolvere, era lo stato d’animo di Mac.
Vederlo ridursi in quello stato non era una cosa che poteva aiutare Danny.
Concludendo la colazione prese allora il cellulare e si allontanò per non disturbarlo, dopo di che chiamò Stella e le disse che Mac avrebbe fatto un po’ tardi.
Successivamente cominciò a raccogliere le proprie cose alla buona, come riusciva, per facilitare il compito dell’amico nel fargli i bagagli.
Mac era ormai troppo importante per lasciarlo fare di testa sua e se con la propria risalita dalle tenebre, si sarebbe rimesso anche lui, allora si sarebbe sforzato e avrebbe ripreso a nuotare, anche se ormai aveva smesso perché privo di speranza.
Quando l’uomo più grande si svegliò ad un rumore eccessivamente forte che aveva fatto Danny facendo cadere qualcosa, si rese conto di essersi addormentato e come se gli avessero puntato una pistola alla tempia, guardò l’orologio. Notando quanto tardi fosse sulla sua personale tabella di marcia, schizzò in piedi dimenticando per un attimo il proprio contegno e pacatezza, quindi corse da Danny in camera che cercava di radunare come poteva i propri vestiti, quelli che riusciva a prendere dai cassetti.
- Danny! Perché non mi hai svegliato? - Il giovane si girò a guardarlo trafelato mentre si sistemava la camicia.
- Scusa, non volevo disturbarti… cercavo di prendere un borsone ma mi è caduto tutto… - Rispose invece l’altro come se non avesse detto niente.
Mac lo guardò accigliato pensando di essersi espresso male:
- Ma non dovevi lasciarmi dormire! Sono in ritardo, prima del mio turno dovevo… - Ma si interruppe accorgendosi di stare spiattellando tutto l’extra che faceva per lui.
Danny capì ugualmente quali erano le cose tanto urgenti che doveva fare a lavoro, ovvero continuare ad indagare per i fatti suoi sul suo caso, comunque evitò il discorso concentrandosi sulle proprie motivazioni e lo fece con una sicurezza che non aveva più usato da settimane:
- Sei crollato, avevi bisogno di riposare e ti ho lasciato fare! Ho avvertito Stella che ritardavi un po’! - Mac capendo che non c’era verso di fargli capire l’importanza dei suoi orari severi, scrollò le spalle indispettito e contrariato ignorò il caos che aveva fatto il ragazzo ed uscì di corsa, sentendolo solo di striscio urlargli dietro: - Se non riposi come si deve ti metto il sonnifero nel pranzo! -
Questo gli fece fare tutta la strada col sorriso sulle labbra, questa volta non un sorriso stanco e tirato, ma uno più vivace e rilassato.
Su una cosa aveva ragione… o si dava una calmata, o non sarebbe più riuscito a fare niente.
Ma ora che Danny veniva a stare da lui, era sicuro che le cose almeno un po’ sarebbero migliorate.
O per lo meno lo sperava.