CAPITOLO XIX:
DISCESE E SALITE
“Vorrei poterti toccare, vorrei poterti vedere
Vorrei che tu potessi parlar con me, perché ora voglio ascoltare
(Ti sento. Lasciami dirti ciò che voglio.)
E le ore, ed i minuti, ed i secondi
È così importante dare niente per scontato
E cercare di resistere, amare, perché ora io
Vorrei poterti toccare, vorrei poterti vedere
Vorrei che tu potessi parlar con me, perché ora voglio ascoltare
Vorrei potessi essere vero, vorrei poterti incontrare.
Vorrei che tu potessi parlarmi perché ora voglio ascoltare.”
/I wish - DMX ft Seal/
Avrebbe potuto rimanere a
fissare la bottiglia di birra per ore, fosse stato per lui, ma non
avrebbe di certo raggiunto un punto d’incontro con sé stesso.
Erano passate settimane ed
il proprio stato interiore e psicologico non migliorava affatto, quel
giorno ne aveva avuto la prova. Sebbene prima avesse potuto illudersi
che così non fosse, dopo essersi bloccato sul campo e aver rischiato di
venire ucciso per questo, era obbligato a guardare in faccia la realtà.
Qualcosa che non andava c’era, ed era oltre, molto oltre, il lutto per Jessica.
Le mancava, certo, ma non
era il pensiero della sua ragazza morta che l’assillava, che l’aveva
bloccato con la pistola in mano, che gli aveva impedito di sparare.
Era stato qualcos’altro.
Dell’altro che pur sapendolo non credeva affatto di essere pronto ad affrontare.
Era una cosa troppo grande
per lui da solo. Finchè si trattava di superare la mancanza della sua
fidanzata era una cosa, ma quando si trattava di fare i conti con la
propria coscienza sporca… beh, lì era decisamente diverso.
Scuotendo la testa si
scolò il resto della bottiglia, così come continuò a fare per tutta la
notte per le volte che quell’immagine precisa che l’aveva rovinato, si
affacciava nella mente.
Quel giorno.
Quel dannato giorno l’aveva rovinato.
Ma per sempre?
Quando fu abbastanza
pieno, si mise a girare a vuoto per la città, senza fare caso al luogo
ed alla meta. Non aveva la minima idea di che cosa facesse, la testa
era pesante e gli girava martellandogli atroce, ma lo stato di caos in
cui verteva lo faceva sentire anche assurdamente bene.
Non riusciva assolutamente a ragionare, i ricordi erano finalmente bloccati.
Sarebbe andato volentieri da Danny, se il suo amico fosse stato bene… e magari se non avesse abitato da Mac…
Pensò a lui. Sarebbe
andato anche da lui, se quel giorno non avessero avuto quella specie di
discussione, se tale si poteva chiamare. Oltretutto fra lui e Danny era
cominciata quella cosa che… come diavolo poteva gestirla? Vedere che
magari le cose fra loro andavano a gonfie vele e che si erano veramente
messi insieme non avrebbe potuto reggerlo. Certo, Mac gli aveva
assicurato che l’avrebbero aspettato… che si riprendesse, che tornasse
a capire cosa volesse, che ritrovasse sé stesso… però sapeva quanto
forte poteva essere la voglia di stare insieme se era ciò che entrambi
volevano più di ogni altra.
No, non poteva vedere nessuno dei due.
Solo che le parole di Mac
rimbombavano, gli occhi severi e preoccupati mentre gli diceva che se
non faceva qualcosa per riprendersi sarebbe finito nel tavolo delle
autopsie… non voleva che si preoccupasse per lui, che lo guardasse in
quel modo, come se provasse pietà per quel suo stato. Non voleva la
pietà di nessuno. Non voleva niente se non dimenticare.
E bevendo ci riusciva. Tutto lì.
All’ennesimo scontro con
dei passanti, venne fermato da qualcuno che riconoscendolo cominciò a
parlargli. Don non riuscì a registrare le sue parole e la sua voce gli
arrivava ovattata, non capì nemmeno come mai camminava contro la
propria volontà, ma si lasciò trasportare da qualunque cosa fosse a
muoverlo.
Quando registrò un
appartamento sconosciuto, si chiese dove fosse e mettendo
automaticamente mano alla cintura, non trovò la pistola. Aveva avuto il
buonsenso di lasciarla a casa prima di uscire a prendere qualcosa da
bere da solo… però aveva sempre quella di riserva. Si chinò con sforzo
cercando di velocizzare quanto più riusciva i movimenti, ma fu
lentissimo e goffo. Quando prese la propria pistola nascosta alla
caviglia, gli venne tolta con facilità e grugnendo qualcosa di poco
comprensibile si alzò intenzionato a colpire l’intruso con un pugno.
Naturalmente non riuscì ad alzare nemmeno la mano, finì direttamente
addosso allo stesso che lo prese al volo.
Solo allora, alzando lo sguardo impacciato cercando di guardarlo bene, riuscì a capire chi fosse.
Era Terrence, uno dei suoi
informatori che aveva abilitato proprio il giorno della morte di
Jessica. Al momento della sparatoria era in macchina con lui, l’aveva
sentito parlare al telefono con lei e poi allarmarsi e gridare
preoccupato. La notizia successiva aveva fatto il giro della città ed
aveva fatto due più due in un attimo, capendo che la poliziotta morta
era proprio la ragazza di Don.
- Sei messo male, amico… - Disse Terrence il quale conosceva Don da un bel po’ di tempo.
I due avevano avuto molti
contrasti quando era un piccolo delinquente di quartiere, con fatica
l’aveva convinto ad uscirne e a mettere la testa a posto. L’aveva
aiutato parecchio con la giustizia in cambio di informazioni e
collaborazioni di vario genere, fino a che, al termine di quelle
prestabilite, Don l’aveva riabilitato.
Il loro rapporto era sempre stato particolare… riuscivano anche a divertirsi, le volte in cui si incontravano.
Don biascicò qualcosa
senza senso fissandolo negli occhi grandi e neri da vicino, fino a che
per poco non lo baciò nel crollare definitivamente.
Si accasciò fra le sue
braccia e lì vi rimase, mentre il ragazzo di colore dai lineamenti
affascinanti lo guardava stordito non credendo a ciò che vedeva.
- Puzza come una
distilleria! - Brontolò fra sé e sé coricandolo con fatica sul divano.
Non era mingherlino, però un peso morto addosso non era di certo facile
da gestire.
Sistemato a fatica, gli
tolse le scarpe e rimase col fiatone a guardarlo russare. Era
trascurato e sciupato, doveva averla presa male la morte della sua
ragazza.
Non aveva idea di che cosa fosse in realtà. Nessuno ce l’aveva. Nessuno l’avrebbe mai avuta.
Del resto anche se era un
poliziotto e lui un ex criminale riabilitato che aveva una reputazione
da difendere, Don era pur sempre quello che l’aveva aiutato togliendolo
da guai davvero grossi, fino a fare con lui quel patto per tirarlo
dalla parte della barricata giusta e sicura. Gli doveva probabilmente
la vita, visto che sarebbe anche potuto essere sul fondo di qualche
fogna a marcire con un colpo di pistola in testa…
Si dispiacque di
quell’epilogo così amaro, vederlo vinto e abbattuto a quel modo
rovinava completamente l’immagine che aveva sempre avuto di lui, un
poliziotto diverso dagli altri, un uomo capace di capire le persone,
andare oltre la superficie e distinguere quelli recuperabili da quelli
che non lo erano.
Uno di parola, soprattutto. Che diceva quello che faceva!
Sospirò coprendolo.
Poteva solo tirarlo via dalla strada quando era in stati simili. Di più non poteva, non era il suo ruolo, non gli spettava.
Anche se rischiava a tenersi un poliziotto in casa, non poteva smettere e far finta di niente. Gli doveva troppo.
Lui come tutti.
Dall’altra parte della
città, più o meno in quello stesso momento, c’era un altro uomo che non
l’aveva avuta meglio di Don, che lottava costantemente per la propria
risalita.
Un uomo che non si meritava la propria sorte e che cercava disperatamente di cambiarla.
Danny viveva ancora con
Mac, ma il rapporto con lui aveva subito un brusco arresto, il ragazzo
non l’aveva minimamente capito, ma si era guardato bene dal chiedergli
spiegazioni. Mac era Mac, una persona misteriosa che si faceva tanti di
quei giri mentali da non poter mai e poi mai starci dietro.
La loro serata, tuttavia, non era stata poi tanto tragica.
Mac era adulto ed in grado
di controllarsi. Aveva messo le distanze, ma era rimasto sempre una
persona disponibile, tanto che quella sera aveva accettato di tenersi
in casa la figlia di Danny. Solitamente viveva con Lindsay, ma quella
volta lei aveva avuto problemi ed aveva chiesto al padre della piccola
se poteva tenerla. Più che altro aveva chiesto il favore a Mac poiché
se di notte si fosse svegliata sarebbe dovuto andare lui a prenderla,
certo Danny non avrebbe potuto. Ma era stato un caso d’emergenza, così
erano stati più che contenti di tenerla.
Avevano dunque passato una
serata piacevole alle prese con una bambina di nemmeno un anno talmente
deliziosa da sembrare un sogno.
Ogni volta che Lindsay gli
portava Lucy, Danny si trasformava, era come un sole, sorrideva di
nuovo come un tempo e diventava estremamente dolce. Probabilmente la
cosa migliore che gli sarebbe potuto capitare, nonostante poi non si
fosse sposato con lei. Erano ugualmente rimasti in ottimi rapporti e
spesso era lei a fare gran parte delle cose che a lui gli serviva, se
non erano Mac o Sheldon.
Mac si perse ad osservarlo
con la figlia. La teneva in braccio e la cullava mentre la faceva
addormentare, lieto di poterlo fare per una sera. Lei sembrava sentirsi
perfettamente a suo agio e doveva ammettere che era anche merito di
quel cambiamento ulteriore che il ragazzo aveva avuto in quei giorni.
Non aveva saputo i
dettagli, ma Sheldon doveva avergli dato uno scossone, di conseguenza
l’aveva visto mutare radicalmente nell’arco di un giorno. Stupito, non
poteva che chiedersi cosa gli avesse mai detto per farlo reagire così
positivamente.
L’aveva visto incupirsi di
nuovo, dopo che era riuscito a muovere i piedi di quel millimetro.
Probabilmente aveva sottovalutato la situazione e scontrandosi con la
difficoltà effettiva che gli sopraggiungeva in quel momento, si era
cominciato a convincere che non ce l’avrebbe comunque mai fatta.
Non avevano avuto bisogno
di parlarne, Danny era un libro aperto per lui. Era per questo che non
aveva più reclamato cose imbarazzanti né gli aveva chiesto cosa fosse
successo, cioè perché Mac non volesse approfondire il discorso
iniziato. Non aveva chiesto nulla, come se comunque non gli importasse.
Sapeva che era perché aveva pensieri più importanti, non avrebbe avuto
lui stesso la testa per affrontare una situazione simile fra loro, una
relazione del genere in ogni caso non sarebbe stata facile.
Considerando il ruolo incerto di Don in tutta quella storia, era ovvio
che non volesse approfondire lui stesso.
Si era sentito sollevato di ciò.
- Tieni, mettila nel
lettino, per favore. - Danny gli porse la piccola Lucy e Mac la prese
insieme ad un’ondata di calore molto intensa. Non avrebbe mai
immaginato di poter sentirsi ancora così.
Non aveva mai avuto il
dono di avere figli, ma ogni volta che si imbatteva in un bambino si
sentiva come un padre. In quel momento fu la stessa cosa, solo molto
più forte perché quel fagottino che stringeva fra le braccia era la
figlia di Danny, non uno chiunque.
Si emozionò nel posarla
delicato nel piccolo box che aveva portato Lindsay insieme a Lucy, ma
non avrebbe mai immaginato che quella notte avrebbe anche pianto di
gioia.
Quando sentì i gorgoglii
dalla trasmittente che Lindsay gli aveva dato per sentire se la
bambina, che dormiva in camera con Danny, piangeva, Mac si raddrizzò
nel cuscino. Che versi erano mai quelli? Li conosceva i lamenti di un
bimbo che si svegliava di notte, quelli erano chiacchiericci, nulla di
preoccupante.
Incuriosito per capire
cosa succedesse e se la bambina poi avesse bisogno di qualcosa, si alzò
dirigendosi silenzioso nella camera di Danny.
La porta era aperta e la carrozzina come al solito in parte al letto che a sua volta era vuoto.
Mac da mezzo addormentato
che era ci mise un nano secondo a capire che non era normale, quando
girò lo sguardo verso il box dove avevano allestito il lettino della
piccola, rimase istantaneamente senza fiato. E quello fu poi il meno.
Danny era lì in piedi con Lucy in braccio che sembrava intenzionata a parlare col suo papà piuttosto che a tornare a dormire.
Non si mosse, non disse
niente, rimase immobile ad osservarlo coccolarsi sua figlia con quella
dolcezza che nessuno gli aveva mai visto e mai avrebbero sospettato. Ma
oltre al fiato mancante, gli arrivò un’ondata di calore il doppio più
forte di quella che aveva sentito prima nel prendere dalle sue braccia
la bambina.
Gli occhi cominciarono a
pungergli brucianti come quando l’aveva visto muovere di qualche
millimetro il piede, ma questa volta non si limitò.
Non si accorse delle
lacrime che scesero, non si accorse della propria commozione, non si
accorse di nulla, troppo concentrato su quella che rappresentava una
visione splendida. Semplicemente meravigliosa.
La vittoria di Danny, un
Danny sereno e sicuro vicino al traguardo, un traguardo che avrebbe
tagliato lo stesso giorno in cui l’avrebbe fatto Don. Definitivamente
ed insieme, come qualunque cosa gli capitava. Gioie e dolori in
concomitanza, nemmeno fossero gemelli!
Non avrebbe pianto per
qualcun altro, non avrebbe pianto nemmeno per sé stesso. Non avrebbe
pianto per nessuno se non per lui e così fece, perché era in quel
momento la persona più importante della sua vita e nonostante gli
equivoci e le situazioni strane ed imbarazzanti ed incomprensibili,
Danny rimaneva e sarebbe sempre rimasto uno dei più importanti della
sua vita.
In quello il pensiero gli
volò automaticamente a Don. Avrebbe dovuto essere lì con loro a
guardarlo. Fu questo il pensiero istintivo che ebbe, irragionevole,
insensato ed insolito.
Ma se lo tenne di buon grado, troppo scosso per tornare razionale com’era sempre.
Era appena successo un piccolo miracolo, poteva accontentarsi, per quella giornata.
A Don avrebbe pensato come si doveva ben presto. Ora poteva. Ora Danny stava bene. Non aveva più bisogno di lui.
In quell’istante Mac sentì di poter volare.
I giorni passarono, le
vite ripresero e se per qualcuno fu un repentino miglioramento ed
un’ascesa verso la luce, per qualcun altro fu un repentino
peggioramento verso le tenebre.
Solo coi propri sensi di
colpa, senza che nessuno lo sostenesse e lo esortasse come si doveva a
tornare in carreggiata, Don aveva passato via via sempre più i giorni
uguali ai precedenti in un continuo affondo.
Se ad altri non importava più di tanto che si riprendesse, figurarsi se poteva importare a lui.
Aveva abusato del proprio
potere, aveva passato il limite, non aveva il diritto di fare il suo
lavoro. Aveva prestato giuramento, diventando poliziotto, e quel giorno
per vendetta aveva calpestato quel giuramento.
Non sapeva più come
conviverci con questo grave affronto a sé stesso oltre che al servizio
stesso che offriva e quindi ai cittadini che proteggeva. Era come
prenderli in giro.
Per giustiziare un
criminale non poteva fare come voleva, ma per giustiziare qualcuno che
aveva fatto qualcosa a lui personalmente sì che poteva.
Bella persona, che era.
Ammazzare quel figlio di
puttana quando era disarmato davanti ai suoi piedi non era stato un
grave misfatto di per sé, lo era stato scendere al suo stesso livello.
Al livello di gente che ammazzava per i propri interessi personali e
basta.
Si era sentito così, come uno di loro, uno di quelli che inseguiva e metteva dentro.
Per questo lentamente, mentre il dolore per Jessica si era sbiadito, era uscito un altro, quello più duro da mandare giù.
Il disprezzo verso sé stesso.
I giorni erano passati
uguali e non c’era quasi più una notte che non si svegliasse a casa di
Terrence, si chiedeva perché sempre da lui e all’incirca intatto, se
così si poteva dire.
Non poteva capire che
Terrence era lì a sperare che Don tornasse quello che l’aveva salvato
da una fine atroce e che gli aveva praticamente restituito la luce.
Non poteva sapere del
profondo sentimento che nutriva per lui che non era amore o affetto, ma
una sorta di devozione e gratitudine.
Ma non riusciva ad importargliene più di tanto.
Voleva solo che il
ribrezzo che provava per sé stesso cessasse in qualche modo, e bere era
l’unico modo che conosceva per dimenticarlo e non sentirsi in quel modo
orrendo.
Non fu Danny a capire
quanto grave fosse la situazione con Don. In casi normali sarebbe stato
lui ed anzi avrebbe risolto tutto a modo suo prima che degenerasse in
quel modo, ma occupato a resuscitare ed euforico di tutti i
miglioramenti che finalmente era riuscito a fare nell’arco di giorni,
non era stato in grado di percepire l’effettivo grado di pericolo per
il suo migliore amico.
Fu Mac a riuscirci e
quando successe prese direttamente in mano la situazione mettendo sotto
tutti i mezzi a sua disposizione pur di trovarlo e tirarlo fuori
dall’abisso in cui stava annegando.
Inizialmente giocarono i
suoi sensi di colpa, per questo decise per un approccio più da
scienziato. Avrebbe studiato la situazione e poi visto il da farsi sul
momento.
Quando Danny in
avanscoperta a casa sua gli aveva detto che non c’era e che aveva
lasciato a casa il distintivo e la pistola, la cosa non l’aveva fatto
sentire meglio anche perché gli aveva detto dello stato allucinante del
suo appartamento e che non pagava bollette da mesi. Era davvero peggio
di quel che avesse pensato, si disse.
Dopo che i giri del
ragazzo erano andati a vuoto, era passato a far rintracciare il GPS del
suo cellulare e con sollievo l’aveva trovato. Sollievo presto
sostituito con la consapevolezza del fatto che fosse in una brutta zona
di quartiere.
Praticamente subito l’approccio da scienziato si era fatto sopraffare da quello da poliziotto e la conseguenza era stata una.
Aveva fatto la strada
dalla scientifica fino al quartiere malfamato della città in pochissimo
tempo, ma era bastato per farsi montare dentro da una rabbia senza
precedenti.
Aveva avuto anche dei
sensi di colpa perché l’aveva trascurato, ma di mani gliene avevano
tese tutti, lui stesso, per quanto impegnato con Danny fosse stato,
gliene aveva tese, specie nell’ultimo periodo.
E non poteva crogiolarsi
nel suo dolore perché Danny aveva vissuto una tragedia senza precedenti
e ne era uscito, con fatica, ma ce l’aveva fatta.
Per questo non poteva più giustificarlo e lasciargli i suoi tempi, non più, ormai era passato quel treno.
Danny si era alzato e se
ce l’aveva fatta lui, anche Don poteva, dannazione. Qualunque cosa
avesse che lo ancorasse così sul fondo.
Anche lui aveva vissuto un
maledetto lutto, sua moglie era scomparsa nel crollo delle Torri
Gemelle, non poteva venire a dire a lui che era difficile superarlo. Lo
era, ma era possibile!
Quando arrivò e lo trovò,
il suo livello di insofferenza era tale da renderlo non pericoloso, ma
molto peggio ed infatti fu la fine.
La fine perché qualcosa si era subito spezzato in lui, guardandolo distruggersi in quel modo.
Tutta la sua buona volontà
per aiutarlo civilmente e con le buone, tutta la sua voglia di capirlo,
tutta la sua voglia di dargli tempo. Tutto.
Guardandolo sentì solo una cosa.
Una voglia immensa e praticamente infinita di demolirlo, ma veramente. Probabilmente i modi alla Danny.
Eppure non poteva, non poteva proprio far correre. Era finita, era morto e sepolto per lui.
Se non voleva uscirne sarebbe affondato, non gli interessava più niente.
Perché tutti erano
risaliti dalle proprie tragedie, tutti ne avevano vissute, tutti erano
stati sull’orlo di precipitare ed alcuni erano anche caduti veramente,
ma poi si erano aggrappati a qualcosa ed erano tornati su.
Tutti.
Adesso l’avrebbe fatta finire lui.