CAPITOLO XX:
PERDONO
Mi sto reggendo sulla tua fune
Mi tieni dieci piedi sopra la terra
E sto sentendo cosa dici ma non riesco ad emettere un suono
Mi dici che hai bisogno di me
Poi vai e mi smonti, ma aspetta
Mi dici che sei dispiaciuto
Ed ho bisogno di te come un cuore ha bisogno di battere
Ma non è niente di nuovo – si
Ti amavo con un rosso fuoco –
Ora sta diventando blu, e tu dici…
“Mi dispiace” come un angelo del paradiso lasciami pensare che fossi tu
Ma sono spaventato…
/Apologize - One Republic/
Dopo la dura sfuriata il silenzio e la solitudine.
Così come era venuto se ne era andato.
Su tutti Mac era quello che meno avrebbe pensato lo venisse a cercare.
Rimase lì seduto ancora un po’ prima
di rendersi conto che non era casa sua e che doveva andarsene anche lui
prima di mettere Terrence nei guai ancor più di quanto non l’avesse già
fatto.
Si alzò assente e senza dire nulla se ne andò dal retro come l’aveva pregato di fare prima di lasciarlo solo con Mac.
Non fece caso a dove era e quel che
faceva, ripensò insistentemente alle sue parole, alla sua reazione. Non
si era aspettato davvero che sarebbe venuto ed invece non solo l’aveva
fatto, ma era anche diventato matto per trovarlo… aveva messo sotto
Stella e Danny e l’idea che gli aveva dato per un attimo era proprio
che si fosse dato davvero pena per lui.
Mac… lo confondeva questo suo
comportamento… dopo che si erano lasciati avevano recuperato un normale
rapporto di amicizia, ma erano più colleghi che altro, anche se a volte
sembrava di nuovo qualcosa di più.
Entrambi nel frattempo avevano avuto
altre storie e la sua con Jess l’aveva distrutto perché era morta in
quel modo proprio mentre stava per diventare una cosa seria, ma
soprattutto perché per vendicarla aveva agito in modo sporco, superando
ogni limite.
Ogni notte continuavano a venirgli
alla mente le immagini di quella volta. Lui ed il suo assassino da
soli. L’altro a terra che alzava le mani disarmato, Don che lo guardava
pieno di rabbia ed accecato dall’ira e dal dolore sparava lo stesso.
Nessuno l’aveva mai saputo, nessuno l’aveva mai rimproverato, nessuno aveva mai chiesto niente.
Sembrava fosse andato tutto a posto,
che tutto si fosse chiuso… sembrava anche a Don. Poteva ricominciare.
Farsi una ragione della morte di Jess e riprendere la sua vita ed
invece lentamente tutto era andato sempre peggio. Era sprofondato.
Solo.
Senza nessuno.
Non era più per Jessica, non era per
il suo lutto che era andato così sul fondo, c’era questo pensiero che
non lo lasciava. Si era fatto giustizia da solo su un bastardo
disarmato che si era arreso, gli aveva sparato lo stesso, aveva agito
come lui. Era diventato uno di loro.
Aveva cominciato a bere, ad andare a
prostitute, a trascurarsi, ad arrivare tardi e saltare giornate intere
di lavoro senza avvisare. Non si era mai chiesto come mai non venisse
mai licenziato, ora però l’aveva capito. Anche se in realtà l’aveva
sempre saputo che era il modo di Mac di aiutarlo. Non aveva potuto
stargli fisicamente vicino, era troppo preso da Danny e dal suo caso,
non aveva avuto spazio per lui, però l’aveva coperto tutte le volte che
era servito. Questo era stato il suo aiuto.
Solo che ora che Danny stava bene,
aveva più tempo, aveva spazio per lui e si era deciso a fare qualcosa
di pratico. Quello era il suo modo, semplicemente.
La sua durezza ed il suo rigore gli
avevano fatto aprire gli occhi, perché così non l‘aveva mai guardato né
trattato, non dopo tutto quello che era successo.
Aveva davvero toccato il fondo e passato il limite.
Solo ora se ne rendeva conto.
Se l’avesse consolato e confortato non l’avrebbe capito.
Giunto in casa si guardò intorno. Era
davvero un letamaio, per non parlare delle bollette che non pagava da
mesi. La situazione era alla deriva, probabilmente non l’avevano
cacciato di casa solo perché aveva il distintivo ed una reputazione
buona.
Sospirò chiedendosi cosa dovesse fare arrivato a quel punto.
Ricominciare da capo?
E come?
Si poteva dopo tutto quel che aveva fatto?
Con quelle mille domande nella mente e
il dolore per lo sguardo deluso e furioso di Mac, prese il cellulare e
come ai vecchi tempi prima che tutto quel casino scoppiasse, scrisse a
Danny.
‘Ho bisogno di te. Sono a casa. Puoi venire?’
Lo gettò nel divano, o quel che un
tempo forse lo era, e l’occhio gli cadde sulla sua immagine allo
specchio, era davvero uno schifo… barba lunga, vestiti sporchi e
sdruciti, i segni del pestaggio sulla metro di quella mattina… poteva
cominciare con una bella doccia, si disse.
“Credo sia il minimo.”
Si spogliò facendo attenzione ai
movimenti per i dolori all’addome pieno di lividi, quei teppisti ci
erano andati giù pesanti, ma come aveva detto Terrence quando l’aveva
salvato, se l’era cercata. Non gli interessava reagire anche se era
ubriaco.
Sotto la doccia con l’acqua che
scivolava sul suo corpo, i pensieri sembravano radunarsi più di prima.
Era come se l’onestà si fosse attaccata addosso. Si vide per quello che
era ed ogni suo gesto fatto fino ad ora era solo motivo di vergogna.
Pensava di farcela da solo, ma non era così.
No davvero.
Si sbagliava di grosso.
Quando uscì, la porta di casa si aprì
facendo entrare un Danny agitato. Aveva ancora la copia delle chiavi di
casa sua. Immaginava che anche prima fosse entrato per vedere se c’era,
probabilmente aveva cercato nell’armadietto dove sapeva che teneva la
pistola e il distintivo con la paura che se la fosse portata
stupidamente dietro. No, non aveva quella di servizio, ma quella
personale!
- Ehi… - Lo salutò facendolo girare di
scatto, doveva averlo spaventato per bene con quel messaggio dopo che
non si era fatto vivo per tutto il giorno.
- Che succede? - Gli chiese subito
venendogli davanti, poi notò i lividi sull’addome e ancor più
preoccupato e irruente insistette: - Chi ti ha fatto questo? -
- Non ha importanza… - Non sorrise per
sdrammatizzare e nemmeno tirò fuori una delle sue battute. Era serio e
poco intenzionato a vestirsi; rimase con l’asciugamano alla vita e
tutto bagnato.
Solo in un secondo momento notò che
non aveva stampelle o bastone… Dio, anche lui aveva passato l’inferno,
forse peggio del proprio, e l’aveva superato da solo. Mentre Don si era
infangato per dei sensi di colpa ed un lutto che in fondo aveva già
superato da tempo.
Lui c’era, lui c’era sempre stato… in
ogni momento difficile della sua vita, anche in quelli felici quando
avevano fatto insieme cose stupide. Quando gli avevano detto che Jess
era morta era venuto lui a prenderlo, gli era stato vicino, non l’aveva
mai lasciato e finché Don stava bene aveva fatto altrettanto con lui.
Quando era morto il piccolo Ruben e lui si era sentito in colpa, quando
si era lasciato con Lindsay, quando poi per consolarlo ed aiutarlo nel
suo momento di crisi peggiore erano addirittura finiti a letto insieme
un paio di volte…
Poi si era ripreso, era diventato padre… ma quella dannata sparatoria…
- Cammini bene ora… - Sembrò riprendere una respirazione normale, Danny lo guardò con un cenno divertito e rispose:
- Te ne sei accorto, alla buon ora… - Non se l’era presa davvero però non fece sentire meglio Don.
- Mi dispiace, io… scusami… - La voce gli morì in gola ed altre parole più articolate non gli uscirono.
Danny lo guardò accigliato:
- E di che? -
- Di non esserti stato vicino quando
tu avevi bisogno… quando ti avevano sparato e sei rimasto sulla sedia a
rotelle tutto quel tempo… - Il silenzio cadde fra loro mentre si
osservavano pensierosi, sembrava che si studiassero leggendosi dentro.
Ci erano sempre riusciti.
Il loro legame andava al di là di
quello che poteva essere fra due che stavano insieme eppure non
potevano nemmeno definirla una semplice amicizia. Due amici non
andavano a letto per consolarsi senza poi fare come niente fosse…
Non era normale, lo sapevano entrambi,
così come forse era ora di considerare l’ipotesi che magari il fatto di
riuscire ad andare tanto facilmente a letto insieme -troppo- dovesse
comunque significare qualcosa, al punto da rivedere la loro teoria del
‘non siamo innamorati’.
Non aveva nome ciò che erano, quello era tutto ciò che sapevano.
Don e Mac si erano lasciati, Jess era
morta… ma ciò che erano Don e Danny non sarebbe mai cessato in nessun
caso, davanti ad alcuna dimostrazione di alcun genere.
Uno dei due aveva bisogno e l’altro correva, uno dei due era nei guai e ci pensava l’altro a tirarlo fuori…
Però Danny era rimasto sulla sedia a rotelle e Don non c’era stato...
Aveva bisogno di lui e gli aveva voltato le spalle. C’era Mac con Danny, Lindsay… ma non lui…
Fra il prendere il responsabile della
sparatoria e l’aiutarlo, Mac non aveva avuto tempo per lui, però non
gli aveva chiesto niente.
Si rendeva obiettivamente -e
finalmente- conto di tutte quelle cose solo ora, era come se vedesse di
nuovo dopo molto tempo di cecità e quel che vedeva era shockante.
- Non devi pensarci nemmeno, Donny. So
bene che eri messo male anche tu. Non me la sono mai presa. Non devi
scusarti. - Lo chiamava così solo in privato, gli piaceva e lo rilassò
un po’. Poi aggiunse con la stessa vena di preoccupazione di quando era
entrato: - Che succede? -
Quella domanda aveva più di un senso.
Don si sedette sospirando sconsolato,
si prese il viso fra le mani e a quello l’altro lo raggiunse. La sua
presenza era forza, eppure voleva avere anche Mac lì con lui insieme al
suo migliore amico.
Voleva tornare indietro a quando stavano insieme. Tutto era diverso… anche i casini di ogni giorno erano sopportabili.
Danny era prezioso, ma Mac… capì solo
a quel punto, dopo il litigio con lui, di non averla mai superata
davvero, la loro separazione. Forse Jess ci sarebbe riuscita
nell’impresa e forse era per quello che aveva sofferto tanto e che era
furibondo fino a quel punto.
- Non so cosa devo fare. Ho passato il limite, Danny… -
- Te ne sei accorto, si? - La sua
sincerità era balsamo, come la mano che si posava sulla sua schiena
nuda e ricurva, carezzandogliela confortevole.
- Sono sprofondato nella merda e non
so come tornare a galla. Non voglio più deludere nessuno. Non voglio
più che Mac mi guardi con quello sguardo… - Mentre ne parlava il nodo
saliva di nuovo. - E la parte più assurda è che fra tutto quello
che ho fatto, ciò che mi fa più male è aver perso la fiducia di Mac! -
La voce si spezzò e prima di trovarsi
a piagnucolare, si zittì, ma a lui non servì che continuasse, non servì
che dicesse altro. Lo circondò del tutto col braccio e l’attirò a sé,
fu così che nascondendo il viso contro il suo collo si abbandonò a
quell’abbraccio che l’aveva sempre aiutato.
C’erano legami che non si potevano
spiegare a parole, ma solo vivere ed ogni volta che stava con Danny in
quel modo se ne rendeva conto.
Che era essenziale tanto quanto Mac, ma entrambi in modo diverso seppure sullo stesso piano.
Si fermò.
Che differenza c’era? Il carattere?
Quel che faceva con uno e con l’altro? Che il tipo di rapporto che
aveva con uno era diverso da quello che aveva con l’altro, ma su una
base identica e su un livello altrettanto uguale?
Si confuse e decise di tornare sul problema principale.
Mac e la sua delusione. Non poteva
permettere che finisse così fra loro. Non poteva proprio. Sarebbe morto
davvero, in quel caso, e probabilmente Danny gli sarebbe andato dietro.
E Mac?
Perché probabilmente in tutto quello,
la tragedia peggiore non era la morte di Jess o la sua vendetta… ma che
dopo tutto aveva sempre amato Mac e non aveva mai smesso.
E doveva, doveva proprio, lasciare da
parte il vero ed effettivo sentimento per Danny. In quel momento doveva
o sarebbe impazzito. Poteva affrontarne solo una per volta.
Però ormai aveva perso Mac?
Fu a questo pensiero che si rese conto
di stare piangendo. Le braccia protettive e forti di Danny, familiari,
lo strinsero accogliendo le sue lacrime, sfogarsi e lasciarsi andare.
Lui già sapeva che avrebbe pianto, che sarebbe finita così…
- Comincia con l’andare da lui e
scusarti, ammetti le tue colpe da adulto e poi passa ai fatti. -
Rispose alle sue domande verbali, poi giunse a quelle vere che Don si
era tenuto dentro, ma che lui conosceva perfettamente. Le vere domande:
- Donny, non hai perso Mac. Fidati. Io vi conosco bene entrambi. Non è
finita con lui. Però tu volta pagina e ricomincia. -
La forza e la dolcezza con cui disse
quelle cose lo sorprese, ma lentamente si sentì meno pesante ed il nodo
se ne andò permettendogli di respirare di nuovo.
Solo ora si rese conto che era la prima volta che piangeva dopo tutto quel che era successo.
Che Don potesse davvero ricominciare da capo, ora?
Con che faccia si ripresentò davanti a Mac?
Si guardavano seri nel suo ufficio
mentre Don pensava di star per scoppiare. Dentro qualcosa gridava per
uscire, ma non era uno sfogo. Ora stava meglio. Ora aveva il coraggio
di affrontare i suoi sbagli e porvi rimedio.
Voleva che fra lui e Mac non ci fosse il Polo Nord… o forse era solo una sua impressione?
C’era tensione inizialmente, quindi si fece forza e lo disse:
- In realtà volevo chiederti scusa. -
Lo disse come se lo sparasse, non era fatto per friggersi nella
tensione e nell’ansia. Ciò che doveva fare la faceva, quando decideva,
punto e basta.
Mac continuò a guardare l’altro accigliato, così proseguì un po’ a disagio, ma comunque con forza, facendosi coraggio:
- In questi ultimi mesi sono stato… -
Come poteva definirsi senza usare un eufemismo? - Parecchio incasinato.
- Si, forse questo rendeva un po’… - E tu mi hai dimostrato davvero
molta pazienza e comprensione. - L’aveva coperto ed era venuto a
saperlo solo ora. Poteva trovarsi davvero in strada, se Mac in realtà
non ci avesse tenuto veramente a lui nonostante le apparenze. Peccato
che solo dopo ci si rendeva conto di ciò che facevano gli altri per te…
e di cosa significavano. Sperò per l’ennesima volta che non fosse
troppo tardi e rialzò lo sguardo con coraggio, Mac lo scrutava
penetrante con quel suo tipico modo che spesso metteva a disagio tutti.
- E non eri obbligato a farlo. - Visto il loro passato. Visto che
stavano insieme, ma si erano lasciati. Non avrebbe avuto senso tanta
premura da parte sua. - Quindi grazie. Mi dispiace. - Dopo essersi
scusato con Danny e aver chiarito ciò che nemmeno pensava gli stesse a
cuore, farlo anche con lui lo fece sentire doppiamente meglio e avrebbe
giurato non potesse riuscirci.
Dopo di che capendo che toccava a Mac, questi sospirò, guardò in basso poi di nuovo Don e con la sua voce bassa e roca parlò:
- Ognuno elabora il lutto in modo
diverso, Don. - Non era solo questo e lo sapeva bene… - So che buona
parte del tuo comportamento ha a che fare con la morte di Angell. - Non
poi così tanto come credevano tutti… - C’è stato anche qualcos’altro. -
Girò intorno alla scrivania e si avvicinò, non abbassò lo sguardo.
Erano lì. - Non voglio che me ne parli. - Mise le mani avanti. Perché
non voleva che gliene parlasse? Perché non era più il suo uomo? Un
tempo avrebbe voluto saperlo. - Ho solo bisogno di sapere che l’hai
affrontato e che ora è passato. - Il problema di coscienza per la
vendetta poco ortodossa che si era preso? Oh, certo… l’aveva superato
anche quello, prima di quel che pensasse. Il vero problema che non
pensava esistesse veniva proprio da Mac, ora. Don ero sicuro di essere
solo e che a nessuno, Mac per primo, non gli importasse nulla di lui,
invece capiva che semplicemente Danny aveva più bisogno di lui di
aiuto. E poi… non voleva che non si fidasse più. Non voleva deluderlo
più. Non voleva che gli voltasse più le spalle. Voleva che tutto
tornasse come prima. Quando stavano insieme.
Non era facile esprimere tutto quello e non credeva nemmeno fosse il caso di farlo, pensava di non doverlo fare mai.
- Ho superato il limite. E dovrò
conviverci. - Rispose con forza marcando senza timore sulle semplici
verità che esprimeva. Mac era sempre impenetrabile, ma gli piaceva
pensare che invece lui lo colpisse. - Ma non succederà mai più. -
Poteva bastare, gli sembrava piuttosto soddisfatto, dietro quella
maschera che erano i suoi occhi azzurri.
Però Danny ogni tanto lo contagiava ed ecco che parlò senza volerlo:
- La cosa più importante per me adesso
è riguadagnarmi la tua fiducia. - Appena lo disse se ne pentì, non era
una cosa da lui, non era proprio il momento di dirla… non doveva
saperlo, non serviva… però ormai l’aveva detto e lo scrutò cercando di
capire anche in un solo insignificante respiro cosa pensasse. Non ci
riuscì.
Infine Mac allungò una mano e nel
silenzio più completo Don la prese stringendola come per fare una
tregua. Una scarica elettrica li attraversò entrambi immediatamente,
come se quello riaccendesse ogni cosa, mettendo da parte le brutte
parentesi che finalmente potevano chiudersi dopo una fatica
incredibilmente estenuante.
Continuarono a guardarsi ed il sorriso
che lieve aleggiò sulle labbra sottili del più grande fu una piccola
fiammella di speranza.
Forse qualcosa sarebbe riuscito a
recuperarla, ma davvero non aveva idea di cosa avrebbero potuto essere
da lì in poi. Cioè lui, Mac e Danny.
Una pallottola sparata nel momento in cui tutti i pensieri più incombenti vennero sistemati.
C’era da pensarci, a quel punto,
perché non rimaneva altro di più importante a cui pensare e quello era
davvero ormai troppo evidente per non tenerlo in considerazione.
Cosa stava succedendo fra loro tre?
Non lo sapeva proprio.
Però quello che comunque contava sopra
ogni cosa era che l’aveva accettato e non gli avrebbe più voltato le
spalle. Non si sarebbe più sentito solo. Poteva tornare alla vita. Mac
e Danny erano ancora lì con lui.
Chiudere quel caso che portavano
duramente avanti da un sacco di tempo e chiuderlo insieme, proprio il
giorno in cui erano tutti tornati attivi, sia Danny che Don, era stato
per Mac come un regalo, il più bello che avessero potuto fargli.
Aveva una buona fede, una fede giusta.
Sapeva attribuire sia le colpe che i meriti a chi li aveva e sapeva
ringraziare Dio per le cose giuste.
Quando si ritrovò con tutta la sua
squadra seduti a mangiare in quel ristorante italiano e l’allegria di
tutti l’aveva contagiato, si era sentito al Settimo Cielo e per un
momento fugace, dopo aver visto sia Danny che Don ridere e scherzare
come se nulla fosse successo, come se si fosse tornati indietro di
mesi, non poté non alzare gli occhi in alto.
Non fece altro, solo quello.
Aveva ormai la consapevolezza assoluta
che tutto ciò che contava era tornato da lui e che le persone che aveva
nel cuore sopra le altre erano di nuovo felici o comunque sulla buona
strada, non aveva niente da temere, tutto sarebbe andato sempre meglio,
era ora, era giusto, avevano vinto tutte le rispettive guerre, ora si
saliva insieme e l’idea che fossero tutti e tre riuniti lo rendeva più
sicuro ed energico, come se nulla avrebbe potuto più farli cadere.
Perché era consapevole che erano
affondati nel momento in cui si erano separati, poiché tutti e tre
presi dai rispettivi problemi.
La loro forza era sempre stata nell’unione, non poteva assolutamente essere diversamente.
Con una gioia interiore che non
provava da molto, li guardò di nuovo unendosi a tutti nei discorsi e
nelle risa, così completamente rilassato non lo era da troppo tempo.
Quando il pranzo finì e a turno sparirono tutti, si ritrovarono come sempre lui, Don e Danny a bere l’ultima.
Mac insistette per offrirla, ma alla
fine vinse Don perché voleva ringraziarli ulteriormente per l’aiuto che
alla fine avevano saputo porgli, un aiuto prezioso da parte di entrambi.
Seduti al bar del ristorante, quindi,
i tre continuarono a ridere e scherzare insieme come ai vecchi tempi,
con un Don ed un Danny particolarmente esuberanti che andavano a spese
di Mac, di suo sempre quello che si esponeva di meno.
Era tutto stato spazzato via, tutto un
vecchio orrendo ricordo, e al momento di bere l’ultimo goccio fu
l’introspettività di Mac ad avere la meglio, come succedeva sempre
sistematicamente.
Non era una regola, ma alla fine
accadeva sempre. Per quanto gli altri due facessero il solito piacevole
casino portando tutti al piangere dal ridere, alla fine era Mac in un
modo o nell’altro a concludere e quello che provava di solito era
talmente solenne e forte che sapeva trasmetterlo comunque sempre agli
altri con una facilità disarmante.
Alla fine presero in mano i bicchieri
e si zittirono senza che il tenente dovesse attirare l’attenzione,
quindi quando ci fu quel silenzio doveroso, Mac capì che era il suo
turno.
Non aveva chiaro preciso in mente cosa
dovesse dire, non sapeva bene, doveva ammetterlo, però sentiva qualcosa
di talmente grande che comunque doveva esprimerlo, non si preoccupò di
cosa sarebbe uscito dalle sue labbra.
- Non so dire cosa significhi per me
essere insieme a voi in questo modo, le cose fra noi sono strane e
nell’arco di queste settimane si sono evolute e complicate molto, i
rapporti si sono stretti con entrambi in un modo assoluto ed ora siamo
quasi dipendenti l’uno dall’altro. Dipendenti in quanto oggi siamo così
felici solo perché siamo insieme e tutti e tre stiamo bene. Quindi non
so dire cosa significa, so solo che non hanno importanza i dettagli
sebbene io di solito viva di essi. So che voglio scavare a fondo e fare
chiarezza su di noi, ma so anche che troverò qualcosa di bello e giusto
perché dal modo in cui ci sentiamo quando stiamo insieme così, non può
che esserci qualcosa di buono. Ragazzi, facciamo che le cose non si
rovinino più per nessuna ragione al mondo. Perché abbiamo visto che se
uno affonda, affondiamo tutti. Stiamo solo uniti. Tutto qua. - Si sentì
strano in un discorso del genere, decisamente sentimentale e sullo
stile di Stella, ma del resto a stare tanto con lei si erano fatti
contagiare come modi di parlare e l’avevano appurato più di una volta.
Si chiese solo se anche per loro due fosse così e quando vide gli occhi
di entrambi brillare in un azzurro quasi identico, si emozionò
ulteriormente perché aveva capito che erano le stesse identiche cose
che provavano anche loro.
Probabilmente l’avrebbero espresse
diversamente, in modo più diretto, però essere insieme perfino in
quello fece pensare non poco a Mac.
Qualunque cosa li legasse, era ora di
darci un nome e di scoprirla una volta per tutte. Di guardarla in
faccia e basta. Perché si faceva così.
Avevano risolto dei problemi tanto oscuri e difficili che non potevano lasciare da parte una cosa simile.
Erano solo sentimenti, si dissero mentre tintinnavano i bicchieri e scolavano l’ultimo goccio di birra.
Erano solo sentimenti.