CAPITOLO XXXIII:
INFERNO DI FUOCO

- Lux Aeterna – Clint Mansell -

Fu la corsa più furiosa mai fatta.
Don e Mac non riuscivano a ricordarne una più folle di quella, come se il diavolo in persona li stesse inseguendo.
O, per meglio dire, come se loro lo stessero inseguendo.
Un diavolo che gli stava portando via la persona a loro più cara.
Le sirene stridevano sui tetti delle auto che sfilavano a piena velocità, sfrecciavano per la strada lunga e deserta in una notte stellata.
Non c'erano parole da dire, non c'erano sguardi da cercare, non c'erano cose da fare se non guidare il più veloce possibili e sbrigarsi.
Quel silenzio fu il più rumoroso di tutti, Don e Mac non l'avrebbero mai dimenticato. Non quello, non la paura di non fare in tempo.
Nella mente solo un viso, il suo.
Non esisteva un'opzione dove non avrebbero fatto in tempo.
Non c'era.
Appena arrivarono nel posto indicato dal GPS, tutte le macchine della polizia si spiegarono nel piazzale del parcheggio insieme alle moto e alle macchine, nel giro di pochi istanti scesero e Don e Mac si scambiarono solo un veloce sguardo eloquente. Significativo.
Dopo di che Don si fece avanti ed alzando il braccio lo fece scattare verso il locale in legno, in stile film anni settanta, dando il via all'inferno.
Un inferno che si colorò quasi immediatamente con colori caldi ed accesi.
Rosso, arancio, giallo.
Lingue di fuoco presero vita dal nulla divampando in pochissimi istanti, proprio davanti ai loro occhi, un secondo prima di far loro mettere piede dentro.
L'edificio prese fuoco tutt'intorno, esternamente. Ma non c'era un posto libero dalle fiamme, partite proprio dall'ingresso principale e divampate come se un potente accelerante abbondasse in tutto il perimetro e non aspettasse altro di essere acceso.
Don e Mac si fermarono istintivamente a pochi metri dall'incendio che circondava il posto, insieme a tutti gli agenti accorsi.
- Quel bastardo! - Si guardarono ancora e Mac fu il primo a reagire con razionalità. Con la radio attaccata alla spalla, schiacciò il pulsante e chiamò ulteriori soccorsi riferendo del fuoco, mentre  paramedici erano già con loro in prevenzione, sempre su ordine di Mac.
Ne chiamò altri, le fiamme non avrebbero risparmiato nessuno.
Stava ancora dando gli ordini via radio, che Don si girò verso l'edificio, l'ingresso un muro di fuoco impossibile da trapassare senza attrezzature. Poi si girò verso Mac che parlava alla radio. Lo guardò. Prese un respiro.
Incatenò gli occhi azzurri ai suoi.
Annuì e fece un cenno.
Poi si girò ed entrò.
Non sapeva se ne sarebbe uscito. Ma sapeva che sarebbe entrato.
Mac vide tutto al rallentatore e sentì la propria stessa voce continuare a parlare da sola, senza che lui stesso si ascoltasse.
Vide il viso di Don illuminato dalle fiamme, una luce affascinante se non fosse stato per le circostanze.
Lo vide sorridere, vide il suo cenno e poi voltarsi e correre verso il fuoco.
Gli venne in mente una frase famosa, mentre il suo mondo si fermava definitivamente vedendolo inghiottito da quelle lingue arancioni.
“L'eroe non si ferma a pensare a cosa è più saggio fare, l'eroe corre incontro al fuoco senza pensarci.”
Pochi secondi dopo, lui e tutti quelli che riuscirono ad entrare prima che l'ingresso fosse totalmente inagibile, lo fecero.
Coi visi coperti con colletti, maniche e fazzoletti, gli agenti più coraggiosi si fecero strada costatando che il liquido infiammabile era stato versato fuori e che il fuoco partiva da lì, pertanto l'incendio era peggio esternamente che internamente.
- È una prigione di fuoco... - Mormorò Mac realizzando che probabilmente il fuoco era stato il piano di riserva di Shane, per assicurarsi di portare a termine la sua follia.
“O per distrarci mentre lui scappa.”
Stava da capire se doveva completare il lavoro con Danny o se era già finito.
Non osò pensarlo, ma lo sapeva che era quello il fulcro della questione.
Appena dentro, di Don non trovò traccia, ma era ancora possibile muoversi mentre sapevano che più passavano tempo lì, meno potevano uscirne indenni e facilmente.
Iniziarono tutti a chiamare a gran voce e a bussare nelle porte, alcune erano già aperte e persone uscivano di corsa, spaventati, urlando.
- La porta sul retro! - Ordinò Mac mettendosi in un punto strategico mentre la gente correva quanto più poteva, accompagnati dai poliziotti che facevano strada.
- C'è fuoco ovunque! - Sentì in risposta. Mac si guardò intorno cercando una soluzione che con suo sollievo momentaneo trovò nell'unico estintore obbligatorio per legge posto vicino al bancone del locale.
Mac lo prese, l'aprì togliendo la sicura e lo consegnò al primo agente posto davanti alla porta che scortava della gente, in attesa di un varco sicuro per uscire.
- Usa questo per aprire le fiamme nell’uscita! - Vedendo che funzionava almeno per permettere alla gente di uscire indenne, tornò a voltarsi verso il corridoio delle camere, dietro il locale vero e proprio.
La gente aveva ormai finito di uscire, non c'erano molti a dormire, probabilmente il barista era stato il primo a recarsi all'uscita appena aveva sentito il fuoco.
Mentre tutti se ne andavano repentinamente, Mac si addentrò nel piano di legno ormai incandescente.
Ormai le camere e le pareti esterne stavano bruciando sempre più, ben presto il tetto sarebbe crollato loro in testa.
- SE NON C'È NESSUNO, USCITE! - Ordinò verso gli agenti che tornavano a vedere se c'era qualcuno.
- SIGNORE, MA CHE FA?! - Gli chiese uno mentre se ne stava andando, dopo aver evacuato tutto.
Mac in risposta gridò solo il nome di Danny e continuò a correre dalla parte opposta dell'uscita.
Non ci sarebbe stato nulla in grado di farlo andare via da lì senza Danny e Don.
Non ci mise molto, dopo la corsa fra le camere. Tutte le porte erano aperte e vuote, le fiamme ormai dentro.
Solo una non era vuota e si fermò sgranando gli occhi alla scena che gli si presentò davanti.
Una scena che lo lasciò paralizzato per due leggendari secondi.
Mac Taylor che non riesce a reagire ad una situazione di pericolo?
Se quello era un'incubo, era il momento di svegliarsi.
Ma non si svegliò.

Una volta dentro, Don corse immediatamente verso il retro della zona del pub, alla ricerca delle camere. Alla ricerca di Danny che si mise subito a chiamare a gran voce mentre passando porta per porta, batteva con un calcio aprendole sbrigativo e gridando a chiunque fosse dentro di uscire.
Quando gli agenti entrarono dopo di lui, si trovarono già tutti svegli pronti a scappare, non dovettero far altro che accompagnarli ad un'uscita bloccata dal fuoco, aperto poi da un estintore che fu la fortuna di molti.
Don proseguì come un treno con la mente  rivolta solo a Danny, al suo viso.
Doveva trovarlo, doveva trovarlo e basta.
Gli bastava trovarlo, si disse.
Ma quando lo trovò, in una di quelle camere, il mondo si fermò.
Il fuoco era più intenso che in altre, probabilmente Shane, uscito dalla finestra, aveva dato il via all'inferno proprio da lì ed ora chissà dove era.
Ma non fu quello a paralizzarlo e a togliergli il respiro.
Non fu quello a fermargli il cuore.
Danny c'era, era steso nel letto, legato mani e piedi, la gamba ferita e tutta sanguinante, un lago sul letto e sotto.
Mosse lento i passi, come in un sogno, con l'addestramento da poliziotto che veniva dimenticato.
Velocità, tempismo.
Nulla... arrivare da lui fu la cosa più faticosa.
Danny aveva gli occhi chiusi e non aveva la minima idea se respirasse o meno, ma la consapevolezza che Shane gli avesse probabilmente tagliato l’arteria femorale per farlo dissanguare, gli diede la perfetta consapevolezza di quanto impossibile fosse rivedere il suo sorriso.
Impossibile, si disse, impossibile.
Panico.
Paura.
Quella paura strisciante simile a quelle lingue di fuoco, simile al fumo che si espande e che penetra nei polmoni soffocandoti.
Quella paura.
Raggiunse il letto, le scarpe calpestarono il suo sangue e Don alzò tremante le dita mentre rinfoderava la pistola.
Le dita tremarono fino a che non si posarono sul suo collo, il viso pallido nonostante il fuoco alle  pareti esterne ormai passate all'interno. Tutto bruciava sempre più, tutto sarebbe finito presto carbonizzato, come loro.
Ma lui lento in quel toccargli il collo.
Il battito debole, ma presente.
Appena sentì il cuore sotto i polpastrelli dell'indice e del medio, Don tornò a respirare, a ragionare e a muoversi veloce e reattivo. Tornò presente, tornò efficace.
Fece la sola cosa possibile e utile in quell'istante, la prima essenziale.
Salì sul letto con le ginocchia e premette entrambe le mani sul taglio alla coscia.
Non aveva idea se Shane avesse reciso l'arteria o se l'avesse sfiorata. Ma se Danny era ancora vivo, non doveva aver fatto un lavoro preciso.
“Non voleva che morisse dissanguato, voleva indebolirlo ma ucciderlo in un altro modo...” Pensò Don pratico, guardandolo in viso mentre le sue mani chiudevano la ferita usando il lenzuolo. Non poteva alzare le mani, non sapeva che danni di preciso aveva fatto Shane, Danny era vivo per miracolo e forse per poco, aveva perso moltissimo sangue, non ce l'avrebbe fatta se avesse tolto le mani da lì.
- DANNY, DANNY SVEGLIATI! DANNY! - Iniziò a chiamarlo a gran voce, vedendo che poi era comunque legato e che anche se si svegliava cambiava poco.
Da solo non ce l'avrebbe fatta ed il fuoco ormai si avvicinava, tossiva per il fumo e si sentiva morire dal caldo. Un caldo insopportabile.
Sentiva il sudore colargli lungo la schiena e sulla fronte.
Il viso di Danny privo di reazioni e la consapevolezza che da solo non ce l'avrebbe fatta. Da solo comunque non poteva salvarlo.
Proprio mentre stava perdendo lui stesso le speranze, arrivò Mac che si fermò alla scena raccapricciante di lui chino su Danny, con le mani piene del suo sangue. Sangue che riempiva il letto su cui era legato.
Danny non era sveglio e non si muoveva.
Per un momento, e lo pensò davvero, credette fosse morto.
Tutto quel sangue non poteva essere uscito senza conseguenze.
Poi però la mente si riattivò nel vedere il viso bisognoso di Don e capì che se premeva sulla ferita principale, era ancora vivo.
- Ok. - Disse Mac mentre il fuoco continuava ad entrare.
Si avvicinò di corsa e senza rallentare un istante, con una freddezza e praticità impressionanti, tolse la benda dalla bocca insieme allo straccio premuto dentro, tagliò i laccetti e togliendosi la cintura la legò stretta sulla coscia di Danny, poco sotto l'inguine, cercando di limitare per quanto possibile l'uscita di sangue.
Dopo di che legò il lenzuolo che Don gli stava premendo addosso, lo mise tutt'intorno alla gamba stessa, perchè togliere il tampone una volta premuto era peggio.
Senza dire nulla, col fuoco che si alzava sempre più sulle pareti raggiungendo il soffitto, lo prese per le braccia che si passò intorno alle spalle, Don l'aiutò ad issarselo su completamente e quando l'ebbe alzato con il busto da un lato e le gambe dall'altro, si diresse alla finestra aperta, ormai l'unica via d'uscita, per quanto folle potesse sembrare visto che ormai era quella che bruciava di più.
La via più veloce.
- Esci! - Ordinò Mac a Don, tenendo Danny sulle spalle.
Don non sindacò capendo cosa voleva fare. Saltò fuori il più veloce possibile ed essendo al piano terra non ebbero difficoltà nell'operazione.
Una volta fuori Mac gli porse Danny, sempre privo di sensi.
Chino verso fuori, col fuoco che iniziava a bruciarli, spinse Danny sulla spalla di Don il quale lo prese come meglio poté allontanandosi in fretta. Appena fu abbastanza lontano si fece aiutare da altri agenti accorsi, stesero Danny in una zona sicura per quanto possibile e Don non fece in tempo a girarsi per vedere se Mac fosse uscito.
Il boato lo obbligò a gettarsi sul corpo di Danny, proteggendolo dall'edificio che crollava.
Detriti brucianti volarono, qualche brace li colpì, ma niente di pericoloso confronto a quanto passato.
Anche quello fu un momento, un momento velocissimo, dove non aveva avuto il tempo di ragionare, ma solo di andare ad istinto, con la priorità di salvare Danny.
Ma appena il boato si interruppe lasciando solo il crepitio del fuoco, dall'altra parte un'esplosione li fece tornare a piegarsi a terra per coprirsi dalla fiammata. Gli alcolici ed il gas usato in cucina erano esplosi, lontani da loro e dalla gente ormai al sicuro, abbastanza distanti per evitare proprio questa eventualità.
Le sirene dei vigili del fuoco li raggiunsero ed in realtà il tempo trascorso dalla chiamata non era stato così lungo, anche se a loro era parso infinito.
Il tempo era stato un fulmine, un lampo.
Il tempo per il legno di bruciare e crollare.
Minuti.
Don si girò, inginocchiato su Danny, il locale ormai delle travi ammassate le une sulle altre, fuoco e basta, fumo, un inferno giallo che si innalzava nel cielo nero.
Uno scenario raccapricciante, mentre il cuore si fermava di nuovo, per la seconda volta.
E se prima era stato per Danny, ora era per Mac.
Mac che non era lì vicino a lui, Mac che sarebbe dovuto esserci ma che non c'era.
C'erano solo fiamme, davanti ai suoi occhi.
- MAC! - Lo chiamò con una disperazione esplosiva, incapace di trattenersi all'idea di aver perso proprio lui, proprio dopo aver recuperato Danny, un Danny che fra l'altro non sapeva se si sarebbe salvato.
E quel cuore fermo, quel cuore dolorante, quel cuore preda di strette piene d'angoscia, tornò a vibrare con una sagoma che si alzava dal suolo, proprio lì dove i detriti erano caduti.
O così a lui parve.
A lui parve che uscisse da quell'inferno infuocato, ma in realtà non aveva la concezione di profondità e distanza, con le lacrime agli occhi.
Mac era riuscito ad uscire in tempo e sentendo il tutto crollare, si era buttato letteralmente a terra, all'esterno, più lontano che aveva potuto.
Abbastanza per non morire, non troppo da non uscirne senza bruciature.
Dopo essersi spento la schiena colpita da detriti infuocati che gli avevano fatto male, bruciando per fortuna solo il giubbotto antiproiettile che indossava e le braccia, si era rialzato scosso e affaticato per il salto e quella specie di esplosione che l'aveva inevitabilmente investito.
Don lo vide camminare piano verso di lui, un po' storto, tenendosi le braccia bruciate anche per aver saltato la finestra avvolta dal fuoco.
Fece per alzarsi, ma Mac crollò in ginocchio accanto a lui, Don lo afferrò per le spalle e dopo averlo guardato per assicurarsi che fosse davvero lui, l'abbracciò di slancio stringendo anche facendogli male.
Mac però si tenne quel piccolo dolore, piacevole se provocato da lui e da un suo abbraccio.
Ricambiò sentendo una piccola sensazione di benessere invaderlo. Piccola.
Aveva riabbracciato Don che stava bene.
Ma Danny non era fuori pericolo e Shane era scappato.
La storia era tutt'altro che finita.
Scioltisi dall'abbraccio, entrambi si rivolsero a Danny, chinandosi su di lui per guardare le sue reali condizioni.
- È ancora vivo, ma è critico... - Disse Mac mentre Don chiamava i soccorsi per lui, i paramedici pronti li raggiunsero e i due si alzarono allontanandosi, un po' zoppicanti, per permettere loro di salvarlo.
Pregando che ce la facesse. Stringendosi uno accanto all'altro, con le spalle alle fiamme, rivolti al corpo privo di sensi di Danny, e pregando insieme che ce la facesse.
Pregando davanti ad un inferno ancora lì, pronto ad inghiottirli ancora.