CAPITOLO VIII:
RICHIESTA
D’AIUTO
“Tenace,
credi di essere un duro Stai dicendo a me e a tutti Che sei
abbastanza forte Non devi sempre metterti a combattere Non
devi sempre avere ragione Lasciami prendere qualche botta Al
posto tuo, stanotte Ascoltami adesso Ho bisogno di farti
sapere Che non devi fare tutto da solo E quando guardo nello
specchio ci sei tu E quando alzo il telefono sei tu A volte
non puoi farcela per conto tuo “
/Sometimes
you can’t make it on your own – U2/
Non
aveva la minima idea del perché arrivato al momento cruciale finiva
sempre per scappare, forse per lo stesso motivo per cui non era mai
riuscito ad avere una relazione seria.
Proprio
quando avrebbe dovuto farla diventare tale, nel suo momento di crisi
nel quale si sarebbe dovuto appoggiare a lei, ne era scappato,
scappato totalmente, sbagliando intenzionalmente e coscientemente in
tutti i modi possibili.
Eppure
il sostegno di cui aveva avuto profondamente bisogno non era stata
Lindsay anche se era la sua ragazza, e nemmeno Ricky con cui era
stato un paio di notti per consolarla.
Colui
che poi aveva cercato era stato Don e solo un istante, un istante
durato un soffio, si era chiesto se non dovesse andare da Mac. Non
l’aveva poi fatto per un unico motivo, dopo la rottura brutale con
Payton di sicuro sarebbe stato lui quello bisognoso di consolazione,
lui non ne era capace di darne. Non in quell’attimo, anche se aveva
sempre giurato di esserci quando ne avrebbe avuto bisogno, per
ricambiare quando invece c’era stato.
Si
sarebbe forse solo sentito troppo egoista nell’andare a casa sua a
chiedere un favore che non aveva ancora restituito e che sapeva
invece sarebbe stata ora. Aveva il vago sospetto che non lo facesse
perché si vergognasse visto che l’unica volta che ci aveva provato
era stata disastrosa poiché aveva incontrato Don, la fonte del suo
dolore.
No,
era andato dal suo amico di sempre consapevole che da lui doveva
ancora riscuotere e che avrebbe saputo come stargli vicino senza
infastidirlo, consapevole che chiedere aiuto a lui invece che alla
sua ragazza era un concludere il loro rapporto.
Quando
lo vide, Don non se ne stupì più di tanto, anche se a onor del vero
sapeva che razionalmente sarebbe dovuto andare da Lindsay. Il
vederselo davanti sapeva bene cosa significasse.
Danny
non aveva la minima intenzione di stare seriamente con lei.
Non
disse niente, ma si fece da parte e lo fece entrare. Aveva un’aria
davvero tremenda, da giorni non si radeva e si teneva i capelli
selvaggiamente spettinati, per non parlare degli abiti trasandati.
Gli
dispiaceva sinceramente vederlo consumarsi così nei sensi di colpa e
sapeva bene che cosa stava combinando, credendo di espiare le sue
colpe.
Andava
a letto con la madre di Ruben per darle conforto.
Don,
in effetti, era l’unico a sapere completamente le vicende di Danny,
anche che tradiva Lindsay.
Si
chiese di chi gli importasse, ma forse l’averlo lì poteva essere
una risposta.
Danny
in perfetto silenzio non si giustificò e non parlò per un po’, si
sedette sul suo divano come fosse passato sotto un tritacarne e solo
dopo aver preso la bottiglia di birra ed averlo avuto vicino, in
silenzio, si decise a parlare come lo facesse più che altro con sé
stesso. Per mettere un po’ di ordine in sé stesso, magari.
-
Ricky se ne è andata… ha detto che continuavamo solo a farci del
male… ed io penso di aver appena rotto ufficialmente con Lindsay,
non so… se fosse venuta non l’avrei mandata via, ma non l’ha
fatto e credo che quello sia stato il momento in cui ci siamo
lasciati. - Sospirò, appariva sinceramente amareggiato, smarrito e
perso. Così Don non lo aveva ancora visto e lo conosceva da molto.
Si teneva le mani in mano e lo guardava con preoccupazione e
dispiacere, cercando qualcosa da dire o da fare per tirarlo su, ma
sapeva che con Danny niente era sufficiente e forse solo una cosa.
Si
ricordò della sua assurda teoria che per un modo incomprensibile
aveva un po’ funzionato anche su di lui.
Era
il momento di ricambiare?
Era
così cupo, confuso, sprofondato… ricordava quando qualche giorno
prima aveva dovuto tirarlo fuori dai guai perché Ricky, la madre di
Ruben, il piccolo rimasto ucciso in una sparatoria sotto la
sorveglianza a Danny, l’aveva cacciato per farsi vendetta da sola.
Ricordava quanto difficile era stato aiutarlo perché Danny era così
allergico all’accettare una mano… era pronto a darne a tutti,
specie se erano suoi amici, ma se si trattava di prenderne allora era
tutta un’altra cosa.
Però
con insistenza e caparbia ci era riuscito e per lui aveva lasciato
perdere l’approfondimento con Jessica decidendo di rimandarlo a
quando Danny sarebbe resuscitato. Sì, perché lui l’aveva saputo
dall’inizio che sarebbe toccato a lui raccogliere i cocci.
Quel
giorno era stato Mac a sostenere il suo peso, ma quando giorno dopo
giorno si era distrutto in tutti i modi possibili per espiare delle
colpe che di certo non aveva, si era detto che ci sarebbe stato per
raccoglierlo e gli era andato dietro mano a mano che seminava pezzi
per strada, li aveva tirati su e l’aveva seguito in attesa che
venisse senza più nulla di sé stesso da sparpagliare.
A
Danny ora non rimaneva più niente e si vedeva.
Ora
poteva restituirgli pian piano tutti i vetri di sé stesso.
Fu
allora che l’amico alzò lo sguardo colmo di disperazione e di un
pianto che non aveva ancora fatto, lo guardò e parve perdersi
nell’azzurro limpido del cielo che c’era nei suoi occhi, lo
percepì perché fu come essere visto da lui per la prima volta dopo
molto tempo.
-
Cosa devo fare, ora? - Era come se avesse esaurito i modi per farsi
male e non sapesse più come infliggersi altre pene.
Si
disse che se ci fosse stato Mac avrebbe saputo cosa dirgli perché
trovava sempre le parole giuste, ma Danny lo conosceva meglio lui e
sospirando amareggiato lo cinse per le spalle attirandolo a sé, gli
affondò la mano nella nuca e gli premette il viso contro il proprio
collo, poi l’accarezzò mentre se lo stringeva addosso e lui si
aggrappava come fosse un’ancora di salvezza.
Infine
disse con calma e delicatezza:
-
Stai qua tutto il tempo che ti serve. Stare solo in questo momento è
peggio. Ci sono io. -
Come
mesi addietro aveva fatto Danny con lui.
Lo
sentì come sciogliersi repentinamente e diventare gelatina e non osò
vedere se tremava perché piangeva, sapeva che non avrebbe comunque
voluto darlo a vedere nemmeno a lui, così lo nascose dandogli tutto
il tempo che gli serviva.
Tempo
per piangersi addosso e colpevolizzarsi senza poter fare niente,
niente se non trovare la forza di andare avanti.
Perché
nessuno l’avrebbe mai convinto che Ruben non era morto per colpa
sua.
Il
freddo devastante che Danny sentiva dentro per essersi accuratamente
distrutto in tutti i modi possibili, fu dolcemente contrastato dal
calore che Don quella notte fu in grado di portargli ed entrambi se
ne sconvolsero poiché fra amici ci si poteva aiutare in molti modi,
ma quello…?
La
domanda che si posero nell’apice del loro amplesso fu quanto di più
spontaneo potesse nascere in mezzo alla confusione di cui furono
preda.
Erano
davvero solo cose da amici, quelle che facevano loro?
Essere
l’uno l’ancora di salvezza dell’altro, darsi una tale pace,
scaldarsi e riempirsi, scacciare i demoni… erano veramente solo
cose da amici?
Quella
sera, come tutte le altre che seguirono, non trovarono risposta al
loro quesito intrufolatosi strisciante, anzi lo ignorarono a lungo
ancora per molto tempo.
Il
mattino dopo il primo a svegliarsi fu Don il quale per prima cosa
guardò l’amico accanto a sé steso a pancia in giù nel letto,
dormiva ancora della grossa quindi sospirò notando ancora l’ombra
che oscurava il suo viso rilassato solo in apparenza.
Sarebbe
stata lunga, si disse, ma non l’avrebbe mollato più, ora che si
era deciso a venire da lui.
Il
segno che stava arrivando al limite gli era arrivato la sera
precedente quando era voluto venire con lui alla partita di basket
ammettendo che aveva litigato con Lindsay e che aveva voglia di
qualcosa fra amici.
L’aveva
accolto con gioia sapendo che era il suo modo per chiedergli aiuto.
Aveva scherzato dicendo che avrebbe voluto litigassero più spesso
visto che gli mancavano le loro uscite insieme, poi erano stati
comunque interrotti dall’omicidio in campo ed il loro piacevole
momento fra amici si era concluso con una nuova indagine.
L’allarme
era stato comunque quello, averlo con sé in quella partita di
basket.
Si
tirò su a sedere e guardò l’ora, quel giorno avrebbero iniziato
il turno insieme e non era di certo il caso di farlo dormire quanto
voleva, anche se sarebbe stato meglio visti i suoi occhi gonfi per il
pianto della sera prima.
Per
lui aveva sospeso l’inizio di un’interessante relazione con
Jessica, la sua collega, però poteva aspettare, era intelligente da
capire che il suo amico aveva bisogno di lui in quel momento. Quella
ragazza valeva la pena di essere approfondita con ogni attenzione, se
avesse avuto metà cervello a quel disperato ed incosciente del suo
migliore amico che in quei momenti era capace di tutto, non se la
sarebbe goduta a fondo.
Tornò
a Danny ed hai modi migliori per svegliarlo in quei momenti e senza
complimenti lo scoprì e lo scosse brutalmente chiamandolo con voce
squillante:
-
Su mia bella addormentata, è ora di andare a lavoro e massacrare
qualche cattivone che aspetta solo tu sfoghi le tue frustrazioni su
di lui! - In effetti non aveva tutti i torti, in certi momenti Danny
poteva essere placato solo da un buono sfogo fisico. Fatto il sesso
gli rimanevano le maniere forti e per quelle solo il lavoro poteva
aiutarlo.
Il
ragazzo aprì stralunato gli occhi arrossati e piccoli, quindi
cercando di ricordare perché fosse ancora vivo e soprattutto nel
letto di Don, guardò prima lui e poi sé stesso.
Erano
nudi.
Fu
allora che capì e spinse la faccia contro il cuscino non sapendo se
dovesse sentirsi meglio o cosa.
L’idea
di rimettersi in moto lo massacrava ancora di più e non sapeva
nemmeno se ci sarebbe riuscito, si sentiva messo in un tritacarne ma
doveva dire che era fisicamente rilassato.
Fino
alla sera prima si era sentito, giorno dopo giorno, sempre più un
fascio di nervi incattivito, teso e pronto ad esplodere o a suonare
una sinfonia intera!
Ora
non si sentiva più la rigidità di una corda di violino… era mollo
e sciolto, anche troppo…
Beh,
doveva dire che il rimedio era infallibile… ma funzionava solo se
non c’erano implicazioni sentimentali di mezzo e se c’era
comunque un certo rapporto di fiducia reciproco.
Con
Ricky per quanto giusto gli fosse sembrato, e soprattutto spontaneo,
non si era sentito meglio, dopo, e gli era andata bene così perché
era doveva soffrire, non doveva stare meglio.
Con
Lindsay non ci aveva nemmeno pensato anche se forse l’avrebbe fatto
se fosse venuta, ad un certo punto.
Però
doveva dire che l’unico in grado di curarlo era stato poi Don.
Sì,
perché era andato da lui non per continuare a distruggersi, ma per
provare a ricostruirsi, perché inconsciamente aveva capito che
doveva piantarla e che non poteva continuare su quella strada.
Inconsciamente.
Ma
era giusto voler ricominciare e stare bene dopo quello che aveva
fatto?
Un
bambino era morto per colpa sua ed anche se non era stato di certo di
proposito e tutti gli dicevano che non era veramente colpa sua, lui
sapeva che una responsabilità in tutta quella maledetta vicenda ce
l’aveva.
Immerso
nelle sue considerazioni mattutine, non si accorse che Don era già
andato a fare la doccia, per cui si alzò barcollante e confuso
dirigendosi al bagno a sua volta.
Entrando
si ritrovò l’amico che usciva dal box, era tutto bagnato e fumante
d’acqua calda, lo guardò senza la minima inclinazione specifica e
forse nemmeno lo vide veramente. Forse era così abituato a vederlo
nudo che non gli faceva più alcun effetto.
O
magari la sua mente era troppo annebbiata dai molteplici pensieri che
gli vorticavano in quel momento delicato, con la testa che suonava i
tamburi di guerra e gli occhi che minacciavano di togliergli la vista
tanto che gli bruciavano.
Senza
nemmeno dire la minima parola, già pronto per la doccia, vi si
infilò al posto di Don sfilandogli accanto, come se fossero cose
normali per loro che facevano ogni giorno.
L’amico
lo lasciò entrare tranquillamente, quindi andò allo specchio e
avvolto ad un asciugamano alla vita cominciò a farsi la barba.
-
Ehi, ci sono delle lamette nuove, fatti la barba che sembri un
vagabondo! - Il suo silenzio denotò che non ne aveva la minima
voglia, così Don riprese più deciso: - Te la faccio io, eh? -
Minaccia originale che restituì un brevissimo e fugace sorriso a
Danny il quale scuotendo il capo borbottò con un principio di
ironia:
-
Non vedo l’ora… - Che in condizioni ottimali sarebbe stato molto
più maniaco di così.
Ci
mise poco e quando uscì Don aveva appena finito di sistemarsi il
viso, si girò verso l’amico che si avvolgeva a sua volta in un
asciugamano e prendendolo con forza lo fermò contro il muro, in
seguito prese la schiuma da barba e gliela spalmò sul viso.
Danny
cominciò a sbuffare come un bambino, al che l’altro continuando
imperterrito lo ammonì severo come un papà cattivo:
-
Fai schifo! Ed anche i capelli, devi farteli sistemare o ti faccio
licenziare per indecenza! -
-
Solo Mac può licenziarmi e poi l’indecenza non è una valida
motivazione! Ti faccio causa! - Replicò ancor più lamentoso il
biondo dai capelli effettivamente più lunghi del suo solito che ora,
grazie alla doccia appena fatta, gli stavano schiacciati intorno al
viso. Era davvero quasi irriconoscibile e Don non poteva lasciare che
si lasciasse andare a quel modo, non era da lui.
Concentrato
gli passò il rasoio sul viso dalla bocca imbronciata,
quell’espressione lo faceva ridacchiare divertito e senza pietà
gli girò il viso a destra e a sinistra per ripulirlo accuratamente.
-
Ma Mac è dalla mia! - Asserì malizioso.
-
Le palle! - Brontolò schietto Danny: - Si è messo con Payton ed
anche se si sono già lasciati, intanto ha preso una posizione netta!
Questo significa che non è sempre dalla tua! E a proposito… non
sai quanto ci sono rimasto male quando ho saputo che stavano insieme
e che tu lo sapevi già! Com’è che non mi sei piombato addosso
piangente e disperato? - La sua parlantina si era svegliata ed era
sintomo che si stava riprendendo, anche la sua ironia era più
marcata e a Don parve di tornare a respirare dopo settimane di apnea.
Aveva avuto davvero paura di non riavere il suo amico come prima.
Concluso
il suo lavoro, gli buttò un asciugamano più piccolo in faccia
indicandogli di asciugarsi bene, poi uscendo dal bagno rispose
altrettanto ironico:
-
Forse perché non ero così disperato? - Era la logica, ma una logica
falsa…
Danny
lo seguì a ruota lasciandosi il piccolo telo rosso intorno al collo,
mentre si passava la nuca con un lembo insistette come il caterpillar
che era di solito:
-
Certo che lo eri! Non l’hai dimenticato così in fretta e poi
continuerete sempre ad amarvi. Non vi siete lasciati perché erano
finiti i sentimenti, ma perché eravate troppo coglioni e non
riuscivate a stare insieme! Il che è diverso! - come apriva lui gli
occhi non lo faceva nessuno e definirlo brutale era un eufemismo.
Don
lo conosceva e gli piaceva per quello.
Scosse
il capo divertito da quelle sparate, in realtà aveva ragione.
Si
tolse l’asciugamano e cominciò disinvolto a vestirsi mentre Danny
preferiva guardarlo aspettando una risposta soddisfacente.
-
Sono venuto, Danny… non ho pianto e non mi sono mostrato disperato,
non ho parlato di quello che mi rattristava, però sono venuto. Ho
cercato quello che mi serviva in quel momento, distrazione. E tu me
l’hai data! Sai, quando siamo andati a vedere la partita di hokey
su ghiaccio… - Danny parve ricordarselo, ancora non sapeva di Mac e
Payton e quindi non aveva avuto la minima idea delle sue condizioni,
gli era sembrato un po’ strano ma non eccessivamente. - Tieni,
mettiti questi! - Disse poi lanciandogli dei vestiti propri di
ricambio. Danny li prese ma non li calcolò, ancora immerso in quel
ricordo.
-
Certo… ricordo quella sera… mi sembravi un po’ sotto tono
infatti ho fatto l’idiota… ho pensato ti mancasse Mac… beh, ci
avevo preso… - Concluse trionfante cominciando a vestirsi a sua
volta con naturalezza senza rendersi conto di quanto repentinamente
con lui cominciasse a stare meglio.
Continuarono
a scherzare a modo loro per tutto il tempo fino a che, pronti per
uscire di casa insieme, Don non gli lanciò la copia delle chiavi
dicendo:
-
Visto che spesso abbiamo i turni diversi… - Non servì dicesse
altro, il resto fu sottinteso e chiaro: Danny sarebbe rimasto lì per
un po’ e non poteva sempre aspettare Don per entrare od uscire.
Il
ragazzo le prese di buon grado e se le mise in tasca pensando solo
che sarebbe andato di corsa a prendersi dei cambi e sarebbe tornato
lì fino a quando il passare davanti a casa di Ruben non l’avrebbe
più massacrato.
A
lavoro a Mac non sfuggì di certo il fatto che A: fossero arrivati
insieme e B: che Danny avesse i vestiti di Don. Non sfuggì nemmeno
la loro conversazione riguardo alla copia di chiavi che Don aveva
dato a Danny per consentirgli di entrare ed uscire da lui a
piacimento.
In
un istante Mac dovette velocemente elaborare delle valide
giustificazioni per tutto quello, per impedirsi di gelarli con lo
sguardo peggiore esistente.
Capì
in fretta che probabilmente Danny si era deciso a chiedere aiuto a
Don e che finché l’assenza di Ruben dall’appartamento accanto al
suo non gli avrebbe dato problemi, sarebbe rimasto da lui.
Purtroppo
non riuscì ad andare abilmente oltre a quello figurandosi tutta la
sera precedente ed anche il motivo per cui avevano lo stesso profumo
di bagnoschiuma ed uno indossasse i vestiti dell’altro.
Quello
che provò non gli piacque.