10. IL SOLCO DELLA NOTTE
Don lo spinse contro l’auto con
una velocità incredibile, tanto che Colby non riuscì a fermarlo prima.
Poi a due centimetri dal suo viso, gli ringhiò contro:
- Allora sapevi qualcosa! Chi è
lui, avanti, parla! - Colby pensò al loro approccio meno aggressivo di
cui avevano concordato, poi tirò l’acqua dello sciacquone dove
l’intenzione era finita. Sospirò paziente e per l’ennesima volta lo
tirò via.
Tyler si risistemò e mettendo le mani avanti, replicò con coraggio:
- Avanti, siamo tutti e tre
mezzi ubriachi, io ho bisogno di una doccia per riprendermi e
affrontare una conversazione del genere. E pure di un caffè doppio. E
pure voi, con tutto il rispetto per i distintivi! - Don non aveva tutta
quella pazienza, non voleva saperne di aspettare tanto.
Colby però decise che era una buona idea.
- Va bene, in via informale, per
una chiacchierata, andiamo a casa mia. È qua vicino. - Disse paziente
con la solita prontezza di spirito.
Don non sembrava d’accordo, ma Tyler sembrava finalmente disposto.
- Una chiacchierata informale? -
Colby annuì.
- Lui non mollerebbe l’osso, ma è vero che ci serve una doccia ed un caffè. -
E così fu.
Casa di Colby era un appartamento non molto lontano da lì, piccolo, del tutto ordinato e con un mobilio essenziale.
Dall’arredamento si notava che amava la pesca.
Poi c’era la foto sua con Dwayne, che era rotta ma ancora in piedi, ancora lì. Mai messa via.
Don la notò subito oscurandosi,
un flash di quando l’aveva visto con lui alla stazione della metro il
giorno in cui era scappato, quando ancora lo credeva una spia. Colby
con una canottiera bianca, gli occhiali scuri ed una cuffia e
quell’aria maledettamente intrigante.
Il desiderio di uccidere Dwayne solo perché osava portarglielo via.
Purtroppo era morto, si era
sacrificato per lui e a quanto pareva Don era vissuto nel suo fantasma,
nei sensi di colpa. Anche con Charlie probabilmente non aveva mai fatto
nulla per quel motivo.
Ed ora loro?
Don l’aveva saputo da subito,
appena aveva trovato la forza di baciarlo. Appena avrebbe messo piede
fuori dal locale, il coraggio sarebbe finito. Era in grado di fare
molte cose, ma non di stare con Colby.
Eppure ormai certe cose le diceva solo a lui.
Colby andò a fare un caffè
mentre indicava a Tyler la doccia, chiedendosi se ora che li vedeva in
modo tanto informale li avrebbe presi sul serio e li avrebbe aiutati.
- Spero che collabori o uso questa. - Disse tuonante Don posando la pistola sul tavolo. Colby ridacchiò.
- Lo spero anche io. Secondo me
abbiamo un po’ aggiustato il tiro. Quelli così non parlano con le
autorità, ma in questo modo siamo… più informali! Collaborerà! - Colby
cercava di essere positivo nella sua eterna calma.
Don lo ammirava quando ci riusciva. Spesso in realtà.
Ricordò quando l’aveva
accompagnato a recuperare una prova nel magazzino, per via di un
vecchio caso che l’aveva accompagnato per molto tempo.
Sapendo che era una richiesta
strana, Colby aveva chiesto se voleva parlarne, Don sul momento aveva
detto no e lui non aveva insistito. Don gli aveva sorriso.
Ricordava con gratitudine quel
momento, la stessa che aveva provato quel giorno, con cui poi gli aveva
parlato del caso e del motivo per cui gli serviva quella vecchia prova.
Perché Colby era così. Non insisteva mai, non rompeva la roccia. La
scavava silenziosamente, senza farsi notare.
- Come fai a dire che non
parlano con le autorità ma con noi che abbiamo avuto questo approccio
informale lo farà? - Chiese pessimista e polemico. Colby alzò le spalle
e si sfilò la maglia rimanendo in canottiera. Quella che a Don creava
sempre tanto disagio. Distolse subito lo sguardo, ma poi tornò a
posaglielo addosso e lo vide andare al lavandino della cucina e lavarsi
il viso ed il collo per rinfrescarsi con l’acqua fredda, per
riprendersi.
Ancora un po’ di nebbia rimaneva. E la voglia di baciarlo ancora. Ma vedeva tutto molto più chiaramente.
“Forse ci sono riuscito non per il posto e l’alcool ma perché era ora.” Volle dirsi così, Colby, asciugandosi il viso.
- Perché dieci anni fa Tyler non
ha parlato con Sinners. Eppure sapeva di questo tizio! - Fece
lanciandogli l’asciugamano per dirgli di rinfrescarsi anche lui per
svegliarsi un po’.
Don si slacciò la camicia ancora
un po’ lasciando allacciato solo un paio di bottoni, poi si sciacquò il
viso. L’aria ancor più casual di prima piacque decisamente a Colby che
si morse il labbro.
- Si forse hai ragione. Vediamo
come si comporta ora. - Non fece in tempo a dire altro che Colby decise
di mettersi di nuovo alla prova, lì fuori dalle mura protette e facili
di quel locale.
Prese l’asciugamano che gli
restituiva Don e l’attirò a sé. Don lo lasciò tardi quando era già
contro di lui. I due si guardarono uno davanti all’altro, vicini. I
respiri non più d’alcool. Gli sguardi sotto la luce della lampadina
erano intensi e pieni di un desiderio fin troppo evidente.
Don non lo toccava, Colby una mano all’asciugamano, l’altra alla sua vita. Intimo.
Testò la tolleranza di Don il
quale non reagiva, così Colby si avvicinò ulteriormente e senza dire
nulla, assolutamente nulla, lo baciò. Don attese le sue mosse, non lo
respinse, non lo aiutò. Lo accettò, lo accolse e gli sembrò strano
baciarlo a casa sua, senza l’aiuto di quel locale. Bello. Strano.
Le lingue si ritrovarono
facilmente e altrettanto facilmente le mani di Don andarono sul suo
viso. Dolcemente a tenerlo a sé. Colby si sentì suo in quel modo e gli
piacque.
“Forse è ora di superare il
passato.” Si disse. “Forse non sono più Colby il doppiogiochista, spia,
traditore che per due anni ha guardato i compagni negli occhi mentre li
spiava per capire chi fosse la talpa, fingendo di esserla a propria
volta.” Lasciò l’asciugamano per infilare la mano sotto la camicia
aperta di Don e toccargli la pelle. Don rabbrividì eccitandosi.
“Forse sono solo Colby, il compagno di Don. Se anche lui lo vuole.”
Non si accorse della foto di Dwayne che cadeva per la millesima volta. Non la sentì proprio.
Don prese gusto
accendendosi, felice di aver ripreso il discorso a casa e non aver
chiuso tutto in quel posto. Euforico di questo, lo spinse contro il
ripiano della cucina, ma fu interrotto dalla porta del bagno che si
apriva. Don imprecò e si separò allontanandosi, si passò una mano sul
viso e poi fra i capelli scomposti, infine guardò Colby imbarazzato che
invece sembrava divertito. Questo gli accese una luce stizzita, ma non
disse nulla.
- Questo odore è un buon inizio! - Disse disinvolto Tyler che arrivava in cucina con la sua aria spaccona e sicura di sé.
Al locale avevano avuto l’idea
che fosse il classico mangiatore di uomini, sapeva di piacere e sapeva
come piacere e ne approfittava, ci sapeva fare, insomma. Lì ne stavano
avendo conferma. Uno che si notava, che non passava inosservato. A
partire dalla sua bellezza incredibile.
Un uomo giovanile, ben tenuto, che ci teneva all’aspetto.
I capelli bagnati erano
spettinati di proposito, un asciugamano alla vita gli dava un’aria
selvaggia ed erotica al tempo stesso e mostrava che sì, la palestra la
faceva. Colby distolse subito lo sguardo e Don invece lo fissò meglio
aggrottandosi.
- Perché non ti sei rimesso i
vestiti di prima?! Pensi di girare nudo in casa di estranei? Ti abbiamo
fatto la grazia di concederti una doccia ed un caffè ma non sei in un
albergo, ti ricordiamo che… - Tyler ridendo si avvicinò e prese la
tazza di caffè da Colby.
- Che avete il distintivo.
Certo. Come dimenticarlo? - Poi si appoggiò al tavolo come se fosse il
suo e li guardò meglio con una strana luce di interesse nel volto. -
Anche se devo dire che… beh, in questo momento sembrate altro. - Don
tornò sulla difensiva e Colby notando l’insulto che gli stava partendo,
lo precedette con un tono fermo ma pacifico.
- Quel che sembriamo non scinde
da ciò che siamo. Eravamo sotto copertura, stavamo sondando il terreno
mentre cercavano qualcuno. - Tyler allargò il braccio libero scettico:
- Me? - Colby sospirò paziente.
- No. Però speravamo di trovarti lì e capire che tipo eri. - Tyler così tornò a stizzirsi della cosa.
- Ancora con questa storia.
Pensate che sia io il colpevole? O il complice? Ma non parliamo
della scomparsa del mio amico? Io… - Don e Colby si guardarono complici
sapendo cosa significava quell’uscita spontanea.
Non era una scomparsa, non più.
- Adesso basta giocare. - Disse
Don deciso. - Bevi, vestiti e torna a sederti che parliamo. - Tyler
voleva continuare la sua vena polemica, ma Don tuonò senza ammettere
repliche: - quello di cui dobbiamo parlare non è piacevole né facile,
ci serve che tu sia concentrato e lucido. Non è bello per nessuno. -
Tyler capì che era davvero grave e non solo uno di quei casi in cui si
faceva tanto rumore per nulla. Si fece serio e non disse niente, non
replicò ‘allora è morto, eh?’
Andò solo a cambiarsi.
- Non sa nulla. O nella foga
delle chiacchiere avrebbe detto ‘la morte del mio amico’. - Sussurrò
Colby. Don annuì con aria grave. Dopotutto aveva ottenuto quello che
voleva, in qualche modo. Scagionare quello che aveva tutta l’aria di
essere l’unico testimone. Ora dovevano scambiarsi le informazioni e
ricavare il massimo da quella situazione, considerando che era una di
quelle notti infinite e sfibranti.
Colby sperò solo che finisse
prima o poi e nel migliore dei modi, ma dubitava. Le notti così, quando
iniziavano, duravano per tutta l’indagine e lasciavano sempre il segno.