13. LA SPIRALE DEL TEMPO
"Sei dentro di me
Non posso vivere senza di te,
Non riesco ad andare avanti senza te
E il ricordo incide troppo
Sei dentro di me
Esco per affrontare il battito
C’è un battito nel mio cuore
A cui devo porre fine"
/Without you - Skunk Anansie/
Don e i suoi occhi neri rimasero fissi nelle natiche evidenziate dalla posa chinata.
Colby si stava mettendo i boxer.
Si morse il labbro e si riscosse
tornando al presente, quindi a fatica distltose gli occhi da lui, poco
davanti, e aprì gli slip per indossarli. Infine si tolse l’asciugamano
e fu il suo turno di mettere in subbuglio Colby.
Quando si voltò aveva le mani
nei boxer e si stava sistemando le parti intime poco finemente. E
vedendolo nudo proprio lì, si era fermato. Era stato come se gli si
fosse staccata la spina e anche per Don fu difficile ricordarsi come ci
si vestiva. Aveva gli slip in mano, ma non pareva intenzionato a
metterli e quella notte era prepotentemente fra di loro.
La sera, i loro baci, le loro mani addosso come avevano sempre voluto fare.
“Ma si può fare finta di niente senza parlarne?”
Pensò Colby incapace di iniziare quella conversazione.
Si erano baciati, poi Don aveva
fatto brusca retromarcia senza spiegazioni e non ne avevano parlato. E
Colby non sembrava capace di fare nulla.
- Senti… - Si decise sfilandosi
la mano da dentro l’intimo. Don si riscosse a sua volta e si infilò in
fretta gli slip bianchi. - Credi sia il caso di parlarne? Io penso che
forse… - Don però prese i jeans e li indossò in fretta e furia,
tornando a chiudersi al di là del muro. Come se in realtà fosse
arrabbiato e se lo fosse ricordato solo ora.
Colby lesse i suoi atteggiamenti e lo guardò stupito.
- Don, ma ce l’hai con me? - Don scosse il capo alzandosi e mettendosi anche la maglia.
- Sbrigati. Abbiamo un caso importante. - Disse poi uscendo di corsa, come se stargli troppo vicino fosse tossico.
Colby ci rimase male per
l’ennesima volta e scuotendo il capo sentì un’indicibile voglia di
parlare con Charlie. Per questo si era avvicinato tanto a lui. Perché
per quanto diversi fossero e per quanto lui odiasse la matematica, con
Charlie si parlava. C’erano rapporti. Relazioni. C’era conversazione.
C’erano scambi. E dava dei consigli molto arguti ed utili con le sue
teorie matematiche applicate ai problemi quotidiani.
Ovviamente non l’avrebbe fatto. Non sapeva niente di lui e Don, però era come se lo intuisse.
Quando uscì, vide Don con la
foto sua e di Dwayne in mano. Si fermò e si irrigidì subito rimanendo
immobile a fissarlo. Don aveva uno sguardo serio, pensieroso.
Impossibile tradurlo.
- Don? - Chiamò. Don si riscosse e la mise giù.
- Era caduta. - Commentò
girandosi e andando a prendersi il pane e le uova ormai fredde che
Colby aveva preparato prima, conoscendo i suoi gusti anche in tal
senso.
Il silenzio tornò come non mai, così penetrante, così pressante.
Sapendo che c’era qualcosa da dire, ma non sapendo cosa. Come.
Poi Don tentò per la prima volta.
- Sei ancora molto legato a lui… - Una constatazione logica vista la foto.
Colby sorpreso che ne parlasse, che parlasse proprio di questo, si strinse nelle spalle vago come suo solito.
- È complicato. - Don si affrettò a fare retromarcia di nuovo.
- Ovvio. - Disse duro, sbrigandosi a mangiare. Colby sospirò ed alzò gli occhi al cielo.
- Era una relazione particolare.
Lui non sapeva che non ero un federale che tradiva il suo paese ma che
tentava di salvarlo. Io… - Colby esitò guardando il proprio piatto a
metà, la fame andata via. - Io ho tradito tutti in qualche modo. Dwayne
che mi pensava un suo amico dalla parte dei cinesi, voi che mi
credevate un semplice agente della vostra squadra. Tutti quei rapporti
erano difficili, li ho vissuti con fatica, senza sapere come fare… -
Colby ne parlava per la prima volta e si sentiva strano. Alzò lo
sguardo su Don per vedere cosa ne pensava e vide che aveva finito di
mangiare e che beveva il caffè appoggiato allo schienale. - Tu non ti
sei sentito tradito? - Don si strinse nelle spalle e parlò con un tono
sorpreso:
- È successo da tanto, ormai.
Abbiamo sepolto tutto. Superato. - Poi realizzò e aggrottandosi lo
disse più a sé stesso che a lui. - Tu non l’hai ancora superato… -
Colby si sentì sotto assedio e non volendo assolutamente essere uno dei
famosi interrogati di Don che finivano nudi e crudi e a pezzi, si alzò,
portò via i piatti in fretta e bevve il caffè tutto d’un fiato.
- Andiamo? Dobbiamo aggiornare
gli altri prima che si mettano al lavoro. Saranno andati a casa?
Secondo me ad un certo punto hanno ceduto le armi! -
Colby si mise a parlare d’altro
come se quell’argomento fosse stato sviscerato e fosse concluso. Don
rimase ancora un attimo ebete seduto con la tazza in mano mentre lui
andava a recuperare le cose in giro per casa riordinando il resto,
maniacale come sempre.
“Non l’ha mai superato. È questo
che l’ha sempre bloccato. Si sentiva il traditore e pensava che noi lo
vedessimo così e che non volessimo legare troppo…” Don, bravo a capire
nel profondo gli animi dei criminali, non si era mai fermato a capire
quello di Colby, sicuro che non servisse, che non dovesse, che sarebbe
stato una violazione da non fare.
Eppure, forse, avrebbe dovuto molto prima.
Sconvolto da ciò, si decise ad
alzarsi al suo richiamo e dimentico di una notte strana, lo seguì fuori
silenzioso, pensieroso, shoccato.
“Come fa un senso di colpa a durare tanto nel tempo e fino a questo punto?”
E forse quella domanda avrebbe dovuto fargliela a voce.
Colby teneva quella foto con
Dwayne non perché era ancora legato a lui e provava qualcosa dopo tanto
tempo. Nemmeno per rispetto. Dopotutto Dwayne aveva tradito davvero il
suo paese.
La teneva perché il suo senso di
colpa era ancora vivo. Aveva lavorato sotto copertura, era una missione
importante ma che non aveva propriamente scelto e nemmeno voluto. Gli
era capitata, diciamo. Glielo avevano ordinato. Lui era nella
condizione ideale e glielo avevano imposto.
Ma se avesse voluto lavorare
sotto copertura avrebbe fatto domanda alla CIA, non all’FBI. Ogni tanto
era un conto, ma spiare i propri stessi colleghi alla ricerca di una
talpa era troppo.
Aveva sempre rimpianto quella missione, quei due lunghissimi anni.
Tutta la squadra bene o male l’avevano perdonato.
Don, la sera in cui Colby era
tornato a lavoro in attesa di essere riassegnato, aveva fatto
l’appostamento di sua iniziativa con lui, per parlare, per vedere come
stava, per fargli capire che gli stava bene che fosse ancora lì, che
non ce l’aveva con lui. Non a parole, non in modo chiaro, ma in modo
impacciato era stato così.
Colby aveva tradotto quel ‘tu
cosa vuoi fare?’ di quella sera con un ‘ti va di rimanere?’ e a Colby
era venuto spontaneo chiederglielo. ‘Pensi che potrei riavere il mio
posto nella tua squadra?’
Don non aveva risposto subito,
ma a fine turno gli aveva chiesto se aveva capito cosa voleva. Colby
aveva ripetuto la sua richiesta e Don gli aveva dato una pacca
soddisfatto sulla spalla e gli aveva detto che avrebbe visto cosa
poteva fare.
Tradotto nella lingua di Don:
l’aveva cercato per chiedergli se voleva rimanere con loro ed alla
fine, quando Colby aveva confermato lucidamente e deciso che voleva,
l’aveva ripreso volentieri.
Però era a lui che Colby aveva
detto che il lavoro era una cosa, mentre due anni di bugie ai propri
colleghi era un altro. Don non aveva risposto, l’aveva guardato colpito
del suo stato d’animo e poi aveva smosso mari e monti per riprenderlo e
aveva detto a David, quello più restio, di parlare con lui o quanto
meno di farci pace.
Come prima cosa gli aveva messo
vicino Liz perché era la sua fidanzata dell’epoca. Tramite Liz si era
studiato Colby il primissimo giorno, quando doveva ancora essere
riassegnato, prima che Don si decidesse a chiedergli in modo
estremamente indiretto di tornare con loro.
Poi visto che Liz si era
stizzita di essere usata per controllare Colby, l’aveva fatto da solo
il turno successivo, mettendosi da solo in coppia con lui
nell’appostamento.
Quando Colby e Liz avevano
lavorato insieme, anche Colby si era risentito del fatto che Don gli
mettesse la sua fidanzata vicino per vedere come stava. Perché non
veniva lui a chiederglielo, a vederlo da solo?
Poi aveva capito in pochissimi
istanti che non era fastidio per un controllo indiretto che era da Don
esercitare, ma era proprio geloso. Geloso perché lei andava a letto con
Don. Stop.
E l’aveva espresso diverse volte
a lei, senza osare fare mezza frecciata a Don chiaramente. Ma la cosa
che i due se la spassassero fra le lenzuola l’aveva gettato fuori di
testa in maniera piuttosto evidente. A quel punto era stato difficile
non capire che qualcosa verso Don era cambiato.
Quando aveva cercato di capire cosa, come e quando, si erano ritrovati a parlare durante un caso.
‘Non ti ho mai ringraziato.’
Don, preso alla sprovvista.
‘Per averti ripreso in squadra?
Dopo quello che hai fatto per il paese mi sembrava il minimo…’ Colby
non si sentiva un eroe anche se tutti lo vedevano così. Aveva scosso il
capo.
‘Perché non ti convinceva la
versione che avevo dato quando mi avete arrestato.’ Silenzio. ‘Perché
se non ti fossi intestardito per capire meglio, mi avresti lasciato
morire. Se non avessi detto tu di venire a vedere che fine stavo
facendo, sarei morto. Grazie per aver insistito.’
Don si era imbarazzato e quando succedeva si capiva perché sminuiva la cosa.
‘Andiamo, ho fatto solo il mio lavoro.’ Colby aveva riso.
‘É stato molto di più.’ I due si
erano guardati in quella strana atmosfera confidenziale ed in quello
sguardo penetrante, Colby era riuscito a continuare: ‘Non era tua
giurisdizione, non avresti potuto. Non era più un tuo compito,
tecnicamente non potevi. Sei andato contro un sacco di leggi, avrai
passato dei guai burocratici per quello. L’hai fatto perché in quella
barca territorio cinese a largo del mare, c’ero io.’
Lì aveva centrato il punto. Don
aveva sospirato cercando qualcosa da dire, sentendosi alle strette, poi
aveva alzato le spalle e si era deciso.
‘L’hai detto. Non ero sicuro
della tua posizione. Se fossi morto perché io non volevo andare contro
la legge e poi sarebbe venuto fuori che eri dalla parte dei buoni… non
me lo sarei mai perdonato.’
Colby aveva sorriso.
‘Quindi grazie.’ Don aveva fatto
una specie di sorriso impacciato ed imbarazzato, poi gli aveva dato una
pacca sul ginocchio ed era tornato al lavoro, classico appostamento. I
due potevano parlare solo in quei casi e solo quando David era in
riposo perché solitamente Colby lavorava con lui e Don con Megan.
La conferma che provava
qualcosa, per Colby era arrivata quando si era sentito estremamente
felice nel sapere che Don e Liz avevano rotto. Avrebbe voluto avere il
coraggio di chiedergli chi aveva rotto con chi, aveva provato a sapere
qualche dettaglio da Charlie, sempre ben disposto a parlare, ma nemmeno
lui aveva idea dei particolari.
‘Don non ha mai parlato con me. Con nessun in realtà.’
‘Sembrate molto uniti…’
‘È il lavoro all’FBI che ci ha legato… ma prima… beh, eravamo da terapia!’
Aveva scherzato, ma gli aveva fatto capire bene la situazione.
‘Mi sa che chiunque è da terapia
con Don!’ Aveva aggiunto spontaneo. Forse lì Charlie aveva iniziato ad
accorgersi che Colby provava qualcosa per Don.
Comunque era stato felice della
loro rottura e ad un certo punto, vedendo Don innegabilmente giù per un
paio di giorni, aveva avanzato lui l’idea che qualcuno dovesse parlarci
per consolarlo. David e Megan avevano scherzato dicendo che magari
voleva farlo lui e lui, imbarazzato, si era affrettato a rifiutare.
Però alla fine ci era andato lo stesso.
‘Mi dispiace che fra te e Liz non sia andata.’ Che bugia. Ormai era diventato bravo a mentire. Si era odiato.
Don si era subito irrigidito e
chiuso, seduti a bere insieme dopo che David se ne era andato. A fine
turno avevano iniziato ad andare a bere qualcosa insieme, spesso c’era
anche Megan.
Don aveva stretto la bottiglia quasi vuota di birra.
‘A volte le cose semplicemente non vanno.’
Era stato difficile a quel punto, seppure un piccolo spiraglio glielo avesse lasciato.
‘Se hai voglia di parlare o
bisogno di qualcosa…’ Don aveva sorriso imbarazzato alzando la birra ed
indicando il locale dove andavano già da qualche sera dopo il lavoro.
‘Lo sto già prendendo… grazie comunque.’
Colby aveva voluto ribattere che
quello non era uno sfogo, non diceva mezza parola su Liz, sulle
relazioni… eppure forse a lui bastava. Lo vedeva meglio di giorno in
giorno. Così decise di alzare la propria bottiglia e sbatterla contro
la sua in un brindisi fra amici.
Amici.
Essere amico del proprio capo, nella fattispecie di Don, era stata una conquista incredibile.
Da lì, senza Liz, senza bugie e
sotterfugi e coperture di mezzo, piano piano le cose erano andate
meglio. Lui era stato meglio. Molto meglio.
Forse era ora di parlare senza
lasciare che le cose si intendessero. Avevano fatto così da sempre,
parlato a mezze frasi, lanciato messaggi vaghi da interpretare. Ma
magari era ora di andare oltre.
Colby ripensò all’ultimo anno,
prima che David se ne andasse. Don aveva già cominciato ad aprirsi e
confidarsi ogni tanto con lui. Aveva sempre immaginato lo facesse con
David perché i due si conoscevano da molti anni. Quando si era trovato
a fargli dei favori per lui e poi a ricevere delle confidenze dopo che
gli aveva chiesto spiegazioni, aveva capito che qualcosa in Don stava
cambiando. Che lui stava cambiando. Nel profondo.
Forse era proprio per quello che
ora si erano baciati. Erano pronti ad andare alla fase successiva ma
non sapevano come dirselo, come farlo, come affrontarlo. Troppo
abituati alla chiusura, aprirsi pur volendolo non era facile.
“Però se non ci sforziamo ora, ce ne pentiremo per tutta la vita.”
Colby ormai lo sapeva con certezza.
Lasciò che Don uscisse per primo
e prima di varcare la soglia esitò. Prese la foto raddrizzata sua e di
Dwayne. Sospirò. Infine la mise lui di sua iniziativa nel cassetto.