*Ecco
un altro capitolo. Ci destreggiamo fra il caso e le vicende personali
fra Don e Colby. Il killer continua a scriversi con Don, ma ancora non
si capisce se sappia chi è lui in realtà o no. Intanto Colby prova ad
essere ottimista e ad alleggerire la situazione, per una migliore
gestione della sua vita personale. Mason era quello che ha rapito
Amita, episodio molto bello da rivedere. Buona lettura. Baci Akane*
18. PROVANDO LA LEGGEREZZA
"sono stufo di essere solo
so a chi appartengo ma non riesco a trovare la mia strada di casa
trovare la mia strada di casa"
- Before I die - Papa Roach -
Come prima cosa, Don chiamò
l’informatico dell’FBI che aveva in carico il controllo del telefono di
Jason, sempre ammesso che fosse il suo vero nome, cosa di cui dubitava.
L’informatico disse che il
telefono era stato acceso ed usato in una zona specifica, ma non
potevano essere precisi perché nel caso di un sms si poteva solo
identificare il ripetitore della zona, non localizzare il telefono per
il quale bisognava tenere la comunicazione attiva per un paio di
minuti.
- Sono più di un ripetitore in realtà. - Precisò l’agente. - In pieno centro. - Don sospirò scuotendo il capo.
- Così non serve a niente, è una
zona troppo vasta. Bisogna restringere il campo! - Disse poi di tenersi
pronto a tracciare il telefono nel caso avesse chiamato e di dirgli se
il numero veniva usato in altro modo. Poi riagganciò dando ordine a
Colby di partire.
- Non sarà un hacker, però sa il
fatto suo. Usa un telefono senza GPS dalla zona con più copertura, in
modo che non sia facile trovarlo. Come fai a setacciare una zona così
vasta? Sa che non lo faremo mai! E senza GPS non possiamo localizzarlo
senza che ti chiami e ti tenga a lungo a parlare. - Colby precisò con
cura il motivo della frustrazione di Don, il quale scosse il capo,
fotografò stizzito la lista dei clienti di Colton Martin e la inviò a
Nikki e Liz per le ricerche.
- Dovrei chiamarlo io… - Disse sbrigativo e seccato. Colby lo guardò subito sorpreso.
- Senza capire se gioca con te
perché sa chi sei o se ti sta lavorando per il dopo Tyler? - Don si
strinse nelle spalle infastidito mettendosi gli occhiali da sole sugli
occhi.
- E cosa cambia? In ogni caso
devo parlarci per cercare di localizzarlo! - Colby scosse il capo, poi
lo piegò di lato e guardò in giro, per la strada, pensandoci senza una
soluzione.
- Non lo so, così però vai alla
cieca, non sai proprio cosa aspettarti da lui… non… non dovresti
tastare il terreno? - Don scosse il capo deciso.
- Non abbiamo tempo, Colby. Ha
già preso Tyler. - Colby convenne con lui che da questo punto di vista
aveva ragione. Sospirò e cercò di ragionare lucidamente, poi lo guardò
cercando di capire quanto lucido ed in sé fosse. Di norma non c’era da
preoccuparsi e poi mano a mano che il tempo passava, diventava sempre
più una roccia. Se prima avrebbe affidato la propria vita a Don con
riserve, ora non ne aveva proprio.
Infatti lo vide serio, la testa
alta, lo sguardo dritto davanti a sé, gli occhi concentrati che
pensavano alla conversazione da avere con lui.
- Con Mason avevo un video dove
lui parlava all’infinito delle sue idee, lo conoscevo, sapevo cosa
aveva in testa. Con lui no. Non ho niente, non so niente. Gioco alla
cieca. - Disse poi invece di prendere il telefono e chiamare Jason.
Colby lo guardò stupito di quella sua condivisione, ma si mantenne
calmo.
- Sii generico. Tecnicamente sei
un uomo che ha conosciuto ieri sera, con cui ha parlato un minuto. Vi
siete scambiati il numero perché avete trovato qualcosa di strano in
comune. - Don annuì trovando quelle parole utili.
- L’imperfezione. Ad entrambi
manca qualcosa. Non ci fermiamo alla superficie, alla perfezione. -
Colby annuì a sua volta aprendo la mano mentre l’altra era impegnata
sul volante.
- Per cui continua su questa
falsa linea. Ufficialmente è questo. E sei incuriosito da lui. Non devi
passare per uno che è colpito da lui, a cui lui piace. Però sei curioso
di conoscerlo, di bere qualcosa con lui. Se poi lui ti vuole
controllare oppure studiare o cos’altro, non ha importanza. L’obiettivo
è incontrarlo. - Lo fece ragionare Colby con un distacco invidiabile,
imparato proprio da Don.
Don stava per avvertire l’agente
addetto al settore informatico di tracciare il numero mentre provava a
chiamarlo, ma un altro sms gli arrivò.
‘Già sparito?’
Don fece una strana espressione mentre Colby commentava la medesima cosa che gli veniva in mente.
- Alla faccia del complessato! È
completamente fissato con la cosa dell’essere scaricato! - Don
concordava pienamente, colpito da come ogni cosa la rigirava in una
sorta di persecuzione.
- Non mi stupisce che reagisca male coi suoi partner. -
- Male è un eufemismo! - ribatté ironico Colby facendo sorridere Don.
A quel punto provò a scrivergli ancora, mentre Colby arrivava alla casa dei genitori di Tyler.
Rimasero fermi un paio di istanti.
‘Qualcuno ha fretta di
rivedermi?’ Colby rimase colpito dalla sua capacità di giocare con lui,
carico di una malizia che già lo faceva impazzire e che non gli aveva
mai visto.
“Probabilmente è così che fa sue
tutte le donne che vuole!” Colby ricordò tutte le volte che era stato
prima con Liz, poi con Robin, prendendosi e lasciandosi. E ricordò ogni
volta la gelosia nel vederlo con una di loro e poi la felicità nel
vedere che si lasciava.
Al momento non capiva in che stato era con Robin, erano come sempre una coppia molto discreta.
‘I migliori li devi tenere
stretti!’ Stava flirtando con lui come avrebbe potuto fare con chiunque
altro, non si poteva capire se fingeva perché sapeva chi era in realtà
o no.
Colby gli suggerì cosa rispondere e Don non commentò.
‘Ma se si stringe troppo, poi si ottiene l’effetto opposto.’
Jason rispose subito, indice che aspettava i suoi messaggi.
‘Quindi se scappi avevo ragione!’
- Ha un tono da psicopatico! -
Precisò Colby fissando il display del telefono di Don avvicinandosi a
lui. Don era leggermente piegato verso di lui, per condividere i
messaggi. Don ridacchiò.
- Ma no, cosa te lo fa pensare? - Colby rise e Don rispose.
‘Come posso farti cambiare idea?’
Jason aspettò un istante durante
il quale Colby e Don si concentrarono insieme sul telefono fermo e
buio, si avvicinarono uno all’altro istintivamente fino a che i bracci
si toccarono, sussultarono e si guardarono, ma prima che potesse
scattare qualcosa, che si potessero anche solo parlare, il telefono
fece un bip.
‘A pranzo da Jolly Blue avresti un’ottima occasione!’
Rimasero sorpresi della facilità
con cui avevano ottenuto un appuntamento con lui, Don rispose con un
‘ci sarò’ prima di sospirare e fissare Colby meravigliato.
- Facile? - Colby alzò le spalle.
- Ha i complessi perché non ci
sa fare, sicuramente è ossessivo con tutti quelli che corteggia. O non
avrebbe problemi tanto da ucciderli! - Asserì l’ovvio Colby e Don
dovette ammettere che era un ragionamento che filava.
- Perciò per lui può essere
perfettamente normale, la prassi, comportarsi così… - Colby annuì, Don
sospirò e scuotendo il capo scese chiamando velocemente l’informatico
che gli comunicò che tutti gli sms partiti erano sempre dagli stessi
ripetitori di prima.
Chiusero le portiere e si avviarono verso casa dei genitori di Tyler, che non vivevano con lui da un bel po’ di tempo.
- Non vale la pena mandare
qualcuno adesso, bisogna riflettere bene sulla mossa migliore.
Probabilmente abbiamo solo quella cartuccia in canna, la dobbiamo
sparare bene. - Disse Don serio, mentre suonava alla porta dei signori
Wolf.
Colby chiaramente era d’accordo con lui.
- Abbiamo un paio d’ore e
sappiamo che prima dissangua le vittime, processo che richiede molto
tempo. Se flirta con te dal centro, sicuramente ben lontano da dove
tiene Tyler, non sta lavorando su di lui. -
- Essendo Tyler il suo scopo da
una vita, non agirà subito, si prenderà tempo, se lo gusterà. - Ma
queste erano solo supposizioni e speranze.
Anche se, fatte da Don, spesso diventavano certezze.
Incontrare i genitori non era
stato facile, spiegare la situazione in modo chiaro ma senza allarmarli
troppo, però preparandoli ad un potenziale finale tragico.
Don era diventato bravo a gestire i genitori delle vittime rapite.
Lì il caso era stato ben diverso dal solito, non si aspettavano chiamate e riscatti. Il rapitore voleva Tyler, non i soldi.
I genitori sembravano non sapere
nulla della sua vita privata, parlavano di Tyler come del figlio
modello che si impegnava nelle cose per riuscire, erano orgogliosi di
lui anche se non voleva sposarsi con nessuna.
Don e Colby decisero di non andare nei dettagli e rispettare la volontà di Tyler di nascondere la propria sessualità a loro.
Non viveva lì da molti anni, per
cui li lasciarono con la richiesta di non andare via da nessuna parte e
di aspettare eventuali chiamate. Gli lasciò un agente di sorveglianza
per pura prassi, poi se ne andarono.
Don aveva molte cose da fare prima di incontrare Jason.
- Non hai mai avuto questo tipo di approccio. - Disse Colby guidando verso l’edificio dell’FBI.
- Ho sempre avuto altre scelte. - Commentò calmo Don. Il partner annuì paziente.
- Lo so. Voglio solo dire… stai
attento. - Concluse trovando difficile fare certi discorsi con lui.
Forse era per questo che avevano difficoltà nel comunicare. Perché non
l’avevano mai fatto.
- Lo sono sempre. - Replicò sulle sue Don. Colby sospirò e girò lo sguardo con aria penetrante:
- Intendevo più del solito.
Perché di solito gestisci i casi in modo diverso. - Don ricambiò il suo
sguardo reggendolo senza problemi, rimase stupito dentro di sé che si
esponesse in tal senso. Colby non si mostrava mai preoccupato con lui,
non sapeva che era il primo ad accorgersi quando aveva qualcosa che non
andava e a chiedere agli altri i loro pareri.
Così accennò ad un sorriso, trovando bello lo sforzo di Colby di mostrare quel che aveva dentro.
Prima c’era David, prima ancora
Megan. Erano loro ad andare da lui e dirgli di stare attento, di
ricordargli che molte persone aspettavano che tornasse sano e salvo.
Charlie. Robin.
Ora spettava a lui.
- Sei tu l’esperto sotto
copertura. Vorrà dire che mi dirigerai tu, questa volta! - Colby tornò
con gli occhi alla strada e rise.
- È un dono naturale! Io
improvviso, ho prontezza di spirito! Queste cose non le puoi insegnare.
O le hai o no! - Don rise, tornando piano piano ad un rapporto
rilassato con lui. Forse un po’ meglio, anzi, perché Colby pareva
deciso a dirgli le cose invece che passare per terzi e lavorare
all’ombra.
- Oh oh oh! Ma sentilo! Per cui
quale sarebbe il mio dono naturale? - Chiese per scherzare, trovando
decisamente meglio alleggerire la situazione lì, l’unico momento in cui
poteva visto che appena avrebbe messo piede giù le cose avrebbero
ripreso a correre.
- Beh, tu entri nella testa dei
criminali, gestisci le situazioni più folli con lucidità, trovi il
distacco proprio quanto è necessario, hai polso con chiunque… - Poi si
rese conto che ne aveva elencati già troppi e che stava per dirne un
paio d’altri. Si morse il labbro e Don continuò ridendo, ma questa
volta un po’ più imbarazzato per i complimenti dietro lo scherzo e le
verità.
- Ora ho capito perché mi hanno
messo a gestire una squadra! - Rispose ironico. Colby rise scuotendo la
testa, leggero. Sperando di poter continuare quei discorsi sospesi,
quei modi di fare meno tesi e forzati.
Sperando di riuscire a dirgli tutto quello che aveva dentro sempre, anche sulle cose più scottanti.
- Visto? Senza di me
cammineresti in una valle oscura! - Continuò a scherzare e Don scosse
il capo ridendo, il volto illuminato, si tolse gli occhiali scuri per
stropicciarsi gli occhi lucidi dalle risa. Stava bene. Stava di nuovo
bene.
E anche lui voleva continuare così con Colby.
Forse quella notte, quelle discussioni, avevano smosso qualcosa in lui, facendo in modo che cambiassero le cose.
Forse, finalmente.
- Mi chiedevo giusto quando saresti sceso ad illuminarmi… - Disse poi senza pensarci molto.
- Potevi chiedermelo… - ma appena lo disse, Colby si zittì di colpo realizzando cosa aveva appena detto. Una parola di troppo.
Si girò di scatto verso Don
trattenendo il fiato, teso per paura di essere andato oltre per quello
che era il momento. Bello, leggero e delicato.
Don si trovò a ricambiare lo sguardo e ci fu quel momento di serietà, di nuovo.
Un momento in cui si guardarono dentro a vicenda con la voglia matta di andare di nuovo oltre una volta per tutte.
Un momento interrotto dalla strada e da Colby che spostava lo sguardo quasi subito, di nuovo serio.
- Scusa. Magari ne parliamo come si deve stasera a caso risolto. -
Don abbassò lo sguardo sorridendo.
- Sei ottimista. - Colby tornò a rilassarsi vedendo che non aveva rovinato nulla.
- Sto cercando di voltare pagina, essere più leggero ed aperto, più ottimista… -
Arrivarono in quel momento
all’FBI e Colby parcheggiò, spense l’auto e si voltò verso un
pensieroso Don ancora fermo dentro. I due tornarono a guardarsi nel
silenzio dell’abitacolo.
Il momento di prima tornò innegabile a colpirli, a farli sentire accesi, vivi e pieni di un desiderio specifico.
- Allora ne riparleremo stasera.
- Replicò ripetendo quello che aveva detto Colby, questi sorrise ancora
e dopo aver lanciato una veloce occhiata intorno, si protese e sfiorò
le labbra a Don, ancora fermo in attesa di qualcosa.
Forse di questo.
Non si irrigidì e non lo respinse, rimase fermo, calmo, ad accettare compiaciuto.
- Andiamo? - Chiese con una morbidezza che Colby non aveva ancora visto e sentito. Quella che riservava a pochi eletti.
Detto questo, scesero.