*Eccoci
qua. Le indagini entrano nel vivo, Don è al cospetto di Jason, sotto
copertura, ma non sa ancora se stia giocando con lui o se davvero non
sa chi è in realtà. Don se lo lavora in modo da spingerlo ad andare da
Tyler dopo il loro incontro, nella speranza di trovarlo vivo. Avrei
voluto inserire più teorie e nozioni matematiche o fisiche, però
chiaramente non essendo io una che ne sa, non ho potuto farlo. E quindi
niente, buona lettura. Baci Akane*
22. ARTISTA DELL’ORRORE
"E non riesco a smettere finché tutto il mondo non conoscerà il mio nome
Perché sono nato solo dentro i miei sogni
Fino a quando muori per me, fino a quando c'è una luce, la mia ombra è su di te
Perché Io sono il contrario dell'amnesia
E tu sei un fiore di ciliegio
Stai per fiorire
Sei così bella, ma te ne sei andata così presto"
- Fall Out Boys - Centuries -
Colby chiuse brevemente la
comunicazione con Don per ordinare in centrale di fare velocemente
delle ricerche riguardo la lista dei clienti di Colton Martin,
controllare chi di loro non era più attivo per causa decesso.
Trovare una fattoria bruciata senza alcun proprietario ed erede non doveva essere difficile.
La storia si stava delineando,
tutto stava andando al suo posto e anche se di norma era una cosa che
faceva Don, anche Colby iniziava a capire.
Jason era stato cresciuto da due
genitori problematici e diversi, lei una donna religiosamente rigida,
bigotta come l’aveva definita lui stesso, vecchio stampo, severa ed
estremista. Il padre invece aveva nascosto la sua natura omosessuale
fino a che, probabilmente, aveva abusato del figlio incidendo sulla sua
sessualità.
Colby avrebbe voluto scommettere
che quando la madre aveva scoperto che il marito abusava del figlio,
aveva quasi ammazzato l’uomo. Da un certo punto di vista poteva aver
salvato il figlio, se poi non avesse lavorato nel senso opposto,
estremizzando il male dell’omosessualità dal suo distorto e severo
punto di vista.
“Avrà creato chissà quanti
disagi al figlio… che rivelandosi gay a sua volta, ha iniziato la sua
guerra interiore. Conscio che se si rivelava, la madre lo uccideva, si
è soffocato fino ad impazzire.”
Supponeva fosse stato beccato un
giorno da lei in atteggiamenti inequivocabilmente gay, lei a quel punto
aveva iniziato a tagliargli le dita, impazzita di rabbia. Al taglio del
secondo, il figlio doveva aver giurato che non avrebbe più fatto nulla.
- Non è difficile immaginare la sua storia… - Disse Colby al microfono di Don. - Ma stiamo cercando. Ci stiamo avvicinando. -
Don guardò l’orologio, quello
era il segno stabilito per dire che Don aveva capito e che dava il suo
consenso per continuare così. Il segno per dire di no, di non fare
qualcosa o che non era d’accordo, era la mano dietro al collo.
- Perciò tu che lavoro fai? -
chiese Don tornando ad una pseudo conversazione normale, come se i
discorsi fatti prima fossero comuni.
Jason lo guardò ingoiando il boccone e rispose:
- Sono un artista! - Don voleva
ridere, ma ebbe un eccellente controllo. Non lo stesso di Nikki in un
tavolino con Liz e di Colby al suo orecchio.
Don rimase ineccepibile.
- Artista? - Chiese fingendosi interessato, bevendo l’acqua.
- Sì… faccio opere. Quadri e
sculture. Sculture per lo più se devo essere onesto. - Don così si
appoggiò allo schienale avendo finito di mangiare e lo guardò curioso,
sempre col suo contegno tenebroso.
- E le esponi? -
- Beh, no… non mi sento ancora
pronto… sto perfezionando la mia tecnica… però penso che quella su cui
sto lavorando possa essere il mio capolavoro, sai il David del
Michelangelo… - Larry cominciò ad insultare a modo suo, con epiteti
tecnici ed altolocati da fisico filosofico, fortunatamente Colby aveva
chiuso tutti i collegamenti e teneva solo il suo aperto.
- Sono curioso… - Disse Don. Jason fece il timido.
- No beh, gli altri non so se… l’ultimo se quando è finito mi soddisfa magari… - Don decise di insistere un po’.
- Ed in fase di creazione non
mostreresti niente ad un amico curioso? Non ho mai visto uno scultore
all’opera, ma dicono che sia un’esperienza da fare! - Don mise i gomiti
sul tavolino e si protese un po’ verso di lui puntando il suo sguardo
penetrante e magnetico in quello indeciso di Jason. Ci fu un momento in
cui lui sembrò ipnotizzarsi con Don, dove si dimenticò di quel che
stavano dicendo e di cosa lui stesso stesse facendo, ovvero ingozzarsi.
Don iniziò a giocherellare col
bicchiere di Jason, in mezzo al tavolo, questi spostò lo sguardo sulle
sue dita e dimenticò la bocca aperta. Poi assorbito, rispose:
- Facciamo così… adesso torno a
lavorarci e lo rendo presentabile anche se non è finito. Poi se ti va
stasera ci vediamo e te lo mostro. Ok? - Don notò il cambiamento nel
suo sguardo, come se non fosse più lì. Prima aveva il controllo di sé e
della situazione, studiava la persona che aveva davanti, studiava
quello che poteva dire. Adesso non era più lì, adesso era come se la
luce della ragione fosse stata rimpiazzata da un’insana follia.
Probabilmente era questo che vedevano in lui durante il secondo incontro, gli altri che poi venivano uccisi.
Il primo era nei locali, dove
lui li abbordava. Era un incontro strano dove lui coi suoi modi da
vittima li costringeva a rivederlo per dimostrare di non essere
discriminatori.
Il secondo era così, alla luce
del giorno. Si mostrava in tutta la sua tenera goffaggine, sembrava
innocuo e simpatico. Eppure ad un certo punto notavano che non era come
voleva sembrare, che l’impressione avuta nel primo incontro era giusta.
Così lo scaricavano e non ce n’era un terzo. Non che finisse bene,
quanto meno.
- Colby? - Chiese udienza Larry tramite il collegamento a distanza. Colby chiuse un attimo con Don per parlare con lui.
- Dimmi Larry. -
- C’è una teoria che si chiama…
- Colby lo fermò subito impedendogli di cominciare con spiegazioni
prima astruse e poi comprensibili.
- Vai subito al sodo, per
cortesia. - Disse fintamente paziente. Larry tossicchiò e continuò
seppure seccato per l’interruzione.
- Penso che Jason non abbia idea
di chi sia Don e che lo voglia mettere alla prova per vedere se può
diventare il suo compagno per la vita. Un complice con cui continuare
questa sua… vita da artista! - Colby si aggrottò capitalizzando tutta
la sua attenzione sulle sue parole che ora gli risuonavano insieme al
resto del quadro di Jason.
- Non uccide perché lo
respingono. - Fece realizzandolo solo ora. - Uccide perché quando
mostra loro quello che fa davvero, loro reagiscono male. -
- Cerca l’amore, come tutti. Solo che lui ha esigenze particolari. - Concluse Larry.
- A dir poco! - Commentò acida Nikki che aveva sentito come anche Liz.
Colby aggiornò brevemente Don il quale aveva già accettato di vederlo la sera, curioso del suo lavoro.
- Posso farti un domanda, Jason?
- Chiese poi Don intendendo che non era una da conversazione comune.
Jason, che stava bevendo, annuì.
- Tutto quello che vuoi! - Rispose felice.
- Come mai mi hai avvicinato?
Come mai hai avvicinato proprio me, ieri sera? Penso c’erano uomini e
ragazzi più interessanti, più… - A Colby venne un colpo sentendogli
fare quella domanda, poteva essere un po’ troppo, ma Jason sorrise e si
strinse nelle spalle timido.
- Beh, fra tutta la gente che
era lì ieri sera… tu eri quello che si notava di più. Specie lì fuori,
dove ti ho visto quando sei uscito… - Don rimase in silenzio. - Eri il
più diverso, sembravi un pesce fuor d’acqua. L’aria tipica di chi si
chiede che diavolo ci fa lì, pentito di essere venuto. - Spiegò
dolcemente. Don annuì.
- Beh, non ha torto. - Rispose Colby colpito dalla sua spiegazione.
- Che in un gruppo di gay Don si
noti è ovvio! - Disse Nikki attivando la comunicazione con Don tramite
un tasto dell’orologio che avevano tutti. - Perché un etero in mezzo ai
gay attira l’attenzione, è scontato! - Rincarò. Colby voleva dirle che
Don era gay anche se non sempre e con tutti, ma lo era. Con lui se non
altro.
Però decise di tenere la bocca chiusa. Don guardò ancora l’ora, segno che aveva capito e che era d’accordo su tutto.
Jason pensò che fosse segno che invece doveva andare via.
- Hai finito la pausa pranzo? - Chiese Jason dispiaciuto.
Don realizzò che non doveva mangiarsi la copertura fino a che non sarebbe arrivato da Tyler.
Se dopo di lui ci andava per
‘portare avanti l’opera d’arte’, bastava seguirlo una volta uscito dal
ristorante. Dopo di che si sarebbe finito tutto.
- Sì, non mi rimane molto… -
Jason sorrise e tirò fuori il portafoglio per lasciare i soldi, ma Don
insistette per pagare lui, tipico gesto da dominatore. Jason lo lasciò
fare soddisfatto.
Era proprio quello che aveva cercato. La sua espressione era inequivocabile.
- Allora ci rivediamo stasera?
Ci troviamo da qualche parte e andiamo al tuo laboratorio? - Chiese Don
mentre uscivano insieme, calmi, dal locale seguiti da una decina di
occhi.
Jason si mise le mani in tasca e
annuì eccitato e felice allo stesso tempo comunicandogli un luogo
d’incontro vicino al suo laboratorio.
Don annuì e si chiese se Jason
si aspettasse un gesto intimo o se comunque dovesse farlo per
convincerlo ulteriormente a non cambiare idea.
Stava ancora pensandoci, quando
fu Jason a protendersi verso di lui e a lasciargli un bacio umidiccio
sulla guancia. Poi, rosso come i suoi capelli e le lentiggini sul viso,
se ne andò.
In un primo momento Nikki
nascose il viso nel menù non per Jason che non poteva più vederla, ma
per Don il quale, invece, poteva vederla eccome.
Colby si affrettò a dare
l’ordine alla squadra Alpha di seguirlo, poi a tutti comunicò che si
cominciava con il percorso a staffetta per seguirlo, di fare quel che
avevano concordato e di non perderlo mai di vista.
Infine chiuse la comunicazione
con tutti e scoppiò a ridere per il bacio e la rigidità da rigor mortis
che Don stava avendo ancora, immobile proprio dove l’aveva lasciato.
Dopo che si fu assicurato che
non c’era nessuno, Colby andò da lui e con un kit per prelevare liquidi
e DNA, strofinò la sua guancia per portare il campione raccolto alla
scientifica dell’FBI. Infine con una salvietta lo pulì.
- Adesso puoi tornare a
respirare. - Disse ridacchiando anche con un certo sadismo. Don era
ancora una statua, rigido, serio, duro come il marmo. Spostò gli occhi
su quelli divertiti di Colby e poco dopo furono raggiunti anche dalle
ragazze che ridevano a loro volta.
- Nella tragicità della cosa,
non dimenticheremo mai questo momento. - Disse Liz. Don scosse il capo
e brontolando qualcosa, cominciò a grugnire ordini per sbrigarsi a
seguire Jason, secondo il proprio rispettivo turno, riattivando le
comunicazioni con tutti i membri della squadra in missione con loro.
I tre rimasti si guardarono fra di loro e senza parlare si capirono al volo: decisamente indimenticabile.
Riconosciuto come capo operativo
dell’indagine fino a nuovo ordine, gli agenti assegnati alle ricerche
riferivano tutto a Colby, perciò mentre lui e Don seguivano come
stabilito la staffetta in totale sicurezza senza farsi vedere, pronti
ad intervenire a necessità, riceveva aggiornamenti continui dall’FBI.
- Ok, grazie. - Disse mettendo
giù il telefono mentre Don guidava a distanza di tre isolati, seguendo
le indicazioni dell’unità che stava dietro a Jason.
Don ordinò alla terza unità in
carico di posizionarsi a tale incrocio a cui sembravano direzionati per
sostituire e subentrare alla seconda unità. Così la staffetta proseguì
senza destare sospetti.
Erano state predisposte tutte le
forze in gioco per riuscire in quell’operazione, il killer scultore era
ricercato da moltissimi anni e non erano mai stati così vicini a lui
come ora.
L’unità Gamma sostituì l’unità
Beta. Jason si muoveva con una macchina che dalla centrale comunicarono
a Colby essere sotto falso nome.
- Mi chiedo come mai non ha mai
preso un furgone creando un falso proprietario, come ha fatto ora. Un
furgone rubato desta sospetto se viene individuato anche solo per
sbaglio, infatti hanno capito che era collegato al killer scultore
anche per questo. - La prima volta che avevano avuto dei filmati sulla
zona di ritrovamento di uno dei cadaveri, cosa che non avevano sempre
avuto a disposizione, e che erano riusciti a leggere la targa del
furgone, avevano capito che era quello il suo mezzo per muoversi perché
risultava rubato. Prima di quella volta non avevano mai avuto modo di
controllare i mezzi nel quartiere di ritrovamento delle vittime.
Così il killer scultore era diventato il killer del furgone rosso, due soprannomi, nemmeno un viso. Fino ad ora.
- Non è la persona più logica del mondo… - Fece notare Colby calmo rispondendo di nuovo al telefono.
Don concordava. Di killer furbi
e razionali ne aveva incontrati. Lui era solo stato furbo a non
interagire mai con le forze dell’ordine.
- Non si faceva trovare perché
non voleva. Adesso ha voluto e si è fatto trovare. - Commentò Don
svoltando per seguire le indicazioni dell’Unità Gamma che stava
seguendo Jason che stava uscendo dalla città.
Colby gli lanciò un’occhiata
veloce sentendo sia lui che l’agente al telefono, poi annuì ad entrambi
e mise giù riprendendo il discorso con lui:
- Ma perché? Perché per dieci
anni non voleva farsi cacciare mentre ora sì improvvisamente? Proprio
ora che è pronto per l’uomo che ha sempre voluto uccidere ma che non è
mai riuscito? E anche lì, perché ora? - Le domande erano molte e più ne
sapevano, più ne arrivavano di nuove.
C’era da chiedersi se avessero mai trovato tutte le risposte.